Lasciata la Sapiente, Rand si recò nella sala comune. Aveva bisogno di sentire la gente ridere, per dimenticare le parole di Nynaeve e anche i guai che lei avrebbe potuto provocare. La sala era davvero affollata, ma nessuno rideva, anche se tutte le sedie e le panche erano occupate e c’era gente in piedi lungo le pareti. Thom teneva di nuovo spettacolo, in piedi sopra un tavolo contro la parete più lontana. Raccontava ancora La grande Cerca del Corno, ma nessuno se ne lamentava, naturalmente. C’erano moltissime storie riguardanti ogni partecipante alla Cerca, per cui due storie non erano mai uguali. L’intera saga avrebbe richiesto una settimana o più. L’unico rumore che rivaleggiava con l’arpa e con la voce del menestrello era lo scoppiettio del fuoco nei camini.
«...Agli otto angoli del mondo si recarono i cavalieri della Cerca, alle otto colonne dei cieli, dove soffiano i venti del tempo e il fato afferra per il ciuffo sia i potenti, sia gli umili. Ora, il più grande di loro è Rogosh di Talmour, Rogosh Occhio d’Aquila, famoso alla corte del Gran Monarca, temuto sulle pendici di Shayol Ghul...» I cavalieri della Cerca erano sempre eroi possenti, tutti.
Rand individuò i suoi due amici e li raggiunse; Perrin gli lasciò un po’ di posto, all’estremità della panca. Il profumo di cucina ricordò a Rand che era affamato, ma anche gente con davanti a sé il piatto pieno non badava al cibo. Le cameriere, anziché servire a tavola, guardavano affascinate il menestrello, ma nessuno sembrava farci caso. Ascoltare era meglio di mangiare, per quanto buono fosse il cibo.
«...fin dal giorno della nascita, il Tenebroso aveva segnato Blaes come sua, ma lei non è di quest’idea: non è Amica delle Tenebre, Blaes di Matuchin! Blaes dai capelli d’oro. Disposta a morire, ma non a cedere. Ed ecco! Dalle torri della città, le trombe squillano, forti e chiare. Gli araldi proclamano l’arrivo di un eroe alla sua corte. I tamburi rullano e i cimbali risuonano! Rogosh Occhio d’Aquila viene a rendere omaggio...»
"L’accordo di Rogosh Occhio d’Aquila” giunse alla fine, ma Thom si fermò solo per bagnarsi la gola con un boccale di birra, prima di lanciarsi ne “La resistenza di Lian", seguita a sua volta da “La caduta di Aleth-Loriel” e “La spada di Gaidal Cain” e “L’ultima cavalcata di Buad di Albhain". Le pause si allungarono, col passare della sera; quando Thom posò l’arpa e prese il flauto, tutti capirono che non avrebbe raccontato altre storie. Due uomini si unirono a Thom, con un tamburo e un dulcimero a martelletti, ma si sedettero accanto al tavolo, mentre lui rimaneva in piedi.
I tre di Emond’s Field cominciarono a battere le mani, alle prime note della canzone “Il vento che scuote il salice", e non furono i soli. Era un brano assai amato nei Fiumi Gemelli e anche a Baerlon, pareva. Qua e là alcuni cantarono anche le parole, senza stonare al punto da essere zittiti.
La mia amata non c’è più, portata via
dal vento che scuote il salice
e tutta la terra è battuta,
dal vento che scuote il salice.
Ma io la terrò accanto a me
nel cuore e nei ricordi più cari,
e con l’animo temprato dalla sua forza
e col cuore scaldato dal suo calore,
rimarrò là dove un tempo cantammo
pur se il freddo vento scuote il salice.
La seconda canzone era meno triste. Anzi, al confronto, “Un solo secchio d’acqua” parve più allegra del solito; e forse era questa l’intenzione del menestrello. La gente si affrettò a spostare i tavoli per ballare, battendo i piedi e girando in tondo, fino a far tremare le pareti. La prima danza terminò; i ballerini tornarono al proprio posto, senza fiato dal gran ridere e altri li rimpiazzarono.
Thom suonò le prime note de “Il volo dell’oca selvatica” e si fermò per dare modo alla gente di prendere posto per il reel.
«Voglio fare un paio di giri» disse Rand, alzandosi, subito imitato da Perrin. Mat fu il più lento e così si ritrovò a fare la guardia ai mantelli, oltre che alla spada di Rand e all’ascia di Perrin.
«Anch’io voglio fare un giro» gridò dietro ai due.
I ballerini formarono due lunghe file, l’una di fronte all’altra, una di uomini, una di donne. Prima il tamburo e poi il dulcimero segnarono il ritmo e i danzatori cominciarono a piegare a tempo le ginocchia. La ragazza di fronte a Rand, una moretta con le trecce che gli ricordarono casa, gli rivolse un sorriso timido e poi una strizzatina d’occhi tutt’altro che timida. Il flauto di Thom entrò in azione e Rand si mosse incontro alla ragazza; lei gettò indietro la testa e rise, mentre Rand la faceva girare lasciandola al cavaliere successivo.
