La porta della locanda si chiuse rumorosamente; l’uomo dai capelli bianchi si girò a fissarla con astio. Magro, e anche alto se non avesse tenuto le spalle curve, si muoveva con un’energia che smentiva l’età apparente. Il suo mantello sembrava un’accozzaglia di toppe, di forma bizzarra e di cento colori, agitate da ogni soffio d’aria. Ma in realtà, vide Rand, nonostante le parole di mastro al’Vere, il mantello era pesante e le toppe erano semplici decorazioni cucite sulla stoffa.
«Il menestrello!» mormorò Egwene, piena d’entusiasmo.
L’uomo dai capelli bianchi si girò, facendo ruotare il mantello. Indossava una lunga giubba con maniche a sbuffo e ampie tasche. Aveva un paio di baffoni, anch’essi bianchi, il viso pieno di rughe come il tronco d’un albero che avesse visto tempi brutti. Rivolse un gesto imperioso a Rand e agli altri, muovendo la pipa dal lungo cannello, riccamente intagliata, che lasciava uscire un ricciolo di fumo. Aveva folte sopracciglia bianche e penetranti occhi azzurri.
Rand fu colpito dagli occhi dell’uomo quasi quanto dal resto. Tutti, nei Fiumi Gemelli, avevano occhi scuri, e anche gran parte dei mercanti e dei forestieri. I Congar e i Coplin l’avevano preso in giro perché lui aveva occhi grigi, fino al giorno in cui si era deciso a dare un pugno sul naso a Ewal Coplin. Rand si domandò se ci fosse un luogo dove nessuno aveva occhi neri. Forse anche Lan proveniva da lì.
«Che razza di posto!» disse il menestrello, con voce che pareva più forte di quella d’un uomo normale: anche all’aperto, sembrava riempire un’ampia stanza e rimbalzare contro le pareti. «I bifolchi di quel villaggio sulla collina mi dicono che posso arrivare qui prima che faccia buio, ma non precisano che devo partire molto prima di mezzogiorno. Quando infine arrivo, gelato fino al midollo e pronto per un letto caldo, il locandiere brontola per l’ora tarda, come se fossi un porcaro e il vostro Consiglio del Villaggio non m’avesse chiesto di esibire la mia arte a questa vostra festa. E non mi ha nemmeno detto d’essere il sindaco.» S’interruppe per riprendere fiato, guardandoli con un’unica occhiata astiosa, ma subito continuò: «Scendo al pianterreno per fumare la pipa davanti al camino e bere un boccale di birra, e tutti mi fissano come se fossi il cognato più antipatico venuto a chiedere un prestito. Un nonnetto comincia a inveire contro di me per il tipo di storie che dovrei o non dovrei raccontare, poi una bambina mi grida d’uscire e minaccia di prendermi a bastonate se non mi sbrigo. Da quando in qua si trattano così i menestrelli?»
Il viso di Egwene era un bozzetto: occhi sgranati nel vedere un menestrello, voglia di prendere le difese di Nynaeve.
«Scusa, mastro Menestrello» disse Rand, ridacchiando come uno sciocco. «Quella era la nostra Sapiente e...»
«Quel soldo di cacio?» esclamò il menestrello. «Sapiente del villaggio? Alla sua età, farebbe meglio ad amoreggiare con i ragazzi, invece di prevedere il tempo e curare gli ammalati.»
Rand si mosse a disagio. Si augurò che Nynaeve non ascoltasse accidentalmente l’opinione del menestrello, almeno non prima dello spettacolo. Perrin trasalì e Mat emise un fischio sottotono, come se tutt’e due avessero avuto lo stesso pensiero di Rand.
«Quegli uomini formano il Consiglio del Villaggio» riprese Rand. «Sono sicuro che non intendevano mostrarsi scortesi. Vedi, abbiamo appena saputo che nel Ghealdan c’è la guerra e un uomo che sostiene d’essere il Drago Rinato. Un falso Drago. Le Aes Sedai accorrono da Tar Valon. Il Consiglio cerca di stabilire se anche noi siamo in pericolo.»
«Notizie vecchie perfino a Baerlon» tagliò corto il menestrello. «E questo è l’ultimo luogo al mondo dove arrivano.» Esitò, diede un’occhiata al villaggio e aggiunse, asciutto: «Quasi l’ultimo.» Poi notò il carro fermo di fronte alla locanda, con le stanghe per terra, senza nessuno intorno. «Ah, m’era sembrato di riconoscere Padan Fain, dentro.» La voce era ancora profonda, ma ora mancava di risonanza, sostituita dal disprezzo. «Fain è sempre stato uno che divulga in fretta le cattive notizie, e quelle peggiori ancora più in fretta. Ha l’animo più da corvo che da uomo.»
