15 Estranei e amici

Il sole che inondava lo stretto lettino destò infine Rand da un sonno profondo ma inquieto. Il ragazzo si tirò sulla testa il guanciale, ma non eliminò la luce; e, a dire il vero, non voleva riprendere sonno. Aveva fatto altri sogni: ricordava solo il primo, ma gli bastava.

Con un sospiro scostò il guanciale e si alzò a sedere, soffocando una smorfia mentre si stiracchiava. Tutti i dolori che credeva portati via dal bagno caldo erano tornati. E anche la testa gli doleva. Non ne fu sorpreso. Un sogno come quello avrebbe dato il mal di testa a chiunque.

Gli altri due lettini erano vuoti. La luce entrava di sbieco dalla finestra: il sole era già alto. A un’ora del genere, nella fattoria aveva già fatto colazione ed era da un pezzo al lavoro. Scese dal letto, brontolando: c’era da vedere una città e nemmeno lo svegliavano! Almeno qualcuno aveva provveduto a lasciare nel catino un po’ d’acqua ancora tiepida.

Si lavò e si vestì in fretta; esitò un istante davanti alla spada di Tam. Ovviamente, Lan e Thom avevano lasciato nella stanza bisacce e coperte, ma la spada del Custode non si vedeva. A Emond’s Field Lan la portava sempre con sé. Meglio seguire il suo esempio. Si agganciò il cinturone, dicendosi che la prendeva solo per questo motivo e non perché spesso aveva fantasticato di camminare per le vie di una vera città portando al fianco una spada, e si buttò in spalla il mantello come un sacco.

Scese i gradini a due a due, diretto alla cucina. Era il posto migliore per avere in fretta qualcosa da mangiare: per il primo giorno a Baerlon non voleva perdere altro tempo. “Sangue e ceneri, potevano anche svegliarmi!" imprecò tra sé.

In cucina, mastro Fitch affrontava una donna grassoccia con le braccia infarinate fino ai gomiti: la cuoca, evidentemente. A dire il vero, era lei ad affrontare il padrone della locanda, da come gli agitava il dito sotto il naso. Cameriere, sguatteri e ragazzi addetti alle pentole e agli spiedi si davano da fare, ben attenti a fingere di non vedere quel che accadeva davanti a loro.

«...il mio Cirri è un bravo gatto» protestava in quel momento la cuoca «e non voglio sentire altro, chiaro? Te la prendi con lui perché fa il suo lavoro fin troppo bene, ecco.»

«Ho avuto lamentele» riuscì a dire mastro Fitch. «Lamentele, cara mia. Metà degli ospiti...»

«Non voglio saperlo. Se hanno da lamentarsi del mio gatto, vengano loro a far cucina. Io e il mio povero vecchio gatto, che fa solo il suo dovere, ce ne andremo dove ci apprezzano; vedrai se non è vero.» Si slegò il grembiule e cominciò a toglierselo passandolo sopra la testa.

«No!» gridò mastro Fitch, fermandola. Girarono in cerchio, con la cuoca che cercava di togliersi il grembiule e mastro Fitch che si sforzava di farglielo rimettere. «No, Sara» ansimò il locandiere. «Non c’è bisogno di arrivare a questo. Cosa farei, senza di te? Cirri è un bravo gatto. Un gatto eccellente. Il miglior gatto di Baerlon. Se un altro si lamenta, gli dirò d’essere contento che il gatto faccia il suo lavoro. Sì, contento. Non devi andartene. Sara? Sara!»

La cuoca smise di girare e riuscì a liberare il grembiule. «D’accordo, allora. D’accordo.» Afferrò il grembiule, ma non lo legò ancora. «Se vuoi che prepari qualcosa per mezzogiorno, è meglio che esci e mi lasci lavorare. La locanda sarà tua, ma la cucina è mia. O vuoi cucinare tu?» Gli tese il grembiule.

Mastro Fitch arretrò, allargando le mani. Aprì la bocca, poi si bloccò, guardandosi intorno. Gli aiutanti di cucina si sforzarono di non badare alla cuoca e al locandiere; Rand si finse occupato a frugare nelle tasche, anche se non aveva niente, a parte la moneta di Moiraine, qualche monetina di rame e le solite cianfrusaglie. Il coltello da tasca e la pietra per affilarlo. Due corde d’arco di riserva e un pezzo di spago che poteva sempre venir buono.

«Sara, sono sicuro che tutto andrà bene come al solito» disse mastro Fitch, prudentemente. Rivolse un’ultima occhiata sospettosa agli inservienti e uscì con tutta la dignità che riuscì a racimolare.

Sara aspettò che fosse uscito, prima di legarsi il grembiule; poi fissò Rand. «Immagino che vuoi qualcosa da mangiare, eh? Bene, vieni dentro,» Gli rivolse un rapido sogghigno. «Non mordo, sai. Ciel, dai al ragazzo un po’ di pane e formaggio e una tazza di latte. Non c’è altro, al momento. Siedi, ragazzo. I tuoi amici sono usciti, tranne uno che non si sentiva molto bene. E penso proprio che anche tu vorrai andare a fare un giro.»

Una cameriera portò in tavola un vassoio. Rand si accomodò su di uno sgabello e cominciò a mangiare; la cuoca tornò a impastare, la farina per il pane, senza smettere di chiacchierare.

«Non far caso alla scenata di poco prima. Mastro Fitch è un brav’uomo, anche se nemmeno i migliori sono gran roba. Ma le lamentele degli ospiti l’hanno innervosito. Cos’hanno poi da lamentarsi? I topi li preferiscono vivi, anziché morti? Anche se non è da Cirri, lasciare in giro i risultati del suo lavoro. E più d’una decina? Cirri non ne lascerebbe entrare tanti così nella locanda, figuriamoci. E poi, questo posto è pulito, non li richiama. E tutti con la schiena rotta.» Scosse la testa, alla stranezza del caso.

Pane e formaggio si mutarono in cenere, nella bocca di Rand. «Con la schiena rotta?»

La cuoca agitò la mano infarinata. «Pensa a cose più belle, questo è il mio modo di vivere. C’è un menestrello, sai? Nella sala comune, proprio adesso. Ah, già, sei venuto con lui, no? Anche tu sei giunto ieri sera, con lady Alys, vero? Mi pareva. Io non avrò occasione di vedere il menestrello, penso, con la gente che affolla la locanda, quasi tutta marmaglia delle miniere.» Batté forte l’impasto. «Il tipo di clienti che in genere non accettiamo, ma la città ne è piena. Meno peggio del solito, però. Non ho più visto un menestrello da prima dell’inverno e...»

Rand mangiò meccanicamente, senza sentire il gusto dei cibi, senza ascoltare le chiacchiere della cuoca. Topi morti, con la schiena spezzata. Terminò in fretta la colazione, biascicò un ringraziamento e uscì in fretta. Doveva parlarne a qualcuno.

