20 Polvere nel vento

Mentre lasciavano l’edificio di pietra bianca, sui cavalli che si agitavano innervositi, il vento gelido giunse a folate, gemendo fra i tetti: agitò i mantelli come se fossero banderuole e spinse le nuvole a oscurare la sottile falce di luna. Lan ordinò sottovoce di stare tutti insieme e imboccò la via. I cavalli scartarono e tirarono sul morso, ansiosi di allontanarsi.

Rand guardò con diffidenza gli edifici che ora si stagliavano conto il buio della notte e le finestre vuote simili a orbite di teschio. Le ombre parevano muoversi. Di tanto in tanto si udiva un acciottolio: detriti gettati a terra dal vento. Almeno, si disse Rand, gli occhi invisibili erano scomparsi; ma il suo sollievo fu momentaneo. Perché erano scomparsi?

Con Thom e con gli altri di Emond’s Field formava un gruppo serrato. Egwene si teneva ingobbita, come se cercasse di attutire lo scalpiccio di Bela sul lastricato. Rand non avrebbe voluto nemmeno respirare: il rumore poteva attirare l’attenzione.

A un tratto si accorse che si era formato un certo intervallo fra loro e i due che li precedevano: il Custode e l’Aes Sedai erano sagome indistinte, una buona trentina di passi più avanti.

«Non lasciamoci distanziare» mormorò e spronò Cloud a un’andatura più rapida. Davanti a loro, un sottile filamento di nebbia grigio argento si muoveva a due spanne da terra e si allungava nella via.

«Fermo!» Il grido di Moiraine fu secco e pressante, ma soffocato.

Incerto, Rand bloccò il cavallo. Il filamento di nebbia ora tagliava completamente la via e si ingrossava lentamente come se sgorgasse dagli edifici ai lati. Ormai era grosso come un braccio. Cloud nitrì e cercò di allontanarsi, mentre Egwene e Thom e gli altri raggiungevano Rand. Anche i loro cavalli agitavano la testa e si rifiutavano di avvicinarsi alla nebbia.

Lan e Moiraine avanzarono lentamente verso l’ostacolo, ormai grosso come una gamba, e si fermarono dall’altra parte, a buona distanza. L’Aes Sedai esaminò il tentacolo di nebbia che li separava. Rand sentì lungo la schiena un improvviso brivido di paura. Una debole luminosità accompagnava la nebbia e diventava più intensa col crescere del tentacolo, ma superava appena il chiarore della luna. I cavalli, perfino Aldieb e Mandarb, si muovevano a disagio.

«Cos’è?» domandò Nynaeve.

«Il male di Shadar Logoth» rispose Moiraine. «Mashadar. Privo di vista, incapace di pensiero, si muove a casaccio per la città, come un lombrico nel terreno. Se riesce a toccarvi, morite.» Rand e gli altri arretrarono subito di qualche passo, ma non troppo. Nonostante tutto, in compagnia dell’Aes Sedai erano al sicuro.

«Allora come vi raggiungiamo?» disse Egwene. «Non puoi ucciderlo? Aprire un varco?»

La risata di Moiraine fu amara e breve. «Mashadar è grande quanto la stessa Shadar Logoth. L’intera Torre Bianca non potrebbe ucciderlo. Se lo danneggiassi quanto basta a farvi passare, attingendo all’Unico Potere, attirerei i Mezzi Uomini come con uno squillo di tromba. E Mashadar si precipiterebbe a riparare il danno e forse ci prenderebbe nella sua rete.»

Rand scambiò uno sguardo con Egwene, poi ripeté la domanda della ragazza. Moiraine sospirò.

«Non mi piace» disse «ma non abbiamo scelta. Altre vie saranno sgombre. Vedete quella stella?» Si girò a indicare una stella rossa, bassa nel cielo orientale. «Andate in direzione di quella stella e arriverete al fiume. Qualsiasi cosa accada, continuate a muovervi verso il fiume. Procedete alla massima velocità, ma soprattutto non fate rumore. Ci sono ancora i Trolloc. E quattro Mezzi Uomini.»

«Ma come ti ritroveremo?» protestò Egwene.

«Vi troverò io, state tranquilli. E ora andate. Questo tentacolo non possiede intelligenza, ma sente la presenza del cibo.» E infatti dal corpo principale si sollevavano altri filamenti grigio argento, che ondeggiavano pigramente come i tentacoli di un centobraccia in fondo a un lago del Waterwood.

Rand distolse lo sguardo dal tronco di nebbia opaca e vide che il Custode e l’Aes Sedai erano scomparsi. Si umettò le labbra e guardò i compagni: erano nervosi quanto lui. Peggio ancora, sembravano tutti in attesa che qualcuno facesse la prima mossa. Erano circondati dalla notte e dalle rovine. Da qualche parte c’erano i Fade e i Trolloc, forse proprio dietro l’angolo. I tentacoli di nebbia smisero di ondeggiare e si protesero: avevano scoperto la preda. A un tratto Rand si accorse di rimpiangere l’assenza di Moiraine.

Tutti lo fissavano ancora, incerti sulla strada da prendere. Rand girò Cloud e il grigio si lanciò al piccolo trotto, attaccandosi al morso per andare più veloce. Come se il fatto di muoversi per primo l’avesse proclamato la guida, tutti lo seguirono.

Senza Moiraine, non c’era nessuno a proteggerli, se Mordeth fosse ricomparso. E i Trolloc. E... Rand si costrinse a scacciare quei pensieri. Doveva seguire la stella rossa. E non pensare ad altro.