«Mastro Fain è venuto spesso a Emond’s Field, mastro Menestrello» disse Egwene, con una traccia di disapprovazione. «Porta sempre allegria e assai di rado brutte notizie.»
Il menestrello la fissò per un momento, poi fece un largo sorriso. «Sei un’amabile ragazza. Dovresti avere boccioli di rosa nei capelli. Purtroppo, non posso far spuntare rose dall’aria, non quest’anno; ma ti piacerebbe stare al mio fianco, domani, per aiutarmi nello spettacolo? Passarmi il flauto al momento giusto, e certe altre cose. Scelgo sempre come assistente la ragazza più graziosa.»
Perrin represse una risatina e Mat scoppiò a ridere. Sorpreso, Rand batté le palpebre; Egwene lo guardò di brutto, anche se lui non aveva nemmeno sorriso, e si erse in tutta la sua statura.
«Grazie, mastro Menestrello» disse, con voce fin troppo calma. «Ne sarò felice.»
«Thom Merrilin» replicò il menestrello. Gli altri lo fissarono. «Mi chiamo Thom Merrilin» spiegò lui. Si tirò sulle spalle il mantello multicolore e all’improvviso la sua voce parve di nuovo echeggiare in una grande sala. «Un tempo bardo di corte, ora sono davvero salito all’eminente rango di mastro Menestrello; ma mi chiamo semplicemente Thom Merrilin, e menestrello è il semplice titolo di cui mi vanto.» Eseguì un inchino complicato e pieno di svolazzi, tanto che Mat gli batté le mani e Egwene mormorò d’ammirazione.
«Mastro... ah... mastro Merrilin» disse Mat, incerto su come chiamarlo, dopo quel discorsetto «cosa avviene davvero nel Ghealdan? Sai qualcosa di questo falso Drago? O delle Aes Sedai?»
«Ti sembro un ambulante, ragazzo?» brontolò il menestrello, battendo la pipa sul palmo. Con un rapido gesto la fece scomparire, nel mantello o nella giubba. «Sono un menestrello, non un gazzettino. E mi faccio un punto di non sapere mai niente delle Aes Sedai. È più sicuro così.»
«Ma la guerra...» cominciò Mat, in tono ansioso.
«Nelle guerre, ragazzo» lo interruppe mastro Merrilin «alcuni stupidi uccidono altri stupidi per motivi stupidi. Non c’è altro da sapere, per chiunque. Io sono qui per la mia arte.» A un tratto puntò il dito contro Rand. «Tu, ragazzo. Tu sei alto. Non ancora al pieno dello sviluppo, ma dubito che nel distretto ci sia un altro alto come te. Né con occhi di quel colore, scommetto. Voglio dire che per fisico e statura sembri un Aiel. Come ti chiami?»
Rand gli rispose con esitazione: non era sicuro che l’uomo non lo prendesse in giro. Ma il menestrello aveva già rivolto l’attenzione a Perrin. «E tu sei grande e grosso quasi quanto un Ogier. Come ti chiami?»
«Solo con un altro come me sulle spalle» rise Perrin. «Rand e io siamo soltanto persone comuni, mastro Merrilin, non creature inventate delle tue storie. Mi chiamo Perrin Aybara.»
Tom Merrilin si tirò un baffo. «Ma senti. Creature inventate delle mie storie. Allora voi ragazzi avete viaggiato in lungo e in largo, a quanto pare.»
Rand tenne la bocca chiusa, sicuro adesso che fossero il bersaglio d’uno scherzo, ma Perrin rispose: «Tutti e tre siamo andati fino a Watch Hill e a Deven Ride. Pochi, qui intorno, sono andati così lontano.» Non lo disse per vantarsi, non era il tipo. Si trattava della semplice verità.
«Abbiamo anche visto l’Acquitrino» aggiunse Mat, e questa parve davvero vanteria. «Ossia la palude sul lato più lontano del Waterwood. Lì non ci va proprio nessuno... è pieno di sabbie mobili. E neppure alle Montagne di Nebbia, ma noi ci siamo andati, una volta. Be’, fino ai piedi delle montagne.»
«Lontano così?» mormorò il menestrello, lisciandosi adesso i baffi di continuo. Rand pensò che nascondesse un sorriso e vide che Perrin si accigliava.
