38 Salvataggio

Perrin, con i polsi legati dietro la schiena, continuò a cambiare posizione per evitare i sassi, ma alla fine si rassegnò e cercò goffamente di coprirsi col mantello. La notte era fredda e il contatto col terreno pareva prosciugarlo di tutto il calore, come era accaduto ogni notte, da quando i Manti Bianchi li avevano catturati. Per loro, i prigionieri non avevano bisogno di coperte né di riparo, soprattutto se erano pericolosi Amici delle Tenebre.

Egwene gli si era rannicchiata contro la schiena per cercare calore e dormiva il sonno profondo dello sfinimento. Non borbottò nemmeno, quando Perrin cambiò posizione. Il sole era calato da un pezzo e Perrin era dolorante dalla testa ai piedi, dopo una giornata a correre dietro a un cavallo, col guinzaglio al collo; ma non riusciva a prendere sonno.

La colonna non procedeva con grande rapidità. A causa dell’assalto dei lupi nello stedding, i Manti Bianchi avevano perduto la maggior parte dei cavalli di ricambio e non potevano procedere in fretta come avrebbero voluto. Il ritardo era un altro motivo di risentimento nei confronti dei due prigionieri. Però la fila si muoveva ad andatura costante — Lord Bornhald intendeva arrivare a Caemlyn in tempo per chissà cosa — e in fondo alla mente Perrin aveva il timore che, se fosse caduto, il Manto Bianco che reggeva il guinzaglio non si sarebbe fermato, anche se il Lord Capitano Bornhald aveva ordinato di tenerli in vita per farli interrogare dagli Inquisitori a Amador. Se fosse caduto, Perrin lo sapeva, non si sarebbe salvato: gli liberavano le mani solo per i pasti e per andare alla latrina. Il guinzaglio rendeva arduo ogni passo e potenzialmente fatale ogni pietra. Perrin procedeva con i muscoli tesi, guardando dove metteva i piedi. Egwene lo imitava, tesa e spaventata. Ma nessuno dei due osava staccare lo sguardo dal terreno, se non per un rapido scambio d’occhiate.

Di solito, appena i Manti Bianchi si fermavano, Perrin crollava come uno straccio strizzato; ma quella notte i suoi pensieri correvano all’impazzata. La pelle gli formicolava per una paura cresciuta col passare dei giorni. Se chiudeva gli occhi, vedeva solo le torture promesse da Byar, una volta giunti a Amador.

Era sicuro che Egwene ancora non ci credeva; altrimenti, per quanto sfinita, non sarebbe riuscita a chiudere occhio. All’inizio nemmeno lui ci aveva creduto: la gente non faceva agli altri certe cose, ecco! Ma Byar non voleva spaventarli: parlava di ferri roventi e di pinze, di coltelli per scorticare e di aghi, come se parlasse di un bicchiere d’acqua. Né c’era traccia di piacere maligno, nei suoi occhi. Non gli interessava se loro due erano spaventati o no, se erano vivi o no. Proprio per questo, quando se ne rese conto, Perrin sudò freddo e si convinse infine che Byar diceva semplicemente la verità.

Il mantello delle due sentinelle mandava riflessi grigi al chiaro di luna. Perrin non distingueva il loro viso, ma era sicuro che i due li tenevano d’occhio. Come se potessero scappare, legati mani e piedi. Ricordava il disgusto nei loro occhi e l’aspetto tirato del loro viso, come se montassero la guardia a due mostri sudici, puzzolenti e schifosi. Tutti i Manti Bianchi li guardavano a quel modo, sempre. Come poteva convincerli che non erano Amici delle Tenebre, dal momento che ne erano già convinti? Sentì che lo stomaco gli si torceva in un conato di vomito. Alla fine, probabilmente, avrebbe confessato tutto quel che volevano, solo per far smettere gli Inquisitori.

Vide arrivare un Manto Bianco che reggeva una lanterna. L’uomo si fermò a parlare alle guardie, che risposero in tono di rispetto. Perrin non udì le parole, ma riconobbe la figura alta e magra.

Strinse gli occhi, quando Byar gli accostò al viso la lanterna. Nell’altra mano l’uomo reggeva l’ascia di Perrin: ormai se n’era appropriato.

«Sveglia» disse, in tono inespressivo, quasi pensasse che Perrin dormiva con la testa sollevata. Accompagnò l’ordine con un calcione nelle costole.

Perrin si lasciò sfuggire un gemito. Aveva i fianchi pieni di lividi, per i calci di Byar.

