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Dio sollevò la fronte dell’Uomo e gli ordinò di contemplare le Stelle.

Ovidio


Il raduno iniziava alle otto, ma i potenti riflettori dello stadio RFK erano già accesi quando le prime persone cominciarono a riempirne l’enorme ovale.

Willie Wilson si asciugò le labbra imperlate di sudore. Sotto il cielo ancora chiaro di Washington, lo stadio si stava affollando.

«Te l’avevo detto che sarebbe stato un successone» disse suo fratello Bobby, sorridente. «Tra mezz’ora dovremo mandare indietro la gente.»

Quando gruppi rock e cantanti e ospiti d’onore ebbero scaldato il pubblico, era ormai sera piena, anche se nessuno riusciva a vedere il cielo nello scintillio totale dei riflettori.

L’entrata di Willie era stata preparata nel modo più spettacolare. Tutte le luci dovevano spegnersi, fatta eccezione per un unico riflettore che si sarebbe puntato su di lui alla sua apparizione sull’erba. Poi, la luce lo avrebbe seguito mentre lui procedeva, magnificamente solo, sino agli scalini della piattaforma dov’erano sistemati i microfoni.

Per quanto fosse abituato ad affrontare la folla, per quanto avesse ripetuto all’infinito il suo messaggio alla gente, Willie avvertiva ancora quella sensazione di vuoto, di panico, che precedeva gli ultimi secondi prima dell’uscita.

Alle sue spalle, Bobby stava dicendo a Charlie Grodon: «Te lo avevo detto che avremmo fatto il tutto esaurito, no?»

«Per questa volta» ammise a malincuore Charlie. «Ma Anaheim? Da quanto so, le prevendite dei biglietti non vanno troppo bene.»

Willie escluse dalla mente quelle voci. Non erano importanti. Nulla importava, se non convincere la folla che il suo messaggio era degno d’attenzione.

Nervoso come un puledro che stesse per essere liberato dalla stalla, Willie ascoltò l’ex cantante convertita alla sua fede che annunciava il suo ingresso. E il sudore gli uscì da ogni poro del corpo, mentre la donna urlava nel microfono: «…L’uomo che tutti aspettate di vedere. Con il messaggio che tutti voi desiderate udire… L’evangelista urbano in persona, Willie Wilson!»

I gruppi rock suonarono un inno, le luci si attenuarono, si spensero, e la folla ruggì.

Poi piombò nel silenzio.

Sotto la luce del riflettore, Willie si fermò a metà d’un passo.

Silenzio. Come se l’intero stadio fosse scomparso. Come se fosse stato scagliato nelle tenebre dello spazio interplanetario.

Confuso, incerto, spaventato, Willie s’immobilizzò. La luce del riflettore lo abbagliava. Non vedeva nulla, sotto quel raggio accecante.

Però udiva sussurri. Voci. Gemiti.

«Guarda!»

«Dio, cosa può essere?»

«Guarda su, in cielo! “Guarda in cielo!”»

Willie cercò di schermarsi gli occhi, ma servì a poco. Adesso sentiva urla, grida strangolate di… Cosa? Paura? Meraviglia? Terrore?

Avanzò di due passi, e il raggio di luce non si mosse. Persino il tecnico delle luci si era bloccato.

Willie alzò gli occhi e lo vide, splendido in cielo. Il messaggio.

Adesso lo stadio era pieno di suoni. La gente bestemmiava, urlava, si muoveva, correva verso le uscite, spinta dalla paura più animalesca, più insensata.

Willie corse alla piattaforma. Anche al buio, il suo passo era sicuro. Sbatté la caviglia sul primo scalino, strinse i denti, salì sulla piattaforma.

La folla, nel buio, era un organismo vivo, pulsante, acefalo. Willie udiva gemiti e urla e l’esplosione della rabbia animale.

Le sue mani si chiusero sul microfono.

«ASCOLTATEMI» gridò, e la sua voce venne amplificata un milione di volte nel gigantesco stadio.

«ASCOLTATEMI! ASCOLTATE LA MIA VOCE! LA PAROLA DI DIO È QUI FRA NOI. INGINOCCHIATEVI!»

Il clamore si quietò, diventò un solo respiro collettivo. Willie incalzò: «INGINOCCHIATEVI! ASCOLTATE LA PAROLA DI DIO. QUESTO È IL SEGNO CHE TUTTI ATTENDAVAMO, NON ABBIATE PAURA, NON C’È NULLA DA TEMERE.»

Esitò, il viso rivolto alle luci in cielo, che pulsavano e si muovevano come una presenza viva. Il raggio del riflettore si spostò all’improvviso, lo circondò di un alone abbagliante.

«VI AVEVO DETTO DI SCRUTARE IL CIELO, ORA GUARDATELO! GUARDATE L’OPERA DEL NOSTRO SIGNORE DIO ONNIPOTENTE! QUESTO NON È UN MOMENTO DI PAURA. È UN MOMENTO DI TRIONFO! INGINOCCHIATEVI E PREGATE. RENDETE GRAZIA. DIO CI STA PARLANDO CON VOCE DI FUOCO, MA È UNA VOCE D’AMORE. È LA VOCE DELLA VITA ETERNA. GUARDATE TANTA BELLEZZA, IL REGNO E IL POTERE E LA GLORIA DEL NOSTRO SIGNORE E SALVATORE GESÙ CRISTO, DEL DIO PADRE E DEL FIGLIO E DELLO SPIRITO SANTO, NEI SECOLI DEI SECOLI…»

Il mattino dopo, i giornali riferirono che Willie aveva parlato per tre ore di seguito, senza mai interrompersi, senza mai lasciare il cerchio del riflettore. Da sola, la sua voce era bastata a soffocare il panico che avrebbe potuto uccidere migliaia di persone, nella corsa folle verso le uscite dello stadio.