Nella sala tutti ridevano, pensò Rand, mentre faceva volteggiare la nuova dama, una delle cameriere. L’unico a non sorridere era un tizio dal naso storto, rannicchiato accanto al focolare, con una cicatrice che gli attraversava il viso, dalla tempia alla mascella opposta, e gli piegava in basso l’angolo della bocca. L’uomo incontrò lo sguardo di Rand e fece una smorfia. Imbarazzato, Rand distolse gli occhi: forse, con quella cicatrice, l’uomo non poteva ridere.
Afferrò al volo la dama seguente e volteggiò con lei prima di lasciarla. Ballò con altre tre ragazze, mentre la musica accelerava; poi ritrovò la prima, per la rapida serie di passi che cambiò le file quasi completamente. Lei rideva ancora e gli strizzò di nuovo l’occhio.
L’uomo con la cicatrice lo fissava con aria torva. Rand barcollò e arrossì. Non aveva voluto metterlo in imbarazzo, non si era reso conto di fissarlo. Si girò a incontrare la dama seguente e subito scordò l’uomo con la cicatrice. La donna era Nynaeve.
Perdette il passo e rischiò d’inciampare e di pestarle i piedi. Nynaeve riuscì a compensare la sua goffaggine e gli sorrise.
«Ti credevo un ballerino migliore» rise, cambiando cavaliere.
Rand ebbe solo un istante per riprendersi, prima di cambiare dama, e si trovò a ballare con Moiraine. La goffaggine mostrata con Nynaeve non era niente, a confronto dell’imbarazzo con l’Aes Sedai. Moiraine scivolò lievemente sul pavimento, con la veste che le roteava intorno al corpo; lui quasi cadde due volte. Moiraine gli rivolse un sorriso di simpatia, che peggiorò le cose. Per Rand fu un sollievo passare alla dama seguente, anche se era Egwene.
Riacquistò un po’ di controllo. In fin dei conti, per anni aveva ballato con lei. Egwene portava ancora i capelli sciolti, ma se li era legati sulla nuca, con un nastro rosso. “Ancora non ha deciso se compiacere a Moiraine o a Nynaeve” pensò Rand, acidamente. Egwene socchiuse le labbra, come se volesse dire qualcosa, ma rimase zitta e Rand non se la sentì di parlare per primo. Soprattutto dopo il modo con cui lei aveva interrotto il suo ultimo tentativo, nella sala da pranzo riservata. Si guardarono appena e si staccarono senza una parola.
Rand fu contento di tornare alla panca, al termine del reel. Mentre si sedeva, iniziò la musica per un nuovo ballo, una giga. Subito Mat si unì ai ballerini e Perrin prese il suo posto sulla panca.
«L’hai vista?» disse Perrin, prima ancora d’essersi seduto. «L’hai vista?»
«Quale? La Sapiente o lady Alys? Ho ballato con tutt’e due.»
«L’A... lady Alys, anche?» esclamò Perrin. «Io ho ballato con Nynaeve. Non sapevo nemmeno che ne fosse capace. Non partecipa mai ai balli, a casa.»
«Chissà cosa direbbe la Cerchia delle Donne, se sapesse che la sapiente balla» disse Rand, assorto. «Forse proprio per questo non balla mai.»
Poi la musica e il battere di mani e i canti divennero troppo forti e resero impossibile parlare. Rand e Perrin si misero a battere le mani assieme con gli altri, mentre i ballerini facevano volteggi. Varie volte Rand notò che l’uomo con la cicatrice lo fissava. Quel tizio aveva il diritto d’essere suscettibile, ma Rand non sapeva come reagire senza peggiorare la situazione. Si concentrò sulla musica ed evitò di guardare da quella parte.
Balli e canti continuarono. Finalmente le cameriere ricordarono il proprio compito e Rand mangiò avidamente un piatto di stufato caldo e un bel pezzo di pane. Tutti mangiavano lì dov’erano, seduti o in pie di. Rand partecipò ad altri tre balli e riuscì a ballare meglio, danzando si ritrovò con Nynaeve e anche con Moiraine. Questa volta tutt’e due lo complimentarono per l’abilità di ballerino, mettendolo in imbarazzo. Rand ballò di nuovo anche con Egwene; lei lo fissò, sempre con l’aria di chi sta per dire qualcosa, ma senza dire niente. Rand rimase in silenzio come lei, ma era sicuro di non essersi imbronciato, checché ne dicesse Mat, quando tornò a sedersi. Verso mezzanotte Moiraine si ritirò. Egwene guardò prima l’Aes Sedai, poi Nynaeve, e seguì in fretta Moiraine. La Sapiente fissò le dame, con espressione indecifrabile, e partecipò deliberatamente a un altro ballo, prima di ritirarsi a sua volta, come se avesse guadagnato non punto sull’Aes Sedai.
Thom riponeva nell’astuccio il flauto e discuteva allegramente con qu elli che lo invitavano a fermarsi ancora. Lan venne a chiamare Rand e gli altri.
«Dobbiamo partire di buon’ora» disse, chinandosi per farsi udire al di sopra del frastuono «e abbiamo bisogno d’essere riposati. »
«C’è un tizio che non ha smesso di fissarmi per tutta la sera» disse Mat. «Un uomo con una cicatrice che gli taglia il viso. Non sarà un... uno degli amici da cui ci hai messo in guardia?»
