34 L’ultimo villaggio

Giunsero a Carysford, il Guado del Cary, a sera inoltrata, più tardi di quanto avevano calcolato basandosi sulle parole di mastro Kinch. Rand si domandò se il suo senso del tempo funzionasse ancora: erano trascorse solo tre notti dall’incontro con Howal Gode a Four Kings, due da quando Paitr li aveva sorpresi a Market Sheran, solo un giorno da quando la sconosciuta aveva cercato di ucciderli nella stalla della locanda; ma perfino quest’ultimo avvenimento sembrava risalire a un anno prima, una vita prima.

Comunque, Carysford sembrava un villaggio normale, a prima vista. Linde case di mattoni coperte di rampicanti e viuzze strette, a parte la Strada per Caemlyn: un paesino tranquillo e pacifico, esteriormente. Ma cosa c’era, al di sotto? Anche Market Sheran sembrava tranquillo, e così il villaggio seguente, dove quella donna... Rand non aveva mai saputo il nome di quel villaggio e non voleva neppure pensarci.

La luce delle finestre illuminava vie quasi deserte. Passando furtivamente da un angolo all’altro, Rand evitò le poche persone ancora in giro. Mat gli restò a fianco, bloccandosi quando lo scricchiolio di ghiaia annunciava l’avvicinarsi d’un paesano e scantonando di ombra in ombra, quando la sagoma indistinta era passata.

Il fiume Cary in quel punto era largo appena trenta passi e la sua acqua scura si muoveva pigramente; da molto tempo il guado, che dava il nome al villaggio, era stato sostituito da un ponte. Secoli di pioggia e di vento avevano consumato le spallette di pietra al punto da farle sembrare quasi formazioni naturali. Anni di carri carichi di merci e di carovane di mercanti avevano consumato le grosse assi di legno. Rand e Mat attraversarono il ponte. Assi sconnesse strepitarono sotto i loro stivali, con rumore forte come quello di tamburi. Ancora per parecchio tempo, dopo che avevano lasciato il villaggio e si erano inoltrati nella campagna, Rand si aspettò che una voce chiedesse di sapere chi erano. O peggio, che sapesse già chi erano.

A poco a poco la campagna diventava sempre più popolata. In vista c’erano sempre le luci di qualche fattoria. Siepi e recinzioni fiancheggiavano la strada e dividevano i campi. Lungo la strada c’erano sempre tratti di terreno coltivato e mai un bosco. Sembrava d’essere in continuazione alla periferia di un villaggio, anche a ore di distanza dal paese più vicino. Tutto era lindo e tranquillo. E non c’era mai un’indicazione che nei dintorni si nascondessero Amici delle Tenebre o creature peggiori.

All’improvviso Mat si sedette per terra, sulla strada. Ora che la luce proveniva soltanto dalla luna, si era tirato sulla testa la sciarpa. «Due piedi per un passo» brontolò. «Mille passi per un miglio, quattro miglia per una lega... Non farò altri dieci passi se al termine non c’è un posto dove dormire. E anche un boccone non sarebbe male. Per caso non hai nascosto in tasca qualcosa? Una mela? Non ti porterò rancore, se hai del cibo. Guarda, almeno!»

Rand scrutò la strada avanti e indietro. Loro due erano le sole creature in movimento nella notte. Diede un’occhiata a Mat, che si era tolto uno stivale e si massaggiava il piede. Anche a lui dolevano i piedi. Un tremito gli percorse le gambe come per dirgli che non aveva ancora ricuperato le forze quanto credeva.

Nel campo davanti a loro c’erano montagnole scure: mucchi di fieno, in parte consumati durante l’inverno.

Rand diede a Mat un colpetto. «Dormiremo lì» disse.

«Di nuovo nel fieno» sospirò Mat. Ma si mise lo stivale e si alzò.

Il vento si era levato e il freddo aumentava. Scavalcarono uno steccato e si scavarono rapidamente un riparo nel mucchio di fieno. Il telo che lo proteggeva dalla pioggia contribuì a ripararli dal vento.

Rand si rigirò nel buco fino a trovare una posizione comoda. Il fieno lo punzecchiava attraverso i vestiti, ma Rand ci aveva fatto l’abitudine. Cercò di calcolare sotto quanti mucchi di fieno aveva dormito, dalla fuga da Whitebridge. Gli eroi delle storie non dovevano mai dormire nel fieno o sotto le siepi. Ma ormai era difficile fingere d’essere un eroe delle storie, anche solo per qualche istante. Sospirò e si alzò il colletto, con la speranza d’evitare che il fieno gli si infilasse nella schiena.

