2 Forestieri

Quando Rand e Mat, con i primi due barili, attraversarono la sala comune, mastro al’Vere riempiva due boccali della sua miglior birra scura, spillandola da una delle botti allineate lungo la parete. Scratch, il fulvo gatto della locanda, se ne stava accucciato sopra la botte, con gli occhi chiusi e la coda raccolta intorno alle zampe. Tam si era accomodato di fronte al grande camino di pietra e pressava nel fornello della pipa il tabacco preso dal barattolo che il locandiere teneva sempre sulla mensola. Il camino, alto quasi quanto una persona, occupava metà parete dell’ampia sala quadrata; il fuoco scoppiettante teneva a bada il freddo dell’esterno.

A quell’ora dell’indaffarata vigilia della Festa, Rand si aspettava di trovare vuota la sala comune, a parte Bran, suo padre e il gatto; invece altri quattro membri del Consiglio del Villaggio, Cenn compreso, sedevano sulle seggiole dall’alta spalliera poste davanti al fuoco, con in mano un boccale e la testa avvolta dal fumo grigiazzurro delle pipe. Una volta tanto, nessun tavoliere per il gioco dei sassolini era in funzione e i libri di Bran riposavano sullo scaffale di fronte al camino. I presenti non parlavano nemmeno, si limitavano a scrutare in silenzio la birra e a battere sui denti il cannello della pipa; con impazienza, in attesa che Bran e Tam si unissero a loro.

Per il Consiglio del Villaggio, le preoccupazioni non erano rare, in quei giorni, almeno a Emond’s Field, e quasi certamente anche a Watch Hill o a Deven Ride. O perfino a Taren Ferry, anche se nessuno sapeva che cosa passasse realmente per la testa della gente di quel paese.

Solo due degli uomini davanti al fuoco, Haral Luhhan il fabbro e Jon Thane il mugnaio, si degnarono di dare un’occhiata ai ragazzi.

Mastro Luhhan, però, diede più d’una occhiata. Il fabbro aveva braccia grosse come cosce, con muscoli in rilievo, e portava ancora il grembiule di cuoio, come se avesse appena lasciato la fucina per venire alla riunione. Guardò i due ragazzi e corrugò la fronte, poi si raddrizzò sulla sedia e rivolse studiatamente l’attenzione a pressare il tabacco nel fornello della pipa.

Incuriosito, Rand rallentò il passo; trattenne a stento un grido, quando Mat gli rifilò un calcio alla caviglia. Mat accennò con insistenza al vano della porta in fondo alla sala comune e si mosse senza aspettare l’amico. Zoppicando un poco, Rand lo seguì.

«Cosa t’è saltato in mente?» protestò, nel corridoio che portava alla cucina. «A momenti mi rompevi la...»

«Il vecchio Luhhan» disse Mat, scrutando la sala comune, da sopra la spalla di Rand. «Sospetta, credo, che sono stato io a...» S’interruppe di colpo, perché comare al’Vere era uscita dalla cucina portandosi dietro una scia profumata di pane appena sfornato.

Sul vassoio aveva alcune croccanti pagnotte per cui era famosa in tutto Emond’s Field, oltre a piatti di sottaceti e di formaggio. Alla vista del cibo, Rand ricordò di colpo d’avere mangiato solo un tozzo di pane al mattino, prima di lasciare la fattoria. Lo stomaco emise un brontolio imbarazzante.

Comare al’Vere, una donna snella con la folta treccia già quasi grigia che le cadeva sulla spalla, sorrise con aria materna a tutt’e due i ragazzi. «In cucina ce n’è ancora, se avete fame, e non ho mai conosciuto ragazzi della vostra età che non fossero sempre affamati. Se preferite, stamane ho in forno dolcetti al miele.»

