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Debbo ora accennare a Dio, di Cui, giustamente, non si parla in questi studi scientifici, e debbo fare un passo avanti e porre questa domanda: è legittimo che una persona religiosa, o, ancora meglio, un teologo, s’interessi, o addirittura si lasci affascinare, da queste discussioni sulla possibilità che esistano altre creature intelligenti, altre creature libere?

Come teologo, sono portato a dire che la ricerca di un’intelligenza extraterrestre che si propone è anche una ricerca per conoscere e capire Dio attraverso le Sue opere, specialmente le opere che più Lo riflettono. Scoprire altri esseri oltre a noi significherebbe conoscerLo meglio.

Theodore M. Hesburgh

The Search for Extraterrestrial Intelligence


NASA SP-419 — 1977

Stoner alzò gli occhi dalla cena surgelata e vide Jo sulla soglia della cucina, con una cartelletta rigonfia tra le mani guantate.

Per un attimo, non seppe cosa dire. Una furia rabbiosa gli invase il corpo; ne avvertì tutto il calore in viso. «Cosa ci fai qui?»

Lei non si lasciò intimidire, «Le ho portato le ultime fotografie dal Centro Spaziale Goddard.» La voce era bassa ma sicura.

«Mi hai portato il lavoro da fare a casa. Grazie tante.»

Avanzando di un passo, Jo disse: «Al professor McDermott serviva qualcuno per portarle il materiale dall’osservatorio. Ha detto a me di farlo.»

Stoner non aprì bocca.

«Ho dovuto farmi rilasciare un nullaosta speciale dalla marina.»

«Ci avrei scommesso.»

«Senta, non credevo che l’avrebbero trattata a questo modo.» La voce di Jo non tremava, ma lui poteva avvertirne la tensione. E c’era qualcosa nel viso di lei, qualcosa in quei suoi occhi scuri: senso di colpa, oppure paura, oppure… cosa?

«Secondo te, cosa dovevano fare?» le chiese.

Lei scrollò le spalle. «Non so. Ho cercato di avvertirla… Di dirle che McDermott era stravolto all’idea che lei sarebbe andato a Washington…»

«E come l’ha saputo, Jo?»

La sua espressione crollò. In un sussurro quasi inaudibile, la ragazza rispose: «Gliel’ho detto io.»

«Già. Lo so.»

«Mi ha costretta. Ho saltato un sacco di lezioni per stare all’osservatorio. Ha detto che mi avrebbe espulsa, se non gli avessi raccontato i vostri piani.»

Stoner la studiò. “Se sta raccontando bugie, è molto brava.” La sua rabbia interiore si andava placando. Oppure c’era qualcosa d’altro, qualcosa di più? La rabbia, di solito, lo lasciava gelido; il suo cervello diventava freddo e distaccato come un computer elettronico. Adesso, invece, le sue mani volevano afferrare, strappare; le sue viscere tremavano, il sangue pulsava. “Gesù” capì d’un tratto “sono mesi che non faccio l’amore.”

«Entra» le disse cercando di apparire calmo. «Togliti la giacca e siediti. Prendi un po’ di caffè.»

Esitante, Jo entrò in cucina. Appoggiò la cartella sul ripiano in formica, si tolse i guanti, la giacca di lana. Stoner raggiunse il fornello, col bricco del caffè mezzo vuoto.

«Per me niente caffè, grazie.» Jo sedette di fronte a lui, lo guardò versarsene una tazza. «La trattano bene? C’è niente che posso portarle?»

«La mia macchina, con le chiavi.»

«Non me lo permetterebbero.»

Stoner rimise sul fornello il bricco fumante, sedette davanti alla ragazza. «Quella vecchia auto è l’unica cosa che mi resti di sedici anni di matrimonio.»

«Oh.»

«Ci sono piuttosto affezionato.»

«Ma la trattano bene? Non le danno problemi?»

«Sicuro. Tutto perfetto, da che ho firmato l’impegno alla segretezza. Adesso sono padrone assoluto di questa casa. Otto stanze. O nove? Ho perso il conto. Cibo a volontà. Devo prepararmelo da solo, però. Sono un pessimo cuoco.»

«Potrei prepararle io da mangiare, qualche volta.»

Stoner ignorò l’offerta. Afferrò la cartella e tirò fuori le ultime fotografie. Mostravano la sfera multicolore e schiacciata che era il pianeta Giove. Si vedevano particolari squisiti delle fasce di nubi attorno alla superficie del pianeta: vortici e gorghi grandi quanto la Terra di un arancione acceso, di un rosso vivido, di un bianco abbagliante.

«Dove sono le foto dello sfondo celeste che ho chiesto?»

«Arriveranno la prossima volta» rispose Jo. «Le stanno ancora sviluppando.»

«Mi servono» disse lui. «E mi serve un terminale di computer.»

La ragazza annuì. «Nient’altro?»

«Libri. Tutti i libri sulla vita extraterrestre che riuscite a trovare. Vuoti le biblioteche. Voglio tutto sull’argomento.»

Ancora un cenno del capo. «Nient’altro?»

