14 Al Cervo e Leone

La locanda ferveva d’attività, come avevano lasciato capire i rumori che ne provenivano. Il gruppetto seguì mastro Fitch, varcò la porta posteriore e presto si trovò a scansare un fiume di uomini e donne in grembiule, che reggevano in alto piatti di cibo e vassoi di bevande. I servitori mormoravano parole di scusa, quando tagliavano la strada ai clienti, ma non rallentavano d’un passo. Un uomo ricevette da mastro Fitch una serie di rapidi ordini e sparì di corsa.

«La locanda è piena, purtroppo» disse a Moiraine il locandiere. «Fin quasi alle travi del soffitto. Ogni locanda della città è nelle stesse condizioni. Con l’inverno che abbiamo avuto... be’, appena il tempo è migliorato quanto bastava a scendere dalle montagne, siamo stati inondati, proprio così, da gente delle miniere e delle fonderie; e tutti avevano da raccontare orribili storie. Lupi, e cose anche peggiori. Quel tipo di storie che gli uomini raccontano quando sono stati al chiuso per tutto l’inverno. Credo che lassù non ci sia rimasto nessuno, a giudicare da quanti ce ne sono qui. Ma niente paura. Anche se siamo un po’ allo stretto, farò del mio meglio per te e per mastro Andra. E anche per i tuoi amici, naturalmente.» Diede un paio d’occhiate di curiosità a Rand e agli altri; i loro abiti li segnavano subito come campagnoli, e l’abbigliamento da menestrello rendeva Thom un bizzarro compagno di viaggio anche per “lady Alys” e “mastro Andra". «Farò del mio meglio, state tranquilli.»

Mat e Perrin, curiosi, piegarono il collo verso la sala comune, da dove, ogni volta che si apriva la porta in fondo al corridoio, provenivano risa, canti, grida gioviali. Il Custode brontolò che sarebbe andato a sentire le ultime novità e scomparve al di là della porta, inghiottito da un’ondata di divertimento.

Rand avrebbe voluto seguirlo, ma non vedeva l’ora di fare un bel bagno caldo. Mat e Perrin sembravano pensarla allo stesso modo; Mat si grattava di nascosto.

«Mastro Fitch» disse Moiraine «ho sentito dire che a Baerlon ci sono Figli della Luce. È probabile che avvengano tumulti?»

«Oh, non hai di che preoccuparti, lady Alys. Si comportano come al solito. Sostengono che in città c’è una Aes Sedai.» Moiraine inarcò il sopracciglio e il locandiere allargò le mani grassocce. «L’hanno già fatto altre volte. Non ci sono Aes Sedai, a Baerlon, e il Governatore lo sa. I Manti Bianchi sono convinti che se mostrano una Aes Sedai, una donna che secondo loro è una Aes Sedai, la gente li lascerà entrare tutti dentro le mura. Immagino che alcuni li farebbero entrare. Ma la maggior parte sa bene cosa combinano i Manti Bianchi e sostiene il Governatore. A nessuno piace che una vecchietta inoffensiva sia maltrattata solo perché i Figli abbiano la scusa per scatenare un putiferio.»

«Sono lieta di saperlo» disse Moiraine, in tono asciutto. Posò la mano sul braccio del locandiere. «Min è ancora qui? Vorrei parlarle, se c’è.»

L’arrivo degli inservienti che dovevano guidarli ai bagni impedì a Rand di udire la risposta di mastro Fitch. Moiraine e Egwene si allontanarono dietro una donna grassoccia, dal sorriso pronto, con le braccia cariche di asciugamani. Il menestrello, Rand e i suoi due amici seguirono un tizio magro, dai capelli neri, di nome Ara.

Rand cercò di fargli domande su Baerlon, ma l’uomo disse appéna due parole di fila, se non per notare che Rand aveva una pronuncia buffa; poi la vista della stanza da bagno tolse a Rand la voglia di chiacchierare.

Nell’ampia stanza dalle pareti di pietra c’era una decina di vasche di rame disposte in cerchio; il pavimento a piastrelle era in leggera pendenza verso il centro, per consentire il drenaggio. Sopra lo sgabello posto dietro ogni vasca c’erano un ampio asciugamano ben piegato e un grosso pezzo di sapone giallo; lungo una parete ardevano dei fuochi sui quali si scaldava l’acqua contenuta in grossi calderoni di ferro. Alla parete opposta, un fuoco di ceppi bruciava nell’ampio camino e contribuiva a riscaldare la stanza.