Tre volte furono costretti a tornare sui propri passi, perché la via era bloccata da uno sbarramento di pietra e di mattoni che i cavalli non avrebbero mai potuto superare. Rand udiva il respiro degli altri, secco e breve, a un pelo dal panico. Strinse i denti per smettere di ansimare. “Almeno fingi di non avere paura” si disse. “Te la cavi benino, testa di legno! Li porterai fuori di qui sani e salvi."

Girarono l’angolo. Una muraglia di nebbia illuminava di vivida luce come di luna piena il lastricato sconnesso. Tentacoli grossi come tronchi si avventarono nella loro direzione. Nessuno perse tempo. Si girarono e fuggirono al galoppo, in gruppo serrato, senza badare al rumore di zoccoli sulle pietre.

Due Trolloc comparvero nella via, a meno di dieci passi.

Per un istante, Trolloc ed esseri umani rimasero a fissarsi, sorpresi. Comparve una seconda coppia di Trolloc, e una terza, e una quarta, che formarono mucchio per la sorpresa. Ma durò solo un istante. Ululati gutturali echeggiarono contro gli edifici e i Trolloc balzarono all’attacco. I sei si sparpagliarono come quaglie.

In tre passi il grigio era già al galoppo. «Da questa parte!» gridò Rand, ma udì lo stesso grido da cinque gole diverse. I suoi compagni si erano lanciati in altrettante direzioni, inseguiti dai Trolloc.

Tre di questi inseguivano lui e agitavano bastoni muniti di cappio. Con un brivido Rand si accorse che tenevano il passo di Cloud. Si abbassò sul collo del grigio e lo incitò a correre, inseguito da grida rauche.

Più avanti la via si restringeva, tra edifici scoperchiati che pendevano di sghembo come ubriachi. Lentamente le finestre vuote si riempirono di un bagliore argenteo e lasciarono sgorgare una fitta nebbia. Mashadar.

Rand rischiò un’occhiata alle spalle. I Trolloc erano ancora a meno di cinquanta passi, chiaramente visibili nella luce emanata dalla nebbia. Un Fade cavalcava ora alle loro spalle e pareva che i Trolloc fuggissero da lui, oltre a inseguire Rand. Più avanti, cinque o sei tentacoli grigi ondeggiarono fuori delle finestre, poi dieci, saggiando l’aria. Cloud agitò la testa e nitrì, ma Rand lo spronò brutalmente e il cavallo si gettò avanti all’impazzata.

I tentacoli si tesero, quando Rand galoppò tra di essi, basso sul dorso del grigio, senza guardarli. Al di là, la via era sgombra. Spronò più forte Cloud e il cavallo balzò nell’ombra. Appena il bagliore di Mashadar si affievolì, Rand si guardò indietro.

I tentacoli grigi bloccavano mezza via e i Trolloc arretravano, ma il Fade staccò di sella una frusta e la fece schioccare sulla loro testa, traendo scintille dall’aria. Tenendosi acquattati, i Trolloc si lanciarono all’inseguimento. Il Mezzo Uomo esitò, studiando da sotto il cappuccio nero le braccia protese di Mashadar, poi anche lui spronò il cavallo.

Per un attimo i tentacoli si agitarono, incerti; poi colpirono con la rapidità della vipera. Almeno due agguantarono ciascun Trolloc, bagnandolo di luce grigia; teste animalesche si alzarono per urlare, ma la nebbia rotolò sulle bocche spalancate e vi penetrò soffocando le grida. Quattro tentacoli grossi come gambe umane frustarono il Fade; il Mezzo Uomo e il suo cavallo si contorsero come se ballassero, finché il cappuccio ricadde mettendo a nudo il viso livido e privo d’occhi. Il Fade urlò.

Non c’era suono, in quel grido, ma qualcosa riuscì a farsi strada, un gemito acutissimo quasi al di là dell’udito, simile al ronzio di tutti i calabroni del mondo messi insieme, che trafisse le orecchie di Rand. Cloud si agitò convulsamente, come se anche lui avesse udito, e corse più veloce che mai. Rand si tenne aggrappato, ansimando, con la gola secca come sabbia.

Dopo un poco si accorse di non udire più l’urlo del Fade morente e a un tratto il rumore del galoppo gli parve forte come un grido. Tirò con forza le redini e fermò il grigio accanto a un muro diroccato, proprio all’incrocio di due vie. Un monumento senza nome si alzava nel buio davanti a lui.

Accasciato sulla sella, Rand tese l’orecchio, ma udì solo il pulsare del proprio sangue. Aveva il viso imperlato di sudore gelido e rabbrividì nel vento che gli frustava il mantello.

Infine si raddrizzò. Negli squarci fra le nuvole, le stelle trapuntavano il cielo, ma quella rossa risaltava, bassa a oriente. Rand si domandò se qualcuno fosse sopravvissuto per vederla, se gli altri erano liberi o nelle mani dei Trolloc. Non poteva cercarli. Le rovine erano molto estese: poteva frugarle per giorni interi senza trovare nessuno, ammesso di evitare i Trolloc. E i Fade e Mordeth e Mashadar. Se i suoi compagni erano vivi e liberi, avrebbero seguito la stella. In caso contrario... Per quanto riluttante, decise di dirigersi al fiume.

Strinse in pugno le redini. Nella via trasversale una pietra colpì il selciato, con rumore secco. Rand si bloccò, trattenendo il fiato. Era nascosto nell’ombra, a un passo dall’angolo. Freneticamente pensò di tornare indietro. Cosa c’era, alle sue spalle? Cosa avrebbe fatto rumore rivelando la sua presenza? Non ricordava e aveva paura di staccare lo sguardo dall’angolo dell’edificio.