La sala comune del Cervo e Leone assomigliava ben poco a quella della Fonte di Vino. Era larga il doppio e lunga il triplo; la parte alta delle pareti era decorata con riproduzioni a colori di edifici circondati da giardini con alti alberi e vividi fiori. C’erano quattro grandi camini, non uno solo, e decine di tavoli riempivano il locale. Quasi ogni sedia, panca e sgabello erano occupati. Tutti i clienti, con in bocca la pipa e in mano un boccale, concentravano l’attenzione sulla stessa persona: Thom, in piedi sopra un tavolo al centro della stanza, col mantello multicolore gettato sulla sedia lì vicino. Perfino mastro Fitch si era dimenticato d’avere in mano uno straccio per lucidare e un boccale d’argento.

«...zoccoli d’argento e collo orgogliosamente inarcato» declamava Thom e sembrava che anche lui cavalcasse un destriero e facesse parte d’una lunga fila di cavalieri. «Criniere di seta ondeggiano a ogni scuoter di testa. Mille vessilli sventolano a formare arcobaleni contro la distesa del cielo. Cento trombe di bronzo fanno vibrare l’aria e i tamburi rullano con fragore di tuono. Grida d’entusiasmo percorrono le migliaia di spettatori, come onde rotolano sui tetti e sulle torri di Illian, si schiantano e si frangono contro i mille cavalieri i cui occhi e il cui cuore risplendono per la sacra cerca. Ha inizio la Grande Cerca del Corno, per ritrovare il Corno di Valere che evocherà dalla tomba gli eroi delle Epoche per combattere a favore della Luce...»

Thom usava quello che aveva definito Tono Semplice, nelle notti accanto al fuoco, durante il viaggio. Le storie, aveva detto, erano narrate in tre modi: Tono Aulico, Tono Semplice e Tono Comune. A volte Thom usava anche il Tono Comune, ossia narrava come si parlerebbe del raccolto al vicino, ma non nascondeva di disprezzarlo.

Rand chiuse la porta senza entrare e si abbandonò contro la parete. Per il momento Thom non poteva consigliarlo. E Moiraine... come avrebbe reagito, se avesse saputo?

Si rese conto che la gente lo fissava, passandogli davanti: parlava da solo. Si lisciò la giubba e raddrizzò la schiena. Doveva parlare con qualcuno. La cuoca aveva detto che uno degli altri non era uscito. Salì le scale, resistendo all’impulso di correre.

Bussò alla porta della seconda stanza e sporse la testa: c’era solo Perrin, disteso sul letto, ancora svestito. Il ragazzo girò la testa per guardare Rand e chiuse di nuovo gli occhi. In un angolo c’erano l’arco e la faretra di Mat.

«Ho sentito che non stavi bene» disse Rand. Andò a sedersi sul letto vicino. «Volevo solo parlare. Io...» Non sapeva come affrontare il discorso. «Se stai male» aggiunse, alzandosi a metà «forse è meglio lasciarti dormire. Me ne vado, se vuoi.»

«Non so se riuscirò mai più a dormire» sospirò Perrin. «Ho avuto un brutto sogno, se vuoi saperlo, e non ho potuto riaddormentarmi. Mat non si lascerà scappare l’occasione di raccontarti tutto. Stamattina si è messo a ridere, quando gli ho spiegato come mai ero troppo stanco per uscire con lui; ma anche Mat ha sognato. Per quasi tutta la notte ho sentito che si agitava e borbottava: certo non si è fatto una bella notte di sonno.» Col braccio si coprì gli occhi. «Luce santa, mi sento sfinito! Forse, se rimango a letto un paio d’ore, troverò la forza d’alzarmi. Mat non smetterà più di prendermi in giro, se per colpa di un sogno rinuncerò a vedere Baerlon.»

Rand tornò a sedersi. Si umettò le labbra e disse d’un fiato: «Ha ucciso un topo?»

Perrin abbassò il braccio e fissò Rand. «Anche tu?» disse infine. Quando Rand annuì, soggiunse: «Vorrei essere ancora a casa mia. Mi ha detto... ha detto... Cosa facciamo? Ne hai parlato a Moiraine?»

«No. Non ancora. Forse non le dirò niente. Non so. E tu?»

«Lui ha detto... Sangue e ceneri, Rand, non so.» A un tratto si alzò sui gomiti. «Credi che Mat abbia fatto lo stesso sogno? Si è messo a ridere, ma pareva un riso sforzato; e ha fatto una faccia strana, quando gli ho detto che non avevo dormito per colpa di un sogno.»

«Forse anche lui l’ha sognato» disse Rand. Provò un certo sollievo, scoprendo di non essere stato il solo. «Volevo chiedere consiglio a Thom. Lui conosce il mondo. Credi... credi che sia meglio parlarne a Moiraine?»

Perrin si lasciò cadere sul guanciale. «Hai sentito le storie sulle Aes Sedai. Ma possiamo fidarci di Thom? Ammesso che esista qualcuno di cui fidarci. Rand, se ne usciamo vivi, se mai torniamo a casa e mi senti parlare di andare via da Emond’s Field, anche solo fino a Watch Hill, dammi un calcio. D’accordo?»

«Che discorsi! Certo che torneremo a casa. Su, alzati! Siamo in una città e abbiamo un giorno intero per visitarla. Dove hai messo i vestiti?»

«Vai tu. Voglio starmene a letto ancora un poco.» Tornò a coprirsi gli occhi. «Ti raggiungo fra un paio d’ore.»

«Come vuoi.» Rand si alzò. «Pensa a cosa perdi.» Alla porta si fermò. «Baerlon. Quante volte abbiamo parlato di vedere Baerlon, un giorno?» Perrin rimase disteso, coprendosi gli occhi, e non disse parola. Dopo un momento Rand uscì e chiuse la porta.

Nel corridoio si appoggiò alla parete. Aveva ancora mal di testa: anzi, era peggiorato. E non si sentiva molto entusiasta all’idea di visitare Baerlon.

Arrivò una cameriera con le braccia cariche di lenzuola e lo fissò, preoccupata. Prima che lei aprisse bocca, Rand si allontanò nel corridoio, gettandosi sulle spalle il mantello. Thom avrebbe impiegato ore, prima di terminare. Tanto valeva dare un’occhiata in giro. Forse avrebbe trovato Mat e scoperto se anche lui aveva sognato Ba’alzamon. Scese le scale, stavolta più lentamente, sfregandosi la tempia.

La scala terminava nei pressi della cucina, così uscì da quella parte, rivolgendo a Sara un cenno di saluto, ma allungando il passo quando gli parve che volesse riprendere il discorso dal punto in cui si era interrotta. Nel cortile c’erano solo Mutch, fermo sulla soglia della stalla, e un mozzo che portava dentro un sacco. Rand rivolse un cenno di saluto anche a Mutch, ma questi gli lanciò un’occhiata torva ed entrò nella stalla. Rand si augurò che in città ci fosse gente più simile a Sara che a Mutch. Allungò il passo.