«Sveglia, ho detto.» Alzò il piede per vibrare un altro calcio.

«Sono sveglio» disse in fretta Perrin. Byar sapeva come richiamare l’attenzione degli interlocutori.

Byar posò a terra la lanterna e si chinò a controllare i legacci. Gli diede uno strattone al polso e gli girò le braccia. Trovò che i nodi erano solidi come quando li aveva fatti; allora diede uno strattone alla corda che legava le caviglie e trascinò Perrin sul terreno sassoso. Sembrava mingherlino, ma lo spostò con facilità, come se Perrin fosse un bambino. Quel controllo avveniva ogni notte.

Mentre Byar si raddrizzava, Perrin vide che Egwene era ancora addormentata. «Egwene!» chiamò. «Sveglia!»

«Cosa c’è?» disse Egwene, con voce spaventata e ancora piena di sonno. Alzò la testa e batté le palpebre alla luce della lanterna.

Byar non si mostrò deluso di non avere l’opportunità di svegliarla a calci; si limitò a dare strattoni alle funi, come con Perrin, senza badare ai lamenti. Provocare dolore era un’altra di quelle cose che sembravano non toccarlo in alcun modo; Perrin era l’unico a cui Byar desiderava davvero far male: non aveva dimenticato che aveva ucciso due Figli.

«Perché due Amici delle Tenebre dovrebbero dormire, mentre uomini onesti devono stare svegli a sorvegliarli?» disse Byar, in tono spassionato.

«Ti ripeto che non siamo Amici delle Tenebre» protestò stancamente Egwene.

Perrin si tese. A volte quella frase comportava una predica tenuta in tono rauco e monotono, con l’invito a confessare e a pentirsi, e terminava con la descrizione dei metodi usati dagli Inquisitori per ottenere confessione e pentimento. A volte era accompagnata da un calcio. Ma questa volta Byar lasciò perdere.

Invece, si sedette sui talloni di fronte a loro, tenendo sulle ginocchia l’ascia. Il sole d’oro, sulla parte sinistra del mantello, e le due stelle d’argento, appena più in basso, brillavano alla luce della lanterna. Byar si tolse l’elmo. Una volta tanto, aveva sul viso un’espressione diversa dal disprezzo o dall’odio, più intensa, indecifrabile. Appoggiò le mani sul manico dell’ascia e osservò in silenzio Perrin. Il ragazzo cercò di restare immobile sotto lo sguardo di quegli occhi infossati.

«Rallentate il nostro viaggio, Amici delle Tenebre; voi e i vostri lupi. Il Consiglio degli Illuminati è al corrente di simili collusioni e vuole indagare a fondo, perciò bisogna portarvi a Amador e consegnarvi agli Inquisitori. Ma voi rallentate il nostro viaggio. Pensavo che ci saremmo mossi abbastanza in fretta, anche senza cavalcature di ricambio, ma sbagliavo.» Li fissò, accigliato.

«Il Lord Capitano è di fronte a un dilemma» riprese. «A causa dei lupi, deve portarvi davanti al Consiglio, ma deve anche giungere in tempo a Caemlyn. Non abbiamo cavalli di scorta per voi e se continuiamo a farvi camminare, non ce la faremo. Il Lord Capitano ha un’idea troppo ristretta dei suoi doveri e intende portarvi davanti al Consiglio.»

Egwene emise un gemito. Byar fissava Perrin, che gli restituì lo sguardo, quasi con la paura di battere ciglio. «Non capisco» disse lentamente.

«Non c’è niente da capire» replicò Byar. «Niente, se non oziose speculazioni. Se fuggiste, non avremmo tempo d’inseguirvi. Non possiamo perdere neppure un’ora, per non arrivare in ritardo a Caemlyn. Se, per esempio, vi liberaste sfregando le corde contro una pietra affilata e svaniste nella notte, il problema del Lord Capitano sarebbe risolto.» Senza staccare lo sguardo da Perrin, mise la mano sotto il mantello e gettò per terra qualcosa.

Istintivamente Perrin seguì il gesto. Quando capì di che cosa si trattava, mandò un’esclamazione di sorpresa. Una pietra. Una pietra scheggiata e tagliente.

«Solo un pensiero ozioso» disse Byar. «Stanotte anche le vostre guardie mediteranno.»

All’improvviso Perrin si sentì la bocca secca. “Rifletti bene!" si disse. “Luce santa, rifletti bene e non commettere errori!"