Le tenebre si gonfiarono, nell’angolo, e ne sporse l’ombra più lunga di un’asta. Un palo col cappio! Rand conficcò i talloni nei fianchi di Cloud e sguainò la spada; si lanciò alla carica e vibrò un fendente. Solo con uno sforzo disperato riuscì a bloccarlo appena in tempo. Mat arretrò con un grido, rischiando di cadere di cavallo e mollare l’arco.

Rand trasse un lungo respiro e abbassò la spada. Il braccio gli tremava. «Hai visto gli altri?» riuscì a dire.

Mat deglutì con forza, prima di sistemarsi meglio in arcione. «So... solo Trolloc» disse. Si portò la mano alla gola e si umettò le labbra. «Trolloc e basta. E tu?»

Rand scosse la testa. «Cercheranno di arrivare al fiume. Meglio imitarli.» Mat annuì in silenzio, continuando a tastarsi la gola. Si avviarono in direzione della stella rossa.

Non avevano ancora percorso cento passi, quando alle loro spalle, nel cuore della città, si alzò il gemito acuto di un corno Trolloc. Un altro rispose, da fuori le mura.

Rand rabbrividì, ma proseguì ad andatura moderata, tenendo d’occhio i punti più bui ed evitandoli per quanto possibile. Mat diede uno strattone alle redini, come se volesse lanciarsi al galoppo, ma poi lo imitò. Il suono di corno non si ripeté e nel silenzio arrivarono a un’apertura delle mura coperte di rampicanti, dove un tempo c’era una porta. Restavano solo le torri laterali, che si stagliavano, mozzate, contro il cielo nero.

Davanti all’apertura, Mat esitò; ma Rand disse piano: «Dentro siamo più al sicuro che fuori?» Non rallentò il grigio e dopo un momento Mat lo seguì fuori di Shadar Logoth, cercando di guardare da tutte le parti nello stesso istante. Rand emise un lento sospiro; aveva la bocca secca. “Ce la faremo” si disse. “Luce santa, ce la faremo!"

Le mura svanirono alle loro spalle, inghiottite dalla notte e dalla foresta. Attento al minimo rumore, Rand puntò dritto sulla stella rossa.

All’improvviso dietro di loro sbucò Thom al galoppo; rallentò solo il tempo sufficiente a gridare: «Correte, pazzi!» E subito urla e schianti d’arbusti rivelarono la presenza di Trolloc all’inseguimento.

Rand spronò Cloud e il grigio si lanciò dietro il castrone del menestrello. “Cosa accadrà, quando arriveremo al fiume senza Moiraine?" pensò Rand. “Luce santa, Egwene!"


Perrin rimase in sella nell’ombra e scrutò l’apertura non molto distante, passando il pollice sul filo dell’ascia. Pareva che ci fosse via libera, ma rimase lì fermo per cinque minuti a esaminare l’uscita. Il vento gli agitava i ricci arruffati e cercava di portargli via il mantello, ma Perrin se lo strinse addosso senza accorgersi realmente del gesto.

Sapeva che Mat, e quasi tutti a Emond’s Field, lo consideravano lento di riflessi. In parte perché era grande e grosso e di solito si muoveva con cautela per timore di rompere accidentalmente qualcosa o di far male a qualcuno, visto che era molto più robusto dei ragazzi della sua età; ma a dire il vero preferiva riflettere bene, se poteva. Mat, che era svelto a pensare, ed avventato, di solito finiva a mollo nell’acqua calda e in genere tirava con sé nel pentolone anche Rand, o Perrin, o tutt’e due.

Perrin sentì un nodo alla gola. “Luce santa, non è il momento di pensare a finire in pentola” si rimproverò. Cercò di rimettere ordine nei pensieri: riflettere con cura era il suo tipico modo di fare.

Un tempo, di fronte alla porta c’era una piazza con un’enorme fontana al centro. Esisteva ancora parte della fontana, un gruppo di statue in rovina poste intorno a un’ampia vasca rotonda, e un ampio spiazzo aperto. Per raggiungere la porta avrebbe dovuto percorrere un centinaio di passi e solo la notte l’avrebbe riparato da occhi in cerca di preda. Anche questo era un pensiero poco piacevole: ricordava fin troppo bene lo sguardo degli occhi invisibili.

Meditò sul suono di corni udito nella città poco tempo prima. Era quasi tornato indietro, convinto che alcuni degli altri fossero stati catturati, prima di capire che da solo non avrebbe potuto fare niente. Come aveva detto Lan, avrebbe dovuto affrontare un centinaio di Trolloc e quattro Fade. Moiraine Sedai aveva ordinato di raggiungere il fiume.

Tornò a esaminare la porta e giunse a una decisione. Uscì dall’ombra e si avviò nel buio meno fitto.

In quel momento un altro cavallo comparve sul lato opposto della piazza e si fermò. Anche Perrin si fermò e toccò l’ascia, senza ricavarne grande conforto. Se la sagoma scura era un Fade...

«Rand?» Il richiamo fu debole, esitante.

Perrin emise un sospiro di sollievo. «Sono Perrin, Egwene» rispose, a voce altrettanto bassa.

Si incontrarono accanto alla fontana.

«Hai visto gli altri?» domandarono insieme e risposero insieme scuotendo la testa.

«Se la saranno cavata» mormorò Egwene, accarezzando la testa di Bela. «Vero?»

«Moiraine Sedai e Lan baderanno a loro» rispose Perrin. «E a tutti noi, appena arriviamo al fiume.» Si augurò che fosse vero.

Quando varcarono la porta, provò un grande sollievo, anche se forse la foresta era piena di Trolloc. O di Fade. Scacciò quei pensieri. I rami spogli non impedivano di seguire la stella rossa e ormai erano fuori portata di Mordeth. Quell’essere l’aveva spaventato molto più dei Trolloc.

