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Grande Padre, io alzo a Te la mia voce.

Grande Padre, io alzo a Te la mia voce.

Con tutto l’universo io alzo a Te la mia voce,

Che mi sia concesso vivere.

Wiwanyag Washipi, danza del Sole dei Sioux Oglala


Jo rabbrividì nel buio. Slacciandosi il reggiseno, togliendosi i calzoni, chiese a McDermott: «Perché tieni una temperatura così bassa qui dentro?»

Dal letto, la voce da rospo di Mac gracchiò: «Per costringerti a stringerti a me, se vuoi scaldarti.»

Jo era lieta che lui tenesse le luci spente e le tendine tirate alla finestra: non poteva vedere l’espressione del suo viso. “Quella fottuta cuccetta non basta nemmeno per un grassone come lui” borbottò fra sé Jo “figuriamoci per tutte due”.

Però raggiunse il letto, scostò le coperte e si sdraiò a fianco di McDermott, sui pochi centimetri liberi di quel materasso duro. “Mi rovinerà la schiena” pensò.

«Come sta stasera il mio tesoruccio?» chiese McDermott, afferrandole il seno.

La stessa frase, lo stesso approccio, tutto prevedibile al cento per cento. L’unica cosa imprevedibile era la potenza di McDermott. Per arrivare all’erezione, gli serviva tutto l’aiuto di Jo. E, parecchie volte, nemmeno quello era servito.

Jo si mise al lavoro su di lui con calma, con freddezza; era solo una studentessa che stava conducendo un esperimento per avere un buon voto dal professore. E mentre lei massaggiava e carezzava il corpo di McDermott, lo sentì liberarsi dalla tensione.

«Sei bravissimo» lo coccolò. «Adesso il mio paparino che è tanto forte mi riempirà, vero?»

McDermott, sdraiato di schiena, le braccia lungo i fianchi, mugolava piano. Chinandosi su di lui, Jo sussurrò: «Bravo… Stai diventando grosso e forte per me…»

Alla fine lei si mise a cavalcioni su di lui, muovendosi avanti e indietro sino a farlo venire. Quando si sdraiò di nuovo al suo fianco, lui uggiolava. Le lacrime gli rigavano il viso.

«Cosa c’è?» chiese Jo, sorpresa. «Non stai bene?»

«Vogliono rubarmelo» gemette McDermott. «È il mio progetto, sono io il capo, ma loro vogliono trasformarlo in un fetente circo di cadetti dello spazio.»

«Nessuno te lo ruberà» lo calmò lei. «Tu sei il direttore dell’intero progetto.»

«È quello Stoner.» La voce di McDermott era alta, stridula; una voce da ragazzino. «Ce l’ha con me da sempre. Vuole andare nello spazio, incontrare l’astronave aliena.»

«Però tu…» Gli carezzò il petto. «Sarai sempre a capo del progetto. Che differenza fa se lui va nello spazio?»

Il corpo di McDermott fu attraversato dai brividi. «Andare da quell’oggetto? Toccarlo? E se trasportasse germi orribili? Se fosse una… cosa gelatinosa, ripugnante?»

«No, no. Vedrai che non sarà così. Andrà tutto bene. Vedrai.»

«Potrebbe essere cattiva… pericolosa. È aliena… non è come noi.»

«Su, su. Andrà tutto bene. Nessuno ti farà del male. Cerca di calmarti, di dormire.»

Parvero ore, ma alla fine Big Mac si addormentò. Il suo petto coperto di peli bianchi si alzava e abbassava a un ritmo tranquillo. Jo scivolò fuori del letto, contenta; guardò il box della doccia. No, l’avrebbe svegliato. Dopo essersi infilata camicia e calzoncini, decise di fare un bagno nella laguna prima di rientrare alla sua stanza all’hotel.


«Ma è una buona idea!» stava dicendo Markov alla moglie. «Un’idea necessaria!»

Fuori era buio. Erano seduti nella stanza d’ingresso del loro bungalow. Gli americani avevano assegnato a tutte le coppie sposate una casetta di cemento. Maria aveva trascorso le prime due ore nel bungalow in cerca di microfoni nascosti.