«Una cicatrice così?» disse Rand, passandosi il dito sul naso fino all’angolo della bocca. «Fissava anche me. » Si guardò intorno: la gente a poco a poco andava via e gran parte delle persone rim aste si era raccolta intorno a Thom. «Non c’è più, adesso.»
«L’ho visto» disse Lan. «Secondo mastro Fitch, è una spia dei Manti Bianchi. Non dobbiamo preoccuparcene.» Comunque, er a chiaro che qualcosa preoccupava il Custode.
Mat aveva l’espressione tesa di quando nascondeva qualcosa. “Una spia dei Manti Bianchi” pensò Rand. “Possibile che Bornhald voglia vendicarsi di noi fino a questo punto?"
«Partiamo presto?» domandò. «Molto presto?» Forse sarebbero stati già in cammino, prima che ci fossero conseguenze.
«Alle prime luci» rispose il Custode.
Mentre lasciavano la sala comune (Mat canticchiava sottovoce brani di canzoni e Perrin si fermava di tanto in tanto a provare nuovi passi appena imparati), Thom si unì a loro, di buon umore. Il viso di Lan era inespressivo, mentre si dirigevano alla scala.
«Dove dorme Nynaeve?» domandò Mat. «Mastro Fitch ha detto che la nostra era l’ultima stanza libera.»
«Ha un letto in quella di lady Alys e della ragazza» disse Thom, in tono pungente.
Perrin fischiò tra i denti e Mat mormorò: «Sangue e ceneri! Non vorrei essere nei panni di Egwene per tutto l’oro di Caemlyn!»
Non per la prima volta, Rand desiderò che Mat riuscisse a pensare seriamente a un argomento per più di due minuti di fila. Anche nei loro panni non stavano certo comodi, in quel momento. «Vado a prendere un po’ di latte» disse. Forse l’avrebbe aiutato a dormire. E a non fare brutti sogni.
Lan gli scoccò un’occhiata penetrante. «Stanotte c’è qualcosa che non quadra» disse. «Non allontanarti. Non dimenticare che partiremo anche a costo di legarti sulla sella se sei ancora addormentato.»
Si avviò su per la scala; gli altri lo seguirono, senza più traccia d’allegria. Rand rimase da solo nel corridoio; e il senso di solitudine era accentuato dal fatto che fino a un attimo prima si trovava in mezzo alla gente.
Si recò in fretta in cucina; una sguattera ancora in servizio gli versò un boccale di latte da una grossa giara di pietra.
Mentre usciva dalla cucina bevendo il latte, una sagoma d’un nero opaco avanzò verso di lui nel corridoio e alzò le mani per gettare indietro il cappuccio che gli nascondeva il viso. Il mantello pendeva immobile, mentre la figura camminava, e la faccia... Una faccia d’uomo, ma d’un pallore cereo, come di limaccia, e priva d’occhi. Dai capelli unti e neri alle guance paffute era liscia come guscio d’uovo. A Rand andò il latte di traverso.
«Sei uno di loro, ragazzo» disse il Fade, con un bisbiglio rauco come il rumore di lima fregata su di un osso.
Rand lasciò cadere il boccale e arretrò. Voleva mettersi a correre, ma non riusciva a muovere i piedi più d’un passo alla volta. Né a staccare lo sguardo da quella faccia priva d’occhi. Cercò di gridare per chiamare aiuto, di urlare: la gola era come pietra. Ogni ansito era doloroso.
Il Fade scivolò più vicino, senza fretta. I suoi passi avevano una grazia sinuosa e micidiale, come i movimenti d’una vipera: e il paragone era rinforzato dall’armatura nera a scaglie sovrapposte che gli copriva il petto.. Le labbra sottili, esangui, si curvarono in un sorriso crudele reso più irridente dalla pelle liscia e livida al posto degli occhi. A confronto della sua, la voce di Bornhald era calorosa e melata. «Dove sono gli altri? So che sono qui. Parla, ragazzo, e ti lascerò vivere.»
Con la schiena Rand urtò legno, la parete o una porta... non riuscì a girarsi per vedere cos’era. Rimase impietrito e rabbrividì guardando il Myrddraal farsi più vicino. A ogni passo, il tremito divenne più forte.
«Parla, ti dico, altrimenti...»
Dal piano superiore provenne un rapido rumore di stivali sulla scala in fondo al corridoio; il Myrddraal s’interruppe e si girò di scatto. Il mantello rimase immobile. Per un istante il Fade inclinò la testa, come se, per quanto privo d’occhi, potesse perforare con lo sguardo la parete di legno. Nella livida mano comparve una spada dalla lama nera come il mantello. In presenza di quella spada, l’illuminazione del corridoio parve farsi più fioca. Lo scalpiccio di stivali divenne più forte e il Fade si girò rapidamente verso Rand, con un movimento quasi fluido. La lama nera si sollevò, le labbra si schiusero in un ringhio.
Rand capì che la creatura stava per ucciderlo. L’acciaio color della notte si mosse fulmineamente contro la sua testa... e si bloccò.
«Tu appartieni al Signore delle Tenebre.» La voce rauca e fievole parve graffio d’unghia sull’ardesia. «Sei suo.»
Girandosi fulmineamente, il Fade saettò nel corridoio, lontano da Rand. Le ombre si allungarono ad accoglierlo e il Myrddraal sparì.