«Quasi buono come alla Fonte di Vino» disse Perrin, più per spirito campanilistico che per altro.

Thom si mise a ridere e Mat ridacchiò: «Senza saperlo, abbiamo portato con noi un Coplin.»

Rand si tolse mantello e vestiti, subito imitato dagli altri, mentre Ara riempiva d’acqua quattro vasche. Quando gli abiti furono impilati sugli sgabelli, Ara portò a ciascuno un grosso secchio d’acqua e un mestolo. Poi andò a sedersi su di una panca e si appoggiò alla parete, con le braccia conserte, apparentemente perso nei propri pensieri.

I quattro non parlarono molto, mentre si insaponavano e con mestoli d’acqua fumante si toglievano lo sporco d’una settimana. Poi si infilarono nelle vasche per godersi un lungo bagno. Da tiepida, l’aria della stanza divenne nebbiosa e calda. Per un bel pezzo gli unici rumori furono gli occasionali sospiri di sollievo al rilassarsi dei muscoli e alla scomparsa del gelo che avevano creduto di non togliersi più dalle ossa.

«Vi occorre altro?» chiese all’improvviso Ara. Aveva poco da criticare la pronuncia altrui: sia lui, sia mastro Fitch, parlavano come se avessero la bocca piena di farinata. «Asciugamani? Acqua calda?»

«Niente» rispose Thom, con voce sonora. A occhi chiusi, mosse la mano in un gesto indolente. «Vai a goderti la serata. Più tardi farò in modo che tu abbia una ricompensa più che adeguata al tuo servizio.» S’infilò maggiormente nella vasca, finché l’acqua lasciò scoperti solo gli occhi e il naso.

Ara posò lo sguardo sugli sgabelli dietro le vasche, dove erano deposte le loro cose; diede un’occhiata all’arco, ma si soffermò più a lungo sulla spada di Rand e sull’ascia di Perrin. «Ci sono disordini anche nelle campagne?» domandò bruscamente. «Nei Fiumi, o come le chiamate?»

«I Fiumi Gemelli» disse Mat, pronunciando distintamente le due parole. «Si chiamano Fiumi Gemelli. In quanto ai disordini, perché...»

«Cosa significa, “anche"?» intervenne Rand. «Ci sono disordini qui in città?»

Perrin, godendosi il bagno, mormorò: «Bene! Bene!» Thom emerse un poco e aprì gli occhi.

«Qui?» sbuffò Ara. «Disordini? Minatori che fanno a pugni nelle vie fino al mattino non sono disordini. Né...» Si bloccò e li fissò per un istante. «Intendo disordini come quelli nel Ghealdan» disse infine. «No, non credo. Ci sono solo pecore, giù da voi, vero? Senza offesa. Voglio dire che laggiù la vita è tranquilla. Però è stato un inverno insolito. Cose insolite, nelle montagne. L’altro giorno ho sentito dire che su nella Saldaea c’erano Trolloc. Ma la Saldaea fa parte delle Marche di Confine, giusto?» Chiuse di scatto la bocca, come sorpreso di avere parlato tanto.

Alla parola “Trolloc", Rand si era irrigidito; cercò di nascondere la reazione passandosi sulla testa lo straccio che serviva da spugna. Mentre l’inserviente continuava, si rilassò, ma non tutti tennero la bocca chiusa.

«Trolloc?» ridacchiò Mat. Rand gli schizzò dell’acqua, ma l’altro si limitò ad asciugarsi, continuando a sorridere. «Lascia solo che ti parli io, dei Trolloc.»

Thom intervenne. «Perché non te ne stai zitto? Sono stufo di sentirti raccontare le mie storie.»

«Lui è un menestrello» disse Perrin. Ara gli lanciò un’occhiata sprezzante.

«Ho visto il mantello. Terrai spettacolo?»

«Un momento» protestò Mat. «Cosa significa che racconto le storie di Thom? Siete tutti...»

«Non le racconti bene come Thom, ecco» lo interruppe in fretta Rand. E Perrin lo aiutò: «Aggiungi sempre particolari per migliorarle, ma non ci riesci.»

«E fai anche confusione» aggiunse Rand. «Lasciale raccontare a Thom.»

Parlavano così in fretta che Ara rimase a fissarli a bocca aperta. Anche Mat fissava gli altri, come se fossero improvvisamente impazziti. Rand si domandò come farlo stare zitto senza saltargli addosso.