Si fermò davanti al cancello spalancato del cortile e guardò fuori. La gente affollava la via, come pecore nel recinto: persone avviluppate nel mantello e nella giubba, col berretto calato sugli occhi, per proteggersi dal freddo, si muovevano a passo rapido da ogni parte, come spinte dal vento che fischiava sopra i tetti, e si facevano largo a gomitate, quasi senza una parola né un’occhiata. “Sono tutti degli estranei, l’uno con l’altro” pensò Rand.

Gli odori erano nuovi, per lui: penetranti, aspri e dolci, un miscuglio che gli diede il prurito al naso. Anche nel pieno della Festa non aveva visto tanta folla. E lì riempiva una sola via. Mastro Fitch e la cuoca avevano detto che la città era piena di gente. Quella scena... dappertutto?

Arretrò lentamente dalla porta e dalla via affollata. Non era giusto andare a zonzo mentre Perrin era a letto, ammalato. E se Thom avesse terminato di raccontare le storie prima del suo ritorno? Forse anche Thom sarebbe uscito e lui aveva bisogno di parlare a qualcuno. Meglio aspettare un poco. Con un sospiro di sollievo girò la schiena alla via affollata.

Però non aveva voglia di rientrare nella locanda, dal momento che aveva ancora mal di testa. Si sedette su di un barile capovolto, contro la parete esterna, con la speranza che l’aria fresca gli giovasse.

Di tanto in tanto Mutch veniva sulla soglia della stalla a fissarlo; anche dall’altra parte del cortile, Rand scorgeva la smorfia di disapprovazione dello stalliere. Non aveva in simpatia la gente di campagna? O era irritato perché mastro Fitch li aveva accolti con tutti gli onori dopo che lui li aveva rimproverati d’essere entrati da quella parte? Forse era un Amico delle Tenebre, sì disse, pronto a ridacchiare di quell’idea; ma il pensiero non gli parve affatto divertente. Passò la mano sull’elsa della spada di Tam. Non ne rimanevano molti, di pensieri divertenti.

«Un pastore che porta una spada col marchio dell’airone!» disse piano una voce femminile. «Ben poco riuscirà ancora a sorprendermi. In quali guai ti sei cacciato, contadino?»

Sorpreso, Rand scattò in piedi. Era la ragazza dai capelli corti che aveva visto parlare con Moiraine, uscendo dalla stanza dei bagni; portava ancora giubba e brache maschili. Era un po’ più anziana di lui, pensò Rand; aveva occhi scuri più grandi di quelli di Egwene e uno sguardo bizzarramente risoluto.

«Sei Rand, vero?» continuò la ragazza. «Mi chiamo Min.»

«Non sono nei guai» rispose lui. Non sapeva che cosa Moiraine avesse detto alla ragazza, ma ricordò l’ammonimento di Lan: non attirare l’attenzione. «Cosa te lo fa credere? I Fiumi Gemelli sono un luogo tranquillo e noi siamo gente tranquilla. I nostri guai, se ci sono, riguardano solo il raccolto o le greggi.»

«Tranquilla?» disse Min, con una traccia di sorriso. «Ho udito la gente parlare di voi dei Fiumi Gemelli. E le storielle sui pastori dalla testa di legno; e poi c’è gente che è stata davvero giù nelle campagne.»

«Testa di legno?» disse Rand, corrugando la fronte. «Quali storielle?»

«Chi vi conosce» continuò lei, come se non fosse stata interrotta «dice che siete tutti sorrisi e gentilezza, mansueti, teneri come burro. In superficie, almeno. Sotto, siete duri come radici d’una vecchia quercia. Scavando ancora, viene alla luce la pietra. Ma la pietra non è sepolta molto in profondità, in te e nei tuoi amici. Come se una tempesta avesse spazzato via la maggior parte del rivestimento. Moiraine non mi ha detto tutto, ma anch’io ho gli occhi.»

Radici di vecchia quercia? Pietra? Non parevano proprio discorsi tipici dei mercanti o delle loro guardie, si disse Rand. Ma nell’udire l’ultima frase trasalì.

Si guardò rapidamente intorno: il cortile della stalla era deserto e le finestre più vicine erano chiuse. «Non conosco nessuno che si chiami... come hai detto?»

«Lady Alys, se preferisci» rispose Min, con un’occhiata di divertimento che fece arrossire Rand. «Non c’è nessuno a portata d’orecchio.»

«Cosa ti fa credere che lady Alys abbia un altro nome?»

«Il fatto che me l’abbia detto» rispose Min, paziente. «Ma non credo che avesse scelta. Ho visto subito che era... diversa. Quando si è fermata qui alla locanda, prima di proseguire per la campagna. Sapeva di me. Ho già parlato con... altre come lei.»

«Hai visto che era diversa?»

«Be’, non credo che ti precipiterai dai Figli, considerando con chi viaggi. Ai Manti Bianchi non piacerebbe quel che faccio io più di quanto non piaccia quel che fa lei.»

«Non capisco.»

«Lei dice che vedo frammenti del Disegno.» Con una risatina Min scosse la testa. «Mi sembra un’esagerazione. Ma vedo delle cose, quando guardo la gente, e a volte ne capisco il significato. Guardo un uomo e una donna che non si sono mai scambiati neppure una parola e so che si sposeranno. E loro si sposano. Cose di questo genere. Lei voleva che ti guardassi. Te e tutti gli altri insieme.»

Rand rabbrividì. «E cos’hai visto?»

«Quando siete in gruppo? Scintille che turbinano intorno a te, migliaia di scintille; e una grossa ombra, più nera della notte. Così intensa che mi domando come mai nessun altro la scorga. Le scintille cercano di vincere l’ombra e l’ombra cerca d’inghiottire le scintille.» Scrollò le spalle. «Siete tutti legati insieme in qualcosa di pericoloso, ma non riesco a capirne di più.»

«Tutti?» mormorò Rand. «Anche Egwene? Ma davano la caccia solo a... voglio dire...»

Min non parve notare il passo falso. «La ragazza? Anche lei ne fa parte. E il menestrello. Tutti voi. Tu sei innamorato della ragazza.» Lo fissò. «Me ne accorgo anche senza la seconda vista. Pure lei ti ama, ma non è per te, né tu sei per lei. Non nel modo che tutt’e due vorreste.»

«E questo cosa significherebbe?»

«Quando la guardo, vedo le stesse cose di quando guardo... lady Alys. Anche altre cose, che non capisco; ma so qual è il significato. Lei non rifiuterà.»

«Tutte sciocchezze» protestò Rand, a disagio. Il mal di testa si era calmato, ma si sentiva intontito, come se avesse il cranio pieno di lana. Voleva allontanarsi da quella ragazza e dalle cose che lei vedeva. Tuttavia... «Cosa vedi, quando guardi... il resto del gruppo?»