Lan superò con un balzo gli ultimi scalini e atterrò con un tonfo sordo. Impugnava la spada.
Rand cercò di ritrovare la voce. «Fade» ansimò. «Era...» A un tratto ricordò di avere una spada. Di fronte al Myrddraal non ci aveva pensato. A tentoni estrasse la lama col marchio dell’airone, anche se ormai era tardi. «È corso da quella parte!»
Lan annuì, con aria assente, come se ascoltasse altro. «Sì. Se ne va; svanisce. Non c’è tempo d’inseguirlo, ora. Ce ne andiamo, pastore.»
Altri stivali risuonarono per le scale: Mat, Perrin e Thom, carichi di coperte e di bisacce. Mat affibbiava ancora le cinghie del rotolo di coperte e reggeva goffamente sottobraccio l’arco.
«Andiamo via?» disse Rand. Rinfoderò la spada e prese dalle braccia di Thom le sue cose. «Ora? Nel cuore della notte?»
«Vuoi aspettare che il Mezzo Uomo torni, pastore?» rispose il Custode, spazientito. «Adesso sa dove stiamo.»
«Vengo di nuovo con voi, se non hai obiezioni» disse Thom. «Troppi ricordano con chi sono giunto. Ho paura che domani questo sarà un brutto posto per chi passa per vostro amico.»
«Puoi venire con noi o andare a Shayol Ghul, menestrello.» Il fodero di Lan sferragliò per la forza con cui il Custode ringuainò la spada.
Uno stalliere proveniente dalla porta posteriore li oltrepassò di corsa; poi comparve Moiraine, con mastro Fitch, e più indietro Egwene, con le braccia cariche. E Nynaeve. Egwene sembrava spaventata fin quasi alle lacrime, ma il viso della Sapiente era una maschera di gelida rabbia.
«Non prenderla alla leggera» diceva in quel momento Moiraine al locandiere. «Domani mattina avrai certo dei fastidi. Amici delle Tenebre, forse; o peggio, Non opporre resistenza. Fai solo sapere a chiunque che nella notte ce ne siamo andati e che quindi è inutile che se la prendano con te. Quelli vogliono noi.»
«Nessuno mi darà fastidio, non preoccuparti» replicò giovialmente mastro Fitch. «Nemmeno un poco. Se qualcuno circola intorno alla locanda per infastidire i miei ospiti... be’, sarà liquidato in fretta da me e dai ragazzi. Liquidato in fretta. E nessuno sentirà una parola, sulla vostra destinazione né sull’ora della partenza. Non sapranno neppure che vi siete fermati qui. Non mi piace, certa gente. Nessuno, qui, farà parola di voi. Nemmeno una parola!»
«Ma...»
«Lady Alys, devo controllare i cavalli, se volete partire in buon ordine.» Si liberò della mano di Moiraine che gli stringeva la manica e si diresse rapidamente alla stalla.
Moiraine sospirò, contrariata. «È testardo, testardo. Non mi ascolta.»
«Credi che i Trolloc vengano a cercarci?» domandò Mat.
«Trolloc!» sbottò Moiraine. «No, certo! Ci sono altre cose da temere, non ultima come hanno fatto a trovarci. Il Fade non crederà certo che resteremo qui, ora che ci ha trovati, ma mastro Fitch prende troppo alla leggera gli Amici delle Tenebre. Li ritiene dei miserabili che si nascondono nell’ombra, ma gli Amici delle Tenebre si possono trovare nelle botteghe e nelle vie di ogni città e anche nei consigli più importanti. Forse il Myrddraal li manderà a vedere se scoprono qualcosa dei nostri piani.» Girò sui tacchi e si allontanò, con Lan alle calcagna.
Nel dirigersi alla stalla, Rand si ritrovò a fianco Nynaeve. Anche lei portava bisacce e coperte. «Così vieni anche tu, dopotutto» commentò. Min aveva ragione, si disse.
«C’era davvero qualcosa, nel corridoio?» domandò Nynaeve, a voce bassa. «Lei ha detto che era...» Si fermò di colpo e lo guardò.
«Un Fade» rispose Rand. Fu sorpreso di riuscire a dirlo con tanta tranquillità. «Era nel corridoio con me. Poi è arrivato Lan.»
Nynaeve si strinse nel mantello per proteggersi dal vento. «Forse qualcosa vi dà la caccia, ma sono venuta per riportarvi a Emond’s Field, tutti quanti, e non me ne andrò finché non ci sarò riuscita. Non vi lascio con gente come lei.» Nella stalla si muovevano delle luci: i garzoni sellavano i cavalli.
«Mutch! Muovi le ossa!» gridò il locandiere, dalla soglia della stalla, dove si era fermato con Moiraine. Si girò verso la donna, con l’aria di volerla tranquillizzare, anziché ascoltare le sue parole, anche se si comportava con deferenza, alternando inchini agli ordini che gridava ai mozzi di stalla.
I cavalli furono condotti fuori, mentre gli stallieri brontolavano sottovoce per la fretta e per l’ora tarda. Rand tenne il fagotto di Egwene e glielo porse quando lei fu in groppa a Bela. Notò gli occhi sgranati, l’aria impaurita. Almeno ora non pensa più che sia solo un’avventura, si disse.