Possibile che fosse vero? Possibile che la presenza a Caemlyn dei Manti Bianchi fosse tanto importante da giustificare la fuga di due Amici delle Tenebre? Erano domande inutili: Perrin non ne sapeva abbastanza, su di loro. Byar era l’unico Manto Bianco con cui aveva parlato, a parte il Lord Capitano Bornhald, e nessuno dei due dava volentieri informazioni. Perrin provò ad affrontare il problema da un’altra angolatura. Se Byar voleva che scappassero, perché non si limitava a tagliare le funi? Ma lo voleva davvero? Proprio Byar, convinto fino al midollo che fossero Amici delle Tenebre. Byar, che odiava gli Amici delle Tenebre più del Tenebroso stesso. Byar, che cercava ogni scusa per maltrattarli, perché lui aveva ucciso due Manti Bianchi. Proprio Byar voleva che scappassero?

Ora i pensieri gli turbinavano nella mente con la velocità d’una valanga. Nonostante il freddo, il sudore gli colava a rivoli sul viso. Lanciò un’occhiata alle guardie. Erano solo ombre grigiastre, ma parevano in attesa. Se lui e Egwene fossero stati uccisi in un tentativo di fuga, dopo avere tagliato le funi, con una pietra trovata per caso... il Lord Capitano avrebbe risolto il suo dilemma, certo. E Byar sarebbe stato soddisfatto.

Byar raccolse l’elmo e iniziò ad alzarsi.

«Aspetta» disse Perrin, con voce rauca, cercando una soluzione. «Aspetta, voglio parlarti...»

Arriva aiuto!

Il pensiero gli sbocciò nella mente, chiara esplosione di luce in mezzo al caos, così sconvolgente che per un istante Perrin dimenticò tutto il resto, perfino dove si trovava. Dapple era viva. “Elyas” pensò, rivolto alla lupa, per sapere se l’uomo era ancora vivo. In risposta gli giunse l’immagine di Elyas disteso su di un letto di frasche accanto a un piccolo fuoco, in una grotta, impegnato a curarsi una ferita al fianco. Il tutto durò un istante. Perrin rivolse a Byar un sorriso ebete. Elyas era vivo. Dapple era viva. Gli aiuti erano in arrivo.

Byar si fermò, quasi accosciato, a guardarlo. «Ti è venuta un’idea, Perrin dei Fiumi Gemelli, e vorrei sapere quale.»

Per un attimo Perrin credette che si riferisse all’avvertimento trasmessogli da Dapple. Provò un attimo di panico, subito seguito da un senso di sollievo. Byar non poteva saperne niente.

Byar osservò i suoi rapidi cambiamenti d’espressione e per la prima volta spostò lo sguardo sulla pietra che aveva gettato lì vicino.

Meditava di cambiare idea, capì Perrin. In questo caso, li avrebbe lasciati in vita, col rischio che raccontassero tutto? Poteva prima ucciderli e dopo recidere le funi, pur correndo il rischio di farsi scoprire. Lo guardò negli occhi e vide che aveva deciso di ucciderli.

Byar aprì la bocca. Mentre Perrin aspettava di sentir pronunciare la sentenza, gli eventi si susseguirono rapidamente.

All’improvviso una delle due guardie scomparve, come inghiottita dalla notte. L’altra si girò, con un grido alle labbra; si udì un colpo sordo e l’uomo cadde come un albero abbattuto.

Byar si girò di scatto, con la rapidità d’una vipera, roteando l’ascia tanto da farla ronzare. Perrin strabuzzò gli occhi, mentre la notte sembrava rifluire nella luce della lanterna. Aprì la bocca per gridare, ma la paura gli chiuse la gola. Per un attimo dimenticò perfino che Byar voleva ucciderli. Il Manto Bianco era un essere umano e la notte era diventata viva per prendersi tutti loro.

Poi la tenebra che aveva invaso la luce divenne Lan, col mantello che cangiava in sfumature di grigio e di nero a ogni movimento. Byar mosse l’ascia, con la rapidità del fulmine... e Lan parve piegarsi con noncuranza di lato, lasciandosi sfiorare dalla lama. Byar sbarrò gli occhi, mentre la forza del colpo a vuoto lo sbilanciava e il Custode colpiva, con mani e piedi, in rapida successione, tanto che Perrin non fu sicuro di quel che aveva appena visto. Byar crollò come un burattino a cui avessero tagliato i fili. Prima che il Manto Bianco toccasse terra, Lan era già in ginocchio e spegneva la lanterna.

Nel buio improvviso Perrin rimase come cieco. Lan parve svanito completamente.