In grembo aveva un vassoio di cibi precotti: flaccidi vegetali americani e pezzi di carne non identificata. Markov non aveva quasi toccato cibo.

«Una buona idea» mugugnò Maria, che aveva la bocca piena d’un panino imburrato.

«Sì» ribatté Markov.

Sua moglie gli scoccò un’occhiataccia dalla poltrona imbottita. «Tecnicamente, forse è una buona idea. Ma non politicamente.»

«Politicamente?»

Maria finì il panino imburrato. Come al solito, sembrava irritata e delusa dal marito.

«Non capisci perché gli americani hanno tirato fuori l’idea di eseguire un rendez-vous con la nave aliena?»

«Per catturarla e portarla il più vicino possibile al nostro pianeta. Per studiarla» rispose Markov.

«E chi eseguirebbe questa eccitante missione?»

Markov scrollò le spalle. «Stoner ha fatto l’astronauta. Immagino che vorrebbe partecipare all’impresa…»

«Esatto! Un astronauta “americano”.»

«Però stiamo lavorando tutti al progetto, no?»

«Ah! C’è modo e modo di stare assieme.»

Markov scrutò il vassoio e decise che non poteva mangiare nemmeno un altro boccone di quel cibo insipido. “Forse Maria ha ragione” pensò. “Di certo, non possiamo fidarci degli americani per i pasti.”

Sua moglie continuò: «Da quando è iniziato questo progetto, gli americani hanno tentato tutti i trucchi per tenere per sé i dati su questa nave aliena.»

«Anche noi» protestò debolmente Markov.

Maria lo ignorò. «Adesso, l’unico astronauta del loro gruppo viene a proporre di uscire nello spazio e di mettere l’astronave in orbita attorno alla Terra.»

«Ma è una buona idea!» insistette Markov.

«E come pensano di farlo?» controbatté lei. «Con lo Space Shuttle americano, con basi americane, e con astronauti americani.»

«Divideranno le informazioni con noi.»

«E chi ce lo dice? Come facciamo a sapere che divideranno con noi tutte le informazioni che otterranno?»

«Zworkin ritiene che l’idea non sia da scartare.»

«Zworkin!» Maria lo disse come se stesse sputando. «Quell’ebreo! Probabilmente è in combutta coi capitalisti.»

«Maria!»

«È vero. È nostro compito accertarci che se mai qualcuno entrerà in contatto con la nave aliena, siano i cosmonauti sovietici Non possiamo permettere agli americani di tenere solo per sé l’astronave aliena. E non possiamo permettere che l’Unione Sovietica venga tradita da scienziati ingenui e traditori inconsci.»

Travolto dall’ondata rovente del fervore di sua moglie, Markov ribatté debolmente: «Ho già detto a Zworkin che sono disposto a fare parte del comitato che studierà la proposta di Stoner.»

«Hmph. E sei diventato amico di Stoner, come ti era stato ordinato?»

Ordinato? Markov corrugò la fronte. “Adesso mi dà ordini?” «L’ho visto due volte, sempre con altra gente. Ci siamo salutati, niente di più.»

«Niente di più» ripeté lei, truce.

«Però Zworkin mi ha accettato nel comitato, per cui nei prossimi giorni dovrei vedere Stoner piuttosto spesso.»

L’espressione corrucciata di Maria si addolcì un po’, «Fai in modo che ogni eventuale impresa spaziale sia eseguita da cosmonauti sovietici.»

Scuotendo la testa, Markov si alzò col vassoio tra le mani, si diresse in cucina.

«Dove vai?» urlò Maria.

«Esco a fare due passi. Non ho sonno.» Nella camera da letto del bungalow c’erano due lettini gemelli, ma per Markov l’idea di dormire nella stessa stanza con Maria stava diventando insopportabile.

«Non svegliarmi quanto torni» grugnì lei.


Fuori, tra la brezza dolce della notte e i sospiri pacati delle palme, Markov riuscì a respirare di nuovo. “È più forte di me” pensò. “Siamo arrivati alla lotta per la sopravvivenza, e sta vincendo lei.”