La porta si spalancò con un tonfo ed entrò Lan, mantello marrone sulla spalla, portando con sé una ventata d’aria fredda che per un momento disperse il vapore.

«Bene» disse il Custode, fregandosi le mani. «Ecco quel che mi ci vuole.» Ara prese un secchio, ma Lan lo allontanò con un gesto. «Faccio da solo» disse. «Depose sullo sgabello il manto, spinse fuori della stanza l’inserviente, nonostante le sue proteste, e chiuse per bene la porta. Rimase un momento dietro l’uscio, con la testa piegata di lato, ad ascoltare; quando si girò verso gli altri, scoccò a Mat un’occhiataccia e parlò con voce dura come pietra.» Per fortuna sono arrivato in tempo, contadino. Non ascolti, quando ti si dice una cosa?

«Non ho fatto niente» protestò Mat. «Volevo solo raccontargli dei Trolloc, non di...» Si bloccò ed evitò lo sguardo del Custode appiattendosi contro la vasca.

«Non parlare di Trolloc» disse Lan, truce. «Non pensare nemmeno ai Trolloc.» Con uno sbuffo d’ira cominciò a riempirsi la vasca. «Sangue e ceneri, faresti meglio a ricordare che il Tenebroso ha occhi e orecchie dove uno meno se l’aspetta. E se i Figli della Luce venissero a sapere che i Trolloc vi inseguivano, brucerebbero dalla smania di mettere le mani su di voi. Per loro sarebbe come dichiararvi Amici delle Tenebre. Forse non ci siete abituati, ma finché non siamo a destinazione, non fidatevi di niente, a meno che non ve lo diciamo lady Alys o io stesso.» Notando l’enfasi sul nome assunto da Moiraine, Mat trasalì.

«C’è qualcosa che quell’uomo non ha voluto dirci» disse Rand. «Un guaio, secondo lui, ma non l’ha precisato.»

«Probabilmente i Figli» rispose Lan, versando nella vasca altra acqua calda. «Molti li considerano un guaio. Altri no, però, e lui non vi conosceva tanto da rischiare. Per quel che ne sapeva, potevate andare di corsa dai Manti Bianchi.»

Rand scosse la testa; quel posto già sembrava peggiore di Taren Ferry.

«Ha detto che c’erano Trolloc nella... nella Saldaea, giusto?» disse Perrin.

Lan gettò per terra il secchio vuoto. «Vuoi proprio parlarne, eh? Ci sono sempre Trolloc, nelle Marche di Confine. Ma tieni sempre presente che vogliamo richiamare meno attenzione di topolini in un campo. Pensaci bene. Moiraine vuole che arriviate sani e salvi a Tar Valon, e io l’aiuterò per quanto è possibile; ma se in qualche modo la danneggiate...»

Il bagno proseguì in silenzio; e anche al termine, quando si rivestirono, nessuno aprì bocca.

Usciti dalla stanza dei bagni, in fondo al corridoio videro Moiraine in compagnia di una ragazza snella non più alta di lei. Almeno, Rand pensò che fosse una ragazza, anche se aveva i capelli neri tagliati corti e portava camicia e brache da uomo. Moiraine disse qualcosa e la ragazza lanciò ai cinque un’occhiata penetrante, annuì e si allontanò in fretta.

«Bene» disse Moiraine, mentre loro si avvicinavano «sono sicura che il bagno vi ha messo fame. Mastro Fitch ci ha riservato una sala da pranzo privata.» Mentre faceva strada, continuò a chiacchierare di cose di scarsa importanza: le loro camere, l’affollamento in città, il desiderio del locandiere che Thom si esibisse nella sala comune, con un po’ di musica e un paio di storie. Non parlò della ragazza, se ragazza era.

Nella sala da pranzo privata c’erano un tavolo di lucida quercia, una decina di sedie e un folto tappeto. Quando entrarono, Egwene, con i capelli ben pettinati intorno alle spalle, smise di scaldarsi le mani al fuoco scoppiettante e girò la schiena al camino. Rand aveva avuto un bel po’ di tempo per riflettere, nel silenzio della stanza dei bagni. Il continuo ammonimento di Lan a non fidarsi di nessuno, e soprattutto il timore di Ara a fidarsi di loro, gli avevano fatto capire quanto soli in realtà fossero. A quanto pareva, potevano fidarsi soltanto di se stessi e lui non sapeva con sicurezza fino a che punto fidarsi di Moiraine e di Lan. E Egwene era sempre Egwene. Moiraine aveva detto che avrebbe comunque toccato la Vera Fonte, ma che non aveva controllo su di essa: questo significava che non era colpa sua. Ed era sempre Egwene.