Subito si vergognò d’averlo pensato. Egwene era in pericolo a causa sua e degli altri. Per lei, anche tornare da sola a Emond’s Field sarebbe stato più sicuro che continuare. «Egwene, voglio dirti...»
Le parole gli morirono sulle labbra. Lei era troppo testarda per rinunciare a tornare a casa, soprattutto dopo avere detto che avrebbe fatto tutta la strada fino a Tar Valon. E quello che aveva visto Min? Egwene faceva parte della storia. Luce santa, quale storia?
«Egwene, mi spiace» riprese. «A quanto pare non riesco più a pensare con chiarezza.»
Lei si chinò a stringergli con forza la mano. Nella luce che proveniva dalla stalla Rand la vide chiaramente in viso. Sembrava meno spaventata di prima.
Montarono tutti. Mastro Fitch volle guidarli al cancello, mentre gli stallieri facevano luce. Il locandiere salutò con un inchino, assicurò che nessuno avrebbe rivelato niente e li invitò a tornare. Mutch li guardò partire con la stessa scontrosità con cui li aveva guardati arrivare.
Mutch era uno, pensò Rand, che non avrebbe liquidato nessuno, in fretta o in altro modo. Avrebbe detto, al primo che gliel’avesse chiesto, dov’erano andati e qualsiasi cosa li riguardasse. Percorso un breve tratto, si guardò indietro. Una figura, con il lume sollevato, li scrutava. Non occorreva vederne il viso, per dire che era Mutch.
A quell’ora della notte le vie di Baerlon erano deserte; solo qualche barlume qua e là sfuggiva dalle imposte ben chiuse e la luce della luna all’ultimo quarto era spesso oscurata dalle nuvole spinte dal vento. Di tanto in tanto un cane abbaiava, quando oltrepassavano un vicolo, ma nessun altro rumore disturbava la notte, se non il trepestio dei cavalli e il sibilo del vento fra i tetti. I cavalieri mantenevano il silenzio, avvolti nel mantello e immersi nei propri pensieri.
Il Custode faceva strada, come al solito; Moiraine e Egwene gli stavano subito alle spalle, Nynaeve si teneva vicino alla ragazza e gli altri, raggruppati, chiudevano la fila. Lan mantenne i cavalli a passo spedito.
Rand tenne d’occhio sospettosamente le vie tutt’intorno; notò che i suoi amici lo imitavano. Le mobili ombre della luna gli ricordavano quelle all’estremità del corridoio e il modo come si erano allungate per inghiottire il Fade. Un occasionale rumore in lontananza, come un barile che cadeva o un cane che latrava, facevano drizzare a tutti la testa. Man mano che s’inoltravano nella città, spinsero i cavalli più vicino al morello di Lan e alla giumenta bianca di Moiraine.
Alle porte per Caemlyn, Lan smontò e bussò all’uscio di un piccolo edificio quadrato di pietra, posto contro le mura. Comparve una guardia dall’aria stanca, che si strofinava gli occhi assonnati. Mentre Lan parlava, il torpore della guardia svanì e l’uomo fissò gli altri alle spalle del Custode.
«Volete uscire?» esclamò. «Adesso? Di notte? Siete pazzi!»
«A meno che un ordine del Governatore non vieti la partenza» intervenne Moiraine. Anche lei era smontata, ma rimase a una certa distanza dall’uscio, al limitare della luce che si riversava nella via buia.
La guardia corrugò la fronte e cercò di guardarla in viso. «Le porte sono chiuse dal tramonto all’alba. Nessuno entra, se non di giorno. Questo è l’ordine. Comunque, là fuori è pieno di lupi. La settimana scorsa hanno sbranato una decina di mucche. Con la stessa facilità ucciderebbero una persona.»
«L’ordine non riguarda chi vuole uscire» disse Moiraine, come se questo appianasse la faccenda. «Vedi? Non ti chiediamo di disubbidire al Governatore.»
Lan mise qualcosa in mano alla guardia. «Per compensare il fastidio» mormorò.
«Immagino...» disse lentamente la guardia; diede un’occhiata alla moneta e ci fu un luccichio d’oro, prima che l’uomo la intascasse in fretta. «Immagino che non sia vietato uscire. Un minuto solo.» Sporse la testa dentro l’edificio.«Arin! Dar! Venite ad aiutarmi ad aprire la porta. C’è gente che vuole andarsene. Niente discussioni. Aprite e basta.»
Comparvero altre due guardie e si fermarono a fissare con sorpresa il gruppetto di otto persone in attesa di uscire. Sollecitati dalla prima guardia, si accostarono alla grande ruota che sollevava la pesante sbarra e si dedicarono a spalancare i battenti. Il meccanismo a manovella e ruota dentata mandò un rapido ticchettio, ma i battenti sui cardini ben oliati si mossero silenziosamente verso l’esterno. Pero, prima che fossero aperti per un quarto, dal buio provenne una voce gelida.
«Cosa succede? Non c’è l’ordine che le porte restino chiuse fino al levar del sole?»
Cinque uomini dal mantello bianco entrarono nel riquadro di luce proiettato dal posto di guardia. Portavano il cappuccio alzato a nascondere il viso, ma il sole d’oro a sinistra sul petto rivelava chiaramente chi erano. Mat borbottò sottovoce. Le guardie smisero di girare la manovella e si scambiarono occhiate incerte.