«Cose d’ogni genere» disse Min, con un sorriso, come se sapesse che cosa lui voleva realmente chiedere. «La Guerra... ah... mastro Andra ha sette torri in rovina intorno alla testa, e un bimbo in culla regge una spada, e...» Scosse la testa. «Uomini come lui, capisci, hanno sempre un mucchio d’immagini che si accavallano. Le immagini più forti intorno al menestrello mostrano un uomo, non lui, che col fuoco fa giochi di prestigio, e la Torre Bianca, e questo non ha senso, per un uomo. Le immagini più forti che vedo intorno al tipo robusto e ricciuto sono un lupo, una corona infranta, alberi che gli fioriscono intorno. E per l’altro... un’aquila rossa, un occhio sul piatto d’una bilancia, un pugnale con un rubino, un corno, una faccia che ride. Ci sono altre cose, ma capisci cosa intendo. Stavolta non riesco a trarne senso.» Allora rimase in attesa, continuando a sorridere, finché alla fine lui si schiarì la voce.

«E intorno a me?»

Il sorriso si bloccò l’attimo prima di diventare risata vera e propria. «Lo stesso genere di cose che vedo negli altri. Una spada che non è una spada, un’aurea corona di foglie d’alloro, un bastone di mendicante, tu che versi acqua sulla sabbia, una mano insanguinata e un ferro rovente, tre donne in piedi accanto a un catafalco dove tu sei disteso, roccia nera bagnata di sangue...»

«E va bene» la interruppe Rand, a disagio. «Non occorre che le elenchi tutte.»

«La maggior parte delle volte vedo fulmini intorno a te: alcuni ti colpiscono, altri provengono da te. Non so cosa significhi, ma so una cosa. Tu e io ci incontreremo di nuovo.» Gli scoccò un’occhiata incuriosita, come se neppure lei capisse.

«E perché non dovremmo? Passerò da qui, tornando a casa.»

«Immagino di sì.» A un tratto sorrise di nuovo, con ironia e aria di mistero, e gli diede un buffetto sulla guancia. «Ma se ti dicessi tutto quello che vedo, ti verrebbero i capelli ricci come quelli del tuo amico tutto spalle.»

Rand si sottrasse di scatto, come se la mano di lei fosse un ferro rovente. «Che vuoi dire? Vedi qualcosa riguardante i topi? O i sogni?»

«Topi! No, niente topi. In quanto ai sogni, forse tu pensi che sia un sogno, non io.»

Rand si domandò se fosse pazza, per sogghignare in quel modo. «Devo andare» disse, girandole intorno. «Devo... devo raggiungere i miei amici.»

«Vai, allora. Ma non sfuggirai.»

Rand non si mise a correre, ma ogni suo passo fu più svelto del precedente.

«Corri, se vuoi» gli gridò dietro Min. «Non puoi sfuggire a me.»

La sua risata lo spinse ad attraversare in fretta il cortile e a uscire in strada, fra la folla. Le ultime parole assomigliavano troppo a quelle di Ba’alzamon. Correndo, urtò alcune persone, si guadagnò occhiatacce e imprecazioni, ma rallentò solo quando fu a parecchie vie di distanza dalla locanda.

Dopo un poco cominciò di nuovo a fare attenzione a dove si trovava. Si sentiva intontito, ma si guardava intorno e si divertiva ugualmente. Pensava che Baerlon fosse una città magnifica, anche se diversa dalle città delle storie di Thom. Andò a zonzo per vie larghe, quasi tutte lastricate, e per vicoli tortuosi, dovunque il caso e il movimento della folla lo portavano. Nella notte era piovuto e nelle vie in terra battuta c’era uno strato di fanghiglia, ma per Rand il fango non era una novità: a Emond’s Field non c’erano vie lastricate.

A dire il vero nella città non c’erano palazzi e solo alcune case erano molto più grandi di quelle del suo paesello, ma tutte avevano un tetto d’ardesia o di tegole bello come quello della Fonte di Vino. Rand immaginò che i palazzi fossero invece a Caemlyn. Per quanto riguardava le locande, ne contò nove, nessuna più piccola della Fonte di Vino e quasi tutte grandi quanto il Cervo e Leone; ma aveva ancora un mucchio di vie da visitare.

Botteghe punteggiavano ogni via, con tendoni stesi a proteggere i banchi per l’esposizione delle merci, dalle stoffe ai libri, dal vasellame agli stivali. Sembrava che cento carri di venditori ambulanti avessero riversato lì il proprio contenuto. Rand rimaneva incantato a guardare, tanto che diverse volte fu costretto a filarsela per le occhiate di sospetto del bottegaio. La prima volta non aveva capito perché il padrone della bottega lo guardasse a quel modo. Quando infine capì, si sentì salire la mosca al naso, ma poi ricordò d’essere un forestiero, in quella città. Comunque, non avrebbe potuto comprare molto: rimase a bocca aperta, quando vide quante monete di rame occorrevano per comprare una decina di mele scolorite o una manciata di rape vizze: roba che nei Fiumi Gemelli avrebbero dato ai cavalli, ma che lì la gente sembrava ansiosa d’acquistare.

C’era senz’altro un mucchio di gente, calcolò Rand. Alcuni indossavano vestiti di buon taglio, migliori di qualsiasi vestito visto nei Fiumi Gemelli — belli quasi quanto quelli di Moiraine — e parecchi portavano lunghi giacconi orlati di pelliccia che sbattevano contro le caviglie. I minatori, di cui alla locanda tutti continuavano a parlare, avevano l’aria ingobbita di chi è abituato a scavare sottoterra. Ma gran parte della gente non sembrava diversa da quella con cui lui era cresciuto, sia nel modo di vestire, sia nel viso. Chissà perché, si era aspettato che fosse diversa; invece parecchi avevano l’aria di gente dei Fiumi Gemelli, tanto che lui poteva immaginare che appartenessero all’una o all’altra delle famiglie che conosceva a Emond’s Field. Un tizio sdentato, dai capelli grigi e orecchie che sembravano manici di caraffa, seduto sulla panca davanti a una locanda a guardare tristemente il boccale vuoto, avrebbe potuto essere un parente stretto di Bili Congar. Il sarto dalla mascella cascante che cuciva davanti alla propria bottega sembrava quasi il fratello di Jon Thane, aveva perfino la stessa pelata. Una copia quasi esatta di Samel Crawe passò accanto a Rand, mentre questi svoltava l’angolo e...

Incredulo, Rand fissò un ometto ossuto con le braccia lunghe e il naso a patata, che si faceva frettolosamente largo tra la folla e indossava vestiti che sembravano un mucchietto di stracci. L’uomo aveva gli occhi infossati e il viso smagrito e sporco, come se da giorni non mangiasse né dormisse, ma Rand avrebbe giurato... In quel momento lo straccione lo scorse e si bloccò, incurante della gente che lo urtava. Rand sentì svanire l’ultimo dubbio.

«Mastro Fain!» gridò. «Credevamo tutti che fossi...»

