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…Come potrebbe essere effettuata una simile comunicazione? I veicoli spaziali viaggiano con estrema lentezza. Una missione standard per la Luna dura qualche giorno, per i pianeti più vicini qualche mese, per i confini del sistema solare qualche anno… Persino le stime più ottimistiche situano la civiltà più vicina a qualche centinaio di anni luce, e un anno luce rappresenta circa nove bilioni e mezzo di chilometri. Alle navi spaziali che possediamo al momento occorrerebbero decine di migliaia d’anni per superare la distanza che ci divide dalla stella più vicina, e diverse decine di milioni d’anni per arrivare alla civiltà che si suppone più vicina a noi.

Un mezzo più veloce e più affidabile di comunicazione interstellare è inviare o ricevere segnali radio che viaggino alla velocità della luce.

Carl Sagan

Murmurs of Earth: the Voyager Interstellar Record — 1978


Gli occhi di Stoner si aprirono di scatto, veloci come l’accendersi di una lampadina. Era coricato sul letto, ancora vestito. Si era addormentato.

Adesso era mattino, un mattino grigio e umido. La pioggia tamburellava alla finestra.

La porta sul corridoio si aprì e Dooley entrò di schiena, reggendo il vassoio della colazione. Era stato il suo bussare veloce a svegliare Stoner. Oltre la soglia vedeva l’altro agente in corridoio: lo soppesava tranquillamente, pronto a tutto.

«Colazione a letto» disse allegramente Dooley. «Mica male, eh?»

Stoner annuì, indifferente, e Dooley uscì subito. La porta si chiuse, scattò il lucchetto.

Nonostante tutto, Stoner scoprì di avere appetito. Succo di frutta, uova, pancetta, tartine, marmellata e caffè si trasformarono ben presto in briciole e macchie sulla tovaglietta di carta.

Andò alla finestra, guardò fuori e cercò di scoprire dove si trovasse. La pioggia stava strappando le ultime foglie agli alberi. Nubi basse e grigie sfilavano in cielo. “Probabilmente da est verso ovest” pensò lui. “Quindi, in questo momento dovrei guardare a nord, più o meno.”

Il paesaggio non offriva elementi da poter riconoscere, solo colline boscose che potevano trovarsi in qualsiasi punto del New England. Non avendo altro da fare, Stoner fece la doccia. In bagno c’era un rasoio elettrico. “Hanno pensato a tutto” rifletté. “E non risparmiano precauzioni coi loro prigionieri.” Frugando nei cassetti dello scrittoio e nell’armadio, trovò un maglione azzurro e un paio di calzoni marroni che gli andavano quasi bene. Le maniche e le gambe dei pantaloni erano corte. Se non altro, non erano un’uniforme da carcerato.

Niente libri in camera. Niente televisore. Niente telefono. Il letto era matrimoniale. La coperta imbottita di ciniglia, di quelle che una casalinga della media borghesia potrebbe comprare per la stanza degli ospiti, era tutta spiegazzata e ricadeva a metà sul pavimento. La poltrona era l’incubo di qualsiasi arredatore. Il tappeto era beige, folto, ordinario. Il comodino era una variante irriconoscibile del tipo di mobili venduti dalle organizzazioni per corrispondenza.

Una strana stanza nella quale trovarsi prigioniero.

Stoner scrollò mentalmente le spalle, meditò di fare qualche esercizio per riscaldarsi, invece cominciò a passeggiare. Era alla finestra quando lo spalancarsi improvviso della porta lo fece sobbalzare.

Si girò subito e vide che l’uomo che stava entrando era il direttore dell’osservatorio, il professor McDermott.

Ramsey McDermott era un omone dal fisico robusto, con le spalle forti di uno scaricatore di porto e l’aspetto trasandato ma affascinante, nonostante i suoi sessant’anni, di un idolo dello sport universitario. I suoi capelli biondi avevano preso una sfumatura grigiastra da molto tempo, ma lui li teneva sempre ben curati, tagliati corti. Gli occhi azzurro cobalto erano ancora in grado di trafiggere una persona, quando si arrabbiava.