«Porta sfortuna, salire le montagne» disse Mat, quasi a scusarsi per non averle scalate. «Lo sanno tutti.»
«Sciocchezze, Matrim Cauthon» intervenne Egwene, irritata.«Nynaeve dice...» Arrossì e diede a Thom Merrilin un’occhiata un po’ meno amichevole di prima. «Non è giusto fare... Non è...» Divenne ancora più rossa e tacque. Mat batté le palpebre, come se gli fosse venuto il sospetto d’essere preso in giro.
«Hai ragione, bambina» disse il menestrello. «Mi scuso umilmente. Sono qui per divertire. Ah, la lingua mi mette sempre in qualche guaio.»
«Forse non abbiamo viaggiato quanto te» disse Perrin, in tono piatto «ma che cosa c’entra la statura di Rand?»
«Solo questo, ragazzo. Più tardi ti sfiderò a sollevarmi in aria, ma tu non riuscirai a farmi staccare i piedi da terra. Né tu, né il tuo amico lungagnone. Rand, giusto? Né qualsiasi altro. Allora, cosa ne pensi?»
Perrin sbuffò e rise. «Ti sollevo anche subito» disse. Avanzò d’un passo, ma Thom Merrilin lo bloccò.
«Dopo, ragazzo, dopo. Quando ci sono più spettatori. L’artista ha bisogno di pubblico.»
Intanto, alla comparsa del menestrello, una ventina di persone si era radunata nel Parco: giovanotti, ragazze e bambini che in silenzio scrutavano a occhi sgranati da dietro gli adulti. Pareva che tutti si aspettassero miracoli. Merrilin li guardò, parve quasi contarli, scosse leggermente la testa e sospirò.
«Forse è meglio darvi un assaggio. Così correte a raccontarlo in giro. Eh? Solo un assaggio di quel che vedrete domani alla festa.»
Arretrò d’un passo; all’improvviso con una capriola balzò in aria e ricadde in piedi sull’antica fondazione di pietra, faccia alla piccola folla. Tre palle, rossa, bianca e nera, cominciarono a danzargli fra le mani, mentre ricadeva.
Dagli spettatori provenne un mormorio di stupore e di soddisfazione. Perfino Rand dimenticò d’essere irritato. Rivolse a Egwene un sogghigno e ricevette in cambio un sorriso deliziato; tutt’e due si girarono a guardare, impassibili, il menestrello.
«Volete storie?» declamò Thom Merrilin. «E storie vi darò. Le farò diventare vive sotto i vostri occhi.» Una palla azzurra, spuntata da chissà dove, si unì alle altre, poi una verde e una gialla. «Storie di guerre e di eroi, per grandi e piccini. L’intero Ciclo Aptarigino. Storie di Artur Paedrag Tanreall, Artur Hawkwing, Artur Aladifalco, Artur il Gran Monarca, che un tempo regnò su tutte le terre dal deserto dell’Aiel all’oceano Aryth e anche al di là. Storie meravigliose di popoli bizzarri e di terre bizzarre, dell’Uomo Verde, di Custodi e di Trolloc, di Ogier e di Aiel. I mille racconti di Anla, la consigliera saggia. ‘Jaem l’Uccisore del Gigante’. Come Susa domò Jain Farstrider. ‘Mara e i tre Re sciocchi’.»
«Parlaci di Lenn» disse Egwene. «Di come volò sulla luna, nel ventre di un’aquila di fuoco. E di sua figlia Salya, che cammina fra le stelle.»
Rand la guardò di sottecchi, ma lei pareva interessata solo al menestrello. Non le erano mai piaciute storie d’avventure e di viaggi, preferiva quelle buffe, o quelle di donne che mettevano nel sacco gente ritenuta più furba di tutti. Di certo aveva chiesto la storia di Lenn e di Salya per stuzzicare il menestrello: il mondo esterno non era adatto alla gente dei Fiumi Gemelli. Ascoltare avventure, perfino sognarle, era una cosa tutta diversa dal vederle accadere sotto i propri occhi.
«Storie vecchie, quelle» disse Thom Merrilin, e a un tratto si destreggiava con tre palle colorate per mano. «Storie dell’Epoca precedente l’Epoca Leggendaria, dicono alcuni. Forse anche più antiche. Ma io ho tutte le storie, badate bene, di Epoche che furono e che saranno. Epoche in cui l’uomo governava i cieli e le stelle, ed Epoche in cui vagabondava come gli animali. Epoche di meraviglie ed Epoche di orrori. Epoche concluse da una pioggia di fuoco ed Epoche condannate da neve e ghiaccio su terre e mari. Ho tutte le storie e racconterò tutte le storie. Racconti di Mosk il Gigante, con la Lancia di Fuoco che arrivava fin dall’altra parte del mondo, e della sua guerra contro Alsbet, la Regina di Tutto. Racconti della Guaritrice Materese, Madre del Meraviglioso Ind.»