Aprì la bocca per scusarsi, ma Egwene non gli diede il tempo di parlare: s’irrigidì e gli girò la schiena. Imbronciato, Rand inghiottì le parole di scusa. “E va bene” si disse. “Se vuole così, non posso farci niente."

In quel momento entrò mastro Fitch, seguito da quattro donne in grembiule bianco che portavano stoviglie e scodelle coperte. Le donne si misero subito a preparare la tavola, mentre il locandiere rivolgeva a Moiraine un inchino.

«Chiedo scusa, lady Alys, d’averti fatto aspettare; ma con tutta questa gente nella locanda, c’è da stupirsi che ognuno sia servito. Purtroppo il cibo non è come dovrebbe essere. Solo pollo, con rape e piselli, e un poco di formaggio per dopo. No, non è proprio come dovrebbe essere. Le mie scuse, davvero.»

«Un banchetto» sorrise Moiraine. «Per questi tempi pieni di guai, è un vero banchetto, mastro Fitch.»

Il locandiere s’inchinò di nuovo. I capelli ricci, che sporgevano in tutte le direzioni come se vi passasse di continuo le dita, resero comico l’inchino, ma il suo sorriso era così piacevole che chiunque avrebbe riso con lui, non di lui. «Grazie, lady Alys. Grazie.» Con un angolo del grembiule tolse dal tavolo un immaginario granello di polvere. «Non è la cena che vi avrei servito un anno fa, naturalmente. L’inverno. Colpa dell’inverno. Le mie cantine si svuotano e il mercato è quasi vuoto. E chi può biasimare i contadini? Chissà quando faranno un altro raccolto. Ora sono i lupi, a prendersi i montoni e i manzi che dovrebbero comparire sulla mensa della gente e...»

All’improvviso parve rendersi conto che quel genere di discorsi non rendeva di sicuro più appetitosa la cena. «Ah, quanto chiacchiero. La vecchiaia, certo. Mari, Cinda, lasciate che gli ospiti cenino in pace.» A gesti allontanò le donne e rivolse a Moiraine un altro inchino. «Ti auguro buon appetito, lady Alys. Se desideri altro, hai solo da dirlo e te lo porto subito. È un piacere servire te e mastro Andra. Un vero piacere.» Dopo un ultimo, profondo inchino uscì, chiudendosi piano la porta alle spalle.

Per tutta la chiacchierata Lan era rimasto appoggiato alla parete, come se dormisse. Ora balzò in piedi e con due lunghi passi fu alla porta. Accostò l’orecchio al pannello e rimase in ascolto, poi socchiuse l’uscio e sporse la testa nel corridoio. «Se ne sono andati» disse infine, richiudendo la porta. «Possiamo parlare in pace.»

«Hai detto che non bisogna fidarsi di nessuno» disse Egwene. «Ma se sospetti del locandiere, perché ci siamo fermati qui?»

«Sospetto di lui come di chiunque» replicò Lan. «E finché non saremo a Tar Valon, sospetterò di tutti. Laggiù, sospetterò solo a metà.»

Rand fece per sorridere, pensando che quella del Custode fosse una battuta. Poi si accorse che non c’era traccia di divertimento, sul viso di Lan. Avrebbe sospettato anche della gente di Tar Valon. Ma c’era, un posto sicuro?

«Esagera» disse Moiraine, per tranquillizzarli. «Mastro Fitch è un brav’uomo, onesto e affidabile. Ma gli piace parlare; e anche con la migliore volontà di questo mondo, potrebbe lasciarsi scappare qualcosa davanti alle persone sbagliate. Ancora non mi sono fermata in una locanda dove metà delle cameriere non origli alla porta e non passi più tempo a spettegolare che a rifare i letti. Sediamoci, prima che la cena si raffreddi.»

Presero posto intorno al tavolo, con Moiraine e Lan alle estremità; per un poco furono troppo occupati a riempirsi il piatto per parlare. Forse non era un banchetto, ma dopo una settimana di gallette e di carne affumicata, ne aveva proprio il gusto.

Dopo un poco Moiraine domandò: «Cosa hai saputo, nella sala comune?» Coltelli e forchette si fermarono a mezz’aria e tutti gli occhi si puntarono sul Custode.