Comare al’Vere era una delle poche donne sposate che non giocava mai a trovare moglie a Tam. Nei confronti di Rand, il suo atteggiamento materno arrivava a sorrisi calorosi e a un rapido spuntino ogni volta che il ragazzo veniva alla locanda, ma trattava allo stesso modo ogni ragazzo della zona. Forse di tanto in tanto lo guardava come se volesse fare di più, ma almeno non andava al di là degli sguardi e Rand gliene era grato.

Senza attendere risposta, la donna entrò nella sala comune. Subito si udì il rumore di sedie smosse, mentre gli uomini si alzavano e si complimentavano per il profumo del pane. Lei era di gran lunga la migliore cuoca di Emond’s Field e ogni uomo nel raggio di varie miglia non si lasciava sfuggire l’occasione di mettersi alla sua tavola.

«Pasticcini al miele» disse Mat, con uno schiocco di labbra.

«Dopo» replicò Rand, con fermezza. «Altrimenti non finiremo più.»

Sopra la scala della cantina era appeso un lume, proprio accanto alla porta della cucina; un altro formava una pozza luminosa nella stanza dalle pareti di pietra sotto la locanda, lasciando solo un poco d’ombra negli angoli più lontani. Rastrelliere di legno lungo le pareti e sul pavimento contenevano fusti d’acquavite e di sidro e botti di birra e di vino, alcune fornite di spina. Su parecchie botti di vino Bran al’Vere aveva segnato col gesso l’anno d’acquisto, il fornitore e la città di produzione; ma birra e acquavite erano prodotte dai contadini dei Fiumi Gemelli o da Bran stesso. A volte i venditori ambulanti e perfino i mercanti portavano acquavite o birra prodotte all’esterno, ma erano meno buone, più costose e inoltre nessuno le chiedeva una seconda volta.

«Allora» disse Rand, mentre sistemavano nella rastrelliera i fustini «come mai eviti mastro Luhhan? Cos’hai combinato?»

Mat si strinse nelle spalle. «Niente, in pratica. Ho raccontato ad Adan al’Caar e a un paio di suoi amici pieni d’arie, Ewin Finngar e Dag Coplin, che alcuni contadini hanno visto segugi spettrali alitare fuoco e correre nei boschi. L’hanno bevuta liscia come l’olio.»

«E mastro Luhhan ce l’ha con te per questo?» disse Rand, poco convinto.

«Non proprio.» Mat esitò, scosse la testa. «Vedi, ho infarinato due suoi cani, così erano tutti bianchi. Poi li ho sguinzagliati vicino alla casa di Dag. Come facevo a sapere che sarebbero corsi subito a casa? Non è colpa mia. Se comare Luhhan non avesse lasciato la porta socchiusa, i cani non sarebbero entrati. Non volevo sporcarle di farina tutta la casa.» Ridacchiò. «M’hanno detto che con una scopa ha dato la caccia a tutti e tre: ai due cani e al vecchio Luhhan.»

Rand trasalì e rise allo stesso tempo. «Se fossi in te, sarei più preoccupato di Alsbet Luhhan che del fabbro suo marito. Lei è robusta quasi quanto lui, ma ha un carattere molto peggiore. Comunque, non importa. Se cammini svelto, forse non ti nota.» La faccia di Mat diceva che la battuta non era affatto divertente.

Però, quando passarono di nuovo dalla sala comune, Mat non ebbe bisogno di camminare in fretta. I sei avevano fatto capannello davanti al camino. Tam, con la schiena al focolare, parlava a voce bassa e gli altri si sporgevano per ascoltarlo meglio, con tanta attenzione che, se un gregge avesse attraversato la sala, non se ne sarebbero accorti. Rand avrebbe voluto passare più vicino per sentire di che cosa parlavano, ma Mat lo tirò per la manica e gli lanciò un’occhiata d’angoscia. Con un sospiro Rand lo seguì al carretto.