Al professor McDermott piaceva incombere sugli uomini più piccoli e convincerli che lui aveva ragione e loro erano in torto sulla base di una logica stringente e di una voce possente. A Stoner, però, Big Mac sembrava solo un vecchio smidollato che viveva di glorie passate e delle ricerche dei collaboratori più giovani.

Stoner si sistemò tra la finestra e la poltrona, mentre McDermott entrava nella stanza. La porta si chiuse alle sue spalle.

«Come la trattano, Stoner?» Niente stretta di mano. McDermott non scostò dai fianchi le mani grosse, dalle dita tozze. Portava una giacca di tweed, comodi pantaloni vecchi con qualche piega alle ginocchia, camicia a scacchi, e un’orribile cravatta verde.

«Da schifo» ribatté Stoner. «Cos’è questa storia?»

Scrutando nella stanza, scoprendo che l’unica sedia o poltrona disponibile era la poltroncina imbottita davanti a cui si trovava Stoner, il vecchio raggiunse il letto disfatto e si lasciò cadere pesantemente a sedere.

«Maledetta artrite» mugugnò con voce profonda, sorprendentemente pastosa. «Un tempo del genere risveglia tutti i dolori.»

«Cosa sta succedendo?» chiese Stoner. «Perché mi hanno chiuso qui dentro?»

«È solo colpa sua» rispose McDermott, togliendo dalla giacca una pipa di erica bianca annerita dall’uso, «So che voleva correre a Washington.»

«Sono ancora un dipendente della NASA…»

«Solo in linea teorica» disse McDermott. «L’hanno passato a me, e per Dio, prenderà ordini da me!»

«Non potete sballottarmi qua e là come vi pare.»

«La marina può. L’osservatorio è sovvenzionato dal Servizio Ricerche Marina, ragazzo. Dietro mio suggerimento, l’SRM ha classificato come “Confidenziale” quello che sta facendo.»

Stoner si accomodò in poltrona. «E come diavolo può classificare un fenomeno naturale? Quanto ho scoperto… Perché la marina vuole tenerlo segreto?»

Soffiando nuvole di fumo azzurrino che puzzavano come trucioli di matita bruciati, McDermott rispose: «Non ha idea della portata della situazione, eh?»

«Ho scoperto una forma di vita extraterrestre, porco Giuda!»

«Bah.» Il vecchio era del tutto indifferente. «Stia a sentire, ragazzo. Le ho salvato io la carriera. Non fosse stato per me, adesso sarebbe un astronauta disoccupato con una laurea in astrofisica completamente inutile, e insegnerebbe in una fetida scuola del Texas. Non se lo scordi.»

«E questo cosa c’entra?»

McDermott aspirò dalla pipa. «Giove sta trasmettendo strani impulsi radio, come non ne abbiamo mai ricevuti. E così, a me viene l’ispirazione di chiamare all’osservatorio un astronomo ottico, qualcuno che ci possa far avere le prime foto che Big Eye sta scattando in orbita.»

«Okay, è stata una buona idea. Un’ottima idea.»

«Può scommetterci.»

«E le ha fruttato» continuò Stoner «la più grande scoperta della storia.»

Il vecchio sbuffò. «E lei vuole correre a Washington a raccontare tutto ai vecchi amici della NASA.»

«Per cominciare.»

«E diventare un eroe nazionale. Pubblicare un articolo su “Icarus”. Apparire in copertina sul “Time”, Trasformarsi in un altro fottuto Carl Sagan e partecipare allo show di Jonny Carson.»

«Ma cosa le prende?» chiese Stoner. Il vecchio stava parlando per enigmi.

McDermott soffiò una boccata di fumo sul soffitto, «Cos e che ha scoperto, Stoner? Cosa mostrano effettivamente le foto di Big Eye?»

«Una nave spaziale in orbita attorno a Giove, Cristo!»

«Scemenze!» urlò il vecchio. «È un satellite naturale. Un’altra luna. Quel maledetto pianeta ne ha già quindici che conosciamo. Quella è la sedicesima.»

«Con gli indici dall’ultravioletto al blu che abbiamo rilevato?» ribatté Stoner. «L’oggetto è troppo luminoso per essere una luna naturale.»