«Di buono, poco» rispose Lan. «Avin aveva ragione, almeno a quanto si dice. Nel Ghealdan c’è stata una battaglia e ha vinto Logain. Su questo concordano tutte le voci.»

Logain? Si trattava certamente del falso Drago. Era la prima volta che Rand ne udiva il nome. Sembrava quasi che Lan lo conoscesse di persona.

«Le Aes Sedai?» domandò Moiraine a bassa voce. Lan scosse la testa.

«Non so. Alcuni dicono che sono state uccise tutte. Altri, che non è morta nessuna.» Sbuffò. «Altri ancora dicono perfino che si sono unite a Logain. Tutte voci poco attendibili; ma non potevo mostrarmi troppo curioso.»

«Sì» disse Moiraine. «Notizie che servono a poco.» Con un profondo sospiro riportò l’attenzione alla tavola. «E per quanto ci riguarda più da vicino?»

«In questo andiamo meglio: non ci sono stati eventi insoliti, non si sono visti forestieri che potrebbero essere Myrddraal e di sicuro nemmeno Trolloc. I Manti Bianchi sono impegnati a prendersela col governatore Adan perché non vuole cooperare. Non ci noteranno, se non ci metteremo in mostra.»

«Bene. Concorda con quanto ha detto l’inserviente dei bagni. I pettegolezzi hanno i loro vantaggi.» Si rivolse all’intero gruppetto. «Ci aspetta ancora un lungo viaggio; l’ultima settimana non è stata facile, per cui propongo di restare qui stanotte e domani notte; ce ne andremo dopodomani di buon’ora.» I tre ragazzi sorrisero: una città, per la prima volta. Anche Moiraine sorrise, ma aggiunse: «Sentiamo cosa ne pensa mastro Andra.»

Lan rimase serio. «Per me va bene, se una volta tanto badano ai miei avvertimenti.»

Thom sbuffò sotto i baffi. «Gente di campagna, lasciata libera in... in una città.» Tornò a sbuffare e scosse la testa.

Dato l’affollamento, erano disponibili solo tre camere: una per Moiraine e Egwene, due per gli uomini. Rand divise con Lan e con Thom una stanza al terzo piano, sul retro, quasi sotto le grondaie sporgenti, con una sola finestrella che dava sul cortile della stalla.

Lo spazio, già scarso, era ulteriormente ridotto dall’aggiunta di un terzo letto per Thom, anche se i letti erano assai stretti. E duri, scoprì Rand, quando si buttò sul suo. Non era proprio la stanza migliore.

Thom si trattenne solo il tempo sufficiente a togliere dall’astuccio flauto e arpa, poi uscì. Lan andò con lui.

Solo una settimana fa, si disse Rand, rigirandosi nello scomodo letto, sarebbe sceso dabbasso in fretta e furia, se c’era la possibilità anche remota di vedere all’opera un menestrello. Ma per una settimana aveva ascoltato ogni sera le storie di Thom, e il menestrello sarebbe stato lì anche la sera seguente, e quella dopo, e il bagno caldo gli aveva sciolto groppi di muscoli irrigiditi e il primo pasto caldo da sette giorni a quella parte gli aveva messo sonnolenza. Si domandò se Lan conosceva davvero il falso Drago, Logain. Dal pianterreno provenne un clamore attutito: nella sala comune la gente aveva salutato l’ingresso di Thom. Ma Rand già dormiva.


Nel corridoio di pietra, quasi buio e pieno d’ombre, c’era soltanto Rand. Il ragazzo non sapeva dire da dove provenisse la fioca luce: alle pareti spoglie non c’erano candele né lumi, niente che giustificasse il debole bagliore. L’aria era ferma e umida; in lontananza l’acqua sgocciolava con un rumore sordo e continuo. Non era certo un corridoio della locanda. Rand inarcò le sopracciglia e si lisciò la fronte. Locanda? Aveva mal di testa e non riusciva a concentrarsi. C’era stato qualcosa a proposito di... una locanda? Il pensiero svanì.

Rand si umettò le labbra. Aveva una sete spaventosa. Fu lo sgocciolio a fargli prendere la decisione. Non avendo altro su cui basarsi, tranne la sete, si diresse verso quel continuo plic, plic, plic.

Il corridoio si estendeva senza diramazioni e in apparenza senza il minimo cambiamento. Le uniche caratteristiche erano le rozze porte poste a intervalli regolari, una per parte: il legno era screpolato e secco, nonostante l’aria umida. Le ombre arretravano davanti a lui, immutate, e lo sgocciolio non si avvicinava affatto. Dopo un bel po’, Rand decise di provare una porta. L’uscio si aprì facilmente e lui entrò in una stanza dalle pareti di pietra e dall’aria sinistra.