Le palle multicolori adesso danzavano fra le mani di Thom in due cerchi incrociati. La voce del menestrello era quasi una cantilena. Thom si girò lentamente, come se osservasse gli spettatori per soppesare l’effetto. «Vi racconterò della fine dell’Epoca Leggendaria, del Drago e del suo tentativo di sguinzagliare nel mondo degli uomini il Tenebroso. Vi parlerò del Tempo della Follia, quando le Aes Sedai frantumarono il mondo; delle guerre Trolloc, quando gli uomini disputarono ai Trolloc il dominio della terra; della Guerra dei Cento Anni, quando uomini combatterono contro uomini e nacquero le attuali nazioni. Vi racconterò avventure di uomini e donne, di ricchi e poveri, grandi e piccoli, orgogliosi e umili. L’assedio delle Colonne del Cielo. ‘Come comare Karil guarì il marito dal vizio di russare’. Re Darith e la caduta della Casa di...»
Di colpo Thom interruppe il fiume di parole e il mulinare di palle colorate. Senza che Rand l’avesse notato, Moiraine si era unita agli spettatori. Lan le era al fianco, per quanto quasi invisibile. Per un momento Thom guardò di sottecchi Moiraine, senza muovere muscolo, a parte il gesto per riporre nelle capaci maniche della giubba le palle colorate. Poi le rivolse un inchino, allargando a ruota il mantello. «Chiedo scusa» disse «ma tu non sei certo di questo distretto.»
«Lady!» sibilò furiosamente Ewin. «Lady Moiraine.»
Thom parve sorpreso, poi eseguì un altro inchino, più profondo. «Ti chiedo scusa di nuovo... ah, lady. Non intendevo mancarti di rispetto.»
Con un gesto Moiraine chiuse la faccenda. «Non mi ritengo offesa, mastro Bardo. E mi chiamo semplicemente Moiraine. Sono davvero forestiera, qui; una viandante come te, sola e lontano da casa. Il mondo a volte è un luogo pericoloso, se si è forestieri.»
«Lady Moiraine raccoglie storie» intervenne Ewin. «Storie sugli avvenimenti accaduti nei Fiumi Gemelli. Ma non so cosa sia accaduto, qui, degno d’essere una storia.»
«Mi auguro che le mie storie piacciano anche a te... Moiraine.» Thom la guardò con chiara diffidenza. Non pareva contento d’averla trovata nel villaggio.
«Questione di gusti, mastro Bardo» rispose Moiraine. «Alcune storie mi piacciono, altre no.»
L’inchino di Thom fu ancora più profondo del precedente. «Nessuna delle mie storie ti dispiacerà, te lo garantisco. Piacciono e divertono. E mi fai troppo onore: sono un semplice menestrello, non un Bardo.»
Con un cenno benevolo Moiraine rispose all’inchino. Per un istante parve davvero una lady che accettasse l’omaggio di un suddito. Poi si girò e si allontanò; Lan la seguì: un lupo alle calcagna d’un cigno. Thom continuò a fissarli, con le sopracciglia aggrottate, lisciandosi con le nocche i baffoni, finché non percorsero metà Parco. “Non è per niente contento” pensò Rand.
«Ora fai altri giochi di destrezza?» domandò Ewin.
«Mangia il fuoco!» gridò Mat. «Voglio vederti mangiare il fuoco!»
«L’arpa!» gridò una voce dalla folla. «Suona l’arpa!» Un altro chiese il flauto.
In quel momento la porta della locanda si spalancò e uscirono i membri del Consiglio del Villaggio. Nel gruppo c’era Nynaeve, ma non Padan Fain. A quanto pareva, l’ambulante era rimasto al caldo della sala comune a bere vino speziato.
A un tratto, brontolando qualcosa a proposito di “un bicchierino di robusta acquavite", Thom Merrilin saltò giù dalle vecchie fondamenta. Senza badare alle proteste degli spettatori, approfittò dell’uscita dei consiglieri per farsi largo ed entrare nella locanda.
«È un menestrello o un re?» protestò Cenn Buie, irritato. «Uno spreco di denaro, se volete il mio parere.»