Jo augurò la buonanotte a Markov all’entrata dell’hotel, e si avventurò nell’atrio, dove una guardia insonnolita aveva lasciato ricadere il mento sul petto.

Con una decisione improvvisa tornò fuori. Markov era già piuttosto lontano; inutile chiamarlo. Jo traversò la strada, aggirò gli edifici di cemento e raggiunse la spiaggia.

Non fu sorpresa di incontrare Stoner che passeggiava cupamente sulla sabbia. Al suo arrivo, lui alzò gli occhi, e a sua volta non parve affatto sorpreso.

«Ciao, Keith.»

Stoner quasi le sorrise. «Be’, hai detto che noi due siamo della stessa stoffa. Eccoci qua.»

Jo gli si affiancò. Si misero a camminare sulla spiaggia calma, sotto le grandi palme che sussurravano alla brezza della notte. La ragazza si fermò un attimo a togliersi le scarpe. Stoner fiutò il vento, carico del profumo dei fiori. La risacca mormorava tra le tenebre, instancabile.

Raggiungendolo di corsa, Jo gli chiese: «Qual è il vero motivo che ti ha spinto a rinunciare al nostro piano?»

«Te l’ho già detto, non ho nessuna intenzione di falsificare dati. Mi pareva una buona idea quando ero ubriaco, ma adesso sono sobrio.»

«È questo il motivo?»

«Sì.»

«L’unico motivo?»

Lui si fermò, si girò verso di lei. «Cosa vorresti sentirmi dire? Che non voglio perché non mi va che tu ti offra a Thompson?»

«Sì, Keith, è esattamente questo che vorrei sentirti dire.»

«Farebbe differenza, per te?»

«Io ti amo, Keith.»

Per un attimo, lui non parlò. Poi: «McDermott lo sa?»

«Certo che lo sa. Perché credi che mi abbia costretta a mettermi con lui? Per strapparmi a te. Lo fa sentire molto macho.»

«E perché ti sei messa con lui?»

«Perché tu potessi venire qui con noi, senza finire in carcere.»

«Non mi avrebbero messo in carcere» disse Stoner. Ma la sua voce era più tenera, più dolce.

«McDermott ha detto che ci saresti finito.»

«Ed è per questo che tu vai a letto con lui.»

«Sì. E anche per ottenere dal vecchio quello che voglio» disse lei.

Stoner abbassò le spalle. «Gesù Cristo, Jo, hai ragione tu. Siamo fatti della stessa stoffa.»

«Io l’ho sempre saputo. E adesso l’unica cosa che tu vuoi è tornare nello spazio, giusto?»

Lui riprese a camminare.

«Tutto quello che hai fatto» disse Jo «tutte le montagne che hai smosso… Era solo perché vuoi farti lanciare nello spazio, andare incontro alla nave aliena.»

«Per cui, sono un fanatico irragionevole» mormorò Stoner.

«Sei un essere umano, Keith. A volte mi spaventi, però sei umano. Se solo cercassi di esserlo più spesso…»

«Ti spavento?»

«Questa tua ossessione. Il bisogno di allontanarti da tutto, da tutti…»

Lui la circondò con le braccia. «Non voglio allontanarmi da te, Jo. Te lo giuro.»

Lei si lasciò stringere, si appoggiò al suo corpo forte, saldo. Tutta la rabbia, tutti i dubbi, tutti i timori scomparvero come foglie morte trascinate via da un torrente.

Stoner le alzò il mento, la baciò sulle labbra. Lei chiuse gli occhi, gli si strinse contro.

Le loro labbra si staccarono. «Sei così bella, Jo. Bella in un modo impossibile…»

Quando la ragazza aprì gli occhi per guardare Stoner, vide il cielo. «Keith… Cos’è?»

Lui alzò lo sguardo, s’irrigidì un attimo. La lasciò andare e girò su se stesso, rovesciò la testa all’indietro. A bocca spalancata, fissò il cielo, distese le braccia per non perdere l’equilibrio, continuò a roteare, scrutando il cielo che scintillava.

«Cos’è, Keith?» ripeté Jo, fissando la cortina di luci che solcava il cielo da orizzonte a orizzonte.

Lui rise. «Cos’è? Guarda! È la nostra rivoluzione! È lo scherzo cosmico più gigantesco! Guarda! Ma guarda!»

Il cielo era vivido di colori, rossi cangianti e verdi e gialli pallidi, cortine di luce che sfilavano lassù in alto come per magia, facendo impallidire le stelle, lanciando riflessi nelle acque calme della laguna.

Jo si trovò senza fiato. Era meraviglioso, spaventoso, assolutamente bello.

«L’aurora boreale! Le luci del nord!» Stoner rideva, ballava sulla sabbia come un ragazzino, s’imbeveva di quello spettacolo meraviglioso. «O forse le luci del sud. Chi se ne frega? Se le vediamo qui, così vicino all’equatore, si vedranno da per tutto. Su tutto il pianeta! Certo. Guardale! Non sono stupende?»

Lei lo raggiunse di corsa. «L’aurora boreale? Ma perché…?»

Circondandola con un braccio: «È il nostro visitatore, Jo. Non capisci? Ha interferito con la magnetosfera di Giove, e adesso sta facendo la stessa cosa col campo magnetico terrestre. È la sua risposta, il suo segnale per noi! “Magnifico!”»

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