Rapido come un battito di ciglia, l’ambulante schizzò via, ma Rand lo inseguì, chiedendo scusa senza fermarsi alla gente che urtava. Tra la folla scorse Fain infilarsi in un vicolo e gli andò dietro. Dopo alcuni passi l’ambulante si fermò. Un’alta staccionata rendeva la viuzza un vicolo cieco. Mentre Rand si arrestava, Fain si girò contro di lui, raccolto su se stesso, e arretrò con diffidenza. Agitò le mani luride per tenerlo indietro. La sua giubba aveva più d’uno strappo e il mantello era consunto e lacero come se fosse stato usato più rudemente del dovuto.

«Mastro Fain?» domandò Rand, in tono esitante. «Cosa c’è? Sono io, Rand al’Thor, di Emond’s Field. Credevamo tutti che i Trolloc ti avessero divorato.»

Fain gesticolò bruscamente e, sempre raccolto su se stesso, mosse alcuni passi di lato, verso l’apertura del vicolo. Non cercò di oltrepassare Rand e nemmeno di accostarsi a lui. «No!» ansimò. Muoveva in continuazione la testa e cercava di guardare tutto quel che c’era nella via alle spalle di Rand. «Non nominare...» La voce divenne un bisbiglio rauco e Fain lanciò a Rand rapide occhiate di traverso. «Non nominarli! Ci sono Manti Bianchi, in città.»

«Non hanno motivo d’infastidirci. Vieni con me al Cervo e Leone. Mi sono fermato lì, con alcuni amici. Li conosci quasi tutti. Saranno lieti di vederti. Ti credevamo morto.»

«Morto?» sbottò l’ambulante, indignato. «Padan Fain, no. Padan Fain sa da quale parte saltare e dove atterrare. L’ha sempre saputo e lo saprà sempre.» Si aggiustò gli stracci, come se fosse vestito a festa. «Avrò vita lunga, più lunga di...» All’improvviso, con una smorfia, strinse le mani sul bordo della giubba. «Mi hanno bruciato il carro e tutte le mercanzie. Non avevano motivo di farlo, no? Non ho potuto prendere i cavalli. I miei cavalli. Quel grassone li aveva chiusi a chiave nella stalla. Mi sono dovuto muovere in fretta per non farmi tagliare la gola e cosa ho ottenuto? Mi resta solo quel che ho addosso. Ti sembra giusto, eh?»

«I tuoi cavalli sono al sicuro nella stalla di mastro al’Vere. Puoi riprenderli quando vuoi. Se vieni con me alla locanda, sono sicuro che Moiraine ti aiuterà a tornare ai Fiumi Gemelli.»

«Aaaaah! Lei è... lei è l’Aes Sedai, no?» Assunse un’espressione circospetta. «Forse, però...» Esitò, si umettò nervosamente le labbra. «Quanto vi fermerete in questa... Come si chiama? Cervo e Leone?»

«Partiamo domani. Ma cosa c’entra con...»

«Tu non capisci, lì a pancia piena, dopo una bella dormita in un comodo letto» gemette Fain. «Quasi non ho chiuso occhio, da quella notte. Ho consumato gli stivali, a furia di correre, e in quanto al cibo...» Contorse il viso in una smorfia. «Non voglio avvicinarmi nemmeno a un miglio da una Aes Sedai.» Parve sputare le ultime due parole. «Nemmeno a dieci miglia. Ma forse sarò costretto. Non ho scelta, no? Il pensiero che lei mi guardi, o solo che sappia dove mi trovo...» Allungò la mano verso Rand, come se volesse afferrargli la giubba, ma si fermò prima, tremando, e in realtà indietreggiò d’un passo. «Promettimi che non le dirai niente. Mi mette paura. Non c’è motivo di dirglielo, non c’è motivo che una Aes Sedai sappia che sono vivo. Devi prometterlo. Devi!»

«Promesso» disse Rand, per calmarlo. «Ma non hai motivo d’essere terrorizzato da lei. Vieni con me. Almeno avrai un pasto caldo.»

«Forse. Forse.» Fain si strofinò il mento, pensieroso. «Domani, hai detto? Nel frattempo... non dimenticherai la promessa? Non le farai sapere...»

«Non lascerò che ti faccia del male» disse Rand, domandandosi però come avrebbe potuto impedire a una Aes Sedai di fare quel che voleva.

«Non mi farà del male» disse Fain. «No, non lo farà. Non glielo permetterò.» Come un lampo saettò davanti a Rand e si tuffò tra la folla.

«Mastro Fain!» gli gridò dietro Rand. «Aspetta!»

Uscì di corsa nella via, appena in tempo per scorgere il mantello lacero scomparire dietro l’angolo. Continuando a chiamarlo, corse dietro di lui e girò l’angolo. Ebbe solo il tempo di vedere la schiena di un uomo, prima di andarci a sbattere contro: tutt’e due finirono nel fango, l’uno sull’altro.

«Non guardi dove corri?» brontolò una voce, da sotto. Rand si tirò in piedi, sorpreso.

«Mat?»

Mat si alzò a sedere, con sguardo minaccioso, grattando via fango dal mantello. «Diventi proprio un uomo di città. Dormi fino a mezzogiorno e pesti la gente.» Si tirò in piedi, si fissò le mani sporche di fango, brontolò e se le pulì sul mantello. «Non immagini nemmeno chi ho appena visto.»

«Padan Fain» disse Rand.

«Padan Fa... Come lo sai?»

«Lo inseguivo, ma mi è sfuggito.»

«Allora i Tro...» Mat s’interruppe, guardingo, ma i passanti non li degnarono di un’occhiata. Rand fu lieto di vedere che l’amico aveva imparato un po’ di prudenza. «Allora non l’hanno catturato» riprese Mat. «Chissà perché se n’è andato da Emond’s Field, così senza una parola. Probabilmente si è messo a correre e non si è più fermato finché non è arrivato qui. Ma perché correva anche un minuto fa?»

Rand scosse la testa e subito rimpianse d’averlo fatto: pareva che volesse staccarsi dal collo. «So solo che ha paura di... di lady Alys.» Non era facile stare sempre attenti a quel che si diceva. «Non vuole che lei sappia che lui è qui. Mi ha fatto promettere di non dirglielo.»

«Per quel che mi riguarda, il suo segreto è al sicuro» disse Mat. «Vorrei che lei non avesse saputo nemmeno dov’ero io.»

«Mat?» La gente continuava a passare senza badare ai due ragazzi, ma Rand abbassò ugualmente la voce e si sporse più vicino. «Mat, hai avuto un incubo, stanotte? Un uomo che uccideva un topo?»

Mat lo fissò senza batter ciglio. «Anche tu?» disse infine. «E Perrin, immagino. A momenti glielo chiedevo, stamattina, ma... L’avrà avuto anche lui. Sangue e ceneri! Adesso qualcuno ci fa fare brutti sogni. Rand, vorrei che nessuno sapesse dove mi trovo!»