«È davvero...» Egwene emise un gemito soffocato. «Ti credevamo morto. Vi credevamo tutti morti.»

«Non ancora.» Il bisbiglio del Custode era venato di divertimento.

Perrin sentì sui legacci un rapido colpo di coltello e fu libero. Si alzò a sedere, fra la protesta di muscoli doloranti. Si massaggiò i polsi e fissò il mucchio grigio che indicava Byar. «L’hai...»

«No» rispose piano Lan, nel buio. «Non uccido, se posso evitarlo. Ma per un poco non darà fastidio a nessuno. Smettetela di fare domande e prendetevi un mantello. Non abbiamo molto tempo.»

Perrin strisciò fino a Byar. Si costrinse a toccarlo, ma quando sentì che il petto dell’uomo si alzava e si abbassava, quasi ritrasse la mano. Sentì un formicolio alla pelle, mente gli toglieva il mantello bianco. Nonostante le parole di Lan, già vedeva quell’uomo dal viso cadaverico rizzarsi all’improvviso. Frugò a tentoni lì vicino, finché non trovò l’ascia, poi strisciò accanto a una guardia. Gli parve strano non provare riluttanza nel toccare l’uomo svenuto, ma capì la ragione. Tutti i Manti Bianchi lo odiavano, ma il loro odio era un’emozione umana. Byar li voleva morti, ma non provava niente: in lui non c’era odio, non c’erano emozioni.

Raccolti i due mantelli, si girò... e fu preso dal panico. Nel buio non sapeva più dov’era Lan. Rimase fermo, con la paura di muoversi. Anche Byar era stato inghiottito dalla notte, ora che non aveva più il mantello bianco.

«Da questa parte.»

Perrin si diresse verso il bisbiglio di Lan. Egwene era un’ombra indistinta e il viso del Custode una macchia confusa.

«Indossate i mantelli» bisbigliò Lan. «Svelti. Fate un fagotto dei vostri. E niente rumore. Ancora non siete al sicuro.»

Perrin passò a Egwene un mantello bianco. Si tolse il proprio, ne fece un fagotto e indossò l’altro. Provò un brivido, una pugnalata di preoccupazione fra le scapole. Gli era toccato il mantello di Byar? Gli parve quasi di sentire l’odore dell’uomo.

Lan ordinò loro di tenersi per mano. Perrin strinse nella sua la mano di Egwene e nell’altra l’ascia, augurandosi che il Custode si muovesse. L’immaginazione gli giocava brutti scherzi. Ma rimasero fermi, circondati dalla tende dei Figli, due sagome in mantello bianco e una invisibile, solo intuita.

«Fra poco» bisbigliò Lan. «Ancora un istante.»

Il fulmine squarciò la notte sopra l’accampamento, così vicino che Perrin si sentì rizzare i peli, mentre la scarica riempiva l’aria. Appena al di là delle tende, la terra si sollevò per il colpo e il fragore si mescolò con l’esplosione nel cielo. Prima che il lampo svanisse, Lan li guidò via.

Al primo passo, un altro fulmine squarciò le tenebre. Piovevano fulmini come grandine, tanto che la notte tremolava come se l’oscurità venisse solo a tratti. I tuoni rombavano, uno dopo l’altro, in uno scroscio quasi continuo. Cavalli atterriti nitrirono, nei momenti in cui il rombo svaniva. Uomini uscirono alla rinfusa dalle tende, alcuni in mantello bianco, alcuni mezzo svestiti; alcuni andavano avanti e indietro, altri rimasero fermi, come intontiti.

Nella confusione Lan si mise a correre, tirandosi dietro i due ragazzi. Manti Bianchi li fissarono a occhi sgranati. Alcuni gridarono verso di loro, e le grida si persero nei tuoni, ma nessuno cercò di fermarli, perché indossavano un mantello bianco. Passarono tra le tende, uscirono dall’accampamento e scomparvero nella notte, senza che nessuno li fermasse.

Il terreno divenne irregolare, i cespugli frustarono Perrin che si lasciava trascinare. I fulmini guizzavano capricciosamente e svanivano. I tuoni rombavano e si affievolivano. Perrin si guardò indietro. Qualche fuoco brillava fra le tende. Alcuni fulmini avevano centrato il bersaglio o i Figli, nella confusione, avevano rovesciato le lampade. Alcuni gridavano ancora, cercando di riportare l’ordine, di scoprire che cos’era accaduto. Il terreno divenne un pendio. Grida e tende rimasero alle loro spalle.