Presto sarebbero giunti al fiume e avrebbero incontrato Moiraine e lei li avrebbe messi anche fuori portata dei Trolloc. Il vento faceva strusciare i rami e stormire le foglie e gli aghi dei sempreverdi. Il grido triste d’un falco notturno aleggiò nel buio. Perrin e Egwene si avvicinarono l’uno all’altra, come per scaldarsi. Si sentivano davvero soli.

Alle loro spalle risuonò un corno Trolloc, con squilli rapidi e lamentosi, spingendo i cacciatori ad affrettarsi. Poi ululati rauchi e bestiali si levarono dietro di loro, incitati dal corno. E divennero più striduli, quando i Trolloc fiutarono la pista.

Perrin spinse al galoppo il cavallo, gridando: «Andiamo!» Egwene lo imitò. Spronarono i cavalli, senza badare al rumore e ai rami che li schiaffeggiavano.

Mentre correvano tra gli alberi, guidati tanto dall’istinto quanto dal chiaro di luna, Bela rimase indietro. Perrin si guardò alle spalle. Egwene dava calci alla giumenta e la frustava con le redini, ma senza grande risultato. E i Trolloc si avvicinavano. Perrin rallentò quanto bastava a non distanziarla.

«Corri!» gridò. Ora riusciva a distinguere i Trolloc, grandi sagome scure che saltavano fra gli alberi, mugghiando e ringhiando da agghiacciare il sangue. Strinse il manico dell’ascia, con tanta forza da avere male alle nocche. «Corri, Egwene! Corri!»

All’improvviso il cavallo nitrì e parve mancargli di sotto. Perrin, sbalzato di sella, protese le braccia per attutire il colpo e cadde a capofitto nell’acqua gelida. Aveva superato di slancio un dirupo ed era finito nell’Arinelle.

Per la sorpresa, spalancò la bocca e inghiottì un bel po’ d’acqua, prima di riemergere. Intuì, più che udire, un altro tonfo e pensò che certo Egwene l’aveva seguito anche nella caduta. Ansimando e soffiando, si mise a nuotare. Non era facile tenersi a galla: giubba e mantello erano inzuppati e aveva gli stivali pieni d’acqua. Cercò Egwene, ma vide solo lo scintillio della luna sull’acqua increspata dal vento.

«Egwene? Egwene!»

Una lancia cadde in acqua proprio davanti a lui e gli schizzò il viso. Ci furono altri tonfi, tutt’intorno. Sulla riva nacque una discussione e i Trolloc smisero di scagliare lance. Anche Perrin rinunciò a lanciare richiami, per il momento.

La corrente lo spinse a valle, ma le grida rauche e i ringhi lo seguirono lungo la riva, alla stessa andatura. Perrin si sganciò il mantello e lo abbandonò alla corrente: aveva diminuito un poco il peso che lo trascinava a fondo. Con tenacia prese a nuotare verso la riva opposta. Là non c’erano Trolloc. Almeno, lo sperava.

Nuotò come erano soliti fare a casa, nei laghi del Waterwood, fendendo l’acqua con entrambe le mani e scalciando come una rana, con la testa sollevata. Ma non era facile, tenere la testa fuor d’acqua: anche senza mantello, giubba e stivali sembravano pesare quanto lui. E l’ascia lo tirava sul fianco, se non di sotto. Perrin si domandò se non gli convenisse abbandonarla. Sarebbe stato più facile che cercare di togliersi gli stivali, per esempio. Ma si vedeva a strisciare sulla riva opposta e trovarvi i Trolloc in attesa. L’ascia non gli sarebbe servita a molto, anche contro un solo Trolloc, ma era pur sempre preferibile alle mani nude.

Dopo un poco dubitò perfino di riuscire a sollevarla, di fronte a un Trolloc: aveva gambe e braccia di piombo. Muoverle era uno sforzo; e la testa riemergeva sempre meno, a ogni bracciata. Tossì per l’acqua che gli entrava nel naso. “Una giornata di lavoro alla fucina è uno scherzo, a confronto” si disse stancamente. E proprio in quel momento col piede urtò qualcosa. Il fondo. Era sulle secche. Aveva attraversato il fiume.

Aspirando aria a grandi boccate, si tirò in piedi e avanzò fra gli schizzi, con le gambe che minacciavano di cedere. Sganciò l’ascia e giunse a riva, rabbrividendo nel vento. Non vide Trolloc. Ma non vide nemmeno Egwene. Solo alcuni alberi sparsi lungo la sponda e il riflesso della luna sul fiume.

Ripreso fiato, si mise a chiamare per nome i suoi amici. Dalla riva opposta gli risposero deboli grida, le voci gutturali dei Trolloc. E nessun altro.

Il vento aumentò d’intensità, soffocò le grida dei Trolloc. Perrin rabbrividì: si sentiva tutto gelato. Si strinse nelle braccia, ma non smise di tremare. Da solo, risalì la riva e cercò un riparo.


Rand accarezzò il collo del grigio, tranquillizzandolo con un mormorio. Il cavallo agitò la testa e continuò a scartare. I Trolloc erano rimasti indietro, ma Cloud aveva ancora nelle froge il loro odore. Mat cavalcava tenendo una freccia incoccata, all’erta per timore di sorprese, mentre Rand e Thom scrutavano tra i rami cercando la stella rossa che era la loro guida. Tenerla d’occhio era stato abbastanza facile, anche sotto i rami, finché correvano dritti nella giusta direzione. Ma poi più avanti erano comparsi altri Trolloc e loro avevano deviato, inseguiti da tutt’e due i gruppi. I Trolloc riuscivano a mantenere la velocità d’un cavallo, ma solo per un centinaio di passi, e alla fine i tre si erano scrollati di dosso gli inseguitori. Ma con tutte quelle curve e deviazioni, avevano perso di vista la stella.