«Rand?» lo chiamò Mat, sottovoce. «Pensi che ci arriveremo?»

«A Tar Valon? C’è ancora un mucchio di strada, ma...»

«A Caemlyn. Ci arriveremo?»

Rand alzò la testa, ma nel riparo c’era buio: solo la voce rivelava la presenza di Mat. «Mastro Kinch parlava di due giorni» rispose. «Dopodomani, o il giorno dopo, saremo a Caemlyn.»

«Se non ci sono cento Amici delle Tenebre ad aspettarci lungo la strada, o un paio di Fade.» Dopo un momento di silenzio, Mat riprese: «Credo che siamo gli ultimi rimasti, Rand.» Parve spaventato. «Di qualsiasi cosa si tratti, dobbiamo affrontarla da soli, tu e io.»

Rand scosse la testa, anche se Mat non poteva vederlo, nel buio. Era un gesto rivolto a se stesso, comunque. «Cerca di dormire» disse stancamente. Ma lui stesso rimase sveglio a lungo. Solo noi due, continuava a pensare.

Si svegliò al canto del gallo e uscì all’aperto, nel grigiore della falsa alba, togliendosi fili di fieno dai vestiti. Nonostante le precauzioni, un po’ di fieno gli era scivolato lungo la schiena e gli provocava prurito tra le scapole. Si tolse la giubba e la camicia, per liberarsene. Mentre cercava di grattarsi, con una mano dietro il collo e l’altra su per la schiena, si accorse della gente.

Il sole non era ancora sorto, ma già un rivolo costante di persone procedeva verso Caemlyn; alcuni portavano in spalla un fagotto, altri non avevano niente, se non un bastone per sorreggersi. Per la maggior parte si trattava di giovanotti, ma di tanto in tanto c’era una ragazza o un individuo più anziano. Tutti avevano l’aria stanca di chi ha percorso molta strada. Alcuni tenevano gli occhi bassi e le spalle ingobbite; altri, lo sguardo fisso avanti, come se scorgessero qualcosa dalle parti dell’alba.

Mat rotolò fuori del mucchio di fieno, grattandosi furiosamente. S’interruppe solo il tempo necessario a legarsi intorno alla fronte la sciarpa. «Pensi che troveremo qualcosa da mangiare?» domandò.

Lo stomaco di Rand mandò un brontolio. «Ci penseremo quando saremo per strada» rispose il ragazzo. Si riassettò il vestito e recuperò dal mucchio di fieno la sua parte di roba.

Quando arrivarono allo steccato, anche Mat si era accorto della gente. Si accigliò e si fermò nel campo, mentre Rand scavalcava. Un giovanotto, più o meno della loro età, li guardò, oltrepassandoli. Aveva i vestiti impolverati, come il rotolo di coperte che portava a tracolla sulla schiena.

«Dove vai?» gli gridò dietro Mat.

«Ah, a Caemlyn, per vedere il Drago» rispose il giovanotto, senza fermarsi. Inarcò il sopracciglio alle coperte e alle bisacce che portavano anche loro e aggiunse: «Proprio come voi.» Con una risata continuò il cammino, con occhi che già scrutavano ansiosamente avanti.

Quel giorno Mat ripeté varie volte la domanda e solo la gente del luogo non gli diede la stessa risposta. I paesani, se rispondevano, lo facevano sputando e girando la testa con disgusto. Ma stavano attenti, guardavano tutti i viandanti nella stessa maniera, con la coda dell’occhio. L’espressione diceva che i viandanti potevano fare di tutto, se non si stava attenti.

La gente della zona non solo diffidava dei forestieri, ma pareva anche abbastanza irritata. Sulla strada c’era un numero di viandanti sufficiente a rallentare il cammino di carri e carretti. I contadini non parevano dell’umore di dare passaggi: era più facile ricevere una smorfia, o anche un’imprecazione per la perdita di tempo.

I carri dei mercanti procedevano con pochi intralci, fra un agitar di pugni, sia verso Caemlyn, sia nell’altra direzione. Quando comparve la prima carovana, sul presto, a trotto costante, con il sole appena alzato alle spalle dei carri, Rand avanzò in mezzo alla strada. I carri non diedero segno di rallentare e altri viandanti si tolsero di mezzo. Rand si accostò al ciglio, ma continuò a camminare.

