Al primo chiarore dell’alba, Rand procedeva faticosamente nella foresta e ancora non riusciva a convincersi d’avere impiegato quasi tutta la notte per il tratto dalla fattoria a Emond’s Field. Certo, di giorno la Strada della Cava, per quanto piena di sassi, era ben diversa dalla foresta di notte. D’altro canto, gli pareva che fossero passati giorni interi, da quando aveva visto il cavaliere dal mantello nero; settimane intere, da quando con Tam era entrato in casa per la cena. Non sentiva più la bardatura tagliargli la carne, ma d’altra parte aveva le spalle intorpidite, e anche i piedi, a dire il vero. Il respiro gli usciva in ansiti faticosi che da un pezzo gli bruciavano gola e polmoni; la fame gli sconvolgeva lo stomaco fino a dargli un senso di nausea.
Da un poco Tam era silenzioso. Rand non sapeva da quanto tempo suo padre aveva smesso di vaneggiare, ma non osò fermarsi per vedere come stava. Se si fosse fermato, non si sarebbe più mosso. E comunque non poteva aiutarlo. L’unica speranza era più avanti, nel villaggio. Provò ad allungare il passo, ma le gambe parevano di legno. Non si accorgeva nemmeno del freddo né del vento.
Colse un vago odore di legna bruciata: se fiutava i camini, allora finalmente era quasi arrivato. Sorrise stancamente, ma subito si accigliò. Il fumo riempiva l’aria... fin troppo. Certo, con quel freddo ogni camino del villaggio era acceso, ma il fumo era eccessivo. Rand ripensò ai Trolloc visti sulla strada. Trolloc che provenivano da levante, dalla direzione di Emond’s Field. Cercò di scorgere le prime case, pronto a gridare aiuto se vedeva qualcuno, fosse anche Cenn Buie o un Coplin. Dentro di lui, una vocina gli disse di augurarsi che ci fosse ancora qualcuno in grado di aiutare gli altri.
All’improvviso, fra gli ultimi alberi spogli comparve una casa: e a Rand non rimase altro che andare avanti, mentre la speranza si mutava in disperazione. Entrò barcollando nel villaggio.
Al posto di metà delle case di Emond’s Field c’erano mucchi di macerie carbonizzate da cui sporgevano, come dita sporche, camini di mattoni, neri di fuliggine. Riccioli di fumo salivano ancora dalle macerie. Paesani dal viso sudicio, alcuni in camicia da notte, frugavano tra le ceneri. Il poco salvato dalle fiamme punteggiava le vie: specchiere, credenze, cassettoni, sedie e tavoli con lenzuola e coperte, utensili da cucina, mucchietti di abiti e di biancheria.
La distruzione pareva seminata a caso: qua cinque case di fila erano intatte, là solo una restava isolata fra le rovine.
Sul lato più lontano del Winespring, i tre grossi falò di Bel Tine ruggivano, curati da un gruppetto d’uomini. Dense colonne di fumo nero, punteggiate di faville, si piegavano verso settentrione, spinte dal vento. Uno degli stalloni dhurrani di mastro al’Vere trascinava verso il Ponte Carraio e i falò un oggetto che Rand non distinse bene.
Il ragazzo era appena uscito dai boschi, quando Haral Luhhan, armato di una scure da boscaiolo, col viso nero di fuliggine, gli corse incontro. La camicia da notte sporca di cenere gli scendeva fino agli stivali; uno strappo sul petto lasciava vedere una scottatura rosso vivo. Il tozzo fabbro si inginocchiò accanto alla barella. Tam, a occhi chiusi, respirava a fatica.
«Trolloc, ragazzo?» domandò mastro Luhhan, con voce rauca per il fumo. «Anche qui, anche qui. Be’, forse siamo stati più fortunati di quanto meritavamo. Ma Tam ha bisogno della Sapiente. Luce santa, dove si è cacciata? Egwene!»
Egwene passava di corsa, con le braccia piene di fasce ricavate da lenzuola; aveva lo sguardo perso nel vuoto e cerchi scuri intorno agli occhi, che li facevano sembrare più grandi. Vide Rand e si fermò, con un ansito tremante. «Oh, no, Rand, non tuo padre! È...? Vieni, ti porto da Nynaeve.»