«Stamattina c’erano topi morti per tutta la locanda.» Ora aveva meno paura, a parlarne: la prima reazione era passata. «Tutti con la schiena rotta.» La sua stessa voce gli rombò nelle orecchie. Forse si stava per ammalare e allora avrebbe dovuto ricorrere a Moiraine. Nemmeno l’idea che usasse su di lui il Potere lo infastì e ne fu sorpreso.

Mat trasse un respiro profondo e si strinse nel mantello; si guardò intorno, come se cercasse un posto dove andare. «Cosa ci succede, Rand?»

«Non lo so. Volevo chiedere consiglio a Thom. Per sapere se devo parlarne a... ad altri.»

«No! Non a lei. A lui, forse, ma non a lei.»

Rand fu sorpreso per la brusca risposta. «Allora gli hai creduto?» Non fu necessario precisare a chi si riferiva: la smorfia sul viso di Mat indicò chiaramente che aveva capito.

«No» disse lentamente Mat. «Si tratta solo dei rischi, ecco tutto. Se ne parliamo a lei, e lui mentiva, forse non accadrà niente. Ma può darsi che il fatto d’essere nei nostri sogni sia sufficiente a... non so.» S’interruppe per deglutire. «Se a lei non diciamo niente, forse avremo altri sogni. Topi o non topi, i sogni sono meglio di... Ricordi il traghetto? Secondo me, stiamo zitti.»

«D’accordo.» Rand ricordava il traghetto, e anche la minaccia di Moiraine, ma aveva l’impressione che fossero cose accadute un mucchio di tempo prima. «D’accordo.»

«Perrin non dirà niente, vero?» continuò Mat, saltellando sulla punta dei piedi. «Dobbiamo tornare da lui. Se gliene parla, quella immaginerà che ci siamo dentro anche noi. Ne sono sicuro. Vieni.» S’incamminò a passo svelto tra la folla.

Rand rimase a fissarlo, finché Mat non tornò accanto a lui e lo afferrò per il braccio. Allora batté le palpebre e seguì l’amico.

«Cosa ti succede?» domandò Mat. «T’addormenti di nuovo?»

«Credo d’avere preso freddo» disse Rand. Si sentiva la testa vuota come un tamburo.

«Potrai bere un po’ di brodo di pollo, appena torniamo alla locanda» disse Mat. Continuò a chiacchierare senza interruzione, mentre cercavano la strada. Rand non si sforzò d’ascoltarlo e neppure di dire una parola di tanto in tanto; ma anche quello era uno sforzo. Non era stanco, non aveva sonno. Solo, gli sembrava di andare alla deriva. Dopo un poco si scoprì a raccontare a Mat l’incontro con Min.

«Un pugnale con un rubino, eh?» commentò Mat. «Mi piace. Ma non so niente dell’occhio. Sei sicuro che non si sia inventata tutto? Se è davvero un’indovina, dovrebbe sapere il significato.»

«Non ha detto d’essere un’indovina. Credo che veda davvero delle cose. Moiraine parlava con lei, quando siamo usciti dal bagno. E Min sa chi è Moiraine.»

Mat lo guardò di storto. «Credevo che non dovessimo usare quel nome.»

«Già» mormorò Rand. Si strofinò la testa. Non riusciva a concentrarsi su niente.

«Forse stai davvero male» disse Mat, ancora accigliato. A un tratto lo tirò per la manica. «Guarda quelli!»

Tre uomini, con cotta a piastre e copricapo d’acciaio a forma di cono, tanto lucidi da brillare come argento, si facevano strada verso Rand e Mat. Persino la maglia sulle braccia luccicava. I lunghi mantelli, d’un bianco candidissimo e con un sole raggiante ricamato a filo d’oro sulla parte sinistra del petto, sfioravano quasi il fango e le pozzanghere della via. I tre tenevano la mano sull’elsa e si guardavano intorno con l’aria di chi osservi creature striscianti appena uscite da sotto un tronco marcio. Però nessuno incrociava il loro sguardo. Nessuno sembrava notarli. Eppure i tre non avevano bisogno di farsi largo tra la calca: la folla si apriva come per caso e lasciava intorno ai tre uno spazio vuoto che si muoveva con loro.

«Credi che siano Figli della Luce?» domandò Mat a voce alta. Un passante gli scoccò un’occhiataccia e allungò il passo.

Rand annuì. Figli della Luce. Manti Bianchi. Uomini che odiavano le Aes Sedai. Uomini che dicevano alla gente come vivere, mettendo nei guai chi si rifiutava di ubbidire.

«Non sembrano granché» disse Mat. «Boriosi, però, non è vero?»

«Non ci interessano» rispose Rand. «La locanda. Dobbiamo parlare a Perrin.»

«Sono come Eward Congar. Anche lui ha sempre il naso all’aria.» A un tratto Mat ridacchiò, con un lampo negli occhi. «Ti ricordi quando cadde dal Ponte Carraio e se ne tornò a casa bagnato fradicio? Gli si abbassò la cresta per un mese.»

«Cosa c’entra, con Perrin?»

«Vedi quello?» Mat indicò un carretto con le stanghe appoggiate per terra, in un vicolo proprio sul percorso dei Figli. Un solo piolo bloccava sul pianale una decina di barili impilati. «Stai a vedere.» Ridendo, s’infilò di corsa nella bottega d’un coltellinaio, alla loro sinistra.

Rand rimase a fissarlo, pur sapendo di dover intervenire. Quella luce negli occhi di Mat significava che stava per combinarne una delle sue. Però, stranamente, si trovò ad aspettare con ansia di vedere che cosa avrebbe combinato Mat. Una vocina gli diceva che era sbagliato, pericoloso; ma lui sorrise lo stesso nell’attesa.

In un minuto Mat comparve sopra di lui e dalla finestra della soffitta passò sul tetto di tegole della bottega. Reggeva la fionda e aveva già iniziato a farla roteare. Rand guardò il carretto. Quasi subito ci fu uno schiocco secco e il piolo che reggeva i barili si spezzò proprio mentre i Manti Bianchi entravano fianco a fianco nel vicolo. La gente balzò di lato, mentre i barili rotolavano con fracasso lungo le stanghe del carro e nella via, schizzando acqua e fango in tutte le direzioni. I tre Figli balzarono di lato con la stessa rapidità degli altri, con aria di sorpresa anziché di superiorità. Alcuni passanti caddero per terra e provocarono altri schizzi; i tre si mossero con agilità ed evitarono facilmente i barili. Ma non gli schizzi di fango che inzaccherarono i candidi mantelli.

Un uomo barbuto, con un lungo grembiule, uscì in fretta dal vicolo agitando i pugni e gridando di rabbia, ma dopo un’occhiata ai tre che cercavano invano di ripulire dal fango i mantelli, rientrò nel vicolo anche più rapidamente di quanto non ne fosse uscito. Rand guardò il tetto della bottega: Mat era scomparso. Era stato un tiro facile, per un qualsiasi ragazzo dei Fiumi Gemelli, ma il risultato era il massimo che si potesse sperare. Rand non riuscì a trattenere le risa. Quando si girò verso la via, i tre Manti Bianchi lo fissavano.