Una parete aveva una serie di archi che davano su una balconata di pietra grigia, al di là della quale c’era un cielo come non ne aveva mai visti. Nuvole striate di nero e di grigio, di rosso e di arancione, correvano come spinte da vento di tempesta, mescolandosi senza fine. Nessuno aveva mai visto un cielo del genere: non poteva esistere.

Rand staccò lo sguardo dalla balconata, ma il resto della stanza non era migliore. Presentava curve bizzarre e angoli insoliti, come se l’avessero ricavata quasi a caso dalla roccia, e colonne che parevano crescere dal pavimento grigio. Nel camino le fiamme ruggivano come in una forgia sotto l’azione del mantice, ma non davano calore. Bizzarre pietre ovali formavano il focolare. Se le fissava, sembravano semplici pietre, umide e scivolose nonostante il fuoco; ma se le guardava con la coda dell’occhio, parevano invece facce di uomini e di donne che si torcessero negli spasimi e urlassero senza emettere suono. Le sedie dall’alta spalliera e il tavolo al centro della stanza erano assai comuni, ma proprio per questo accentuavano la bizzarria del resto. Alla parete era appeso uno specchio, ma tutt’altro che comune. Quando vi si guardò, Rand vide solo una macchia confusa anziché la propria immagine. Ogni cosa vi era rispecchiata esattamente, tranne lui.

Un uomo era fermo davanti al camino. Rand non l’aveva visto entrare: se non avesse saputo che era impossibile, avrebbe detto che non c’era, finché non aveva guardato da quella parte. Vestito d’abiti scuri di buona fattura, pareva nel fiore della maturità e Rand immaginò che le donne l’avrebbero trovato di bell’aspetto.

«Ancora una volta ci troviamo a faccia a faccia» disse l’uomo; e, solo per un istante, la bocca e gli occhi divennero aperture spalancate in caverne infinite e fiammeggianti.

Con un grido Rand si ritrasse dalla stanza, con tanta violenza da urtare la parete opposta del corridoio e spalancare l’altra porta. Si girò di scatto, afferrò la maniglia per non cadere a terra... e si trovò a fissare a occhi sbarrati una stanza di pietra, un impossibile cielo al di là degli archi della balconata, un camino...

«Non è così facile, sfuggirmi» disse l’uomo.

Rand si girò, barcollò in fretta fuori della stanza, cercò di mantenere l’equilibrio: il corridoio non c’era più. Rimase impietrito, quasi acquattato vicino al tavolo lucido, e guardò l’uomo accanto al camino. Meglio che non le pietre del focolare o il cielo.

«È un sogno» disse, alzandosi. Alle sue spalle udì il rumore d’ella porta che si chiudeva. «Un incubo.» Chiuse gli occhi, pensò a svegliarsi. Da bambino, la Sapiente gli aveva detto che in questo modo l’incubo scompariva. La... Sapiente? Cosa? Se solo i pensieri avessero smesso di scivolare via! Se solo la testa avesse smesso di fargli male... allora sarebbe riuscito a pensare correttamente.

Riaprì gli occhi. La stanza era identica a prima: la balconata, il cielo, l’uomo accanto al camino.

«È proprio un sogno?» disse l’uomo. «Ma ha importanza?» Di nuovo, per un istante, la bocca e gli occhi divennero spioncini su una fornace che pareva estendersi all’infinito. La voce non cambiò: l’uomo non parve accorgersi di niente.

Rand stavolta sobbalzò un poco, ma riuscì a non urlare. “È un sogno” si disse. “Non può essere altro." Tuttavia arretrò fino alla porta, senza staccare lo sguardo dall’uomo accanto al fuoco, e provò a girare la maniglia: la porta era chiusa.

«Sembri assetato» disse l’uomo. «Bevi.»

Sul tavolo c’era un calice d’oro lucente, ornato di rubini e di ametiste. Non era lì, prima. Rand avrebbe voluto smetterla di tremare. Era solo un sogno. Gli sembrava d’avere la bocca piena di polvere.

«Sì, ho un po’ di sete» disse, prendendo il calice. L’uomo si sporse a fissarlo con attenzione, la mano sulla spalliera di una sedia. Il profumo di vino speziato fece capire a Rand quanta sete avesse, come se per giorni interi non avesse bevuto niente. Possibile?