Rand era troppo stanco e intontito per parlare. Per tutta la notte Emond’s Field era stato un rifugio dove lui e Tam sarebbero stati al sicuro. Ora riusciva solo a fissare, disperato, la veste di Egwene, macchiata di fumo. Notò particolari bizzarri, come se fossero assai importanti. Gli ultimi bottoni della veste erano abbottonati di storto. Le mani erano pulite, anche se macchie di fuliggine le imbrattavano le guance.
Mastro Luhhan parve capire lo stato di Rand. Posò la scure di traverso sulle stanghe e sollevò la parte posteriore della barella; diede una leggera spinta, incitando Rand a seguire Egwene. Il ragazzo le andò dietro, a passo malfermo, come se camminasse nel sonno. Per un istante si domandò come mai mastro Luhhan sapesse che quelle creature erano Trolloc, ma fu un pensiero fuggevole. Se Tam le aveva riconosciute, non c’era motivo perché Haral Luhhan non potesse fare altrettanto.
«Tutte le storie sono vere» borbottò.
«Così pare, ragazzo» disse il fabbro. «Così pare.»
Rand lo udì appena. Era intento a seguire la snella sagoma di Egwene. Si era ripreso quanto bastava a desiderare che lei si affrettasse, anche se a dire il vero manteneva un passo che i due con la barella potessero seguire. Li guidò a metà strada lungo il Parco, alla casa dei Calder. I bordi del tetto di stoppie erano bruciacchiati e la fuliggine macchiava l’intonaco delle pareti. Delle due case contigue rimanevano solo le fondamenta di pietra e mucchi di cenere e di travi bruciate. La prima era stata l’abitazione di Berin Thane, un fratello del mugnaio. L’altra, di Abell Cauthon, il padre di Mat. Perfino i camini erano crollati.
«Aspettate qui» disse Egwene. Li guardò come se attendesse risposta. Nel vedere che si erano fermati e basta, brontolò qualcosa ed entrò.
«Mat» disse Rand. «Non sarà...?»
«È vivo» rispose il fabbro. Posò la barella e raddrizzò la schiena. «L’ho visto poco fa. È incredibile che non siamo morti tutti. Da come si sono avventati contro casa mia e la fucina, c’era da pensare che vi nascondessi oro e gemme. Alsbet ha fracassato il cranio a uno di loro, con un colpo di padella. Stamattina ha dato un’occhiata alle ceneri della casa e si è messa in caccia, col martello più grosso che è riuscita a ricuperare dalle macerie della fucina, nel caso che uno di loro sia ancora nei dintorni del villaggio. Quasi quasi mi fa pena, lo sventurato che gli capitasse a tiro.» Con un cenno indicò la casa dei Calder. «Comare Calder e alcune altre ospitano i feriti rimasti senza casa. Troveremo un letto anche per Tam, appena la Sapiente gli avrà prestato le prime cure. Forse nella locanda. Il sindaco ha già messo a disposizione tutte le stanze, ma Nynaeve dice che i feriti guariscono meglio se non sono troppo ammassati.»
Rand si lasciò cadere ginocchioni. Si tolse la bardatura e, per quanto stanco, controllò che Tam fosse ben coperto. Tam non si mosse né si lamentò, anche quando le mani intorpidite di Rand lo urtarono. Ma respirava ancora, se non altro. “È mio padre” si disse Rand. “Il resto era solo delirio dovuto alla febbre." Poi domandò: «E se tornano?»
«La Ruota gira e ordisce come vuole» rispose mastro Luhhan, a disagio. «Se tornano... Be’, per il momento se ne sono andati. Perciò raccogliamo i cocci, ricostruiamo quel che è stato distrutto.» Sospirò, con aria stanca, massaggiandosi la schiena. Rand capì che quell’uomo grande e grosso era stanco quanto lui, se non di più. Il fabbro guardò il villaggio e scosse la testa, «Non credo che oggi sarà un gran Bel Tine. Ma terremo la Festa. Non l’abbiamo mai saltata.» Di colpo riprese la scure, con sguardo deciso. «Il lavoro aspetta. Non stare in pena, ragazzo. La Sapiente si prenderà cura di Tam e la Luce si prenderà cura di noi. E se non ci pensa la Luce, ci prenderemo cura da soli. Siamo gente dei Fiumi Gemelli, non dimenticarlo.»