«Lo trovi buffo, eh?» disse quello un po’ più avanti degli altri. Aveva un’aria arrogante e lo sguardo acceso di chi conosce una cosa importante di cui tutti sono all’oscuro.

Di colpo Rand smise di ridere. Era rimasto da solo con i Figli, il fango e i barili. La folla che li circondava aveva scoperto d’avere affari urgenti altrove.

«La paura della Luce ti lega la lingua?» La rabbia rendeva più tirato il viso magro del Manto Bianco. L’uomo lanciò un’occhiata sprezzante all’elsa della spada che sporgeva dal mantello di Rand.«Forse il responsabile sei tu, eh?» A differenza degli altri, aveva un nodo dorato sotto il sole raggiante ricamato sul mantello.

Rand mosse la mano, con l’intenzione di coprire la spada; invece si gettò sulla spalla il lembo del mantello. Una parte di lui rimase sconvolta per quel gesto di sfida, ma Rand scacciò quel pensiero. «Un incidente può sempre capitare» disse. «Anche ai Figli della Luce.»

L’uomo inarcò il sopracciglio. «Sei così pericoloso, bamboccio?» Non era molto più anziano di Rand.

«Il marchio dell’airone, Lord Bornhald» lo ammonì uno degli altri due.

L’uomo lanciò di nuovo un’occhiata all’elsa della spada di Rand... l’airone di bronzo era evidente... e per un attimo sgranò gli occhi. Poi fissò in viso Rand e sbuffò con aria sprezzante. «È troppo giovane» disse al collega. Si rivolse freddamente a Rand. «Non sei di qui, eh? Da dove vieni?»

«Sono appena giunto a Baerlon.» Un formicolio d’eccitazione gli percorse braccia e gambe: si sentì rosso in viso, quasi accaldato. «Non conosci per caso una buona locanda?»

«Eludi le domande» replicò, brusco, Bornhald. «Quale forza del male t’impedisce di rispondermi?» I suoi due compagni lo affiancarono, con viso duro e inespressivo. Nonostante le macchie di fango, adesso in loro non c’era niente di buffo.

Il formicolio lo riempì d’un calore febbrile. Rand si sentiva così bene da avere voglia di ridere. Una vocina nella testa gli gridava che c’era qualcosa di sbagliato, ma lui riusciva solo a pensare che era pieno d’energia, quasi da scoppiare. Sorridendo, si dondolò sui talloni e aspettò gli eventi. Vagamente si domandò quali sarebbero stati.

Il viso del capo s’indurì. Uno degli altri due estrasse in parte la spada, tanto da mostrare quattro dita d’acciaio, e parlò con voce vibrante di rabbia: «Quando i Figli della Luce fanno una domanda, zuccone dagli occhi grigi, si aspettano una risposta, altrimenti...» S’interruppe, mentre il capitano lo bloccava col braccio. Bornhald sollevò di scatto la testa per guardare la via.

La Guardia Cittadina era arrivata: una decina d’uomini in copricapo rotondo d’acciaio e gambali di cuoio rinforzati con borchie. Impugnavano bastoni dalla punta ferrata e avevano l’aria di saperli usare. Si fermarono a dieci passi, in silenzio, e guardarono la scena.

«Questa città ha perduto la Luce» brontolò l’uomo che aveva estratto in parte la spada. Alzò la voce. «Baerlon vive nell’Ombra del Tenebroso!» gridò alle Guardie. A un gesto di Bornhald, rinfoderò con un colpo secco la spada.

Bornhald si girò verso Rand. «Gli Amici delle Tenebre non ci sfuggono, bamboccio, neanche in una città che vive nell’Ombra. Ci incontreremo ancora. Stanne certo!»

Girò sui tacchi e si allontanò, con i due compagni alle calcagna, come se Rand avesse smesso di esistere. Quando arrivarono nel tratto affollato della via, lo stesso varco casuale si aprì intorno a loro. Gli uomini della Guardia esitarono, osservando Rand, poi si misero in spalla i bastoni ferrati e seguirono i tre dal mantello bianco. Furono costretti ad aprirsi la strada gridando: «Largo alla Guardia!» Ma pochi si scostarono, se non di malavoglia.

Rand si dondolava ancora sui talloni, aspettando. Il formicolio era tanto forte da farlo quasi tremare; gli pareva di bruciare.

Mat uscì dalla bottega e lo fissò. «Non sei malato» disse infine. «Sei impazzito!»

Rand trasse un sospiro profondo e all’improvviso quella sensazione di potere svanì come bolla punta da uno spillo. Barcollò, rendendosi conto solo allora dell’enormità del suo gesto. Si umettò le labbra a incrociò lo sguardo di Mat. «Penso che sia meglio tornare subito alla locanda» disse a disagio.

«Sì» convenne Mat. «Sì, penso proprio che sia meglio.»

Le vie si erano riempite di nuovo e più d’un passante fissò i due ragazzi e mormorò qualcosa ai compagni. Rand era sicuro che la storia si sarebbe diffusa. Un pazzo aveva cercato di attaccare briga con tre Figli della Luce. C’era di che parlarne per giorni. “Forse i sogni mi fanno impazzire davvero” pensò Rand.

Si smarrirono diverse volte nella confusione di vie, ma dopo un poco s’imbatterono in Thom Merrilin, che da solo formava una grandiosa processione tra la folla. Il menestrello disse d’essere uscito per sgranchirsi le gambe e respirare una boccata d’aria, ma ogni volta che qualcuno guardava due volte il mantello multicolore, lui annunciava con voce sonora: «Sono al Cervo e Leone, solo per stasera.»

Fu Mat, che iniziò a raccontargli confusamente il sogno, esprimendo il dubbio se bisognasse parlarne a Moiraine; ma anche Rand intervenne, perché c’erano delle differenze nel modo come lo ricordavano. O forse i due sogni erano davvero un po’ diversi l’uno dall’altro. Ma in gran parte coincidevano.

Quasi subito Thom si mise ad ascoltarli con grande interesse. Quando Rand menzionò Ba’alzamon, il menestrello afferrò per la spalla i due ragazzi e ordinò loro di tenere chiusa la bocca; si alzò sulla punta dei piedi per guardare al di sopra della folla, poi li spinse fuori della calca, in un vicolo cieco dove c’erano solo alcune casse e un cane rossiccio e scheletrico accucciato al riparo dal freddo.

Thom controllò se qualcuno si era fermato a origliare, prima di rivolgere l’attenzione ai due ragazzi. I suoi occhi azzurri trafissero i loro, tra un’occhiata e l’altra per controllare l’imboccatura del vicolo. «Non dite mai quel nome dove degli estranei possono udirvi» attaccò, a voce bassa, ma in tono pressante. «Nemmeno dove potrebbero udirvi. È un nome pericolosissimo, anche se non ci sono Figli della Luce in giro per le vie.»