«E come diavolo lo sa? Potrebbe essere un frammento di ghiaccio catturato…»

«È metallo» disse Stoner, calmo, deciso.

McDermott si tolse la pipa di bocca e scosse la testa, cupo. «Sta camminando sugli specchi, ragazzo. Ha in mano solo un paio di foto di un puntino luminoso che nessuno ha mai notato prima.»

«Big Eye l’ha individuato perché è troppo debole per essere rilevato dai telescopi sulla Terra.»

«E perché pensa che sia artificiale?»

Protendendosi in avanti, Stoner enumerò sulla punta delle dita i fatti a suo favore. «Per prima cosa, lei riceve questi impulsi radio che sono completamente nuovi. Giove non ha mai trasmesso niente di simile.»

«Per quanto ne sappiamo noi.»

«Secondo, tira in ballo me per potersi servire di Big Eye prima che il satellite venga assegnato ufficialmente alle università. Io gli faccio dare un’occhiata a Giove, e scopriamo… qualcosa di nuovo.»

«La sedicesima luna» borbottò McDermott.

«Come coincidenza è eccessiva» insistette Stoner. «I nuovi segnali radio e il nuovo… oggetto. Si tratta di vita extraterrestre. Vita extraterrestre “intelligente”.»

«No.»

«Sì! E lo ammetta!»

Big Mac si accorse che la pipa si era spenta. Cominciò a frugare in tasca, in cerca dell’accendino. «Stia a sentire. Se anche avesse ragione, è troppo presto per urlare la notizia ai quattro venti. Esiste una probabilità su un milione, e parlarne adesso significherebbe rovinare lei e l’osservatorio.»

«Però ci saranno altri centri che riceveranno i segnali. Non possiamo restarcene con le mani in mano e lasciare a loro il merito di averli scoperti.»

«Non hanno le foto di Big Eye» disse McDermott. «Sono il nostro asso nella manica.»

«Per quanto tempo?»

«Quanto basta. È per questo che ho convinto la marina a rendere tutto top secret.»

Stoner si alzò, si mise a passeggiare nella stanza. «Abbiamo fatto la più grande scoperta nella storia della scienza…»

«Forse.»

«…E lei vuole tenerla segreta.»

McDermott uscì in un grugnito che poteva essere una risata chioccia e, alzandosi dal letto, puntò la pipa in direzione di Stoner. «Comunque la cosa non è più nelle sue mani, ragazzo. Venga con me. Venga.»

Uscirono dalla camera da letto, percorsero il corridoio al primo piano della vecchia casa, scesero nel soggiorno nuovo e spazioso che si affacciava sulla piscina coperta.

Qualcuno stava nuotando in piscina, esibendosi in un crawl composto, regolare. Stoner non poteva esserne certo, ma gli parve che il nuotatore fosse Dooley.

Poi si accorse che in soggiorno, davanti al camino spento, sedevano due uomini. I due si alzarono al loro sopraggiungere. Stoner ne riconobbe uno: Jeff Thompson, dell’osservatorio.

«Jeff» disse, avvicinandosi al camino. «Allora hanno trascinato qui anche te.»

«Non esattamente» disse Thompson, con un sorriso leggermente colpevole. «Sono venuto di mia volontà.»

«Tutti si sono offerti volontari per tenere la cosa sotto silenzio» tuonò McDermott alle spalle di Stoner. «Lei è l’unico che ci sta dando guai.»

“Io sono l’unico che non è sulla vostra busta paga” ribatté fra sé Stoner.

L’altro uomo tese la mano a Stoner. «Piacere. Fred Tuttle.»

McDermott spiegò: «Il vicecomandante Tuttle tiene per noi i contatti con il Servizio Ricerche Marina.»

Tuttle era in abiti civili: un elegante vestito di velluto marrone a coste con pezze di pelle sui gomiti. Era piccolo, e il suo viso tondo e lentigginoso ricordava un personaggio di Mark Twain. Però la sua stretta di mano era forte, decisa. Una stretta di mano da commesso viaggiatore, con quel sorriso fiducioso che insegnano ai corsi d’addestramento professionale.