Ancora in ginocchio, mentre il fabbro si allontanava, Rand guardò il villaggio. Mastro Luhhan aveva ragione, pensò. La gente ancora scavava fra le macerie della propria casa, ma quasi tutti già si muovevano come spinti da uno scopo ben preciso. Rand rimase meravigliato. I paesani avevano visto i Trolloc; ma avevano visto anche il cavaliere dal mantello nero? Avevano percepito il suo odio?
Egwene e Nynaeve uscirono dalla casa dei Calder. Rand balzò in piedi. O meglio, cercò di balzare in piedi: fu piuttosto un tuffo barcollante che rischiò di mandarlo con la faccia nella polvere.
Senza dargli nemmeno un’occhiata, la Sapiente si inginocchiò accanto alla barella. Aveva faccia e vestito anche più sporchi di quelli di Egwene e gli stessi cerchi sotto gli occhi, ma anche le sue mani erano pulite. Tastò il viso di Tam e gli sollevò le palpebre. Con una smorfia di preoccupazione tirò giù le coperte e scostò le bende per esaminare la ferita. Prima che Rand potesse guardare, rimise a posto il panno che tamponava il taglio. Con un sospiro ricoprì fino al mento Tam, con gentilezza, come se rimboccasse le lenzuola a un bambino.
«Non posso fare niente» disse. «Mi spiace, Rand.»
Per un momento il ragazzo rimase immobile, senza capire, mentre la Sapiente si dirigeva alla casa; poi la rincorse e la tirò per il braccio, in modo da guardarla in viso. «Sta morendo!» gridò.
«Lo so» rispose lei, semplicemente. E Rand si accasciò, rendendosi conto del realismo della risposta.
«Devi fare qualcosa. Sei la Sapiente.»
Sul viso le comparve una smorfia di dolore, ma solo per un istante; poi, anche se esausta, la donna replicò, con voce impassibile e ferma: «Sono la Sapiente, certo. E so cosa posso fare con le medicine e quando è troppo tardi. Credi che non lo salverei, se potessi? Ma non posso fare niente, Rand. E ci sono altri che hanno bisogno di me, gente che posso aiutare.»
«L’ho portato da te più in fretta che ho potuto» borbottò Rand. Aveva riposto nella Sapiente ogni speranza. Svanita questa, si sentì svuotato.
«Lo so» disse lei, in tono gentile. Gli accarezzò la guancia. «Non è colpa tua. Hai fatto del tuo meglio. Mi spiace, Rand, ma ho altri da curare. I nostri guai sono solo all’inizio, purtroppo.»
Rand la fissò con aria assente, finché la porta non si chiuse alle spalle della donna. Riusciva solo a pensare che lei non poteva aiutarlo.
All’improvviso Egwene corse ad abbracciarlo, con una stretta tanto forte da strappare un grugnito a chiunque. Ma lui si limitò a guardare in silenzio la porta dietro la quale era svanita ogni sua speranza.
«Mi dispiace davvero, Rand» disse Egwene, contro la sua guancia. «Luce santa, vorrei poter fare qualcosa.»
Ancora stordito, Rand le circondò le spalle. «Lo so. Devo... devo fare qualcosa, Egwene. Non posso lasciarlo...» S’interruppe e lei lo strinse più forte.
«Egwene!» Al richiamo di Nynaeve, la ragazza sobbalzò. «Egwene! Mi serve il tuo aiuto. E lavati di nuovo le mani!»
La ragazza si staccò dall’abbraccio. «Ha bisogno del mio aiuto, Rand.»
«Egwene!»
A Rand parve che piangesse, mentre si allontanava; poi lei entrò in casa e Rand rimase da solo accanto alla barella. Guardò Tam, con una sensazione d’impotenza. A un tratto indurì il viso. «Il sindaco saprà cosa fare» disse, alzando di nuovo le stanghe. Stanco ma ostinato, si avviò alla locanda.