Tornati nel corridoio, trovarono sul primo gradino un vassoio con dolcetti al miele che mandavano un profumo dolce e intenso. C’erano anche due boccali e un bricco di sidro aromatizzato e fumante. Anche se proprio lui aveva ammonito di terminare prima il lavoro, Rand si ritrovò a fare gli ultimi due viaggi fra carretto e cantina cercando di destreggiarsi reggendo un fusto e un dolcetto bollente.

Sistemato nella rastrelliera l’ultimo fusto, si pulì dalle labbra le briciole, mentre Mat posava il proprio carico, e disse: «E ora il menestre...»

Sulle scale risuonarono dei passi e Ewing Finngar quasi ruzzolò giù per la fretta; il viso grassoccio gli brillava per l’ansia di raccontare la novità. «Ci sono forestieri nel villaggio» esclamò. Riprese fiato e lanciò a Mat un’occhiata di storto. «Non ho visto segugi spettrali, ma ho sentito dire che qualcuno ha infarinato i cani di mastro Luhhan. E comare Luhhan crede di sapere chi è il colpevole. La differenza d’età fra i due e Ewin, solo quattordicenne, di solito era più che sufficiente perché Mat e Rand lo liquidassero in fretta. Ma stavolta questi ultimi si scambiarono un’occhiata di sorpresa e parlarono tutt’e due nello stesso tempo.»

«Nel villaggio?» disse Rand. «Non nei boschi?»

E Mat: «Ha il mantello nero? L’hai visto in faccia?»

Ewin, incerto, guardò dall’uno all’altro, ma quando Mat avanzò minacciosamente d’un passo, rispose in fretta: «Certo che l’ho visto in faccia. E il mantello è verde. O forse grigio. Cambia colore. Sembra adeguarsi a dove si trova. A volte non lo vedi, anche se ce l’hai davanti al naso, se lui non si muove. E quello di lei è azzurro, come il cielo, e dieci volte più elegante di qualsiasi abito della festa che abbia mai visto. E lei è dieci volte più graziosa di chiunque altra. Una dama di nobili natali, come nelle storie. Di sicuro.»

«Lei?» disse Rand. «Ma di chi parli?» Guardò Mat, che si era messo le mani sulla testa e aveva chiuso gli occhi.

«I due di cui volevo parlarvi» borbottò Mat «prima che tu tirassi in ballo...» S’interruppe e aprì gli occhi per dare a Ewin un’occhiata penetrante. «Sono arrivati ieri sera» continuò dopo un attimo «e hanno preso alloggio qui alla locanda. Li ho visti arrivare a cavallo. Che cavalli, Rand! Non ne ho mai visti di così alti e lustri. Sembrano capaci di correre per sempre. Credo che lui lavori per lei.»

«Al suo servizio» intervenne Ewin. «Lo chiamano essere al servizio, nelle storie.»

Mat continuò come se Ewin non avesse parlato. «Comunque, le ubbidisce. Ma non sembra un dipendente. Un soldato, forse. Porta la spada come fosse una parte di lui, la mano o il piede. Fa sembrare cani randagi le guardie dei mercanti. E lei, Rand. Nemmeno in sogno ho mai visto una come lei. Sembra uscita dalle storie dei menestrelli. Sembra... sembra...» S’interruppe per rivolgere a Ewin un’occhiata acida. «Sembra una dama di nobili natali» concluse con un sospiro.

«Ma chi sono?» domandò Rand. Tranne i mercanti (una volta all’anno per comprare lana e tabacco) e i venditori ambulanti, nella terra dei Fiumi Gemelli non venivano mai, o quasi mai, forestieri. Forse a Taren Ferry, ma non così a meridione. E poi i mercanti erano quasi sempre gli stessi, quindi non erano veri e propri forestieri. Erano trascorsi cinque anni, da quando a Emond’s Field si era visto un forestiero, un tale che cercava di nascondersi per qualche guaio combinato a Baerlon di cui al villaggio nessuno aveva capito molto. Non si era fermato a lungo. «Cosa vogliono?» disse ancora.