Bran al’Vere si girò a mezzo verso il menestrello, poi scosse la testa. «Quell’uomo ci darà più grattacapi di quel che vale.»
Nynaeve, occupata ad avvolgersi nel mantello, sbuffò ad alta voce, «Pensa pure al menestrello, Brandelwyn al’Vere. Almeno lui è qui a Emond’s Field: cosa che non si può dire di questo falso Drago. Ma visto che hai tanta voglia di preoccuparti, qui ci sono altri che dovrebbero suscitare le tue preoccupazioni.»
«Per favore, Sapiente» replicò Bran «lascia che sia io a decidere di cosa preoccuparmi. Lady Moiraine e mastro Lan alloggiano alla mia locanda e sono persone oneste e per bene. Né l’una né l’altro mi hanno dato dello sciocco davanti a tutto il Consiglio. E neppure hanno detto ai consiglieri che fra tutti non fanno un solo cervello.»
«Non ne fanno nemmeno mezzo» replicò Nynaeve. Si allontanò senza guardarsi indietro e lasciò Bran a cercare una risposta a tono.
Egwene guardò Rand, come per dirgli qualcosa, poi invece corse dietro alla Sapiente. Rand sapeva che doveva esserci un modo per impedirle di lasciare i Fiumi Gemelli, ma l’unico che riusciva a pensare era un passo che non era pronto a compiere, anche se lei fosse stata d’accordo. E lei in pratica aveva detto d’essere tutt’altro che d’accordo, cosa che lo faceva sentire ancora peggio.
«Quella ragazza ha bisogno d’un marito» brontolò Cenn Buie, agitandosi. Era paonazzo e diventava ancora più scuro. «Non ha il minimo rispetto. Siamo il Consiglio del Villaggio, non ragazzi che le rastrellano il cortile, e...»
Il sindaco sbuffò e si girò di scatto verso il vecchio impagliatore. «Sta’ calmo, Cenn! Smettila di comportarti come un Aiel!» Cenn, attonito, si bloccò: il sindaco non si lasciava mai prendere la mano dall’umore. Bran gli rivolse un’occhiataccia. «Abbiamo cose più serie di cui occuparci» disse. «O vuoi dimostrare che Nynaeve ha ragione?» Rientrò nella locanda e sbatté la porta.
I membri del Consiglio lanciarono un’occhiata a Cenn, poi si allontanarono in varie direzioni. Rimase solo Haral Luhhan, che accompagnò l’impagliatore, discutendo sottovoce. Il fabbro era l’unico che riuscisse a far ragionare Cenn.
Rand andò incontro al padre e i suoi amici lo seguirono.
«Non ho mai visto mastro al’Vere così infuriato» attaccò Rand, guadagnandosi l’occhiata di disgusto di Mat.
«Il sindaco e la Sapiente di rado sono d’accordo» disse Tam. «Oggi, meno del solito. Tutto qui. Lo stesso avviene in ogni villaggio.»
«E il falso Drago?» domandò Mat.
«E le Aes Sedai?» aggiunse Perrin, in un mormorio ansioso.
Tam scosse la testa. «Mastro Fain sapeva poco di più di quanto ha già raccontato. Almeno, per quanto interessa noi. Battaglie perdute o vinte. Città cadute o riconquistate. Tutte cose avvenute nel Ghealdan, grazie alla Luce. La guerra non si è diffusa, che Fain sappia.»
«A me le battaglie interessano» disse Mat; e Perrin aggiunse: «Cos’ha detto, delle battaglie?»
«Non interessano me, Matrim» rispose Tam. «Ma sono sicuro che Fain sarà lieto di parlarne, più tardi. M’interessa invece che qui non dobbiamo preoccuparcene, per quanto si è capito. Non c’è ragione perché le Aes Sedai passino da queste parti, nel loro cammino a meridione. E al ritorno è poco probabile che passino dalla Foresta delle Ombre e attraversino a nuoto il fiume Bianco.»
Rand e gli altri ridacchiarono all’idea. C’erano tre motivi per cui nessuno veniva nelle terre dei Fiumi Gemelli se non da settentrione, passando da Taren Ferry. Le Montagne di Nebbia, a ponente, erano il primo motivo; l’Acquitrino bloccava con uguale efficacia la via orientale; a meridione c’era il fiume Bianco, che doveva il nome al modo come rocce e macigni facevano ribollire l’acqua in vortici di spuma. E al di là del Bianco c’era la Foresta delle Ombre. Poca gente dei Fiumi Gemelli aveva attraversato il Bianco e meno ancora era tornata, ma in genere si riteneva che la Foresta delle Ombre si estendesse a meridione per centinaia di miglia, senza strade né villaggi, ma con abbondanza di lupi e di orsi.