Un gesto appena intuito, mentre il primo carro si avvicinava rumorosamente, fu l’unico avvertimento. Rand si gettò a terra, mentre la frusta del conducente schioccava nel punto dove un attimo prima c’era la sua testa. Da terra Rand incrociò lo sguardo del conducente: occhi duri, sopra labbra strette in una smorfia. Nessuna preoccupazione di ferirlo o di cavargli un occhio.

«La Luce ti accechi!» gli urlò dietro Mat. «Non puoi...» Una guardia a cavallo lo colpì sulla spalla, con il calcio della lancia, e lo mandò a sbattere addosso a Rand.

«Fuori dei piedi, luridi Amici delle Tenebre!» ringhiò la guardia, senza rallentare.

Da quel momento si tennero a distanza dai carri. Ce n’erano fin troppi. Non svaniva il cigolio di uno, che già si udiva quello del successivo. Guardie e conducenti guardavano i viandanti diretti a Caemlyn come se fossero spazzatura.

In un’occasione Rand calcolò male il colpo di frusta di un conducente e si beccò un graffio sul sopracciglio; tastandosi la ferita, deglutì per non vomitare al pensiero di quanto fosse andato vicino a perdere l’occhio. Il conducente gli sorrise furbescamente. Con l’altra mano Rand fermò Mat, che aveva già incoccato una freccia.

«Lascia stare» gli disse. Con la testa indicò le guardie che cavalcavano a fianco dei carri: c’era chi rideva e chi guardava di brutto l’arco di Mat. «Se siamo fortunati, ci becchiamo una bastonata e forse di peggio.»

Mat brontolò acidamente, ma si lasciò spingere via.

Due volte incontrarono drappelli di Guardie della Regina, armate di lance, con le bandierine che svolazzavano al vento. Alcuni contadini le chiamarono per chiedere che facessero qualcosa, a proposito dei forestieri, e le Guardie si fermarono sempre ad ascoltare con pazienza le lamentele. Verso mezzogiorno Rand si fermò ad ascoltare una di queste conversazioni.

Il capitano delle Guardie aveva una smorfia dura, dietro la celata. «Se uno di loro ruba qualcosa o passa nelle tue terre» borbottò al contadino magro e accigliato in piedi accanto alla staffa «lo porto davanti al magistrato; ma non infrangono alcuna legge, se camminano sulla Strada della Regina.»

«Ma sono da tutte le parti» protestò il contadino. «Nessuno sa chi sono o che cosa sono. Tutto questo parlare del Drago...»

«Luce santa, amico! Qui ce n’è solo una manciata. Le mura di Caemlyn minacciano di scoppiare, tanto la città è piena. E ogni giorno ne arrivano altri.» Il capitano si accigliò di più nel notare Rand e Mat fermi nei pressi. Con la mano coperta dal guanto metallico indicò la strada. «Muovetevi, voi due, o vi arresto per intralcio.»

Il tono non fu particolarmente rude, ma Rand e Mat ripresero il cammino. Il capitano li tenne d’occhio per un poco. Rand sospettò che le Guardie non avessero più tanta pazienza con i viandanti e nessuna simpatia per un ladruncolo affamato. Decise di fermare Mat, se suggeriva ancora di rubare qualche uovo.

Tuttavia c’era un lato positivo, nella presenza di tanti carri e di tante persone, soprattutto giovani, dirette a Caemlyn. Se gli Amici delle Tenebre li cercavano, era come distinguere due colombi in uno stormo. La Notte d’Inverno il Myrddraal non aveva saputo identificarli esattamente e forse i suoi colleghi avrebbero trovato le stesse difficoltà.

Lo stomaco gli brontolava di frequente, ricordandogli che avevano pochi quattrini, insufficienti per un pasto ai prezzi salati nelle vicinanze di Caemlyn. Pensò al flauto, ma scacciò subito l’idea. Gode li aveva visti dare spettacolo. Impossibile sapere quanto avesse riferito a Ba’alzamon, prima della fine, o ad altri Amici delle Tenebre.

Guardò con rimpianto la fattoria che oltrepassavano in quel momento. Un uomo pattugliava le recinzioni, accompagnato da due cani che ringhiavano e tiravano il guinzaglio; aveva l’aria d’aspettare solo la scusa buona per sguinzagliarli. Non tutte le fattorie avevano i cani, ma nessuna offriva lavoro ai viandanti.

Prima del calar del sole attraversarono altri due villaggi. I paesani formavano capannelli e chiacchieravano guardando passare la fiumana continua di viandanti. Non erano più amichevoli dei contadini, dei conducenti e delle Guardie. Tutti quei forestieri che andavano a vedere il falso Drago. Sciocchi che non sapevano stare al proprio posto. Forse seguaci del falso Drago. Forse perfino Amici delle Tenebre. Ammesso che ci fosse differenza.