«È da quella parte» disse Mat, indicando la destra. «Nell’ultimo tratto andavamo a settentrione, perciò levante è di qua.»

«Eccola lì» disse a un tratto Thom, segnando a dito un punto fra l’intrico di rami, alla loro sinistra. Mat brontolò sottovoce.

Con la coda dell’occhio Rand colse un movimento: senza un suono, un Trolloc balzò da dietro un albero e agitò il palo munito di cappio. Rand spronò il cavallo e il grigio scattò in avanti, mentre altri due Trolloc sbucavano dalle ombre dietro il primo. Un cappio sfiorò la nuca di Rand, mandandogli un brivido lungo la schiena.

Una freccia centrò nell’occhio un muso bestiale e Mat fu a fianco di Rand, mentre i cavalli galoppavano tra gli alberi. Correvano verso il fiume, capì Rand, ma non era sicuro che ne avrebbero tratto gran vantaggio. I Trolloc li inseguirono a tutta velocità, tanto vicini da afferrare quasi la coda protesa dei cavalli. Se avessero guadagnato un passo, li avrebbero presi.

Rand si appiattì sul collo del grigio per frapporre una distanza maggiore fra il cappio e la propria testa. Anche Mat teneva il viso contro la criniera. Ma Rand si domandava dove fosse finito Thom. Forse il menestrello aveva deciso che se la sarebbe cavata meglio da solo, visto che tutt’e tre i Trolloc si erano lanciati dietro loro due.

All’improvviso il castrone di Thom sbucò dal buio proprio alle spalle dei Trolloc. I tre ebbero solo il tempo di girarsi, sorpresi, prima che le mani del menestrello si spostassero indietro e poi avanti. Il chiaro di luna brillò sull’acciaio. Un Trolloc cadde in avanti, rotolò su se stesso e giacque immobile; un secondo cadde in ginocchio, con un urlo, e si artigliò la schiena. Il terzo ringhiò, mettendo in mostra una fila di zanne acuminate; ma mentre i suoi compagni cadevano, si girò di scatto e fuggì nel buio. La mano di Thom ripeté il gesto di frustare e il Trolloc urlò, ma il grido svanì in lontananza.

Rand e Mat si fermarono e fissarono il menestrello.

«I miei coltelli migliori» brontolò Thom; ma non tentò di smontare per ricuperarli. «L’ultimo ne porterà altri. Speriamo che il fiume non sia troppo lontano. Speriamo...» Invece di concludere la frase, scosse la testa e spinse il cavallo ad andatura sostenuta. Rand e Mat si accodarono.

In breve raggiunsero la riva. Gli alberi crescevano fino al limitare dell’acqua, la cui superficie, nera come la notte e striata dai raggi di luna, si increspava al vento. Rand non riuscì a scorgere la riva opposta.

A una certa distanza, un corno Trolloc mandò uno squillo acuto, breve, pressante. Era il primo suono di corno, da quando avevano lasciato le rovine. Forse qualcuno degli altri era stato catturato.

«Non serve, stare qui fermi per tutta la notte» disse Thom. «Decidiamoci. A monte o a valle?»

«Moiraine e gli altri potrebbero essere dovunque» protestò Mat. «Rischiamo di allontanarci da loro, anziché avvicinarci.»

«Può darsi.» Con uno schiocco di lingua Thom incitò il castrone e si diresse a valle, seguendo la riva. Rand guardò Mat, che scrollò le spalle. Andarono dietro a Thom.

Per un poco non ci furono cambiamenti. In alcuni punti la riva era più alta, in altri più bassa; gli alberi s’infittivano o si diradavano formando piccole radure, ma la notte e il fiume e il vento erano sempre uguali, freddi e neri. E non c’erano Trolloc. Ma di questo Rand non si lamentava di sicuro.

Dopo un certo tempo, più avanti comparve una luce, un singolo puntino. Quando si avvicinarono, Rand vide che la luce era ben al di sopra del fiume, come se fosse sulla cima di un albero. Thom allungò il passo e cominciò a canticchiare sottovoce.

Finalmente distinsero la fonte della luce, una lanterna appesa a un albero di una grossa barca mercantile, ormeggiata per la notte nelle vicinanze di una piccola radura. La barca, lunga ottanta piedi buoni, ondeggiava un poco alla corrente e tendeva le funi d’ormeggio legate agli alberi. Il sartiame vibrava e cigolava al vento. Sul ponte non si vedeva nessuno.

«Questa è meglio di una zattera, no?» disse Thom, smontando di sella. Rimase fermo, mani sui fianchi, e anche al buio fu evidente la sua aria soddisfatta. «Non mi pare che sia fatta per portare cavalli, ma forse il capitano si mostrerà ragionevole, quando lo avvertiremo del pericolo che corre. Lasciate parlare me. E portate coperte e bisacce, non si sa mai.»

Rand smontò a cominciò a slegare il fagotto dietro la sella. «Non vorrai andartene senza gli altri, vero?»

Thom non ebbe la possibilità di rispondergli. Nella radura sbucarono due Trolloc, ululando e agitando i bastoni muniti di cappio; altri quattro li seguivano dappresso. I cavalli s’impennarono e nitrirono. Grida lontane rivelarono che altri Trolloc erano in arrivo.