«Quindi siamo a posto» disse Mat. Parve un po’ deluso.
«Non proprio» replicò Tam. «Dopodomani mandiamo degli uomini a Deven Ride e a Watch Hill, e anche a Taren Ferry, per montare la guardia. Cavalieri lungo il Bianco e il Taren, pattuglie fra i due fiumi. Ho proposto che partissero oggi stesso, ma solo il sindaco era d’accordo con me. Gli altri non se la sentono di chiedere a una squadra di passare Bel Tine cavalcando fra i Fiumi Gemelli.»
«Non hai detto che non abbiamo niente da temere?» obiettò Perrin.
«Ho detto che non dovevamo preoccuparci, ragazzo. Non è la stessa cosa. Ho visto gente morire, per troppa sicurezza. E poi, lo scontro farà muovere gente di tutti i tipi. La maggior parte cercherà solo di mettersi al sicuro, ma altri vorranno approfittare della confusione. Ai primi daremo una mano, ma dobbiamo essere pronti a mandare per la loro strada gli altri.»
«Non possiamo partecipare anche noi?» disse Mat, all’improvviso. «Io, almeno, ci andrei. So cavalcare bene come chiunque.»
«Vuoi alcune settimane di freddo, di noia e di sonno all’aperto?» ridacchiò Tam. «È facile che tutto si riduca a questo. Me lo auguro, almeno. Siamo molto lontano dalle strade battute, anche per i profughi. Ma se hai preso la decisione, puoi parlarne a mastro al’Vere. Rand, è ora di tornare alla fattoria.»
Sorpreso, Rand trasalì. «Credevo che ci saremmo fermati per la Notte d’Inverno.»
«Ci sono lavori da fare, alla fattoria, e mi serve il tuo aiuto.»
«Ma non è necessario partire subito. E poi anch’io voglio offrirmi volontario per le pattuglie.»
«Partiamo adesso» replicò suo padre, in un tono che non ammetteva discussioni. «Torneremo domani» proseguì, più pacato. «Avrai tutto il tempo di parlare al sindaco. E di partecipare alla Festa. Fra cinque minuti raggiungimi alla stalla.»
«Vieni anche tu con me e Rand a fare la guardia?» domandò Mat a Perrin, quando Tam si fu allontanato. «Scommetto che nei Fiumi Gemelli non è mai accaduto niente di simile. Se risaliamo il Taren, forse vedremo i soldati, o chissà cosa. I Calderai, per esempio.»
«Penso di venire» rispose Perrin. «Se mastro Luhhan non ha bisogno di me, naturalmente.»
«La guerra è nel Ghealdan» sbottò Rand. Si sforzò di abbassare la voce. «E le Aes Sedai, chissà dove. Ma non qui. Qui c’è invece l’uomo dal mantello nero, o l’avete dimenticato?» Gli altri si scambiarono un’occhiata d’imbarazzo.
«Scusa, Rand» borbottò Mat. «Non si presenta spesso l’occasione di fare qualcosa che non sia mungere le mucche di mio padre. Sì, mi tocca mungerle; tutti i giorni, anche.»
«Il cavaliere nero» ricordò loro Rand. «E se fa male a qualcuno?»
«Forse è un profugo di guerra» disse Perrin, senza molta convinzione.
«Qualsiasi cosa sia, la guardia lo troverà» disse Mat.
«Può darsi» concesse Rand. «Ma sembra in grado di scomparire quando vuole. Meglio avvertire gli uomini di guardia, che stiano attenti.»
«Lo diremo a mastro al’Vere, quando ci offriremo volontari» disse Mat. «Ne parlerà al Consiglio e avviseranno la guardia.»
«Il Consiglio!» esclamò Perrin, incredulo. «Saremo fortunati se il sindaco non si metterà a ridere. Mastro Luhhan e il padre di Rand già pensano che abbiamo paura delle ombre.»
Rand sospirò. «Se dobbiamo informarlo, tanto vale farlo subito. Tanto, oggi non riderà più forte di domani.»
«Forse bisognerebbe trovare altri che l’abbiano visto» disse Perrin, guardando di sottecchi Mat. «In pratica stasera al villaggio incontreremo tutti.» Mat si accigliò, ma restò zitto. L’idea di Perrin era chiara: trovare testimoni più attendibili di Mat.