Incrociò un altro stallone dhurrano con le tirelle legate alle caviglie di un massiccio cadavere coperto con un telo impolverato. Braccia irsute strisciavano nella polvere e dal telo sporgeva un corno da caprone.
I Fiumi Gemelli non erano il posto dove le storie dovessero diventare orribilmente reali. I Trolloc appartenevano al mondo esterno, dove Aes Sedai e falsi Draghi e chissà cos’altro potevano prendere vita dai racconti dei menestrelli.
Mentre costeggiava il Parco, alcuni paesani lo chiamarono e gli chiesero se aveva bisogno d’aiuto. Rand li udì a malapena, anche quando lo accompagnarono per un breve tratto. Meccanicamente rispose che andava tutto bene. Lo lasciarono, con aria preoccupata, a volte dicendo che avrebbero mandato Nynaeve, ma Rand continuò a non udirli. Aveva in testa una sola idea: Bran al’Vere poteva aiutare Tam. Non si domandò come: il sindaco avrebbe escogitato qualcosa.
La locanda era sfuggita quasi per intero alla distruzione che aveva portato via metà villaggio. Alcune bruciature rovinavano le pareti, ma il tetto di tegole rosse brillava al sole come sempre. Però del carro dell’ambulante restavano solo i cerchioni di ferro delle ruote, neri contro la massa carbonizzata del pianale. I grandi semicerchi che avevano sostenuto il telone erano tutti di sghimbescio.
Thom Merrilin, seduto a gambe incrociate sulle pietre delle vecchie fondamenta, ritagliava con un paio di forbicine i bordi bruciacchiati delle toppe multicolori cucite al mantello. All’avvicinarsi di Rand, posò forbici e mantello. Senza chiedergli se aveva bisogno d’aiuto, saltò giù e prese la parte posteriore della barella.
«Dentro? Certo, certo. Sta’ tranquillo, ragazzo. La vostra Sapiente si prenderà cura di lui. L’ho guardata lavorare, stanotte: è abile ed esperta. Poteva andare peggio. Alcuni sono morti, stanotte. Non molti, forse; ma per me anche uno è già troppo. Il vecchio Fain è scomparso. Brutto segno: i Trolloc mangiano di tutto. Ringrazia la Luce che tuo padre è ancora vivo. La Sapiente lo guarirà.»
Rand cancellò le parole, ridusse la voce a rumore privo di senso, un ronzio di mosca. Non sopportava altre espressioni di simpatia, altri tentativi di risollevargli il morale. Almeno finché Bran al’Vere non gli avesse detto come aiutare Tam.
A un tratto si trovò di fronte a un segno scarabocchiato sulla porta della locanda, una linea curva tracciata con un bastoncino carbonizzato, una lacrima in equilibrio sulla punta. Erano successe tante di quelle cose che non si stupì di trovare il segno della Zanna del Drago sulla porta della locanda. Non capiva perché qualcuno volesse accusare di malvagità il proprietario o la sua famiglia, o portare sfortuna alla locanda, ma quella notte l’aveva convinto di una cosa: tutto era possibile. Tutto.
All’invito di Merrilin, alzò il chiavistello ed entrò.
La sala comune era deserta, a parte Bran al’Vere, e fredda, perché nessuno aveva trovato il tempo di accendere il fuoco. Il sindaco, seduto a un tavolo, con la testa china sopra un foglio di pergamena, intingeva nel calamaio la penna e mostrava una ruga di concentrazione. Si era infilato frettolosamente nelle brache la camicia da notte, che formava un notevole rigonfio intorno alla cintola, e con le dita di un piede si grattava l’altro. Aveva i piedi sporchi di terra, come se, nonostante il freddo, fosse uscito più d’una volta senza prendersi la briga di calzare gli stivali. «Cosa c’è?» disse senza alzare lo sguardo. «Parla in fretta. Ho mille cose da fare e mille altre avrei dovuto farle già da un’ora. Perciò ho poco tempo e meno pazienza. Sputa il rospo.»
«Mastro al’Vere?» disse Rand. «Si tratta di mio padre.»