A un tratto Lan si fermò e Perrin rischiò di travolgere Egwene. Davanti a loro c’erano tre cavalli.

Dal buio provenne la voce di Moiraine, piena d’irritazione. «Nynaeve non è tornata. Non vorrei che avesse fatto qualche sciocchezza.» Lan girò sui tacchi, come se volesse tornare indietro, ma una sola parola di Moiraine, secca come un colpo di frusta, lo fermò. «No!» Lan la guardò di traverso. Moiraine continuò, in tono più gentile, ma non meno fermo: «Alcune cose sono più importanti di altre. Lo sai anche tu.» Il Custode non si mosse. La voce di Moiraine divenne di nuovo dura. «Ricorda il giuramento, al’Lan Mandragoran, Lord delle Sette Torri! Cosa vale, il giuramento di un Lord Condottiero dei Malkieri?»

Egwene mormorò qualcosa, ma Perrin non riusciva a distogliere lo sguardo dal quadro davanti a sé: Lan fermo come un lupo del branco di Dapple, un lupo con le spalle al muro di fronte alla piccola Aes Sedai, che cercava invano di sfuggire al destino.

La scena fu interrotta da uno schianto di rami. Con due lunghi passi Lan si pose fra Moiraine e il rumore; il chiaro di luna scintillò sulla sua spada. Fra schianti e schiocchi di ramaglie, due cavalli al galoppo sbucarono dagli alberi. Uno era montato.

«Bela!» esclamò Egwene, nello stesso istante in cui, dalla groppa della giumenta, Nynaeve diceva: «A momenti non vi ritrovavo. Egwene! Grazie alla Luce, sei viva!»

Smontò da cavallo e si diresse verso i due, ma Lan l’afferrò per il braccio e lei si bloccò.

«Dobbiamo andarcene, Lan» disse Moiraine, di nuovo calma. Il Custode lasciò la presa.

Nynaeve si massaggiò il braccio e s’affrettò ad abbracciare Egwene; Perrin credette anche di udirla ridere. Rimase perplesso, perché non pensava che la risata avesse a che fare con la gioia di rivederli.

«Dove sono, Rand e Mat?» domandò.

«Da un’altra parte» rispose Moiraine; e Nynaeve borbottò qualcosa, in un tono aspro che lasciò Egwene a bocca aperta. Perrin rimase di stucco: gli era parsa un’imprecazione da carrettiere, e delle più pesanti. «Voglia la Luce che stiano bene» continuò l’Aes Sedai, come se non avesse udito.

«Staremo male noi» intervenne Lan «se i Manti Bianchi ci trovano. Cambiatevi il mantello e montate.»

Perrin salì sul cavallo portato da Nynaeve. Non badò alla mancanza di sella: a casa non andava molto a cavallo e quelle rare volte quasi sempre cavalcava a pelo. Aveva ancora con sé il mantello bianco, piegato e legato alla cintura. Il Custode aveva detto che bisognava lasciare il minimo indispensabile di tracce.

Mentre si avviavano, dietro il Custode in groppa al morello, Perrin sentì di nuovo il tocco mentale di Dapple. Un giorno di nuovo. Più sensazione che parole, sospirava con la promessa di un incontro preordinato, con l’attesa di quel che sarebbe accaduto, con la rassegnazione per quel che doveva accadere, tutti uno strato sull’altro. Perrin provò a domandare quando e perché, in modo confuso, per la fretta e per la paura. La traccia dei lupi divenne più debole, svanì. Le sue frenetiche domande portarono solo la stessa risposta pregnante. Un giorno di nuovo. Rimase a tormentargli la mente, molto dopo che la consapevolezza dei lupi era svanita.

Lan procedette verso meridione, con andatura lenta ma costante. La distesa selvaggia ammantata dalla notte, tutta terreno ondulato, sottobosco nascosto, alberi fitti contro il cielo, non permetteva in ogni caso grande velocità. Due volte il Custode li lasciò e tornò per un tratto verso la falce di luna, confondendosi nella notte. Entrambe le volte riferì che non c’era segno d’inseguimento.

Egwene si mantenne a fianco di Nynaeve. A Perrin arrivarono brani di conversazione sottovoce. Le due donne erano ringalluzzite come se avessero ritrovato la casa. Lui si mantenne in coda alla piccola fila. A volte la Sapiente si girava a dargli un’occhiata e ogni volta lui le rivolgeva un gesto, come a dire che andava tutto bene. Aveva molte cose su cui riflettere, anche se non riusciva a pensare in modo lineare.