«Non sono affari vostri» replicò la prima guardia, in tono bellicoso. Cinque cappucci bianchi si girarono verso di lui e l’uomo concluse, in tono più blando: «I Figli non hanno potere, qui. Il Governatore...»
«I Figli della Luce» disse con calma l’uomo dal cappuccio bianco che aveva parlato per primo «hanno potere dovunque gli uomini camminino nella Luce. Solo dove regna l’Ombra del Tenebroso, i Figli sono ricusati.» Spostò lo sguardo su Lan e subito diede al Custode una seconda occhiata, più sospettosa.
Lan non si era mosso; a dire il vero, pareva completamente a suo agio. Ma ben pochi potevano guardare con tanta noncuranza i Figli, come se fossero lustrascarpe.
Insospettito, il Manto Bianco riprese: «Che sorta di gente vuole lasciare le mura cittadine di notte in tempi come questi? Con i lupi che si aggirano nel buio e l’opera del Tenebroso che vola sopra la città?» Notò la striscia di cuoio intrecciato che circondava la fronte di Lan per tenere indietro i capelli. «Sei del settentrione, eh?»
Rand si ingobbì sulla sella. Un Draghkar. Si trattava certamente di un Draghkar, a meno che quell’uomo non definisse opera del Tenebroso tutto ciò che non capiva. Con un Fade nella Cervo e Leone, era logico aspettarsi anche un Draghkar; ma in quel momento pensava solo che gli pareva di riconoscere la voce del Manto Bianco.
«Viaggiatori» rispose Lan, calmo. «Di nessun interesse per te e i tuoi.»
«Tutti interessano i Figli della Luce.»
Lan scosse leggermente la testa. «Cerchi davvero altri guai con il Governatore? Ha limitato il vostro numero in città e hai accettato. Cosa farà, quando scoprirà che infastidisci onesti cittadini alle sue porte?» Si girò verso le guardie. «Perché vi siete fermati?» Gli uomini esitarono, poi ripresero ad azionare la manovella; esitarono di nuovo, quando il Manto Bianco replicò.
«Il Governatore non sa cosa gli accade sotto il naso. C’è un male che lui non vede né percepisce. Ma i Figli della Luce vedono.» Le guardie si scambiarono occhiate; aprirono e chiusero le mani come se rimpiangessero le lance lasciate nel corpo di guardia. «I Figli della Luce fiutano il male.» Il Manto Bianco girò lo sguardo sul gruppo a cavallo. «Lo fiutiamo e lo sradichiamo. Dovunque si trovi.»
Rand cercò di farsi ancora più piccolo, ma il movimento attirò l’attenzione dell’altro.
«Chi abbiamo qui? Uno che non vuol farsi vedere? Cosa vorresti... Ah!» L’uomo scostò il cappuccio e Rand si trovò a guardare il viso che già s’aspettava. Bornhald annuì, con chiara soddisfazione. «Guardia, è evidente che ti ho salvato da un grande disastro. Stavi per aiutare alcuni Amici delle Tenebre a sfuggire alla Luce. Meriteresti che facessi rapporto al Governatore o che ti affidassi agli Inquisitori per scoprire i tuoi veri intenti.» S’interruppe per osservare la paura della guardia. «Non ti piacerebbe, eh? Invece porterò al nostro campo questi bricconi, in modo che siano interrogati nella Luce... al posto tuo, eh?»
«Porterai me, al tuo campo, Manto Bianco?» La voce di Moiraine giunse all’improvviso da tutte le direzioni. All’arrivo dei Figli si era ritirata nel buio e le ombre l’avvolgevano. «Interrogherai me?» Le tenebre vibrarono, quando lei avanzò d’un passo; la fecero sembrare più alta. «Mi sbarrerai la strada?»
Un altro passo. E Rand rimase a bocca aperta. Era davvero più alta, la testa era allo stesso livello della sua, e lui sedeva in sella al grigio. Le ombre si raccolsero intorno al viso di Moiraine, simili a nubi di tempesta.
«Aes Sedai!» gridò Bornhald. Cinque spade brillarono alla luce. «Muori!» Gli altri quattro esitarono, ma lui vibrò un fendente, con lo stesso movimento con cui sguainava la spada.
Rand mandò un grido, mentre il bastone di Moiraine si alzava a intercettare la lama. Il legno delicatamente intagliato non avrebbe fermato l’acciaio. La spada incontrò il bastone. Sprizzarono scintille e un sibilo ruggente scagliò Bornhald fra i suoi compagni dal mantello bianco. Tutt’e cinque caddero in un mucchio. Riccioli di fumo si levarono dalla spada di Bornhald, caduta a terra accanto a lui, con la lama piegata ad angolo retto, quasi fusa.
«Tu osi assalire me!» La voce di Moiraine ruggì come turbine d’uragano. Le ombre vorticarono attorno a lei, drappeggiarono come un mantello la sua figura; l’Aes Sedai si stagliò su di loro, alta come le mura della città. Gli occhi fissarono ferocemente i Figli ammucchiati per terra, come un gigante che guardasse degli insetti.