«Cosa vogliono?» esclamò Mat. «Me ne frego, di cosa vogliono. Forestieri, Rand, e forestieri come non ti sogni nemmeno. Pensaci!»

Rand aprì la bocca, la richiuse senza dire niente. Il cavaliere dal mantello nero l’aveva reso nervoso come un gatto in mezzo ai cani.

Sembrava solo un’eccessiva coincidenza, tre forestieri nel villaggio nello stesso momento. Tre, se il mantello cangiante di quel tipo non diventava mai nero.

«Si chiama Moiraine» disse Ewin, in quell’attimo di silenzio. «Lui l’ha chiamata così. Lady Moiraine. Lui si chiama Lan. Forse alla Sapiente lei non è simpatica, ma a me sì.»

«Cosa ti fa pensare che a Nynaeve sia antipatica?» domandò Rand.

«Stamattina le ha chiesto la strada e l’ha chiamata “bambina".» Rand e Mat mandarono un fischio e Ewin s’ingarbugliò nella fretta di spiegare: «Lady Moiraine non sapeva che lei era la Sapiente. Si è scusata, quando l’ha scoperto. Davvero. E le ha fatto domande su certe erbe e sulla gente di Emond’s Field, mostrandosi rispettosa come le donne del villaggio... anche più di certune. Lei fa sempre domande: l’età della gente, da quanto tempo stanno qui... oh, non so che altro. Comunque, Nynaeve ha risposto come se avesse addentato un limone acerbo. Poi, quando Lady Moiraine si è allontanata, Nynaeve è rimasta a fissarla come, come... insomma, non era amichevole. Ve lo dico io.»

«Tutto qui?» disse Rand. «Conosci il carattere di Nynaeve. Quando l’anno scorso Cenn l’ha chiamata bambina, gli ha dato un colpo di bastone in testa, anche se lui fa parte del Consiglio e potrebbe essere suo nonno. Si arrabbia per qualsiasi cosa; ma, il tempo di girarsi, e le passa.»

«Per me è anche troppo» borbottò Ewin.

«Non m’interessano le bastonate di Nynaeve» ridacchiò Mat «finché non sono io a prenderle. Sarà un Bel Tine memorabile. Un menestrello, una lady... cosa vogliamo di più? Che importano i fuochi d’artificio?»

«Un menestrello?» disse Ewin, con voce più acuta.

«Vieni, Rand» continuò Mat, senza badare al ragazzino. «Qui abbiamo terminato. Devi vedere questo tipo.»

Salì a balzi gli scalini, con Ewin che gli arrancava alle calcagna e gridava: «C’è davvero un menestrello, Mat? Non è come i segugi spettrali, vero? O come le rane?»

Rand si soffermò il tempo necessario a spegnere il lume, poi si affrettò a raggiungerli.

Nella sala comune, Rowan Hurn e Samel Crawe si erano uniti agli altri, perciò l’intero Consiglio del Villaggio era presente. Al momento parlava Bran al’Vere, in tono così basso che solo un borbottio filtrava al di là del cerchio di sedie. Il sindaco sottolineava le parole battendo l’indice sul palmo dell’altra mano e guardando tutti, negli occhi, uno dopo l’altro. I presenti annuirono, d’accordo con quel che diceva, anche se Cenn si mostrò un po’ più riluttante degli altri.

Il modo come si tenevano vicini era più chiaro d’un cartello. Di qualsiasi cosa parlassero, il discorso riguardava solo il Consiglio, almeno per il momento. Non avrebbero approvato che Rand tentasse di ascoltarli. Con riluttanza, il giovane si allontanò. C’era sempre il menestrello. E i due forestieri.

Fuori, Bela e il carretto erano scomparsi, portati via da Hu o da Tad, gli stallieri della locanda. A qualche passo dalla porta principale, Mat e Ewin si guardavano di storto.