Sollevò il calice e si bloccò. Riccioli di fumo si levavano dalla spalliera della sedia, fra le dita dell’uomo. E i suoi occhi lo fissavano con intensità, guizzavano tra le fiamme.

Rand si leccò le labbra e posò il calice senza assaggiare il vino. «Non ho tanta sete come credevo» disse. L’uomo si raddrizzò di scatto, con viso inespressivo. Ma la delusione non sarebbe stata più evidente nemmeno se avesse imprecato. Rand si domandò che cosa ci fosse, nel vino. Ma era una domanda stupida, certo. Era solo un sogno. Allora perché non terminava?

«Cosa vuoi?» chiese. «Chi sei?»

Fiamme scaturirono dalla bocca e dagli occhi dell’uomo. A Rand parve di udirne il ruggito. «Alcuni mi chiamano Ba’alzamon» fu la risposta.

Rand si girò verso la porta, tirò freneticamente la maniglia. Il pensiero che si trattasse d’un sogno era svanito. Il Tenebroso. La maniglia non si mosse, ma lui continuò a tirare.

«Sei tu, quello che cerco?» disse all’improvviso Ba’alzamon. «Non puoi tenerlo nascosto per sempre. E non puoi nemmeno nasconderti da me, neanche sulla montagna più alta, neanche nella grotta più profonda. Ti conosco a capello.»

Rand si girò per affrontare l’uomo... per affrontare Ba’alzamon. Deglutì con forza. Un incubo. Allungò la mano per dare alla maniglia un ultimo strattone, poi raddrizzò le spalle.

«Ti aspetti gloria?» disse Ba’alzamon. «Potere? Ti hanno detto che l’Occhio del Mondo sarà al tuo servizio? Quale gloria e quale potere toccano a un burattino? Le stringhe che ti muovono sono state intessute da secoli. Tuo padre fu scelto dalla Torre Bianca, come uno stallone legato alla cavezza e condotto al suo compito. Tua madre non era altro che una fattrice, per i loro piani. E questi piani portano alla tua morte.»

Rand strinse i pugni. «Mio padre è un brav’uomo e mia madre era una donna per bene. Non parlare di loro!»

Le fiamme risero. «C’è del coraggio in te, dopotutto. Forse sei proprio tu, quello che cerco. Ma il coraggio ti gioverà ben poco. L’Amyrlin Seat ti userà, finché non sarai consumato, proprio come furono usati Davian e Yurian Stonebow e Guaire Amalasan e Raolin Darksbane. Proprio come è usato Logain. Finché di te non resterà niente.»

«Non so...» Rand agitò la testa da una parte e dall’altra. Quel solo momento di pensiero chiaro, nato dall’ira, era sparito. I suoi pensieri continuavano a turbinare. Rand ne afferrò uno, zattera nel gorgo. Si costrinse a parlare, con voce man mano più forte. «Tu... sei imprigionato... a Shayol Ghul. Tu e tutti i Reietti... imprigionati dal Creatore fino alla fine del tempo.»

«La fine del tempo?» lo schernì Ba’alzamon. «Tu vivi come uno scarafaggio sotto la pietra e pensi che il tuo fango sia l’universo. La morte del tempo mi porterà un potere che non puoi nemmeno sognare, verme.»

«Tu sei imprigionato...»

«Sciocco, non sono mai stato imprigionato!» I fuochi del suo viso ruggirono con tanto calore che Rand indietreggiò, riparandosi con le mani. Il sudore sul palmo si asciugò per il calore. «Fui a fianco di Lews Therin Kinslayer, quando compì il misfatto che gli valse il soprannome. Fui io a dirgli di uccidere la propria moglie e i propri figli e tutta la propria stirpe e ogni persona che amava o da cui era amato. Fui io a dargli il momento di lucidità perché sapesse che cosa aveva fatto. Hai mai sentito un uomo urlare fino a perdere l’anima, verme? Poteva colpirmi, allora. Non avrebbe vinto, ma poteva tentare. Invece chiamò su di se il suo prezioso Potere, tanto che la terra si aprì e innalzò Montedrago per segnare la sua tomba.