Rand annuì. Già gli pareva di sentire la risata di mastro al’Vere. Altri testimoni non avrebbero certo fatto male. «Domani, allora» disse. «Stanotte scoprite se altri hanno visto quell’uomo e domani parleremo al sindaco. Dopo...» Mat e Perrin lo guardavano in silenzio; nessuno dei due voleva chiedere che cosa avrebbero fatto, se risultavano i soli ad avere visto l’uomo dal mantello nero, ma la domanda si leggeva loro in viso e lui non aveva una risposta. Sospirò. «Meglio che vada» disse. «Mio padre si chiederà se mi sono perso.»
Seguito dai loro saluti, girò intorno alla locanda e raggiunse la stalla.
Era un edificio stretto, lungo, alto, dal tetto a punta rivestito di stoppie. Gli stalli, col loro letto di strame, erano disposti ai lati del passaggio centrale in penombra, perché la luce proveniva solo dalle porte a due battenti, poste alle estremità del corridoio. Otto stalli erano occupati dai cavalli dell’ambulante, che mangiucchiavano avena; i massicci cavalli dhurrani di mastro al’Vere, che lui affittava ai contadini che dovevano trainare carichi molto pesanti, ne occupavano altri sei; i rimanenti erano vuoti, a parte tre. Rand si disse che era facile intuire il padrone di ogni cavallo: il destriero morello, alto, dal torace possente, che agitava con forza la testa, apparteneva certo a Lan. La giumenta bianca, snella, dal collo arcuato, che muoveva le zampe con la grazia di una danzatrice, era senz’altro di Moiraine. E il terzo, un castrone sauro alto e magro, si adattava alla perfezione a Thom Merrilin.
Tam, in fondo alla stalla, reggeva Bela per la cavezza e parlava sottovoce con Hu e Tad. Nel vedere Rand, annuì e venne dalla sua parte; senza far parola, portò fuori Bela.
In silenzio attaccarono al carretto la giumenta. Tam sembrava assorto nei suoi pensieri, tanto che Rand non aprì bocca. A dire il vero, a proposito del cavaliere sconosciuto, non si aspettava di convincere neppure il padre, altro che il sindaco. Ma ci avrebbe pensato l’indomani, quando Mat e Perrin avessero trovato altri testimoni. Ammesso che ci fossero.
Mentre il carretto si metteva in movimento, Rand prese dal retro l’arco e senza rallentare il passo si agganciò alla cintura la faretra. Arrivati all’ultima fila di case del villaggio, incoccò una freccia e tese parzialmente la corda, tenendo l’arco pronto all’uso. Non c’era niente da vedere, a parte gli alberi spogli, ma irrigidì le spalle. Il cavaliere nero poteva raggiungerli prima che si accorgessero del suo arrivo. E lui non avrebbe avuto il tempo di scagliare la freccia, se la corda non fosse stata già tesa in parte.
Sapeva che non avrebbe potuto mantenere a lungo l’arco in tensione; se l’era costruito da solo e Tam era uno dei pochi, nel distretto, che riuscisse a tenderlo. Rand si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che lo distraesse dal pensiero del cavaliere. Circondati dalla foresta, con i mantelli svolazzanti, non era facile.
«Padre» disse infine Rand «non capisco perché il Consiglio ha interrogato Padan Fain.» Con uno sforzo staccò lo sguardo dai boschi e guardò Tam, dall’altra parte di Bela. «Potevate prendere la stessa decisione lì su due piedi. Il sindaco ha spaventato tutti, parlando delle Aes Sedai e del falso Drago qui nei Fiumi Gemelli.»
«La gente è buffa, Rand. Anche la migliore. Prendi Haral Luhhan. Mastro Luhhan è un uomo robusto e coraggioso, ma non sopporta di veder macellare le bestie. Diventa bianco come un cencio.»
«E questo cosa c’entra? Tutti sanno che mastro Luhhan non sopporta la vista del sangue e solo i Coplin e i Congar ne pensano male.»
«Esattamente, ragazzo. Non sempre la gente pensa e si comporta come crederesti. Questi qui... se la grandine rovina il raccolto e il vento scoperchia ogni casa del distretto, si rimboccano le maniche e ricominciano da zero. Brontoleranno, ma non sprecheranno tempo. Ma se solo parli delle Aes Sedai e di un falso Drago nel Ghealdan, penseranno subito che il Ghealdan non è poi così lontano, anche se dall’altra parte della Foresta delle Ombre, e che una linea retta da Tar Valon al Ghealdan non passerebbe poi molto a oriente da noi. Come se le Aes Sedai prendessero la strada che attraversa Caemlyn e Lugard, invece di viaggiare in aperta campagna! Entro domani mattina, metà villaggio sarebbe sicuro che la guerra stia per piombare su di noi. Sai che magnifico Bel Tine sarebbe. Perciò Bran gli ha fatto venire l’idea, prima che se la facessero venire da soli.