«Per l’ultima volta» ringhiò Mat «non è uno scherzo. C’è davvero un menestrello. Ora vattene. Rand, spiega a questa testa di legno che dico la verità, così mi lascia in pace.»

Rand si strinse nel mantello e avanzò per confermare le parole di Mat, ma la voce gli mancò e gli si rizzarono i capelli. Aveva di nuovo l’impressione d’essere osservato. Non era la stessa esperienza avuta col cavaliere nero, ma risultava ugualmente spiacevole, soprattutto a così breve distanza dalla prima.

Una rapida occhiata al Parco gli mostrò quel che aveva già visto: bambini che giocavano, gente che preparava la Festa, nessuno che guardasse dalla sua parte. L’Albero di Primavera aspettava il suo momento, senza nessuno intorno. Frastuono e strilli di bambini riempivano le vie laterali. Non c’era niente d’insolito. A parte il fatto che lui si sentiva osservato.

Poi qualcosa lo indusse a girarsi e a sollevare lo sguardo. Sul bordo del tetto di tegole della locanda era appollaiato un grosso corvo che ondeggiava un poco alle raffiche del vento proveniente dalle montagne. Il corvo teneva la testa piegata di lato e un occhietto era fisso... proprio su di lui, pensò Rand. All’improvviso si sentì avvampare di collera.

«Sporco mangiacarogne» borbottò.

«Sono stufo d’essere osservato» brontolò Mat. Si era avvicinato a Rand e anche lui guardava di storto il corvo.

I due ragazzi si scambiarono un’occhiata e insieme si chinarono a raccogliere un sasso.

I due sassi volarono dritti al bersaglio... e il corvo si spostò di lato; i sassi sibilarono nel punto dove si trovava l’attimo prima. Il corvo arruffò le penne e tornò a piegare la testa; puntò su di loro l’occhio nero come la notte, senza paura né altre reazioni.

Rand lo fissò, costernato. «Hai mai visto un corvo comportarsi così?» disse piano.

Mat scosse la testa, senza staccare lo sguardo dal corvo. «Mai. E nemmeno altri uccelli.»

«Un uccello disgustoso» disse una voce alle loro spalle, femminile e armoniosa nonostante l’eco del disgusto «di cui diffidare anche in tempi migliori.»

Il corvo emise un versaccio stridulo e si levò in aria con tanta violenza che due piume nere calarono ondeggiando giù dal tetto.

Sorpresi, Rand e Mat si girarono per seguire il rapido volo dell’uccello, al di sopra del Parco e verso le vette innevate delle Montagne di Nebbia che s’innalzavano dietro il Westwood, finché il corvo non divenne un puntino e scomparve.

Lo sguardo di Rand cadde sulla donna. Anche lei aveva osservato il volo del corvo, ma ora si girò e incrociò il suo sguardo. Rand rimase a fissarla. Di certo era lady Moiraine, bella proprio come Mat e Ewin l’avevano descritta, e anche di più.

Nel sentire che si era rivolta a Nynaeve chiamandola bambina, Rand se l’era immaginata anziana, ma non lo era. Almeno, lui non seppe darle un’età. Sulle prime pensò che fosse giovane come Nynaeve; ma più la guardava, più si convinceva del contrario: aveva negli occhi una luce di maturità, una traccia di conoscenza che nei giovani mancava. Ed era chiaro perché Mat e Ewin l’avevano definita una dama uscita dalle storie dei menestrelli. Nel portamento aveva una grazia e un’autorità che lo facevano sentire goffo e impacciato. Come statura, gli arrivava appena al petto, ma fu lui a sentirsi sgraziato perché troppo alto.