Lui scrutò nei suoi occhi scuri, vivaci. «Perché sei venuta qui stasera, Jo?»

«Me l’ha ordinato il professor McDermott. Ormai sono il vostro corriere.»

«Perché hai accettato questo lavoro? Nessuno ti obbligava.»

Per un attimo, lei non rispose. Poi: «Volevo vederla. Per dirle che mi spiace. Se avessi resistito a Big Mac… Forse…» Distolse gli occhi. «Mi spiace che sia andata a finire così. Davvero.»

Lui, protendendosi sul tavolo, le afferrò il polso. «Dimostramelo.»

Senza un’altra parola, Stoner la condusse fuori dalla cucina, nelle stanze piccole e strette che erano la parte vecchia della casa; la guidò su per le scale fino alla camera da letto.

Lì, chiuse d’un colpo la porta. Inutile accendere luci: il chiarore freddo della luna filtrava dalle tende alla finestra.

Per un attimo Jo restò immobile davanti al letto. Poi si girò verso di lui. Stoner si appoggiò all’intelaiatura in legno massiccio della porta. Nessuno dei due parlò.

Stoner vedeva il viso di lei incorniciato dai raggi della luna. Jo non sorrideva: la sua espressione era stranamente placida, tranquilla. Cominciò a slacciarsi la camicetta. Stoner restò a guardarla. La ragazza slacciò il reggipetto e lo lanciò via. Chinandosi, si tolse le scarpe, poi fece scivolare i jeans sulle gambe lunghe. E, alla fine, si tolse le mutandine a fiori.

«È questo che vuoi?» gli sussurrò.

Lui aveva la gola arida. «Sì» rispose, a fatica.

Jo gli si avvicinò e cominciò a slacciargli la camicia, Lui, immobile, lasciò fare alla ragazza. Alla fine, lei era in ginocchio di fronte a Stoner, nudo. Gli baciò il pene eretto.

«È questo che vuoi?» gli chiese di nuovo. Ma non aspettò la risposta.

Un momento prima di esplodere, Stoner affondò le mani nei capelli neri di Jo e l’allontanò da sé. Si chinò, la raccolse tra le braccia, la portò al letto, la distese sul copriletto e la coprì col proprio corpo.

Jo intrecciò le braccia dietro il suo collo, si fece penetrare. Lui la baciò mentre entrava in lei, e lei era calda e pronta, si muoveva a ritmo con lui.

Era come trovarsi di nuovo nello spazio, fluttuare senza peso, andare alla deriva, alla deriva nelle eternità buie sotto lo sguardo solenne e muto delle stelle.

Nell’orgasmo, lei si strinse a lui, poi boccheggiò una sola parola: «Keith!»

Per lunghi momenti restarono allacciati, il cuore impazzito, il respiro affannoso. Lui sollevò il viso dal copriletto e la scrutò di nuovo negli occhi.

Jo gli sorrise. «È la prima volta che mi baci» disse.

«È la prima volta che mi chiami per nome.»

Risero assieme.

Lui sedette sull’orlo del letto. Era ancora sottosopra, Jo gli passò un’unghia lungo la spina dorsale.

«C’è altro che possa fare per lei, dottor Stoner?» scherzò.

Girandosi verso di lei: «Resta qui stanotte.»

«Domattina ho un’ora di lezione.»

«Oh.» Lui aggrottò la fronte nell’ombra. «Dove diavolo siamo, tra l’altro? Dove si trova questa casa?»

«Nel New Hampshire, non lontano da White River Junction.»

«White River Junction? E allora come accidenti fai a tornare in tempo all’università per domattina?»

«Be’, salterò la lezione» disse tranquillamente Jo. «Non sarà la prima volta.»

«È per questo che sei finita nelle zampe di McDermott, no?»

«Posso tenere a bada il professor McDermott. È solo un grosso spaccone.»

«White River Junction» rifletté Stoner. «Forse dovresti portare un paio di sci, la prossima volta.»

«Non saremo più qui la stagione invernale, a quanto dice il professor McDermott.»

«Cosa?»

«Ha detto che tra qualche settimana tutto il personale dell’osservatorio verrà trasferito a sud.»

«Me compreso?»

Lei annuì. «E ci sarò anch’io. Verrò con voi.»

«Dove?»

«Non l’ha detto. Ha detto solo che il clima non sarà troppo freddo.»

«Green Bank?» si chiese Stoner. «No, tra le colline della Virginia ovest fa freddo come qui. Arecibo non può essere. Nemmeno Big Mac riuscirebbe a far sloggiare Drake e Sagan.»

«Come ci si sente a fare l’astronauta?» chiese Jo.

Lui restò sorpreso dal cambiamento improvviso d’argomento. «Eh? Io non ero un vero astronauta… non uno di quelli che salgono su un razzo e via. Mi hanno usato come specialista per la costruzione. Mi hanno portato in orbita e ho dato una mano a mettere assieme Big Eye.»

«Però sei stato nello spazio per mesi, no?»

Una scrollata di spalle, «Sì. E appena il telescopio è entrato in funzione, la NASA ha deciso che non le serviva più un costoso astrofisico che non aveva più niente da costruire. Così mi hanno messo nella riserva. Allontanato. Licenziato. Fregato.»