Il sindaco sollevò di scatto la testa. «Rand? Tam!» Lasciò cadere la penna e balzò in piedi, rovesciando la sedia. «Forse la Luce non ci ha abbandonati del tutto. Vi credevo morti. Bela è arrivata al galoppo nel villaggio, un’ora dopo che i Trolloc se n’erano andati, in un bagno di sudore, soffiando come se avesse corso per tutta la strada dalla fattoria, e ho pensato... Lasciamo perdere, non c’è tempo. Portiamolo al piano di sopra.» Afferrò l’estremità della barella, scostando il menestrello. «Vai a chiamare la Sapiente, mastro Merrilin. E dille di affrettarsi! Non ti agitare, Tam. Presto ti metteremo in un morbido letto. Vai, menestrello, vai!»
Thom Merrilin sparì, prima che Rand potesse parlare. «Nynaeve non può fare niente. Ha detto che non può aiutarlo. Ero sicuro... mi auguravo che tu avessi un’idea.»
Mastro al’Vere guardò più attentamente Tam, poi scosse la testa. «Vedremo, ragazzo. Vedremo.» Ma non sembrava più tanto fiducioso. «Portiamolo a letto. Riposerà comodamente, almeno.»
Rand si lasciò spingere verso le scale in fondo alla sala comune, scosso dal dubbio improvviso nella voce del sindaco.
Al primo piano, sulla facciata, c’erano sei stanzette comode e ben sistemate, con finestre che si affacciavano sul Parco, usate in genere dai venditori ambulanti o da gente di Watch Hill o di Deven Ride. Al momento, tre erano occupate. Il sindaco spinse Rand in una di quelle libere.
Tolsero dal letto l’imbottita e le coperte, trasferirono Tam sul materasso di piume, gli misero sotto la testa guanciali di piume d’oca. Tam non emise nemmeno un gemito, a parte il respiro rauco, ma il sindaco tranquillizzò Rand dicendogli di accendere il fuoco per scaldare la stanza. Mentre il ragazzo prendeva legna e rametti dalla cassa posta accanto al camino, Bran tirò le tende della finestra per far entrare la luce del mattino, poi si mise a lavare con gentilezza il viso di Tam. Quando il menestrello tornò, una bella fiamma scaldava la stanza.
«Non viene» annunciò Thom Merrilin, entrando. Lanciò un’occhiata a Rand e aggrottò le sopracciglia. «Potevi dirmi che lei l’ha già visto. A momenti mi picchiava.»
«Pensavo... non so... forse il sindaco può fare qualcosa... può convincerla a...» A pugni stretti, Rand si girò verso Bran. «Mastro al’Vere, cosa posso fare?» Il sindaco scosse la testa, impotente. Mise sulla fronte di Tam un panno bagnato ed evitò d’incontrare lo sguardo del ragazzo. «Non posso lasciarlo morire senza fare niente» protestò Rand. «Il menestrello si mosse come per intervenire. Rand si girò, ansioso.» Hai un’idea? Proverò qualsiasi cosa.
«Mi chiedevo solo» rispose Thom, premendo tabacco nel fornello della pipa «se il sindaco sa chi ha scarabocchiato sulla porta la Zanna del Drago.» Fissò il fornello, poi guardò Tam e con un sospiro strinse fra i denti il cannello della pipa, senza accenderla. «Si direbbe che qualcuno non l’abbia in simpatia. O forse ce l’ha con i suoi ospiti.»
Rand gli rivolse un’occhiata di disgusto e si girò a fissare il fuoco. I suoi pensieri danzavano come le fiamme e come le fiamme si concentravano su una sola cosa. Non avrebbe ceduto. Non poteva stare a guardare Tam che moriva. “Mio padre” pensò ferocemente. “Mio padre." Passata la febbre, avrebbe chiarito anche questo. Ma prima bisognava che guarisse. Solo, come?
Bran al’Vere serrò le labbra, guardando la schiena di Rand; l’occhiata astiosa che rivolse al menestrello avrebbe fatto esitare un orso, ma Thom si limitò ad aspettare una risposta, come se non se ne fosse accorto.