Nell’insieme, era una donna come Rand non ne aveva mai viste. L’ampio cappuccio del mantello incorniciava il viso e i capelli scuri che scendevano in morbidi riccioli. Rand non aveva mai visto una donna adulta che non portasse la treccia; ogni ragazza dei Fiumi Gemelli aspettava con ansia il momento in cui la Cerchia delle Donne dicesse che era abbastanza adulta da portare la treccia. I vestiti erano altrettanto insoliti. Il mantello, di velluto azzurro cielo, era bordato di ricami d’argento, foglie e tralci e fiori. La veste, di un azzurro più scuro, con guarnizioni color crema, scintillava debolmente a ogni movimento. Una catena d’oro, a grosse maglie, le circondava il collo; un’altra catenella d’oro, sottile e agganciata fra i capelli, sorreggeva sulla fronte una piccola e lucente gemma azzurra. Un’ampia cintura intessuta d’oro le cingeva i fianchi; all’indice della sinistra c’era un anello d’oro a forma di serpente che si morde la coda. Rand non aveva mai visto un anello simile, ma riconobbe il Gran Serpente, un simbolo dell’eternità ancora più antico della Ruota del Tempo.

«Buon giorno... ah... lady Moiraine» disse Rand, arrossendo e impuntandosi sulle parole.

«Buon giorno, lady Moiraine» gli fece eco Mat, un po’ più sciolto.

La donna sorrise e Rand si ritrovò a domandarsi se poteva fare qualcosa per lei, qualcosa che gli offrisse la scusa per starle vicino. Lei sorrideva a tutti, certo, ma quel sorriso gli parve solo per lui. Come se una storia di menestrello fosse diventata realtà. Mat aveva in faccia un sogghigno da idiota.

«Conoscete il mio nome» disse lei, deliziata. Come se la sua presenza, per quanto breve, non sarebbe stata l’argomento delle chiacchiere del villaggio per un anno almeno! «Ma chiamatemi Moiraine, non lady. E voi come vi chiamate?»

Prima che gli altri due ritrovassero la parola, Ewin saltò su. «Mi chiamo Ewin Finngar, milady. Ho detto io agli altri il tuo nome, per questo lo sanno. Senza volerlo, ho udito Lan pronunciarlo. A Emond’s Field prima d’ora non sono mai venute due persone come voi. E nel villaggio c’è anche un menestrello per la festa di Bel Tine. Oggi è la Notte d’Inverno. Verrai a casa mia? Mia madre ha preparato dolci di mele.»

«Se mi sarà possibile» rispose lei, posando la mano sulla spalla di Ewin. Gli occhi le brillarono di divertimento. «Non so se potrò competere con un menestrello, Ewin. Ma chiamami Moiraine.» Rivolse a Rand e a Mat uno sguardo, in attesa.

«Matrim Cauthon... ah... Moiraine» disse Mat. Eseguì un inchino impacciato e arrossì raddrizzandosi.

Rand si era chiesto se dovesse fare una riverenza, come i personaggi delle storie; ma, visto l’esempio di Mat, si limitò a presentarsi. Almeno stavolta non s’impuntò nel dire il proprio nome.

Moiraine spostò lo sguardo da lui a Mat e viceversa. Rand pensò che il sorriso, una lieve piega degli angoli della bocca, adesso sembrava quello di Egwene quando aveva un segreto. «Può darsi che di tanto in tanto debba affidare a qualcuno delle piccole commissioni, durante la mia permanenza a Emond’s Field» disse Moiraine. «Sareste disposti ad essermi d’aiuto?» Rise, alle immediate risposte d’assenso. «Tieni» soggiunse. E Rand fu sorpreso quando lei gli mise una moneta in mano stringendola forte con le sue.

«Non c’è bisogno...» cominciò; ma lei scacciò la protesta e diede una moneta anche a Ewin e poi una a Mat, stringendogli la mano come aveva fatto con Rand.

«Ma certo che c’è» obiettò. «Non è pensabile che lavoriate per niente. Consideratela un pegno e tenetela con voi, così ricorderete che avete acconsentito a venire da me quando lo chiederò. Ora esiste un legame, fra noi.»