«Sulla barca!» gridò Thom. «Presto! Lasciate perdere tutto! Correte!» Si lanciò verso la barca, con le toppe colorate che svolazzavano e le custodie degli strumenti musicali che si urtavano. «Ehi della barca!» gridò «Svegliatevi, pazzi! Trolloc!»

Con uno strattone Rand liberò dell’ultima cinghia coperte e bisacce e si lanciò alle calcagna del menestrello. Lanciò il fagotto al di là della murata e con un volteggio balzò a bordo. Ebbe appena il tempo di scorgere un uomo rannicchiato sul ponte, che si tirava a sedere come se si fosse svegliato solo in quel momento, e gli finì addosso. L’uomo emise un grugnito, Rand incespicò e un bastone uncinato si abbatté sulla murata proprio dove lui si trovava l’attimo prima. In tutta la barca si alzarono grida e risuonarono passi sul ponte.

Mani irsute si afferrarono alla murata vicino al bastone uncinato e comparve un muso con corna da capro. Pur in equilibrio precario, Rand riuscì a sguainare la spada e menare un fendente. Con un urlo di dolore il Trolloc cadde in acqua.

Uomini correvano da tutte le parti, gridavano, tagliavano a colpi d’ascia le funi d’ormeggio. La barca scattò in avanti e girò come se fosse ansiosa di prendere il largo. A prua tre uomini combattevano contro un Trolloc. Una corda d’arco schioccò ripetutamente. L’uomo su cui Rand era atterrato si trascinò via carponi e alzò subito le mani, quando si accorse che Rand lo guardava.

«Risparmiami!» gridò. «Prendi quello che vuoi, prendi la barca, prendi tutto, ma risparmiami!»

All’improvviso qualcosa colpì Rand nella schiena e lo mandò lungo e disteso sul ponte. La spada gli scivolò dalla mano protesa. A bocca aperta, ansimando per un sospiro che non voleva venire, Rand cercò di riprendere la spada. I muscoli gli risposero con penosa lentezza. Atterrito, il tizio che voleva essere risparmiato lanciò alla spada un’occhiata di cupidigia e scomparve nell’ombra.

Dolorosamente Rand riuscì a guardarsi da sopra la spalla e capì che la sua fortuna si era esaurita. Un Trolloc dal muso di lupo, in equilibrio sulla murata, lo fissava e stringeva l’estremità scheggiata del bastone munito di cappio con cui l’aveva colpito. Rand cercò di prendere la spada, di muoversi, di allontanarsi, ma le braccia e le gambe si muovevano a scatti, ciondolavano, andavano in tutte le direzioni. Gli pareva che un cerchio di ferro gli serrasse il petto; puntini argentei gli brillavano negli occhi. Freneticamente Rand cercò una via di scampo. Il tempo parve rallentare, mentre il Trolloc sollevava il bastone scheggiato come se volesse trafiggere la preda. Il Trolloc parve muoversi come in sogno. Rand guardo il braccio robusto spostarsi all’indietro; già sentiva il legno trafiggergli la schiena, il dolore dello squarcio. Credette che i polmoni gli scoppiassero. Il braccio del Trolloc si mosse per conficcare il bastone e Rand trovò il fiato per un unico grido. «No!»

In quel momento la barca sbandò; dal buio sbucò una boma che andò a colpire il Trolloc in pieno petto, con uno scricchiolio di ossa rotte, e lo spazzò fuori bordo.

Per un attimo Rand rimase ad ansimare e a fissare la boma che oscillava avanti e indietro. “Dopo un colpo del genere, la mia parte di fortuna è senz’altro terminata” pensò.

Ancora tremante, si tirò in piedi e raccolse la spada, ma non c’era nessuno contro cui usarla. Lo spazio d’acqua scura fra la barca e la riva si allargava rapidamente e le grida dei Trolloc si affievolivano nella notte.

Mentre Rand rinfoderava la spada e si lasciava andare contro la murata, un uomo con un giubbone che gli arrivava alle ginocchia, venne avanti e lo fissò astiosamente. I capelli gli ricadevano sulle spalle; la barba gli incorniciava il viso paffuto e lasciava scoperto il labbro superiore. Un viso paffuto, ma non bonario. La boma oscillò di nuovo e l’uomo distolse lo sguardo quanto bastava per afferrarla.

«Gelb!» gridò. «Dove ti sei cacciato? Gelb!» Parlava in fretta e accavallava le parole, tanto che Rand stentò a capirlo. «Non puoi nasconderti da me sulla mia stessa barca! Portatemi qui Floran Gelb!»

Comparve un uomo dell’equipaggio, che reggeva una lanterna a occhio di bue; altri due spinsero nel cerchio di luce un tizio dal viso allungato. Rand lo riconobbe per l’uomo che gli aveva offerto la barca in cambio della vita. L’uomo muoveva gli occhi a destra e a sinistra, ma non incrociava lo sguardo dell’altro. Il capitano, pensò Rand. Gelb aveva un livido sulla fronte, dove era stato colpito dallo stivale di Rand.

«Non toccava a te fissare la boma, Gelb?» domandò il capitano, con calma sorprendente, ma sempre parlando a raffica.

Gelb parve davvero stupito. «Ma l’avevo legata! Ben stretta. Qualche volta sono un pochino lento, capitano Domon, lo ammetto, ma eseguo sempre gli ordini.»

«Ah, sei lento, ma non lento a dormire. Dormire invece di stare di guardia. Potevano ammazzarci fino all’ultimo.»

«No, capitano, no. È stato lui.» Indicò Rand. «Ero di guardia, quando lui è salito a bordo di nascosto e mi ha colpito con un bastone.» Si toccò il livido sulla fronte, trasalì per il dolore e lanciò a Rand un’occhiata velenosa. «L’ho affrontato, ma in quel momento sono spuntati i Trolloc. Lui è d’accordo con quei mostri, capitano. È un Amico delle Tenebre. In lega con i Trolloc.»