«Sarà stato un Congar o un Coplin» disse infine il sindaco. «Ma solo la Luce sa il motivo. Sono due famiglie numerose. Se c’è da parlar male di qualcuno, e anche se non c’è, sparlano. Al loro confronto, Cenn Buie ha una lingua melata.»
«Quella carrettata di gente giunta poco prima dell’alba?» domandò il menestrello. «Non avevano nemmeno sentito l’odore d’un Trolloc e volevano solo sapere quando sarebbe iniziata la Festa, come se non vedessero che metà villaggio era in cenere.»
Mastro al’Vere annuì, torvo. «Un ramo della famiglia. Ma anche gli altri sono della stessa pasta. Quello stupido di Darl Coplin ha passato metà della notte a chiedere che cacciassi dalla locanda e dal villaggio lady Moiraine e mastro Lan. Ma solo grazie a loro una parte del paese si è salvata.»
Rand non aveva badato alla conversazione, ma fu colpito dall’ultima frase. «Cos’hanno fatto?» domandò.
«Ecco, lei ha evocato fulmini dal cielo» rispose mastro al’Vere «Li ha scagliati contro i Trolloc. Hai già visto alberi schiantati dal fulmine. I Trolloc non se la sono cavata meglio.»
«Moiraine?» disse Rand, incredulo. Il sindaco annuì.
«Lady Moiraine. E mastro Lan, con la spada, sembrava un ciclone. Spada? Quell’uomo è un’arma lui stesso, e in dieci posti nello stesso istante, o così pareva. La Luce mi fulmini, ancora non ci crederei, se non bastasse uscire per vedere...» Si strofinò la pelata. «Le visite della Notte d’Inverno erano appena iniziate, avevamo le mani piene di regalini e di dolcetti al miele, e la testa piena di vino; poi i cani si sono messi a ringhiare e all’improvviso loro due sono usciti di corsa dalla locanda, girando per il villaggio gridando che c’erano i Trolloc. Credevo che fossero ubriachi. In fin dei conti... i Trolloc? Poi, prima che chiunque si raccapezzasse, quelle... quelle cose erano in mezzo a noi, menavano fendenti, incendiavano le case, gridavano da far gelare il sangue. Noi scappavamo come galline con la volpe nel pollaio, finché mastro Lan non ci ha dato coraggio.»
«Non essere troppo severo» disse Thom. «Anche tu, come ognuno, hai fatto il possibile. Non tutti i Trolloc distesi qui fuori sono morti per mano di quei due.»
«Uhm... sì, certo.» Mastro al’Vere si scosse. «Ma è ugualmente incredibile. Un’Aes Sedai a Emond’s Field. E mastro Lan è un Custode.»
«Un’Aes Sedai?» mormorò Rand. «Non può essere lei. Le ho parlato. Non è... Non...»
«Credevi che avessero un segno?» disse il sindaco, con ironia. «La scritta “Aes Sedai” dipinta sulla schiena? E forse “Pericolo, stare alla larga"?» All’improvviso si diede una manata sulla fronte. «Aes Sedai. Sono un vecchio stupido che comincia a perdere il ben dell’intelletto. C’è una possibilità, Rand, se vuoi correre il rischio. Non posso consigliartelo, non so se io stesso avrei il coraggio.»
«Rischio?» disse Rand. «Correrò qualsiasi rischio, se occorre.»
«Le Aes Sedai possono guarire, Rand. La Luce mi fulmini, ragazzo, conosci le storie. A volte hanno successo dove i medicamenti falliscono. Menestrello, dovevi ricordartene meglio di me. Le storie dei menestrelli sono piene di Aes Sedai. Perché non ne hai parlato, invece di lasciarmi brancolare?»
«Sono un forestiero, qui» rispose Thom, con un’occhiata di desiderio alla pipa spenta. «E mastro Coplin non è l’unico che non vuole avere niente a che fare con le Aes Sedai. Era meglio che l’idea venisse a te.»
«Un’Aes Sedai» borbottò Rand, cercando d’inquadrare nelle storie quella donna che gli aveva sorriso. A volte l’aiuto di un’Aes Sedai era rimedio peggiore del male, dicevano le storie, come veleno in una focaccia; e i loro doni nascondevano sempre un inghippo, come l’esca sull’amo. A un tratto la moneta che aveva in tasca, la moneta ricevuta da Moiraine, parve bruciare come un tizzone acceso. Rand provò l’impulso di tirarla fuori dalla tasca della giubba e gettarla dalla finestra.