Con il calar della sera, al secondo villaggio la fiumana cominciò ad assottigliarsi. I pochi che avevano quattrini sparirono dentro la locanda, anche se ci fu qualche discussione al loro ingresso; gli altri si misero a cercare una siepe a portata di mano o campi non sorvegliati dai cani. Al crepuscolo, Rand e Mat ebbero la strada tutta per loro. Mat accennò a cercare un altro mucchio di fieno, ma Rand insistette per continuare il cammino.

«Finché vediamo la strada» disse. «Più tardi ci fermiamo, più avanti siamo.» “Se ci inseguono” pensò. “Ma perché dovrebbero inseguirci, se finora hanno aspettato che cadessimo da soli nelle loro mani?"

Per Mat fu sufficiente. Con frequenti occhiate alle spalle, allungò il passo. Rand si affrettò a stargli dietro.

La notte divenne buia, rischiarata solo da una falce di luna. Lo scoppio d’energia di Mat si dissolse e ricominciarono le lamentele. Rand si sentiva nei polpacci groppi di dolore. Strinse i denti e proseguì.

Si ritrovarono nel villaggio successivo quasi prima di scorgerne le luci. Rand si fermò barcollando, accorgendosi di colpo del senso di bruciore che dai piedi gli correva su per le gambe. Pensò d’avere una vescica al piede destro.

Alla vista delle luci del villaggio, Mat mandò un gemito e si lasciò cadere sulle ginocchia. «Ora possiamo fermarci?» ansimò. «O vuoi trovare una locanda e appendere un’insegna per gli Amici delle Tenebre? O per un Fade?»

«Dall’altra parte del villaggio» disse Rand, fissando le luci. Da lontano, nel buio, sembrava quasi Emond’s Field. “Cosa ci sarà, ad aspettarci?" si chiese. E soggiunse: «Ancora un miglio, tutto qui.»

«Tutto qui! Non riesco a muovermi nemmeno di una spanna!»

Rand si sentiva il fuoco nelle gambe, ma si costrinse a compiere un passo e poi un altro. Il dolore non migliorò, ma lui continuò a procedere, un passo alla volta. Prima di dieci passi udì Mat barcollare dietro di lui, brontolando sottovoce. Si disse che era meglio non sapere che cosa dicesse.

Data l’ora, le vie del villaggio erano deserte, ma in molte case almeno una finestra era illuminata. La locanda al centro del paese era circondata da una vivida macchia di luce. Dall’edificio provenivano musica e risa, smorzate dalle spesse pareti. L’insegna sopra la porta cigolava al vento. Sul lato più vicino della locanda, fermo sulla strada maestra, c’era un carretto col cavallo; un uomo controllava i finimenti. Altri due erano fermi più avanti, sul limitare del cerchio di luce.

Rand si fermò nell’ombra di una casa dalle finestre buie. Era troppo stanco per cercare nei vicoli un percorso che aggirasse la locanda. Un minuto di riposo non avrebbe fatto male. Solo un minuto. Finché gli uomini non si fossero allontanati. Con un sospiro di sollievo Mat si lasciò cadere contro il muro e vi si appoggiò come se volesse addormentarsi sul posto.

Qualcosa, nell’atteggiamento dei due uomini al limitare del cerchio di luce, mise a disagio Rand. Sulle prime non riuscì a spiegarsene la ragione, ma si accorse che anche l’uomo accanto al carro pareva nervoso per la presenza di quei due: afferrò l’estremità della cinghia che aveva appena controllato, sistemò il morso al cavallo, poi cominciò da capo. Continuò a tenere la testa bassa, senza guardare dalla parte dei due. Poteva anche darsi che non si fosse accorto di loro, anche se erano a meno di venti passi, ma si muoveva in modo impacciato e a volte preferiva eseguire goffamente il lavoro, pur di non guardare dall’altra parte.

Dei due uomini, uno era soltanto una sagoma scura nell’ombra, ma l’altro era più in luce e dava la schiena a Rand. Anche così, era evidente che non apprezzava molto la discussione: si torceva le mani, teneva gli occhi bassi, di tanto in tanto muoveva la testa per assentire. Rand non poteva udirli, ma ebbe l’impressione che fosse solo l’uomo in ombra a parlare; l’altro, il più nervoso, ascoltava e annuiva e si torceva le mani.