«In lega con mia nonna!» ruggì il capitano Domon. «Ti avevo avvertito, l’ultima volta. A Whitebridge lasci la barca! E ora togliti da davanti, prima che ti faccia sbarcare subito.» Gelb si allontanò di corsa dalla zona illuminata; Domon rimase a stringere e aprire i pugni, assorto. «Quei Trolloc mi seguono. Perché non mi lasciano in pace? Perché?»

Rand guardò da sopra la murata e rimase sconvolto perché non vedeva più la riva. Due uomini azionavano il lungo remo che sporgeva dalla poppa e serviva da timone; altri sei, lungo la fiancata, spingevano la barca nel centro del fiume.

«Capitano» disse Rand «abbiamo amici, sulla riva. Se torni a raccoglierli sono sicuro che ti ricompenseranno.»

Il capitano si girò a fissarlo e, quando comparvero Thom e Mat, incluse anche loro nell’occhiata.

«Capitano» cominciò Thom, con un inchino «permettimi di...»

«Venite di sotto» disse il capitano Domon «dove posso vedere che sorta di cose mi arriva a bordo. Venite. Per la miseria, legate questa maledetta boma!» Mentre alcuni marinai accorrevano, il capitano si diresse a poppa. Rand e gli altri due lo seguirono.

Il capitano Domon aveva una linda cabina, in fondo a una scaletta a pioli; dentro, ogni cosa sembrava al suo posto, fino alle giubbe e ai mantelli appesi dietro la porta. La cabina occupava l’ampiezza della barca e conteneva un ampio letto fissato contro una fiancata e un pesante tavolo contro l’altra. C’era una sola sedia, con lo schienale alto e robusti braccioli; il capitano si sedette e indicò agli altri di accomodarsi sui bauli e sulle panche che erano l’unico mobilio. Con un brontolio bloccò Mat che stava per sedersi sul letto.

«Allora» disse, quando tutti furono seduti «mi chiamo Bayle Domon, capitano e proprietario della Spray, ossia questa barca. Chi siete? Cosa facevate, in quella zona selvaggia? Perché non dovrei gettarvi fuori bordo per i guai che mi avete causato?»

«Non volevamo causarti nessun fastidio» si affrettò a dire Mat. «Andiamo a Caemlyn e da lì a...»

«E da lì, dove il vento ci porta» lo interruppe Thom, con calma. «Così viaggiano i menestrelli, come polvere nel vento. Sono un menestrello, vedi. Mi chiamo Thom Merrilin.» Agitò il mantello in modo da far svolazzare le toppe multicolori, come se il capitano non le avesse notate. «Questi due zucconi di campagna vogliono diventare miei apprendisti, ma non sono ancora sicuro di volerli.» Rand guardò Mat, che sogghignò.

«Sono fatti tuoi, amico, ma non mi dicono niente» replicò con calma il capitano Domon. «Laggiù non c’è nessuna strada per Caemlyn, per quanto ne so.»

«Ah, la nostra è una vera storia!» disse Thom e cominciò subito a raccontare.

Secondo Thom, era rimasto bloccato dalla neve in una città mineraria nelle Montagne di Nebbia al di là di Baerlon. Mentre era lì, aveva sentito parlare della leggenda di un tesoro che risaliva alle Guerre Trolloc, fra le rovine di una città chiamata Aridhol. Per combinazione, conosceva la posizione di Aridhol, grazie a una mappa avuta molti anni prima, a Illian, da un amico in punto di morte: un uomo a cui aveva salvato la vita e che spirò mormorando che quella mappa l’avrebbe reso ricco, ma alla quale lui non aveva creduto finché non aveva sentito la leggenda. Al primo disgelo si era messo in viaggio, con alcuni compagni, compresi i due futuri apprendisti, e dopo mille difficoltà aveva trovato davvero la città morta. Ma il tesoro era appartenuto a uno dei Signori del Terrore, e i Trolloc erano stati mandati a riportarlo a Shayol Ghul. Quasi ogni pericolo che avevano affrontato — Trolloc, Myrddraal, Draghkar, Mordeth, Mashadar — fu citato in un punto o nell’altro del racconto, anche se, da come Thom lo presentava, pareva diretto contro di lui personalmente e da lui stesso affrontato con grande abilità. Dopo molte eroiche imprese, soprattutto di Thom, erano fuggiti, inseguiti dai Trolloc, ma nella notte erano rimasti separati; alla fine Thom e i suoi due compagni avevano cercato rifugio nell’unico posto disponibile, la barca del capitano Domon.

Quando il menestrello terminò il racconto, Rand si accorse d’essere rimasto a bocca aperta e la richiuse di scatto. Guardò Mat, che fissava a occhi sgranati il menestrello.

Il capitano Domon tamburellò sul bracciolo. «È una storia che molti non crederebbero. Ma io ho visto i Trolloc, certo.»

«Ogni parola è vera, raccontata da chi ha vissuto l’avventura» replicò Thom, calmo.

«Per caso hai con te una parte del tesoro?»

Thom allargò le mani, con aria di rincrescimento. «Il poco che siamo riusciti a portare via era sui cavalli. Mi restano solo il flauto e l’arpa, qualche moneta di rame e i vestiti che indosso. Ma, credimi, non ti piacerebbe avere quel tesoro. Ha la contaminazione del Tenebroso. Meglio che resti nella città morta e ai Trolloc.»