«Nessuno vuole essere coinvolto con le Aes Sedai, ragazzo» disse lentamente il sindaco. «Non vedo altre possibilità, ma non è decisione da prendere alla leggera. Non posso prenderla io per te, però non posso dire niente di male di lady Moiraine... anzi, Moiraine Sedai. A volte» e diede a Tam un’occhiata carica di significato «bisogna accontentarsi dell’occasione che si presenta.»
«Alcune storie sono un poco esagerate» soggiunse Thom, come se gli strappassero con le tenaglie le parole. «E poi, ragazzo, hai scelta?»
«No» sospirò Rand. Tam ancora non si era mosso; aveva gli occhi infossati come se fosse ammalato da una settimana. «Vado... vado a cercarla.»
«Dall’altra parte dei ponti» disse il menestrello. «Dove si sbarazzano dei cadaveri dei Trolloc. Ma fai attenzione, ragazzo. Le Aes Sedai non agiscono senza motivi e non sempre i motivi sono quelli che si pensa.»
Le ultime parole furono un grido, perché Rand era già uscito di corsa, tenendo alta la spada per non inciampare. Avrebbe potuto lasciarla nella stanza, ma avrebbe perso tempo. Scese le scale e uscì dalla locanda, senza badare alla stanchezza. Una possibilità per Tam, per quanto piccola, era sufficiente a vincere una notte senza sonno. Che quella possibilità dipendesse da una Aes Sedai, o quale sarebbe stato il prezzo, erano cose a cui non voleva pensare.
I falò erano molto al di là delle ultime case, di fronte al Westwood, lungo la strada per Watch Hill. Il vento spingeva lontano dal villaggio colonne di fumo nero e oleoso, ma l’aria era ammorbata da un lezzo dolciastro e nauseante, come d’arrosto rimasto troppo a lungo sullo spiedo. Rand boccheggiò a quel fetore, poi deglutì con forza, quando capì da che cosa proveniva. Proprio un bel modo di utilizzare i falò di Bel Tine. Gli uomini addetti ai fuochi tenevano sul naso e sulla bocca un pezzo di stoffa, ma dalle loro smorfie si capiva che l’aceto di cui il panno era inzuppato non bastava: soffocava il fetore, ma non la consapevolezza.
In quel momento due uomini staccavano da un grosso stallone dhurrano il cadavere di un Trolloc. Lan, seduto sui talloni lì accanto, aveva scostato il telo, mettendo allo scoperto le spalle e il muso caprino. Mentre Rand s’avvicinava, il Custode sganciò dalla spallina della cotta di maglia del Trolloc un emblema di metallo, un tridente smaltato, rosso sangue.
«Ko’bal» dichiarò. Fece saltellare sul palmo l’emblema e lo afferrò al volo, con un ringhio. «Così sono sette bande, finora.»
Moiraine, seduta a gambe incrociate, poco lontano, scosse la testa, con aria stanca. Teneva di traverso sulle ginocchia un bastone coperto d’intagli in forma di pampini e fiori; il vestito era sgualcito come se lo portasse da troppo tempo. «Sette bande. Sette! Un numero così elevato non agiva insieme dai tempi delle Guerre Trolloc. Le brutte notizie si accumulano l’una sull’altra. Ho paura, Lan. Credevo di avere un certo vantaggio, ma forse siamo più indietro di prima.»
Rand la fissò, incapace di parlare. Una Aes Sedai. Ora che sapeva chi era, non gli pareva diversa da prima, a parte i capelli in disordine e un frego di fuliggine sul naso; eppure c’era qualcosa, in lei, che la segnava come Aes Sedai. D’altro canto, se l’apparenza esterna rifletteva l’animo, e se le storie erano vere, avrebbe dovuto assomigliare più a un Trolloc che a una donna di notevole bellezza, la cui dignità non era intaccata dal fatto di stare seduta nella polvere. E lei poteva aiutare Tam. A qualsiasi prezzo, la guarigione di Tam veniva prima di tutto.