«Non lo dimenticherò mai» cinguettò Ewin.

«Più tardi dobbiamo parlare» disse lei. «Dovete raccontarmi tutto di voi.»

«Lady... voglio dire, Moiraine?» chiamò Rand, esitante, mentre lei si girava. La donna si fermò e lo guardò da sopra la spalla; e Rand deglutì, prima di continuare: «Perché sei venuta a Emond’s Field?» La donna non cambiò espressione, ma a un tratto Rand, inspiegabilmente, rimpianse d’averle fatto la domanda. Si affrettò comunque a dare una spiegazione. «Non intendo essere maleducato. Chiedo scusa. Solo, nessuno viene mai nella terra dei Fiumi Gemelli, a parte i mercanti e i venditori ambulanti, quando la neve non è troppo alta per scendere da Baerlon. Certo, non una persona come te. Le guardie dei mercanti a volte dicono che questo posto è l’ultimo buco del mondo e immagino che lo sembri davvero, ai forestieri. Ero solo curioso.»

Allora il sorriso di Moiraine svanì, lentamente, come se le parole le avessero ricordato qualcosa. Per un momento la donna si limitò a guardare Rand. «Sono una studiosa di storia» disse infine. «Raccolgo antichi resoconti. Questo luogo, che voi chiamate Fiumi Gemelli, mi è sempre interessato. A volte studio i resoconti degli avvenimenti che molto tempo fa si sono verificati qui e in altri luoghi.»

«Resoconti?» disse Rand. «E cos’è accaduto nei Fiumi Gemelli che possa interessare una persona come... voglio dire, cos’è mai accaduto qui?»

«E come lo chiameresti, se non Fiumi Gemelli?» aggiunse Mat. «Si è sempre chiamato così.»

«Con il girare della Ruota del Tempo» disse Moiraine, quasi fra sé, con un’aria remota negli occhi «i luoghi portano molti nomi. Le persone portano molti nomi, molte facce. La faccia cambia, ma la persona è sempre la stessa. Tuttavia nessuno conosce il Grande Disegno che la Ruota ordisce; e neppure il semplice Disegno di un’Epoca. Possiamo solo osservare, e studiare, e sperare.»

Rand la fissò, incapace di dire una parola, perfino di chiedere cosa volesse dire. Non era sicuro che si fosse rivolta a loro. Gli altri due, notò, erano senza parole quanto lui. Ewin era rimasto a bocca aperta.

Moiraine rivolse di nuovo l’attenzione su di loro e tutt’e tre trasalirono, come se si risvegliassero. «Parleremo più tardi» disse lei. Nessuno rispose. «Più tardi» soggiunse e si diresse verso il Ponte Carraio, quasi scivolando sul terreno, più che camminare, con il mantello che si allargava ai lati, simile a un paio d’ali.

Mentre lei si allontanava, un uomo alto che Rand non aveva notato si staccò dalla facciata della locanda e la seguì, tenendo la mano sull’elsa. Indossava vestiti d’un verde grigiastro scuro che sarebbero risultati quasi invisibili tra le foglie o nell’ombra, e un mantello che cangiava in tutte le sfumature di grigio, di verde e di marrone, agitandosi nel vento. A volte pareva quasi scomparire, quel mantello, e uniformarsi allo sfondo. L’uomo aveva capelli lunghi, brizzolati alle tempie, trattenuti da una stretta fascia di cuoio. Il viso era tutto piani e angoli netti, segnato dalle intemperie, ma privo di rughe, nonostante i capelli grigi. Vedendo come l’uomo si muoveva, Rand lo paragonò a un lupo.

Nel passare davanti ai ragazzi, l’uomo li guardò con occhi azzurri e gelidi come un’alba invernale. Parve soppesarli, ma non mostrò segno delle conclusioni tratte. Affrettò il passo per raggiungere Moiraine, poi rallentò per camminarle al fianco e si chinò a parlarle. Rand lasciò uscire il fiato che non si era accorto di trattenere.