Non mancava molto all’alba, quando Moiraine finalmente stabilì una sosta. Lan trovò un canalone dove accendere il fuoco nascondendolo in una cavità della parete.

Ebbero infine il permesso di liberarsi dei mantelli bianchi e li sotterrarono in una buca scavata accanto al fuoco. Mentre Perrin stava per gettarlo nella buca, posò lo sguardo sul ricamo a forma di sole sopra due stelle. Lasciò cadere il mantello, come se scottasse; si allontanò, strofinandosi sulla giubba le mani, e si sedette da parte.

«E ora» disse Egwene, mentre Lan spalava terriccio per coprire la buca «vorrei che qualcuno mi dicesse dove sono Rand e Mat.»

«Credo che siano a Caemlyn» rispose Moiraine. «O per strada.» Nynaeve mandò un borbottio sprezzante, ma l’Aes Sedai continuò come se non avesse udito: «Se non sono a Caemlyn, li troverò. Lo prometto.»

Consumarono in silenzio un pasto a base di pane, formaggio e tè caldo. Perfino l’entusiasmo di Egwene cedette alla stanchezza. La Sapiente trasse dalla bisaccia un unguento per i lividi lasciati dalle funi e uno diverso per le altre scorticature. Medicò Egwene, poi si avvicinò a Perrin, seduto ai margini del cerchio di luce, ma il ragazzo non alzò gli occhi.

Per un poco Nynaeve rimase a guardarlo in silenzio, poi si accovacciò, con la sacca a fianco, e disse in tono vivace: «Togliti la giubba e la camicia, Perrin. Ho sentito che uno dei Manti Bianchi non ti aveva in simpatia.»

Perrin ubbidì lentamente, pensando ancora al messaggio di Dapple, finché Nynaeve non mandò un ansito di stupore. Allora trasalì e si guardò il torace. Era una massa di colori: le macchie violacee più recenti coprivano quelle meno recenti, scolorite in tonalità di marrone e di giallo. Solo la muscolatura dovuta alle ore di lavoro nella fucina di mastro Luhhan gli aveva impedito di riportare fratture alle costole. Pensando ai lupi, era riuscito a dimenticare il dolore, ma ora se ne ricordò. Senza volerlo, trasse un respiro profondo e si morsicò le labbra per non gridare.

«Come poteva odiarti fino a questo punto?» esclamò Nynaeve, stupita.

"Ho ucciso due uomini” pensò lui. Ma rispose: «Non lo so.»

Nynaeve frugò nella sacca e Perrin sobbalzò, quando la Sapiente cominciò a spalmare sui lividi un unguento. «Edera, pentafillo e radice di zinnia in polvere» disse Nynaeve.

L’unguento, caldo e freddo nello stesso tempo, lo faceva sudare e rabbrividire, ma Perrin non si lamentò. In precedenti occasioni aveva sperimentato le pomate e i cataplasmi della Sapiente. Sotto l’abile tocco delle sue dita, la sensazione di caldo e di freddo svanì e portò via il dolore. Le chiazze violacee diventarono marrone, quelle marrone e giallo impallidirono, alcune scomparvero del tutto. Per prova, Perrin trasse un altro respiro e trasalì appena.

«Sembri sorpreso» disse Nynaeve. Parve un po’ sorpresa, e anche spaventata, forse. «La prossima volta, puoi andare da lei.»

«Sorpreso, no» replicò Perrin, per tranquillizzarla. «Contento.» A volte gli unguenti di Nynaeve agivano rapidamente, altre volte più lentamente, ma davano sempre risultato. «Cosa... cos’è accaduto, a Rand e a Mat?»

Nynaeve rimise nella sacca barattoli e vasetti, spingendoli con forza. «Lei dice che stanno bene. Lei dice che li troverà. A Caemlyn, dice lei. Lei dice che per noi è molto importante trovarli, qualsiasi cosa significhi. Lei dice un mucchio di cose.»

Perrin sorrise, nonostante tutto. La Sapiente era sempre quella di una volta: lei e l’Aes Sedai erano ancora ben lontano dall’essere amiche.

A un tratto Nynaeve s’irrigidì, fissandolo in viso. Lasciò cadere la sacca e gli premette il dorso della mano sulla fronte e sulle guance. Perrin cercò di ritrarsi, ma lei gli bloccò la testa e gli rovesciò le palpebre, scrutando gli occhi e borbottando fra sé.