Rand inspirò a fondo. «Lady Moiraine... cioè, Moiraine Sedai» cominciò. La donna e Lan si girarono a guardarlo. Rand impietrì sotto lo sguardo dell’Aes Sedai. Non era lo sguardo calmo e sorridente che gli aveva rivolto nel Parco. Aveva il viso segnato dalla stanchezza, ma gli occhi scuri erano quelli d’un falco. Aes Sedai. Coloro che avevano spaccato il mondo. Burattinaie che tiravano i fili e facevano danzare troni e nazioni in schemi che solo le donne di Tar Valon conoscevano.
«Un barlume più vivido nel buio» mormorò l’Aes Sedai. Alzò la voce. «Come sono i tuoi sogni, Rand al’Thor?»
Rand la guardò, stupito. «I miei sogni?»
«Una notte come questa può provocare brutti sogni, Rand. Se hai avuto degli incubi, parlane con me. Posso curarli, a volte.»
«Io sto benissimo... Si tratta di mio padre. È ferito. Ha poco più d’un graffio, ma la febbre lo divora. La Sapiente dice che non può aiutarlo. Ma le storie...» Moiraine inarcò il sopracciglio e Rand s’interruppe. “Luce santa” pensò “ma non c’è una storia in cui una Aes Sedai non abbia il ruolo del cattivo?" Guardò il Custode, che pareva più interessato al Trolloc morto. Faticando per trovare le parole, proseguì: «Io... ah... si dice che le Aes Sedai sanno guarire. Se puoi aiutarlo... qualsiasi cosa puoi fare per lui... a qualsiasi prezzo... voglio dire...» Inspirò a fondo e terminò d’un fiato: «Pagherò qualsiasi prezzo è in mio potere, se lo aiuti.»
«Qualsiasi prezzo» ripeté Moiraine, quasi tra sé. «Di prezzo, Rand, parleremo dopo, se è il caso. Non posso fare promesse. La Sapiente sa il fatto suo. Farò il possibile, ma non è in mio potere fermare il giro della Ruota.»
«Prima o poi la morte viene per tutti» disse il Custode, in tono sinistro. «A meno di servire il Tenebroso. Un prezzo che solo gli sciocchi sono disposti a pagare.»
Moiraine ridacchiò. «Non essere così tetro, Lan. Abbiamo un motivo, seppur piccolo, per fare festa.» Si alzò aiutandosi col bastone. «Conducimi da tuo padre, Rand. Lo aiuterò, se è possibile. Troppi, qui, hanno rifiutato il mio aiuto. Anche loro hanno dato retta alle storie» concluse seccamente.
«Ora è alla locanda» disse Rand. «Da questa parte. E grazie. Grazie!»
I due lo seguirono, ma Rand presto li distanziò. Allora, impaziente, rallentò il passo, finché non lo raggiunsero.
«Per favore, sbrigatevi» li incitò, senza nemmeno pensare quanto fosse temerario mettere fretta a una Aes Sedai. «La febbre lo divora.»
Lan lo guardò di storto. «Non vedi che è stanca? Anche con l’aiuto di un angreal, quel che ha fatto stanotte equivale a correre per il villaggio portando in spalla un sacco di pietre. Non so se vale la pena occuparsi di te, pastore, checché lei ne dica.»
Rand trasalì, ma tenne a freno la lingua.
«Calma, amico mio» disse Moiraine. Senza rallentare, diede al Custode un colpetto sulla spalla. Lan torreggiava su di lei, come per infonderle forza con la sua sola vicinanza. «Tu pensi solo a prenderti cura di me» continuò Moiraine. «Perché lui non dovrebbe pensare lo stesso nei confronti di suo padre?» Lan si accigliò, ma rimase in silenzio. «Più di così non posso correre, Rand, te l’assicuro.»
Rand non seppe a cosa credere: alla fierezza del suo sguardo, o alla calma della sua voce... non proprio gentile, anzi, autoritaria. O forse tutt’e due. Aes Sedai. Si adeguò al passo di Moiraine e cercò di non pensare quale poteva essere il prezzo di cui avrebbero discusso più tardi.