«Hanno visto il Consiglio discutere la faccenda e ormai sanno qual è stata la decisione. Ci hanno scelti a far parte del Consiglio perché si fidano del nostro parere. Perfino di quello di Cenn, che secondo noi non vale poi molto, immagino. Comunque, sapranno che non c’è niente di cui preoccuparsi e ci crederanno. Certo, anche loro potrebbero giungere alla stessa conclusione e ci arriverebbero, prima o poi; ma in questo modo non roviniamo la Festa e nessuno passerà settimane a preoccuparsi di una cosa che difficilmente si verificherà. Se si verificasse, contro tutte le possibilità... bene, le squadre di pattuglia ci avvertiranno e faremo il possibile. Però non lo credo probabile, davvero.»
Rand gonfiò le guance. A quanto pareva, far parte del Consiglio era più complicato di quanto non credesse. Il carretto continuò a cigolare sulla Strada della Cava.
«Qualcun altro, oltre a Perrin, ha visto quel forestiero?» domandò Tam.
«Mat. Però...» Rand trasalì e fissò il padre. «Mi credi? Devo tornare al villaggio. Devo dirlo agli altri.» Si girò per tornare al villaggio, ma Tam lo bloccò.
«Calma, figliolo, calma! Credi che abbia aspettato tanto a dirtelo senza una ragione?»
Riluttante, Rand si mantenne a lato del carretto. «Cosa t’ha fatto cambiare idea? Perché non posso dirlo agli altri?»
«Lo sapranno presto. Perrin, almeno; Mat, non so. Bisogna informare le fattorie, ma nel giro di un’ora a Emond’s Field tutti gli adulti sapranno che un cavaliere si aggira furtivamente intorno al villaggio, un tipo che nessuno inviterebbe alla Festa. L’inverno è già stato abbastanza brutto, senza che si debba anche spaventare i più giovani.»
«Se l’avessi visto, non lo vorresti nemmeno a cento miglia. Altro che alla Festa.»
«Forse è soltanto un profugo del Ghealdan o magari un ladro convinto che sia più facile fare bottino qui che non a Baerlon o a Taren Ferry. E nei dintorni nessuno può permettersi di subire furti. Se quell’uomo vuole solo sfuggire alla guerra... be’, non è un buon motivo per spaventare la gente. Appena entreranno in funzione le pattuglie, o lo troveranno o lo faranno scappare.»
«Mi auguro che lo facciano scappare. Ma perché adesso mi credi e stamattina no?»
«Dovevo credere ai miei occhi, figliolo, e non ho visto niente. A quanto sembra, solo i ragazzi lo vedono. Però, quando Haral Luhhan ha detto che Perrin vedeva le ombre, è venuta fuori tutta la storia. Anche il figlio maggiore di Jon Thane l’ha visto, e Bandry, il figlio di Samel Crowe. Be’, quattro ragazzi, tutti con la testa sulle spalle, dicono di vedere una cosa; allora ci siamo chiesti se per caso non eravamo noi adulti a non vederla. Proprio per questo torniamo a casa. In nostra assenza, laggiù questo forestiero può combinare ogni sorta di guai. Se non ci fosse la Festa, domani non verrei neppure al villaggio. Ma non possiamo chiuderci in casa solo perché questo tizio si aggira nei dintorni.»
«Non sapevo di Ban e di Lem» disse Rand. «Avevamo deciso di parlare al sindaco, domani; ma temevamo che non ci credesse,» I capelli grigi non significano cervello rammollito. Tieni gli occhi aperti. Forse lo scorgerò anch’io, se compare di nuovo.
Rand si mise all’erta. Con sorpresa si accorse di avere il passo più leggero. La tensione era sparita. Lui e Tam erano da soli sulla Strada della Cava, proprio come quel mattino, ma in qualche modo Rand si sentiva come se ci fosse l’intero villaggio. Gli altri sapevano e gli credevano, ecco la differenza. Il cavaliere dal mantello nero non poteva fare nulla che la gente di Emond’s Field, unita, non fosse in grado di affrontare.