Alla fine quello avvolto nell’ombra si allontanò e il tipo nervoso si spostò nella chiazza di luce. Nonostante il freddo, si asciugò il viso nel grembiule, come se fosse tutto sudato.

Con la pelle d’oca, Rand guardò l’altro scomparire nella notte. Non sapeva perché, ma la sensazione di disagio parve seguire quell’uomo: un vago formicolio alla nuca e i peli ritti sulle braccia, come se si fosse accorto all’improvviso che qualcosa gli si avvicinava di soppiatto. Scosse la testa e si strofinò le braccia. “Divento sciocco come Mat” pensò.

In quel momento un’ombra scivolò contro la luce di una finestra... proprio sul bordo... e Rand si sentì accapponare la pelle. L’insegna della locanda cigolò al vento, ma il mantello nero rimase immobile.

«Un Fade» bisbigliò Rand. E Mat balzò in piedi come se l’amico avesse gridato.

«Cosa...»

Rand tappò la bocca di Mat. «Piano» disse. La sagoma scura si era persa nel buio. Ma dove? «Se n’è andato, adesso. Credo. Me lo auguro.» Scostò la mano; l’unico suono fu il respiro profondo di Mat.

Il tizio nervoso era quasi alla porta della locanda. Si fermò a dare una lisciata al grembiule, per ricomporsi prima di entrare.

«Hai amici bizzarri, Raimun Holdwin» disse all’improvviso l’uomo accanto al carretto. Era la voce di un vecchio, ma robusta. L’uomo si raddrizzò e scosse la testa. «Amici bizzarri, per un locandiere.»

Il tizio nervoso sobbalzò, sentendosi apostrofare, e si guardò intorno come se fino a quel momento non avesse visto il carretto né il vecchio. Inspirò a fondo, si ricompose e domandò in tono aspro: «Cosa vorresti dire, Almen Bunt?»

«Solo quel che ho detto, Holdwin. Amici bizzarri. Non è di queste parti, vero? Nelle ultime settimane passa un mucchio di gente strana. Un mucchio di gente strana.»

«Senti chi parla.» Holdwin gli scoccò un’occhiata. «Conosco molte persone, anche di Caemlyn. Non come te, rinchiuso da solo nella tua fattoria.» Esitò, poi continuò come se ritenesse necessarie maggiori spiegazioni. «Viene da Four Kings. Cerca un paio di ladri. Giovani. Gli hanno rubato una spada con il marchio dell’airone.»

Rand aveva trattenuto il fiato, alla menzione di Four Kings; alla menzione della spada, lanciò un’occhiata a Mat. L’amico, appiattito contro il muro, fissava il buio con occhi così sgranati che sembravano tutti sclerotica. Anche Rand avrebbe voluto vedere nel buio — il Mezzo Uomo poteva essere dovunque — ma riportò lo sguardo sui due uomini davanti alla locanda.

«Una spada col marchio dell’airone!» esclamò Bunt. «Non c’è da stupirsi che la rivoglia.»

Holdwin annuì. «Sì, e vuole anche i due ladri. Il mio amico è ricco... fa il mercante; e quei due hanno creato inconvenienti fra gli uomini che lavorano per lui. Raccontano storie folli e sconvolgono la gente. Sono Amici delle Tenebre e anche seguaci di Logain.»

«Amici delle Tenebre e seguaci del falso Drago? E raccontano anche storie folli? Non male, per due ragazzi. Non hai detto che sono giovani?» Nel tono di Bunt c’era una nota d’ironia, ma il locandiere parve non notarla.

«Sì. Sotto i vent’anni. C’è una ricompensa per la loro cattura. Cento corone in oro.» Holdwin esitò. «Sono tipi scaltri. Sa la Luce quali storie inventeranno per mettere le persone l’una contro l’altra. E sono anche pericolosi, per quanto sembrino inoffensivi. Maligni. Ti conviene stare alla larga se li vedi. Due ragazzi, uno con la spada, e tutt’e due con la coscienza sporca. Se sono proprio loro il... il mio amico li prenderà subito, appena li avranno localizzati.»

«Sembrerebbe che tu sappia chi cercare.»

«Li riconoscerò, se li vedo» rispose Holdwin, fiducioso. «Solo, non provare a catturarli da solo. Meglio non rischiare che qualcuno resti ferito. Se li vedi, vieni a dirmelo. A loro ci penserà il... il mio amico. Cento corone, ma li vuole tutt’e due.»

«Cento corone per tutt’e due» rifletté Bunt. «Una bella somma. Ci tiene proprio, a quella spada.»