«Lei è in aviazione, vero?» chiese il vicecomandante.

«Riserva inattiva» rispose Stoner. «Riserva “molto” inattiva.»

Il sorriso di Tuttle si accentuò, mettendo in mostra denti bianchi e regolari. «Sa, forse potremmo essere costretti a rimetterla in servizio attivo.»

Con un gesto, Tuttle invitò tutti a sedere. Stoner scelse il divano accanto al camino spento. Sapeva di carbone e foglie bagnate. Thompson gli si sedette a fianco. McDermott sedette sulla grande poltrona di fronte a loro. Tuttle restò in piedi, per non perdere il controllo della situazione.

«Questa faccenda…» Il viso del vicecomandante si fece molto serio. «…Potrebbe essere di importanza vitale per la sicurezza della nazione.»

«Importante per la sicurezza della nazione?» ripeté Stoner, incredulo. «Com’è possibile che lo IET sia…?»

«IET?» chiese Tuttle.

«Intelligenza extraterrestre» spiegò Thompson, «Nel gergo degli astronomi.»

«Cerchiamo di non esagerare» tuonò McDermott. «Per ora abbiamo solo segnali radio anomali di bassa frequenza e qualche foto di quella che con ogni probabilità è la sedicesima luna di Giove.»

«Anche se fosse tutto qui» intervenne gelido Stoner «dovremmo pubblicare l’informazione. Su “Science”. O “Nature”. Prima che qualcun altro ci preceda.»

Il vecchio gli diede un’occhiata fulminante. Tuttle intrecciò le mani dietro la schiena e si fissò le punte delle scarpe.

Stoner avvertì la calma glaciale che lo prendeva sempre quando si arrabbiava. Con tutta calma, chiese: «Che fine ha fatto la libertà di discorso, da queste parti? Che ne è stato della definizione di Faraday: “La fisica è fare esperimenti e pubblicarli’”?»

«Non ho intenzione di mettere in gioco la mia reputazione per qualche impulso radio e un paio di fotografie!» sbottò McDermott. «Non voglio fare la figura dell’idiota, sostenere che abbiamo scoperto un IET e poi essere costretto a ritirare tutto quando si troverà una spiegazione perfettamente naturale.»

«Allora pubblichiamo quello che abbiamo scoperto» disse Stoner con un sibilo da cobra. «Lasciamo perdere le conclusioni, ma permettete a Jeff di pubblicare un articolo sugli impulsi radio. Se lo merita. Concedetegli di arrivare per primo.»

Thompson inarcò le sopracciglia, speranzoso.

«Il problema è questo» s’intromise di nuovo Tuttle. «Se esiste anche una sola possibilità che abbiamo “davvero” scoperto un’intelligenza extraterrestre sul pianeta Giove, la cosa deve restare confidenziale. È importante per la sicurezza della nazione.»

«E in quale maniera la presenza di vita intelligente su Giove può toccare la sicurezza nazionale?» domandò Stoner.

Tuttle rispose immediatamente, quasi si trattasse di una litania imparata a memoria. «Se su Giove esiste vita intelligente, deve possedere un livello di tecnologia molto superiore al nostro, per poter lanciare una nave spaziale in un campo di gravità notevolmente più forte di quello terrestre. Non possiamo permettere che altre nazioni, come la Russia o la Cina, mettano le mani su questa tecnologia. Dobbiamo essere certi che siano le nazioni dell’Occidente democratico a impossessarsene.»

Stoner si sentì sgonfiare. «La solita merda» borbottò.

Imperterrito, Tuttle proseguì: «Inoltre, dobbiamo prendere in considerazione la possibilità che i gioviani, di cui non sappiamo nulla, non nutrano intenzioni pacifiche. Forse hanno intenzione di… di invaderci.»

«Sicuro» disse Stoner. «Forse tutti i dischi volanti che i malati di ufologia hanno visto negli ultimi trent’anni sono solo navi scout provenienti da Giove. Volevano studiarci per bene prima di scendere a violentare e distruggere tutto.»