«Non capisco» disse infine, lasciandolo e tornando a sedersi sui talloni. «Se fosse itterizia, non ti reggeresti in piedi. Invece non hai febbre e il bianco degli occhi non è giallo. Solo le iridi.»

«Giallo?» disse Moiraine; Perrin e Nynaeve sobbalzarono. L’Aes Sedai si era avvicinata senza fare rumore. Egwene già dormiva accanto al fuoco, avvolta nel mantello. Anche Perrin si sentiva le palpebre pesanti.

«Non è niente» disse; ma Moiraine gli mise la mano sotto il mento e gli girò il viso in modo da guardarlo negli occhi, come aveva fatto Nynaeve. Perrin si scostò: le due donne lo trattavano come se fosse un bambino. «Non è niente» ripeté.

«Era impossibile prevederlo» disse Moiraine, come se parlasse a se stessa. «Una cosa preordinata, oppure un cambiamento nel Disegno? In questo caso, per mano di chi? La Ruota gira e ordisce come vuole. Non può essere altro.»

«Sai che cos’è?» domandò Nynaeve, con riluttanza; poi esitò. «Puoi fare qualcosa per lui? Con la tua abilità di guaritrice?» La richiesta d’aiuto, ammissione d’impotenza, le uscì di bocca come strappata con le pinze.

Perrin guardò di brutto le due donne. «Se volete parlare di me, parlate anche a me. Sono qui seduto.» Nessuna delle due lo guardò.

«Guaritrice?» sorrise Moiraine. «L’abilità di guaritrice non può fare nulla, in questo caso. Non è una malattia e non...» Esitò un attimo. Allora guardò Perrin, un’occhiata rapida, piena di rimpianto. «Stavo per dire che non gli farà del male. Ma chi può sapere come andrà a finire? Almeno, non lo danneggerà direttamente.»

Nynaeve si alzò, si pulì le ginocchia e affrontò l’Aes Sedai faccia a faccia. «Non basta» replicò. «Se c’è qualcosa di sbagliato nei...»

«Quel che c’è, c’è. Non si può cambiare ciò che è già tessuto. Moiraine distolse lo sguardo.» Dobbiamo dormire, finché è possibile, e metterci in cammino alle prime luci. Se la mano del Tenebroso diventa troppo forte... Dobbiamo arrivare in fretta a Caemlyn.

Nynaeve raccolse con rabbia la sacca e si allontanò prima che Perrin potesse parlare. Il ragazzo brontolò un’imprecazione, ma fu colpito da un pensiero improvviso e si rimise a sedere, a bocca aperta. Moiraine sapeva. L’Aes Sedai sapeva dei lupi. E pensava che potesse essere opera del Tenebroso. Fu percorso da un brivido. S’infilò in fretta la camicia, rimboccandola goffamente nelle brache, e si rimise la giubba e il mantello. Vestirsi non gli fu di grande aiuto: si sentiva gelato fin nelle ossa.

Lan si lasciò cadere a terra, a gambe incrociate, e gettò indietro il mantello. Perrin fu lieto di quel gesto: era spiacevole guardare il Custode e non riuscire a fermare su di lui lo sguardo.

Per un poco rimasero a fissarsi. I tratti duri del Custode erano indecifrabili, ma negli occhi Perrin credette di scorgere... qualcosa. Simpatia? Curiosità? Tutt’e due?

«Lo sai?» domandò; e Lan annuì.

«So qualcosa, non tutto» rispose il Custode. «Ti è semplicemente accaduto, oppure hai incontrato una guida, un intermediario?»

«C’era un uomo» disse lentamente Perrin. Pensò: “Lui sa. Non penserà la stessa cosa di Moiraine?" E continuò: «Disse di chiamarsi Elyas. Elyas Machera.» Lan inspirò a fondo e Perrin gli scoccò un’occhiata penetrante. «Lo conosci?»

«L’ho conosciuto. Mi ha insegnato molte cose, sulla Macchia e su questa.» Toccò l’elsa. «Era un Custode, prima che... prima che accadesse. L’Ajah Rossa...» Lanciò uno sguardo a Moiraine, distesa accanto al fuoco.

Era la prima volta che Perrin notava un’incertezza nel Custode. A Shadar Logoth, Lan era stato sicuro e forte, come quando affrontava Fade e Trolloc. Non che ora fosse spaventato, ma si mostrava cauto, come se fosse pericoloso dire troppo.

«Ho sentito parlare dell’Ajah Rossa» disse Perrin.