All’improvviso parve che Holdwin capisse che l’altro lo prendeva in giro. «Non so perché te lo racconto» sbottò. «Sei sempre fissato con quel tuo stupido progetto, vedo.»

«Un progetto non tanto stupido» replicò Bunt, tranquillo. «Può darsi che non spunti un altro falso Drago, durante la mia vita; e sono troppo vecchio per mangiare la polvere di qualche mercante da qui fino a Caemlyn. Avrò la strada tutta per me e sarò a Caemlyn domattina, vispo e allegro.»

«Tutta per te?» La voce del locandiere mostrò un brutto tremito. «Non puoi mai dire che cosa si nasconde nella notte, Almen Bunt. Da solo sulla strada, nel buio. Anche se qualcuno ti sente gridare, nessuno toglierà il catenaccio alla porta per venirti in aiuto. Non di questi tempi, Bunt. Nemmeno il tuo vicino di casa.»

L’anziano contadino non si scompose affatto e rispose con la calma di prima. «Se le Guardie della Regina non possono garantire la sicurezza della strada a così breve distanza da Caemlyn, allora non siamo al sicuro nemmeno nel nostro letto. Se vuoi il mio parere, le Guardie potrebbero contribuire a rendere sicura la strada mettendo in catene quel tuo amico. Aggirarsi furtivamente nel buio, con la paura di farsi vedere! Non venirmi a dire che non combina qualcosa di losco.»

«Paura!» esclamò Holdwin. «Vecchio idiota, se sapessi...» Chiuse di scatto la bocca e si scosse. «Non so perché perdo il tempo con te. Vattene! Smettila di fare confusione davanti alla mia locanda.» Rientrò e chiuse rumorosamente la porta.

Borbottando tra sé, Bunt posò il piede sul mozzo della ruota per salire a cassetta.

Rand esitò solo un istante. Mat lo afferrò per il braccio e gli impedì di avanzare.

«Sei impazzito? Ci riconoscerà di certo!»

«Preferisci stare qui? Con un Fade in giro? Quanta strada faremo a piedi, prima che ci scopra?» Cercò di non pensare a quanta strada avrebbero fatto nel carretto, se la creatura li avesse trovati. Si liberò di Mat e avanzò. Si avvolse ben bene nel mantello per nascondere la spada: il vento e il freddo erano giustificazione sufficiente.

«Senza volerlo ho udito che vai a Caemlyn» disse al vecchio.

Bunt sobbalzò e afferrò un bastone ferrato. Aveva il viso pieno di rughe, era quasi sdentato, ma con le mani nodose impugnava saldamente il bastone. Dopo qualche istante, lo puntò a terra e vi si appoggiò. «Così voi due andate a Caemlyn. A vedere il Drago, eh?»

Rand non si era accorto che Mat l’aveva seguito. Però l’amico si teneva ben indietro, fuori del cerchio di luce, e teneva d’occhio, con la stessa aria di sospetto, la locanda, l’anziano contadino e il buio della notte.

«Il falso Drago» disse Rand, senza enfasi.

Bunt annuì. «Certo. Certo.» Scoccò un’occhiata alla locanda, poi rimise il bastone sotto il sedile del carretto. «Se volete un passaggio, salite. Ho già perso troppo tempo.» E montò a cassetta.

Mentre il contadino muoveva le redini, Rand si arrampicò sul pianale. Mat lo raggiunse di corsa, quando il carretto già si avviava. Rand lo prese per le braccia e lo tirò sul pianale.

Il villaggio svanì rapidamente nella notte. Rand si distese sulle assi nude e si sforzò di non lasciarsi cullare dal cigolio delle ruote. Mat soffocò gli sbadigli e tenne d’occhio i dintorni. L’oscurità, punteggiata di luci di finestre, ammantava campi e fattorie. Pareva che le luci lontane lottassero invano contro le tenebre. Un gufo mandò un richiamo lamentoso e il vento gemette come anime perdute nell’Ombra.

"Può essere qui fuori, da qualsiasi parte” pensò Rand.

Anche Bunt parve sentire l’oppressione della notte. «Siete mai stati a Caemlyn?» disse a un tratto. «No, non credo» ridacchiò. «Aspettate di vederla. La più grande città del mondo. Sì, ho sentito parlare di Illian e di Ebou Dar e di Tear e del resto... c’è sempre qualche sciocco convinto che una cosa sia più grande e più bella solo perché è da qualche parte al di là dell’orizzonte... ma per me Caemlyn è la più grande che ci sia. Non potrebbe essere più grandiosa di così. No, non potrebbe. A meno che la regina Morgase, che la Luce la illumini, non si liberi di quella strega giunta da Tar Valon.»