«Quello era Lan» disse Ewin, con voce rauca, come se anche lui avesse trattenuto il fiato. L’occhiata era stata una di quelle che mozzano il respiro. «Scommetto che è il suo Custode.»

«Non dire sciocchezze.» Mat rise, ma era una risata poco convinta. «I Custodi esistono solo nelle storie. E poi, hanno la spada, l’armatura coperta d’oro e di gemme, e passano la vita nella Grande Macchia, a combattere il male e i Trolloc e cose del genere.»

«Potrebbe essere davvero un Custode» replicò Ewin, insistente.

«Hai visto oro e gemme, su di lui?» sbuffò Mat. «Abbiamo Trolloc, nei Fiumi Gemelli? No, abbiamo pecore. Mi domando cosa sarà accaduto da queste parti, che interessi una come lei.»

«Qualcosa, di sicuro» disse lentamente Rand. «Dicono che la locanda sia qui da mille anni, forse più.»

«Mille anni di pecore» replicò Mat.

«Un penny d’argento!» esclamò Ewin. «Mi ha dato un intero penny d’argento! Pensate a quante cose posso comprare, appena arriva l’ambulante.»

Rand aprì la mano e a momenti lasciò cadere per la sorpresa la sua moneta. Non riconobbe il pesante dischetto d’argento con in rilievo l’immagine di una donna che reggeva in equilibrio sul palmo della mano una singola fiamma; ma aveva guardato Bran al’Vere pesare le monete che i mercanti portavano da decine di regioni e aveva un’idea del valore. Tutto quell’argento bastava a comprare un buon cavallo in qualsiasi punto dei Fiumi Gemelli e ne sarebbe rimasto ancora.

Mat aveva l’identica espressione di stupore. Rand piegò la mano in modo che Mat, ma non Ewin, vedesse la moneta e inarcò il sopracciglio. Mat annuì e per un minuto si fissarono, meravigliati e perplessi.

«Che tipo di commissioni avrà mai?» disse infine Rand.

«Non so» rispose Mat, deciso «e non m’importa. Tanto, non la spendo. Anche quando arriverà l’ambulante.» Si cacciò la moneta nella tasca della giubba.

Rand annuì e lo imitò. Non sapeva perché, ma le parole di Mat gli parevano giuste. Doveva conservare la moneta, non spenderla. Perché proveniva da lei. Certo, le monete servivano per gli scambi, però...

«Pensate che anch’io dovrei conservarla?» Il viso di Ewin mostrava un’indecisione sofferta.

«No, se non vuoi» disse Mat.

«Secondo me, te l’ha data perché tu la spenda» disse Rand.

Ewin guardò la propria moneta, poi scosse la testa e mise in tasca il penny d’argento. «La conserverò» dichiarò, triste.

«C’è sempre il menestrello» disse Rand; e il ragazzo più giovane s’illuminò.

«Se riuscirà a svegliarsi» aggiunse Mat.

«Rand» domandò Ewin «c’è davvero un menestrello?»

«Vedrai» rispose Rand, con una risata. Era chiaro che Ewin non si sarebbe convinto finché non avesse visto di persona. «Prima o poi dovrà pur scendere.»

Dall’altra parte del Ponte Carraio provennero delle grida. Rand si girò a guardare che cosa le aveva provocate e scoppiò a ridere di cuore. Una folla in subbuglio, dagli anziani ai marmocchi appena in grado di camminare, scortava al ponte un carro alto e grosso, tirato da otto cavalli, al cui telone erano appesi fagotti come grappoli d’uva. Anche l’ambulante, alla fine, era arrivato. Forestieri e un menestrello, fuochi d’artificio e un ambulante. Sarebbe stato il più fantastico Bel Tine di sempre.

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