«Gli UFO esistono» disse Tuttle, serissimo. «E se c’è vita intelligente su Giove…»

«Sto cominciando a chiedermi se ci sia vita intelligente sulla Terra» sbottò Stoner. Si alzò e si avviò verso le scale.

«Dottor Stoner!» urlò Tuttle. «Non può lasciare questa casa!»

Stoner si girò a guardare e vide che Dooley stava uscendo dalla piscina. Si fermò dov’era arrivato, furibondo.

Thompson lo raggiunse di corsa. «Su, Keith, siediti e stalli a sentire. Andrà tutto per il meglio, in un modo o nell’altro.»

Stringendo i denti sino ad avere la mascella indolenzita, Stoner tornò in soggiorno con Jeff Thompson.

«Quello che deve capire, ragazzo» disse McDermott quando lui fu di nuovo seduto sul divano «è che se ha ragione, se abbiamo “davvero” scoperto un’intelligenza extraterrestre, le implicazioni sono enormi. Enormi!»

«Già il semplice impatto sociale potrebbe essere incredibile» convenne Thompson.

«E gli effetti psicologici» proseguì McDermott. «Gli effetti religiosi!»

«E le implicazioni militari» disse Tuttle.

Stoner fece una smorfia.

«La gravità di Giove è più del triplo di quella terrestre, no?» disse il vicecomandante.

«Un po’ meno del triplo» lo corresse Thompson «alla sommità dello strato di nubi.»

«Okay» disse Tuttle. «Sotto le nubi, però, la gravità dev’essere ancora più forte. Ha idea della tecnologia necessaria per far decollare un satellite artificiale in quella gravità? E la nave spaziale che ha individuato si trova su un’orbita molto alta, no?»

«Sì» ammise Stoner.

«Noi non riusciremmo a lanciare un satellite in condizioni simili. La prego di credermi, lo so per certo.»

Con una smorfia, Stoner disse: «E intanto che noi classifichiamo tutto come segreto, qualche altro osservatorio individua i segni e pubblica i dati. Questo a cosa ci serve?»

«Ma noi siamo gli unici a sapere della nave spaziale» rispose Tuttle, la voce tremante per l’emozione. «Nessun altro può servirsi di Big Eye e nessun altro potrà farlo in futuro, glielo garantisco!»

«Però qualcun altro potrebbe pubblicare prima di noi i dati sui segnali radio» disse Thompson, cupo.

McDermott scosse la testa. «E chi? Haystack? Goldstone? Non lavorano su frequenze inferiori ai seicento megaherz, come invece facciamo noi.»

«E Arecibo?» chiese Stoner. «È il più grande radiotelescopio in assoluto, no? E Sagan se ne serve. Sagan e Drake. Quelli pubblicheranno tutto in dieci secondi.»

«Consultate un po’ un’effemeride» disse McDermott, con un sorriso affettato. «Arecibo non potrà puntarsi su Giove per altri quattro mesi.»

Stoner fu colto alla sprovvista; poi ricordò che il gigantesco radiotelescopio di Arecibo, del diametro di più di trecento metri, era incassato nel fianco di una collina e non poteva essere puntato o ruotare come tanti impianti più piccoli.

«Ma è nostro dovere comunicare al resto della comunità scientifica quello che abbiamo scoperto» insistette Stoner. «È più che giusto…»

«Non intendo rischiare la mia reputazione, o la reputazione del mio osservatorio, o quella dell’università» disse McDermott in tono sempre più alto «solo perché lei ha una possibilità su un milione di avere ragione!»

Tuttle aggiunse: «E poi esiste l’imprescindibile necessità militare di tenere tutto sotto silenzio. Questo lo capisce, vero?»

“Col cavolo che lo capisco” pensò Stoner. Ma non aprì bocca.

«C’è ancora un altro fattore» intervenne Thompson. «Qualcun altro, in un’altra parte del mondo, potrebbe aver individuato i segnali radio. Gli australiani, i russi, Voorne a Dwingeloo…»

Tuttle annuì seccamente. «Stiamo facendo indagini.»