Rand se ne stava disteso con la testa appoggiata al rotolo di coperte e guardava scorrere la notte, lasciandosi cullare dalle parole del contadino. Una voce umana teneva a bada le tenebre e metteva la sordina ai gemiti del vento. Si girò a fissare la massa scura della schiena di Bunt. «Una Aes Sedai, vuoi dire?»

«E che altro? Una Aes Sedai che se ne sta nel palazzo come ragno al centro della tela. Sono un buon suddito della Regina, ma non mi sembra giusto. Ma non voglio dire che Elaida abbia troppa influenza sulla Regina. No, non sono uno di quelli. E in quanto agli sciocchi che sostengono che Elaida è la vera regina in tutto a parte il titolo...» Sputò nella notte. «Questo si meritano. Morgase non è una marionetta che si muove agli ordini di una strega di Tar Valon.»

Un’altra Aes Sedai. Se, anzi quando, arrivava a Caemlyn, forse Moiraine sarebbe andata da una consorella Aes Sedai. Nel peggiore dei casi, questa Elaida forse li avrebbe aiutati ad arrivare a Tar Valon. Guardò Mat, che scosse la testa come se l’amico avesse pensato ad alta voce. Rand non poteva vedere il viso di Mat, ma intuì il deciso diniego.

Bunt continuò a parlare, scuotendo le redini ogni volta che il cavallo rallentava. «Sono un buon suddito, come ho detto; ma anche gli sciocchi dicono qualcosa di sensato, di tanto in tanto. Anche un maiale cieco trova a volte una ghianda. Occorre qualche cambiamento. Questo tempo, i raccolti che non spuntano, le mucche che non danno più latte, vitelli e agnelli che nascono morti o con due teste. Corvi sanguinari che non aspettano nemmeno che le creature muoiano. La gente è terrorizzata. Deve dare la colpa a qualcuno. La Zanna del Drago compare sulle porte. Creature strisciano nella notte. Stalle prendono fuoco. Gira gente, come quell’amico di Holdwin, che spaventa le persone. La Regina deve prendere provvedimenti, prima che sia troppo tardi. Lo capite anche voi, vero?»

Rand rispose con un borbottio non impegnativo. Avevano avuto più fortuna di quanto non pensassero, a trovare quel vecchio col carretto. Non sarebbero andati più in là del primo villaggio, se avessero aspettato la luce del giorno. Creature che strisciavano nella notte. Rand sollevò la testa per guardare da sopra la fiancata del carro. Nelle tenebre parevano muoversi ombre e sagome indistinte. Tornò a distendersi, prima che l’immaginazione lo convincesse che c’era davvero qualcosa, là fuori.

Bunt prese il borbottio per un assenso. «Esatto. Sono un buon suddito e mi opporrò a chiunque voglia farle del male, ma ho ragione. Prendete lady Elayne e lord Gawyn, per esempio. Sarebbe un cambiamento che non danneggerebbe niente e che potrebbe fare del bene. Certo, so che abbiamo fatto sempre a questo modo, nell’Andor. Mandare l’Erede a Tar Valon a studiare con le Aes Sedai, e il figlio maggiore a studiare con i Custodi. Credo nella tradizione, certo, ma guardate cosa ne abbiamo ottenuto, l’ultima volta. Luc è morto nella Macchia, prima ancora che fosse nominato Principe della Spada; e Tigraine è scomparsa, fuggita via o morta, al momento di salire sul trono. Ci turba ancora, questa storia.

«Alcuni dicono che sia ancora viva, sapete, e che Morgase non sia la legittima Regina. Maledetti sciocchi. Ricordo cosa accadde. Lo ricordo come se fosse ieri. Niente Erede da mettere sul trono alla morte della vecchia Regina, e ogni Casa di Andor a complottare e a combattere per il diritto. E Taringail Damodred. Non avreste creduto che avesse perso la moglie, tanto si accaniva a prevedere quale Casa avrebbe vinto in modo da risposarsi e diventare Principe Consorte nonostante tutto. Be’, ci è riuscito, anche se non so proprio perché Morgase l’abbia scelto... ah, nessun uomo conosce la mente di una donna, e una regina è donna due volte, sposata al marito e sposata alla terra. Comunque lui ottenne ciò che voleva, se non nel modo come lo voleva.