«E gran parte di quel che hai udito è sbagliata, senza dubbio. Vedi, esistono delle... fazioni, all’interno di Tar Valon. Sono in disaccordo sul modo di combattere il Tenebroso. La meta è la stessa, ma le differenze... le differenze possono significare vite cambiate o troncate. Vite di uomini e di nazioni. Sta bene, Elyas?»

«Credo di sì. I Manti Bianchi hanno detto d’averlo ucciso, ma Dapple...» Perrin lanciò un’occhiata al Custode, a disagio. «Non so.» Lan parve accettare con riluttanza la risposta e questo fatto diede a Perrin il coraggio di continuare. «Comunicare con i lupi. Moiraine sembra ritenerlo opera del Tenebroso. È così?» Non poteva credere che Elyas fosse un Amico delle Tenebre.

Ma Lan esitò. Il sudore colò sul viso di Perrin: goccioline di sudore freddo, reso ancora più freddo dalla notte. Gli scivolavano lungo le guance, quando il Custode rispose.

«In sé, no. Alcuni lo credono, ma si sbagliano: è una cosa antica, perduta molto tempo prima che si scoprisse il Tenebroso. Ma che ne dici, della probabilità, fabbro? A volte il Disegno è casuale, ai nostri occhi almeno, ma quante erano le probabilità che tu incontrassi una persona che ti guidasse in questo e che tu fossi idoneo a seguire la guida? Il Disegno forma una Grande Grinza, quella che alcuni chiamano Merletto delle Epoche; e in essa voi ragazzi avete un ruolo di primo piano. Non credo che vi rimangano molte possibilità d’agire liberamente, ora. Siete stati prescelti, quindi? E in questo caso, dalla Luce o dall’Ombra?»

«Il Tenebroso non può toccarci, se non lo nominiamo» replicò Perrin. Ma subito pensò ai sogni riguardanti Bornhald, quei sogni che erano più d’un sogno. Si asciugò il sudore. «Non può» ripeté.

«Testardo come un mulo» rifletté il Custode. «Forse abbastanza testardo da salvare te stesso, alla fine. Ricorda in quali tempi viviamo, fabbro. Ricorda cosa ti ha detto Moiraine Sedai. Oggigiorno molte cose si dissolvono e cadono a pezzi. Antiche barriere s’indeboliscono, antiche mura si polverizzano. Le barriere fra il presente e il passato, fra il presente e il futuro.» Il suo tono divenne sinistro. «Le mura della prigione del Tenebroso. La nostra può essere la fine di un’Epoca. Forse vedremo nascere una nuova Epoca, prima di morire. O forse siamo alla fine di tutte le Epoche, la fine del tempo stesso. La fine del mondo.» All’improvviso sorrise, ma il sorriso era scuro come un cipiglio; gli occhi brillavano d’allegria, ridevano alla base della forca. «Ma non siamo noi, a dovercene preoccupare, eh, fabbro? Noi combatteremo l’Ombra finché avremo fiato; e se ci sommergerà, sprofonderemo mordendo e graffiando. Voi dei Fiumi Gemelli siete troppo testardi per arrendervi. Non preoccupatevi, se il Tenebroso è comparso nella vostra vita. Siete fra amici, ora. La Ruota gira e ordisce come vuole e neppure il Tenebroso può cambiare questo fatto, con Moiraine che veglia su di voi. Ma sarà meglio trovare in fretta i vostri amici.»

«Cosa vuoi dire?»

«Non hanno un’Aes Sedai, a proteggerli. Forse le mura si sono indebolite quanto basta perché il Tenebroso stesso influenzi gli eventi. Non liberamente, perché in questo caso saremmo già morti; ma forse mediante lievi spostamenti nei fili. Una svolta, un incontro, una parola, all’apparenza casuali... e forse sono già sprofondati nel’Ombra a un punto tale che neppure Moiraine può riportarli indietro.»

«Dobbiamo trovarli» disse Perrin; e il Custode mandò una risata che era un brontolio.

«Non l’ho appena detto? Cerca di dormire un poco, fabbro.» Si alzò e si avvolse nel mantello. Alla fioca luce del fuoco e della luna parve confondersi con le ombre. «Fra qualche giorno giungeremo a Caemlyn. Prega solo che li troviamo lì.»

«Moiraine può trovarli da qualsiasi parte! L’ha detto lei.»

«Ma li troverà in tempo? Se il Tenebroso è abbastanza forte da intervenire direttamente, il tempo è quasi terminato. Prega che li troviamo a Caemlyn, fabbro, altrimenti forse siamo perduti tutti.»

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