«Nel frattempo, che cosa facciamo?» chiese Stoner. «Ci mettiamo in ferie e aspettiamo che la marina ci dia il via per ricominciare a lavorare?»

«Nossignore» disse Tuttle. «L’osservatorio continuerà a funzionare come al solito. Tutto il personale ha firmato un impegno alla segretezza, e tutti sono stati informati della necessità di tenere queste notizie assolutamente segrete. Deve firmare anche lei.»

«No, non firmerò» ribatté Stoner. «All’osservatorio io sono un semplice consulente. È la NASA che mi paga lo stipendio, non la marina.»

«Dottor Stoner, lei fa parte della riserva dell’aviazione. Potrebbe essere richiamato in servizio attivo. Ci troviamo in una circostanza straordinaria. Un’emergenza vera e propria.»

McDermott sorrise. «Probabilmente la spediranno in Groenlandia. O forse al Polo Sud.»

«Se è disposto a collaborare» continuò Tuttle «la sistemeremo qui, in questa casa. Per un po’ non deve avere contatti col mondo esterno, finché l’intero progetto non sarà trasferito a una base più sicura, sotto il controllo diretto del governo.»

Stoner capì in quel momento di essere completamente nelle loro mani. Era inutile discutere.

Con un’occhiata all’orologio, Tuttle disse: «Devo tornare a Washington. Ho un sacco d’impegni. Dottor Stoner, spero che comprenda la serietà della situazione.»

Senza attendere risposta, il piccolo ufficiale della marina uscì dalla stanza. McDermott si alzò e lo seguì.

Stoner sprofondò sul divano, assalito da punte gelide di rabbia. Chiese a Thompson: «Jeff, sono pazzo io o sono pazzi loro?»

Con una scrollata di spalle, l’astronomo rispose: «Né l’uno né gli altri, forse. O forse siamo tutti pazzi. Non so; dati insufficienti.»

«McDermott è un fesso. Non può manipolare la gente a questo modo. Sta “usando” quel tizio. Quando la marina scoprirà cosa stanno effettivamente facendo…»

Thompson ebbe un sorriso stanco. «Quel tizio è la marina. E Big Mac non sta manipolando nessuno, a parte te. Noialtri abbiamo tutti firmato, tranquilli come agnellini.»

«Anche tu?»

«Sì, anch’io. Non posso permettermi di perdere il posto. Lo sai quante possibilità ha un radioastronomo di seconda categoria? Dovrei ricominciare da capo, e dal fondo.» Scosse la testa.

«E sei disposto a rinunciare alla libertà di pubblicare solo per conservare il posto all’università?»

«Senti, Keith, io ho tre figli da mantenere. E una moglie. E un cane che mangia quanto mia moglie.»

Stoner non disse nulla, ma pensò: “Io avevo una moglie e due figli, e se smetto di lavorare perderanno gli alimenti”.

Thompson gli diede una pacca sulla schiena. «Non fare quella faccia! Sono inconvenienti normali. Vedrai che la situazione si aggiusterà. Prima o poi, pubblicheremo.»

«Ma come diavolo ha fatto Big Mac a sapere tutto di me?» si chiese Stoner. «Chi lo ha informato del mio viaggio a Washington?»

«Hai chiesto a una delle segretarie di prenotarti il posto sull’aereo?»

«No. Mi sono tenuto alla larga da quelle. Lo sapevo già che l’avrebbero raccontato a McDermott. Ho fatto prenotare i posti da una studentessa… Come si chiama? È una alta, bella.»

«Jo Camerata?»

«Sì. Jo. Lei.»

Thompson fischiò piano. «Allora deve averlo detto a Big Mac. O, come minimo, a una segretaria.»

«Ma le avevo ordinato di non dire niente.»

Thompson scrollò le spalle, «E io che pensavo che ti stesse dando la caccia.»

«Cosa?»

«Ti ha messo addosso gli occhi da un pezzo. Sta sempre all’osservatorio, salta le lezioni, cerca di farsi notare da te.»

«Non fare lo scemo» disse Stoner. «È solamente una ragazzina.»

«Sì, una ragazzina» sorrise Thompson. «Ma stravede per te.»

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