«Portò Cairhien nel complotto, prima d’essere ucciso, e sapete come andò a finire. L’Albero fu abbattuto e gli Aiel dal velo nero sciamarono sopra le Mura del Drago. Be’, si guadagnò morte onorevole, dopo avere generato Elayne e Gawyn, così la faccenda è conclusa, immagino. Ma perché mandarli a Tar Valon? È ora che si smetta di pensare al trono di Andor e alle Aes Sedai nello stesso tempo. Se devono andare altrove a imparare quel che serve, be’, Illian ha biblioteche buone come quelle di Tar Valon e lì insegneranno a lady Elayne a governare e a tramare altrettanto bene delle streghe. Nessuno sa complottare meglio d’un illiano. E se le Guardie non bastano per insegnare a lord Gawyn l’arte militare, be’, ci sono soldati anche a Illian. E a Shienar e a Tear, quanto a questo. Sono un buon suddito, ma dico di smetterla con questi traffici con Tar Valon. Tremila anni sono abbastanza. Troppi. La regina Morgase può guidarci e mettere a posto le cose senza l’aiuto della Torre Bianca. Ascoltatemi bene, quella è una donna che rende un uomo orgoglioso d’inginocchiarsi per riceverne la benedizione. Ecco, una volta...»

Rand lottò contro il sonno di cui il suo corpo aveva bisogno, ma il cigolio ritmico e l’ondeggiare del carro lo cullarono e lui si trovò a galleggiare nel mormorio della voce di Bunt. Sognò Tam. All’inizio erano seduti alla grossa tavola di quercia della fattoria e bevevano tè, mentre Tam gli raccontava di Principi Consorti e di Eredi e del Muro del Drago e di Aiel dal velo nero. Nessuno dei due guardava la spada col marchio dell’airone, posta sul tavolo, fra loro. A un tratto Rand fu nel Westwood e tirava la barella nella notte illuminata dalla luna. Quando si guardò indietro, nella barella non c’era suo padre, ma Thom: sedeva a gambe incrociate e lanciava in aria palle multicolori.

«La Regina è sposata alla terra» disse Thom, mentre le palle descrivevano un cerchio «ma il Drago... il Drago è tutt’uno con la terra, e la terra è tutt’uno col Drago.»

In lontananza Rand vide un Fade che s’avvicinava a loro, col mantello nero immobile al vento e il cavallo che procedeva fra gli alberi come uno spettro. Due teste mozzate pendevano dalla sella del Myrddraal e gocciolavano sangue che formava rivoli neri lungo la spalla del cavallo, nera come il carbone: Lan e Moiraine, con il viso distorto in una smorfia di dolore. Il Fade reggeva in pugno la cima di alcune cavezze; ognuna terminava intorno ai polsi delle persone che correvano dietro il cavallo, col viso sbiancato dalla disperazione. Mat e Perrin. E Egwene.

«Lei no!» gridò Rand. «La Luce t’incenerisca, tu vuoi me, non lei!»

Il Mezzo Uomo mosse la mano e le fiamme consumarono Egwene, ne ridussero in cenere le carni, ne annerirono e sbriciolarono le ossa.

«Il Drago è tutt’uno con la terra» disse Thom, disinteressato, continuando a lanciare in aria le palle «e la terra è tutt’uno col Drago.»

Rand urlò... e aprì gli occhi.

Il carretto cigolava lungo la Strada per Caemlyn, piena del dolce profumo del fieno da tempo svanito e del debole odore di cavallo. Una sagoma più nera della notte si era posata sul petto di Rand e con occhi più crudeli della morte lo guardò in viso.

«Sei mio» disse il corvo e gli beccò l’occhio. Rand urlò, mentre il corvo gli cavava l’occhio dall’orbita.

Con un grido da lacerare la gola, Rand balzò a sedere e si portò al viso le mani.

La prima luce del mattino bagnava il carretto. Intontito, Rand si guardò le mani. Niente sangue. Nessun dolore. Il resto del sogno già svaniva, ma quello... Con cautela si tastò il viso e rabbrividì.

«Almeno...» sbadigliò Mat, con uno scricchiolio di mascelle «almeno tu hai dormito un poco.» C’era poca simpatia, nei suoi occhi esausti. Era rincantucciato sotto il mantello, con il rotolo di coperte piegato in due a fare da guanciale. «Ha continuato a parlare per tutta la maledetta notte!»

«Sei rimasto sempre sveglio?» intervenne Bunt, da cassetta. «Mi ha fatto saltare in aria, con quegli urli. Be’, ci siamo.» Mosse la mano in un gesto maestoso. «Caemlyn, la più grande città del mondo!»

Загрузка...