«Quindi non avete denaro per pagarvi il passaggio. Gratis non prenderei a bordo nemmeno mio fratello, soprattutto se si fosse tirato dietro i Trolloc a rompermi la murata e tagliare il sartiame. Perché non dovrei farvi tornare a riva a nuoto e liberarmi di voi?»

«Avresti il coraggio di sbarcarci?» disse Mat. «Con i Trolloc sulla riva?»

«Chi ha parlato di sbarcarvi?» replicò seccamente Domon. Li esaminò per un momento, poi allargò sul tavolo le mani. «Bayle Domon è una persona ragionevole. Non vi getto fuori bordo, se posso farne a meno. Vedo che il tuo apprendista ha una spada. Me ne serve una; in cambio sono disposto a darvi un passaggio fino a Whitebridge.»

«No!» protestò subito Rand. Tam non gli aveva dato la spada per usarla come merce di scambio. Posò la mano sull’elsa e sentì sotto le dita l’airone di bronzo. Finché l’aveva, era come se avesse con sé anche Tam.

Domon scosse la testa. «Bene, se è no, è no. Ma Bayle Domon non dà passaggio gratis nemmeno a sua madre.»

Con riluttanza Rand si svuotò le tasche. Non aveva molto: alcune monetine di rame e la moneta d’argento ricevuta da Moiraine. Le tese al capitano. Dopo un secondo, Mat lo imitò. Thom diede loro un’occhiataccia, ma subito la sostituì con un sorriso, tanto che Rand non fu sicuro d’averla vista.

Il capitano scelse destramente le due grosse monete d’argento e da un baule listato di ferro, posto dietro la sedia, tolse una piccola bilancia e una borsa tintinnante. Pesò accuratamente le monete e le lasciò cadere nella borsa; ai due diede come resto alcune piccole monete d’argento e di rame. Per la maggior parte di rame. «Fino a Whitebridge» disse, scrivendo con bella grafia su un libro mastro rilegato in pelle.

«Un prezzo salato, per il passaggio fino a Whitebridge» brontolò Thom.

«E per i danni alla barca» rispose placidamente il capitano. Con aria soddisfatta rimise nel baule borsa e bilancino. «Più un compenso per avermi portato addosso i Trolloc e avermi costretto a navigare di notte dove ci sono un mucchio di secche, col rischio di arenarmi.»

«E gli altri?» disse Rand. «Prenderai a bordo anche loro? Ormai saranno arrivati al fiume, o ci arriveranno presto, e vedranno la lanterna sull’albero maestro.»

«Credi forse che siamo fermi, amico? Per la miseria, saremo almeno tre miglia a valle del punto dove siete saliti a bordo. I Trolloc hanno spinto i marinai a mettere forza sui remi... conoscono i Trolloc più di quanto non gli piaccia... e la corrente fa il resto. Tanto, stanotte non attraccherei nemmeno se sulla riva ci fosse mia nonna. Anzi, non attraccherò finché non saremo a Whitebridge. Già da tempo sono stufo d’avere i Trolloc alle calcagna e non andrò a cercarmeli, se ne posso fare a meno.»

Thom si sporse, interessato. «Hai avuto altri incontri con i Trolloc? Negli ultimi tempi?»

Domon esitò, squadrandolo a occhi socchiusi. «Ho passato l’inverno nella Saldaea, amico. Non per mia scelta: il fiume è gelato presto e il ghiaccio si è sciolto tardi. Dicono che si vede la Macchia, dalle torri più alte di Maradon, ma non m’interessa. Sono stato lì altre volte, e si parla sempre di Trolloc che assalgono una fattoria o cose del genere. Quest’inverno, però, c’erano fattorie in fiamme ogni notte. Certo. Villaggi interi, a volte. Sono arrivati fino alle mura della città. E come se non bastasse, la gente mormora che il Tenebroso si agita e che sono giunti gli Ultimi Giorni.» Rabbrividì e si grattò la testa, come se il pensiero gli avesse fatto prudere il cuoio capelluto. «Non vedo l’ora di tornare dove la gente pensa che i Trolloc siano solo panzane di viandanti.»

Rand smise di ascoltarlo. Fissò la parete e pensò a Egwene e agli altri. Non gli pareva giusto trovarsi al sicuro sulla Spray. La cabina del capitano gli sembrò meno comoda di prima.

Trasalì, quando Thom lo tirò in piedi. Il menestrello, scusandosi con il capitano per la goffaggine di quei due campagnoli, li spinse verso la scaletta. Rand salì sul ponte senza far parola.

Appena all’aperto, Thom si guardò intorno per assicurarsi che nessuno udisse e brontolò: «Avrei ottenuto il passaggio in cambio di qualche canzone e qualche storia, se voi due non aveste avuto tanta fretta di far vedere l’argento.»

«Non ne sono sicuro» rispose Mat. «Sembrava deciso a gettarci in acqua.»

Rand si accostò lentamente alla murata e si appoggiò, fissando il fiume ammantato di tenebre. Vedeva solo il buio, nemmeno la riva. Dopo un momento, Thom gli mise la mano sulla spalla, ma Rand non si mosse.

«Non puoi farci niente, ragazzo. E poi, è probabile che a quest’ora siano al sicuro con la... con Moiraine e Lan. Nessuno meglio di loro potrebbe portarli in salvo.»

«Ho tentato di convincerla a non venire» disse Rand.

«Hai fatto il possibile, ragazzo. Non ti si poteva chiedere di più.»

«Le ho detto che avrei badato a lei. Non mi sono impegnato abbastanza.» Lo scricchiolio dei rami e la vibrazione del sartiame nel vento creavano una musica dolente. «Dovevo impegnarmi di più.»

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