«Mille anni dopo, mandai i Trolloc a depredare il meridione e per tre secoli essi devastarono il mondo. Quelle stolte e cieche di Tar Valon dissero che ero stato infine sconfitto, ma il Secondo Patto, il Patto delle Dieci Nazioni, era infranto senza rimedio e chi rimase a opporsi a me, allora? Io sussurrai nell’orecchio di Artur Hawkwing e la terra Aes Sedai morì in lungo e in largo. Io sussurrai di nuovo e il Gran Monarca mandò i suoi eserciti al di là dell’oceano Aryth e del Mare del Mondo, e con questo atto sancì due condanne. La condanna del suo sogno di una sola terra e di un solo popolo, e una condanna ancora da venire. Ero al suo capezzale, quando i consiglieri gli dissero che solo le Aes Sedai potevano salvargli la vita. Parlai, e lui ordinò d’impalare i consiglieri. Parlai, e le ultime parole del Gran Monarca furono l’ordine di distruggere Tar Valon.

«Se uomini del valore di costoro non hanno potuto opporsi a me, quale possibilità hai tu, rospo acquattato accanto a una pozza della foresta? Servirai me, oppure ballerai ai fili delle Aes Sedai, fino alla tua morte. E poi sarai mio! I morti appartengono a me!»

«No» borbottò Rand. «È un sogno. È un sogno!»

«Credi d’essere al sicuro da me, nei tuoi sogni? Guarda!» Ba’alzamon puntò il dito, con gesto autoritario, e Rand fu costretto, anche se non voleva, a girare la testa.

Sul tavolo, il calice era sparito. Al suo posto era acquattato un grosso ratto, che batteva le palpebre alla luce e fiutava con diffidenza l’aria. Ba’alzamon piegò il dito: con uno squittio, il ratto inarcò la schiena e con le zampe anteriori artigliò l’aria, cercando goffamente di reggersi su quelle posteriori. Il dito si piegò maggiormente e il ratto cadde, agitando freneticamente le zampe, squittendo acutamente, con il dorso che si piegava, si piegava, si piegava. Ci fu uno schiocco secco, come lo spezzarsi d’un rametto: il ratto tremò violentemente e rimase immobile, quasi piegato in due.

Rand deglutì. «Nei sogni può accadere di tutto» borbottò. Senza guardare, diede un pugno alla porta. Sentì il dolore alla mano, ma non si svegliò.

«Allora vai dalle Aes Sedai. Vai alla Torre Bianca e racconta tutto. Racconta all’Amyrlin Seat questo... sogno.» Scoppiò a ridere e Rand sentì il calore delle fiamme che scaturivano dal suo viso. «Questo è un modo per sfuggire loro. Allora non ti useranno. No, perché sapranno che so. Ma ti lasceranno vivere, col rischio che tu vada a raccontare in giro che cosa fanno? Sei tanto sciocco da crederlo? Le ceneri di molti come te sono disperse sui pendii di Montedrago.»

«Questo è un sogno» ansimò Rand. «È un sogno e mi sveglierò.»

«Ti sveglierai?» Con la coda dell’occhio, Rand vide l’uomo puntare il dito su di lui. «Davvero ti sveglierai?» Il dito si piegò e Rand urlò, mentre inarcava la schiena e ogni muscolo del corpo lo costringeva a piegarla sempre di più. «Ti sveglierai ancora?»


Rand si rizzò di scatto a sedere nel buio, strinse fra le mani stoffa. Una coperta. Dall’unica finestrella entrava un livido chiaro di luna. Vide le sagome scure degli altri due letti. Da uno proveniva un russare come di tela strappata: Thom Merrilin. Qualche tizzone brillava fra la cenere nel camino.

Era stato un brutto sogno, allora; come quell’incubo nella Fonte di Vino, il giorno di Bel Tine. Aveva solo messo insieme alla rinfusa vecchie storie e sciocche dicerie prive di fondamento. Si avvolse nel la coperta, tremando, ma non per il freddo. Anche la testa gli doleva. Forse Moiraine poteva fare qualcosa per mettere fine a quei sogni. Aveva detto che poteva aiutarlo, se aveva degli incubi.

Si distese, sbuffando. I suoi sogni erano davvero tanto brutti da spingerlo a chiedere l’aiuto di una Aes Sedai? D’altra parte, ormai non era fin troppo coinvolto? Aveva lasciato i Fiumi Gemelli, aveva seguito una Aes Sedai. Ma non aveva avuto scelta, ovviamente. Perciò non gli restava che fidarsi di lei. Una Aes Sedai. Non molto meglio dei sogni, a pensarci bene. Si rincantucciò sotto la coperta e si sforzò di trovare la calma del vuoto, come Tam gli aveva insegnato; ma il sonno fu lungo a tornare.

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