«Via!» gridò Lan. Con mossa fulminea balzò in sella e afferrò le redini della giumenta di Moiraine. «Subito!» ordinò. Con le spalle sfiorò i battenti, mentre il cavallo s’infilava nella stretta apertura, con la velocità d’una freccia.
Per un istante Rand rimase impietrito a guardare. Ora la testa e le spalle di Moiraine superavano le mura. Guardie e Figli si ritrassero da lei, facendosi piccoli piccoli, accucciati contro la parete del corpo di guardia. Il viso dell’Aes Sedai si perdeva nella notte, ma i suoi occhi, grandi come luna piena, brillarono d’impazienza, oltre che di collera, quando si posarono su Rand. Il ragazzo deglutì, spronò Cloud e seguì al galoppo gli altri.
A cinquanta passi dalle mura Lan ordinò di fermarsi e Rand si guardò indietro. La figura in ombra di Moiraine torreggiava al di sopra della palizzata di tronchi, circondata da un nimbo argenteo dovuto alla luna nascosta. Mentre Rand guardava a bocca aperta, l’Aes Sedai scavalcò le mura. Le guardie cominciarono freneticamente a chiudere le porte. Appena posò i piedi sul terreno, Moiraine riprese di colpo la statura normale.
«Non chiudete!» gridò una voce malferma, dentro le mura. Rand ritenne che fosse quella di Bornhald. «Dobbiamo inseguirli e catturarli!» Ma le guardie non rallentarono nemmeno e i battenti si chiusero con un tonfo; l’attimo dopo, la sbarra ricadde sui sostegni e bloccò la porta. Forse tra gli altri Manti Bianchi qualcuno non era ansioso d’affrontare Moiraine quanto Bornhald, si disse Rand.
Moiraine si accostò in fretta alla giumenta e le accarezzò il muso, prima di infilare il bastone sotto la cinghia della sella. Questa volta Rand non ebbe bisogno di guardare, per sapere che nel bastone non c’era nemmeno un’ammaccatura.
«Eri più alta di un gigante» disse Egwene, senza fiato, muovendosi a disagio in groppa a Bela. Nessun altro parlò, anche se Mat e Perrin spinsero il cavallo un po’ più lontano da Moiraine.
«Davvero?» rispose Moiraine, con aria assente, montando in arcione.
«Ti ho vista» protestò Egwene.
«La mente gioca degli scherzi, di notte. Gli occhi vedono cose che non esistono.»
«Non è il momento di giocare» cominciò con rabbia Nynaeve, ma Moiraine la interruppe.
«Proprio così, non è più tempo di giocare. Il vantaggio che avevamo guadagnato al Cervo e Leone forse l’abbiamo perso qui.» Si girò a guardare un attimo le porte e scosse la testa. «Se solo potessi credere che il Draghkar non vola!» Con uno sbuffo di rimprovero verso se stessa, continuò: «O che i Myrddraal siano davvero ciechi! Visto che sono solo desideri, tanto vale che riguardino cose davvero impossibili. Sanno la strada che dobbiamo percorrere, ma con un po’ di fortuna ci manterremo un passo avanti a loro. Lan!»
Il Custode si avviò verso levante, lungo la Strada per Caemlyn; gli altri lo seguirono da presso e gli zoccoli dei cavalli risuonarono ritmicamente sulla terra battuta.
Mantennero un’andatura abbastanza svelta, che i cavalli potevano tenere per ore anche senza aiuto da parte dell’Aes Sedai. Poco tempo dopo, Mat mandò un grido e indicò la strada alle loro spalle.
«Guardate laggiù!»
Si fermarono tutti a guardare.
Le fiamme illuminavano la notte sopra Baerlon, come se qualcuno avesse dato fuoco a un falò grosso quanto una casa, e tingevano di rosso la parte inferiore delle nuvole. Faville salivano al cielo, spinte dal vento.
«L’ho avvertito» disse Moiraine «ma non ha voluto prendermi sul serio.» La giumenta scartò, quasi a echeggiare la rabbia dell’Aes Sedai. «Non ha voluto darmi retta.»
«La locanda?» disse Perrin. «Le fiamme vengono dal Cervo e Leone? Come fai a esserne sicura?»
«C’è un limite alle coincidenze» disse Thom. «Potrebbe essere la casa del Governatore, ma non lo è. E non è un magazzino, né la stufa d’una cucina, né il fienile di tua nonna.»
«Forse la Luce risplende un poco su di noi, stanotte» disse Lan.
Egwene si rivoltò contro di lui. «Come puoi dire una cosa simile? La locanda del povero mastro Fitch è in fiamme! Forse ci saranno delle vittime!»
«Se hanno assalito la locanda» spiegò Moiraine «forse la nostra uscita dalla città e la mia... esibizione sono rimaste inosservate.»
«A meno che il Myrddraal non voglia farci credere proprio questo» aggiunse Lan.
Moiraine annuì. «Può darsi. In ogni caso, dobbiamo andare avanti. Nessuno si riposerà, stanotte.»
«Facile, per te, Moiraine» esclamò Nynaeve. «E la gente nella locanda? Ci saranno dei feriti e per causa tua il locandiere ha perso il suo mezzo di sostentamento! Parli di camminare nella Luce, ma sei pronta a proseguire, senza un solo pensiero per quel poveraccio. I suoi guai sono colpa tua!»