Mat sbuffò. «Avrei una bella storia, sui Figli della Luce» disse, con un’occhiata ironica a Rand.

Thom non gli badò. «Se questo sogno l’avesse fatto solo uno di voi due...» Si tirò furiosamente i baffoni. «Ditemi tutto quello che ricordate. Ogni minimo particolare.» Mentre ascoltava, non smise di sorvegliare la via.

«...ha fatto il nome degli uomini che secondo lui sono stati usati» concluse Rand. Pensava d’avere riferito tutto. «Guaire Amalasan. Raolin Darksbane.»

«Davian» aggiunse Mat. «E Yurian Stonebow.»

«E Logain» terminò Rand.

«Nomi pericolosi» brontolò Thom. I suoi occhi parvero scavare nei loro più profondamente di prima. «Pericolosi quasi quanto quell’altro, per certi versi. Tutti morti, ora, tranne Logain. Alcuni morti da molto tempo. Raolin Darksbane da quasi duemila anni. Ma pur sempre pericolosi. Meglio non pronunciarli ad alta voce, anche se siete da soli. Molti non li riconoscerebbero, ma se per caso vi ascoltasse la persona sbagliata...»

«Insomma, chi erano?» domandò Rand.

«Uomini» mormorò Thom. «Uomini che scossero le colonne del cielo e fecero traballare le fondamenta del mondo. Non importa. Cercate di dimenticarli. Sono polvere, adesso.»

«Le Aes... Furono usati, come ha detto lui?» domandò Rand. «E uccisi?»

«Si potrebbe dire che la Torre Bianca li ha uccisi. Mettiamola così.» Per un momento Thom serrò le labbra, poi scosse la testa. «Ma, usati? No, non mi pare. La Luce sa che l’Amyrlin Seat ha molte trame in atto, ma non credo che sia responsabile anche della loro morte.»

Mat rabbrividì. «Ha detto moltissime cose. Cose folli. Tutte quelle su Lews Therin Kinslayer e su Artur Hawkwing. E l’Occhio del Mondo. Luce santa, cosa sarebbe?»

«Una leggenda» rispose lentamente il menestrello. «Forse. Una leggenda grande come quella del Corno di Valere, almeno nelle Marche di Confine. Lassù i giovani cercano l’Occhio del Mondo come i giovani di Illian cercano il Corno. Forse è una leggenda.»

«Cosa facciamo, Thom?» disse Rand. «Lo diciamo a lei? Non voglio fare altri sogni come questo. Forse lei ha un rimedio.»

«Forse il suo rimedio non ci piacerà» brontolò Mat.

Thom li esaminò, riflettendo e lisciandosi i baffi. «Vi consiglio di stare zitti» disse infine. «Non parlatene a nessuno, almeno per il momento. Potete sempre cambiare idea, se è il caso; ma se la informate, non potete più tornare indietro e sarete legati più che mai a... a lei.» All’improvviso si raddrizzò. «L’altro ragazzo! Dite che ha fatto lo stesso sogno? Avrà il buonsenso di tenere la bocca chiusa?»

«Credo di sì» rispose Rand, nello stesso momento in cui Mat diceva: «Tornavamo alla locanda per avvisarlo.»

«Voglia la Luce che non sia troppo tardi!» Con il mantello che gli sbatteva intorno alle caviglie e le toppe colorate che svolazzavano al vento, Thom uscì dal vicolo guardandosi alle spalle senza fermarsi. «E allora? Siete incollati al terreno?»

Rand e Mat si affrettarono a seguirlo, ma Thom non attese che lo raggiungessero. Stavolta non si soffermò, quando la gente notava il suo mantello, né rispose a quelli che lo salutavano. Si aprì un varco nelle vie affollate, come se fossero deserte. Rand e Mat si lanciarono quasi di corsa per stargli alle calcagna. In minor tempo di quanto Rand non si aspettasse arrivarono al Cervo e Leone.

Mentre entravano, Perrin uscì di fretta, cercando di gettarsi sulle spalle il mantello senza rallentare. Rischio di finire a terra, per non urtarli. «Venivo a cercare voi due» ansimò, ripreso l’equilibrio.

Rand lo afferrò per il braccio. «Hai parlato a qualcuno del tuo sogno?»

«Di’ che non l’hai fatto!» aggiunse Mat.

«È importante» disse Thom.

Perrin li guardò, confuso. «No, non ho detto niente. Sono appena sceso dal letto.» Abbassò le spalle. «Mi sono fatto venire il mal di testa, nel tentativo di non pensarci, altro che parlarne. Perché l’avete raccontato a Thom?»

«Dovevamo parlarne a qualcuno, per non impazzire» rispose Rand.

«Ti spiegherò dopo» aggiunse Thom, con un’occhiata significativa alla gente che entrava e usciva.

«D’accordo» convenne lentamente Perrin, ancora confuso. A un tratto si diede una manata sulla fronte. «M’avete fatto quasi scordare perché vi cercavo... e mi piacerebbe scordarlo. Dentro c’è Nynaeve.»

«Sangue e ceneri!» gridò Mat. «Come ha fatto ad arrivare? Moiraine... Il traghetto...»

Perrin sbuffò. «Pensi che una sciocchezza come un traghetto affondato possa fermarla? Ha fatto uscire Torralta... non so come sia tornato dall’altra parte del fiume, ma lei ha detto che si nascondeva in camera da letto e non voleva neanche avvicinarsi al Taren... comunque, l’ha costretto a trovare una barca abbastanza grande da trasportare lei e il cavallo e a remare per tutto il tragitto. Lui in persona. Gli ha dato solo il tempo di trovare un aiutante per manovrare un secondo paio di remi.»

«Luce santa!» mormorò Mat.

«Cosa ci fa, qui?» volle sapere Rand. Mat e Perrin gli rivolsero un’occhiata sprezzante.

«È venuta a cercare noi» spiegò Perrin. «Ora si trova con... con lady Alys e lì c’è un’atmosfera così gelida che potrebbe nevicare.»

«Non possiamo andarcene da un’altra parte per un poco?» disse Mat. «Mio padre dice che solo uno sciocco mette le mani in un nido di calabroni, se proprio non è costretto.»

«Non può obbligarci a tornare» tagliò corto Rand. «La Notte d’Inverno sarà bastata a farglielo capire. Altrimenti dovremo farglielo capire noi.»

A ogni parola Mat inarcò sempre più le sopracciglia e quando Rand terminò, emise un fischio sottovoce. «Hai mai provato a far fare a Nynaeve una cosa che lei non vuole? Io sì. Restiamo via fino a sera, ti dico, e poi entriamo di nascosto.»

«Per quel poco che la conosco» disse Thom «non si fermerà finché non avrà ottenuto quel che vuole. Se non riesce a ottenerlo subito, continuerà, col rischio di attirare proprio l’attenzione che non vogliamo.»

Questa considerazione li convinse. Si scambiarono un’occhiata, sospirarono ed entrarono nella locanda come se andassero ad affrontare i Trolloc.

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