Superò il gruppetto di bungalow e arrivò alla spiaggia, bianchissima al chiaro di luna. Si tolse le scarpe per passeggiare sulla spiaggia, ancora calda di sole. Il mare lambiva piano la riva, a una dozzina di metri. Nella notte, lungo la barriera corallina invisibile, udiva il respiro della risacca: un dio marino irrequieto.

Solo sulla sabbia, Markov scrutò la notte pallida di luna. “Quanto ci vorrà prima che l’oceano cancelli queste isole? Quanto ci vorrà prima che Maria e io ci distruggiamo?”

Rise, forte. Come sei drammatico! Distruggerci! Lei potrebbe spezzarti come un ramo d’albero, ma tu non riusciresti nemmeno a scompigliarle i capelli, per quanto ci provi.

Ripensò di nuovo a quei pochi attimi nel loro appartamento, quando Maria, felicissima, gli aveva annunciato di aver spezzato la vita di Sonya Vlasov. “Persino in quel momento” si disse Markov “persino all’apice dell’ira, hai capito che non devi mai metterti contro di lei.”

Qualcosa gli fece riportare gli occhi sulla spiaggia: una donna stava camminando verso di lui. Un’apparizione. Afrodite uscita dal mare. Gambe lunghe, e i fianchi snelli e il seno florido di una dea. Una camicetta bianca, spettrale al chiaro di luna, annodata sopra la vita. Calzoncini che le cingevano adorabilmente i fianchi.

Markov restò a guardarla. Lei gli si avvicinò, sorrise e disse in inglese: «Buonasera.»

Il cuore di Markov sobbalzò. S’innamorò all’istante, disperatamente.

«Buonasera a te, splendida signora. Ti sto aspettando da tutta una vita.»

Lei rise. «Sei uno dei russi, no?»

«Si vede?»

«Ti ho visto con gli altri scienziati russi» disse Jo.

«E perché io non ti ho vista? Ero cieco, oppure ti sei resa invisibile, dea?»

«Dea? Wow!»

«Afrodite, dea dell’amore e della bellezza. Io sono il tuo umile servo, Kirill Vasilovsk Markov, pronto a seguirti per deserti e montagne.»

Jo rise. «Temo proprio di non essere Afrodite. Mi chiamo Jo Camerata, e sono americana. Però c’è uno spruzzo di sangue greco tra i miei antenati, ora che ci penso.»

«Vedi?» disse Markov. «In te esiste la dea.»

Jo rise.

«E cosa ci fa da sola una ragazza deliziosa come te in questo ambiente romantico? Non c’è da queste parti qualche bel giovane pronto a scortarti?»

Lei scosse la testa. «No. Nessun giovane.»

«Che tristezza.»

«Sì…» Jo sorrise ancora. «Però ci sei tu.»

«Ah, evidentemente il chiaro di luna ti ottenebra gli occhi, deliziosa creatura. Io non sono né giovane né bello.»

«Ci vedo benissimo» disse Jo. «Sono venuta qui per farmi una nuotata. Vuoi venire con me?»

«Nuotare? Adesso? Di sera?»

«Sì. L’acqua è calda.»

«Sorprendente.»

«Non ti piacerebbe provare?»

«Ma non ho costume.»

Lei rise. «Nemmeno io. Possiamo fare un bagno a fior di pelle. Non c’è nessuno.»

«Il mio inglese…» Markov non poteva credere che lei stesse dicendo quello che aveva capito. «Nu… Nudi?»

«Certo. Lascia qui i vestiti e tuffati.»

Jo si spogliò in fretta e corse verso l’acqua. Markov s’impigliò nel vestito perché stava fissando le curve armoniose del suo corpo nudo. Alla fine, mise con cautela un piede nell’acqua tiepida: era piacevole, accogliente, invitante.

«Senti» le urlò, avanzando fino a che l’acqua non gli arrivò al petto «ma volevi fare il bagno da sola?»

«Sì, però è sempre meglio essere in due» rispose Jo. «Specialmente di sera. Di sera, gli squali entrano nella laguna.»

«Gli squali?» Improvvisamente, l’acqua parve fredda e pericolosa.

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