«Colpa di loro tre» ribatté Lan, con ira. «L’incendio, i feriti, l’accaduto... tutta colpa di loro tre. Il fatto che ci sia un prezzo da pagare dimostra che ne vale la pena. Il Tenebroso vuole i tuoi tre ragazzi. E se vuole a tutti i costi una cosa, bisogna tenerlo lontano da essa. O preferisci che il Fade li prenda?»
«Calma, Lan» disse Moiraine. «Calma. Sapiente, sei convinta che posso aiutare mastro Fitch e la gente della locanda? Bene, hai ragione.» Nynaeve cercò di dire qualcosa, ma con un gesto Moiraine la zittì e continuò: «Posso tornare da sola e aiutarli. Non molto, naturalmente. Attirerei l’attenzione su coloro che ho aiutato, e di questo non mi ringrazierebbero, soprattutto per la presenza in città dei Figli della Luce. E rimarrebbe solo Lan a proteggervi. È in gamba, ma non basterebbe, se il Myrddraal e un manipolo di Trolloc vi trovassero. Certo, possiamo tornare tutti quanti, anche se non credo di riuscire a farvi entrare a Baerlon senza che nessuno se ne accorga. In questo modo sarete tutti esposti a chi ha appiccato l’incendio, per non parlare dei Manti Bianchi. Quale decisione prenderesti, Sapiente, se tu fossi al posto mio?»
«Farei qualcosa» brontolò Nynaeve, di malavoglia.
«E con tutta probabilità porgeresti al Tenebroso la vittoria su di un piatto d’argento» replicò Moiraine. «Non dimenticare che cosa. .. chi... vuole. Siamo anche noi in guerra, come lo sono tutti quelli del Ghealdan, anche se là combattono a migliaia e qui solo in otto. Farò pervenire dell’oro a mastro Fitch, perché ricostruisca il Cervo e Leone; oro che non sarà possibile far risalire a Tar Valon. E aiuti per chi resterà ferito. Un mio intervento diretto li metterebbe solo in pericolo. Non è cosa semplice, come vedi. Lan.» Il Custode girò il cavallo e riprese a guidare il gruppo.
Di tanto in tanto Rand si guardò indietro. Alla fine riuscì a scorgere solo il riflesso rossastro contro le nuvole, e poi anch’esso si perdette nel buio. Si augurò che a Min non fosse accaduto niente.
Era buio pesto, quando infine il Custode li guidò lontano dalla strada e disse di smontare. Rand calcolò che non mancava più d’un paio d’ore all’alba. Impastoiarono i cavalli, senza togliere loro la sella, e si accamparono senza accendere il fuoco.
«Un’ora» avvertì Lan, mentre tutti, tranne lui, si avvolgevano nelle coperte. Sarebbe rimasto di guardia mentre loro dormivano. «Solo un’ora, poi dobbiamo rimetterci in cammino.» Scese il silenzio.
Dopo alcuni minuti Mat parlò in un bisbiglio che arrivò a malapena all’orecchio di Rand. «Chissà cosa ne ha fatto Dav, del tasso.» Rand scosse la testa senza parlare e Mat esitò. Alla fine disse: «Credevo che fossimo al sicuro, sai, Rand. Non un segno, da quando abbiamo attraversato il Taren, ed eravamo in una città, circondati da mura. Pensavo che fossimo al sicuro. E poi quel sogno. E un Fade. Saremo mai più al sicuro?»
«No, finché non giungeremo a Tar Valon» rispose Rand. «L’ha detto lei.»
«Saremo salvi, allora?» domandò piano Perrin e tutt’e tre guardarono il monticello scuro che era l’Aes Sedai. Lan si era confuso con il buio: poteva essere dovunque.
All’improvviso Rand sbadigliò. Al rumore gli altri si agitarono, innervositi. «Meglio dormire un poco» disse Rand. «Restare svegli non ci darà risposte.»
«Lei doveva fare qualcosa» disse piano Perrin.
Nessuno gli rispose.
Rand si girò sul fianco per evitare una radice, provò a distendersi sulla schiena, poi si mise supino per togliersi da un sasso e si ritrovò un’altra radice contro la pancia. Non era un buon posto per accamparsi, assai diverso da quelli scelti in precedenza dal Custode. Si addormentò domandandosi se le radici che gli davano fastidio alle costole l’avrebbero fatto sognare e si svegliò al tocco di Lan sulla spalla, con le costole indolenzite e lieto di non ricordare sogni, se pure ne aveva fatti.
C’era ancora il buio che precede l’alba, ma appena finito di arrotolare le coperte e di legarle dietro la sella, Lan li spinse di nuovo a cavalcare verso levante. Mentre il sole sorgeva, ancora assonnati, fecero colazione con pane, formaggio e acqua, senza smontare da cavallo, ben avvolti nel mantello per difendersi dal vento. Tutti, tranne Lan. Mangiò anche lui, ma non era assonnato e non si stringeva nel mantello. Si era rimesso quello cangiante, che gli svolazzava intorno e passava attraverso sfumature di grigio e di verde; e lui si preoccupava solo che non gli intralciasse il braccio, nel caso dovesse estrarre in fretta la spada. Continuava a scrutare da tutte le parti, come se si aspettasse da un momento all’altro un’imboscata.