«E poi sei venuto all’osservatorio?»

«Sì.»

«E la tua famiglia? Dov’è?»

“Mi sta facendo il terzo grado” si disse Stoner, anche se sapeva già che prima o poi quella domanda sarebbe arrivata.

«Mia moglie ha portato i nostri figli dai suoi, a Palo Alto» rispose. «Lo stesso giorno in cui ho saputo di essere stato licenziato, tra l’altro. Una semplice coincidenza; tempismo poetico. Erano anni che non andavamo più d’accordo.»

«Quanti anni…?»

«Quindici e dodici» disse lui, automaticamente. «Il ragazzo è il maggiore. Non li vedo più. L’ultima volta che sono stato a Palo Alto non sono nemmeno usciti a salutarmi. Cambiamo argomento.»

Jo se lo strinse addosso, lo baciò. «Mi spiace» disse dolcemente. «Devi soffrire molto.»

«Probabilmente dovrei. Ma più che altro mi sento come stordito.»

«Stai soffocando il dolore.»

«Col lavoro. Giusto. Il lavoro viene per primo. Doris ha sempre detto che era così, e aveva ragione.»

«E adesso?»

«Adesso ho fatto la più grossa scoperta di tutta la storia. Nient’altro importa. Io “dimostrerò” che abbiamo trovato un’intelligenza extraterrestre. Big Mac o la marina o chiunque altro possono fare quello che vogliono… Io lo dimostrerò al mondo.»

Jo appoggiò la testa alla spalla di lui, gli carezzò a lungo, languidamente, la schiena con le dita.

«Sei così sicuro di te» disse in un sussurro. «Lo sai che sei identico a me? Noi due siamo della stessa stoffa.»

«A te? Scherzi.»

«Anch’io voglio che si accorgano di me, Keith. Voglio “essere” qualcuno. Voglio che il mondo intero sappia chi sono.»

Lui si scoprì a sorridere. «Allora hai scelto il progetto giusto.»

Ma lei disse: «Chi si accorgerà di un modesto assistente, di fronte al famoso dottor Keith Stoner o al professor McDermott? No. Io diventerò un’astronauta. Una vera astronauta.»

«La NASA non assume più personale.»

«Ricominceranno ad assumere, prima o poi. E le donne godranno di una preferenza particolare, vedrai.»

«Non è una vita romantica. È un po’ come fare l’autista d’autobus. Un sacco di lavoro pesante. E rischi.»

«Però tu sei andato nello spazio. Sei diventato famoso.»

«E disoccupato.»

«Immagina come dev’essere fare l’amore a gravità zero!»

«Più o meno come su un letto ad acqua. E poi, gli astronauti non fanno l’amore quando sono in orbita. Sono troppo occupati. E spaventati. Ed esausti.»

«Non ci credo.»

«È una vita noiosa, te lo giuro.»

«Non più noiosa di quella di una programmatrice di computer.»

«È questo che stai studiando?»

Lui intuì il sorriso di Jo nel buio, stretta al suo corpo. «È quello che i miei genitori credono stia studiando. Vogliono che io vada a scuola e impari un lavoro decente e normale, finché non incontrerò un tipo decente e normale, mi sposerò e comincerò a fare figli.»

«E ti passano i soldi per…»

«Un accidenti! Ho vinto una borsa di studio. E lavoro ai week-end e d’estate. Secondo te, come ho fatto a entrare all’osservatorio? Mi pagano per lavorare lì.»

Stoner sorrise al tono deciso della sua voce. «E adesso sei entrata nel progetto supersegreto IET di Big Mac. Spero che ti paghi bene.»

«Ho uno stipendio da tecnico specializzato.»

«Non c’è male.»

«E mi trasferirò alla Sezione Astronautica» aggiunse Jo. «Diventerò un’astronauta, e niente mi fermerà.»

«Ottimo» disse Stoner, soffocando uno sbadiglio. «Nel frattempo, però, vediamo di non morire assiderati.» Tirò su le coperte dalla propria parte del letto.

«Non preoccuparti. Quest’inverno staremo al caldo. Andremo ad Arecibo. Ne sono sicura.»

«McDermott non può esercitare pressioni del genere» ribatté Stoner, infilandosi sotto le coperte che erano già calde dei loro corpi.

Ma Jo si era alzata, stava cercando, alla luce della luna, i vestiti sparsi nella stanza.

«Cosa fai?»

«Mi sono portata una borsa con la biancheria da notte» disse, infilandosi i jeans senza preoccuparsi delle mutandine. «È in macchina. Torno tra un minuto.»

Si stava ancora abbottonando la giacca di lana quando uscì in corridoio, diretta alle scale.

Stoner sbadigliò, si chiese per un attimo come facesse la ragazza a sapere tante cose dei piani di McDermott. Poi pensò alla borsa con la biancheria da notte. Volpona d’una puttanella! Non sapeva se ridere o infuriarsi. Con uno sbadiglio, decise di non fare niente. Si girò su un fianco e si addormentò.

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