19 Ombra in attesa

Frammenti delle pietre del lastrico scricchiolarono sotto gli zoccoli dei cavalli, mentre Lan faceva strada. Tutta la città era in rovina e disabitata. Non c’era nemmeno un colombo; le erbacce, quasi tutte vecchie e secche, erano cresciute anche nelle crepe nei muri. Il tetto della maggior parte degli edifici era crollato. Pareti rovinate spargevano nelle vie ventagli di mattoni e di pietre. Torri mozze e frastagliate si alzavano come rametti spezzati. Montagnole irregolari di macerie, su cui cresceva qualche alberello stento, erano forse i resti di palazzi o di interi quartieri.

Eppure gli edifici ancora in piedi bastarono a mozzare il fiato a Rand. L’edificio più vasto di Baerlon sarebbe scomparso nell’ombra di uno qualsiasi di quella città. Dovunque guardasse, Rand vedeva palazzi di marmo chiaro sormontati da cupole enormi. Sembrava che ogni edificio avesse almeno una cupola: alcuni ne avevano anche quattro o cinque, ciascuna di forma diversa. Viali fiancheggiati da colonne correvano per centinaia di passi verso torri che sembravano toccare il cielo. A ogni incrocio c’era una fontana di bronzo, o la guglia d’alabastro d’un monumento, o una statua su piedistallo. Anche se le fontane erano asciutte, le guglie in gran parte crollate e le statue a pezzi, quel che restava era talmente grandioso che Rand poteva solo stupirsi.

"E credevo che Baerlon fosse una città!" pensò. “Chissà Thom come se la rideva sotto i baffi. E anche Moiraine e Lan."

Tutto preso dallo spettacolo, fu colto di sorpresa, quando Lan si fermò davanti a un edificio di pietra bianca che un tempo era grande il doppio del Cervo e Leone. Impossibile dire che cosa fosse, quando la città era viva e fiorente: forse addirittura una locanda. Dei piani superiori rimaneva solo il guscio vuoto (il cielo del pomeriggio era visibile dai vani delle finestre, i cui vetri e legni erano scomparsi da tempo), ma il pianterreno sembrava ancora solido.

Moiraine esaminò con attenzione l’edificio, poi annuì. «Andrà bene» disse.

Lan smontò e prese in braccio l’Aes Sedai. «Portate dentro i cavalli» ordinò. «Usate come stalla una stanza sul retro. Muovetevi. Questo non è il parco del villaggio.» Scomparve nell’edificio.

Nynaeve lo seguì, portando il sacchetto di erbe medicinali e di unguenti. Egwene le andò dietro. Lasciarono i cavalli all’esterno.

«Portate dentro i cavalli!» brontolò ironicamente Thom, sbuffando. Smontò, si massaggiò la schiena, emise un gran sospiro e prese le redini della giumenta. «Allora?» disse, inarcando il sopracciglio in direzione di Rand e dei suoi due amici.

I tre si affrettarono a smontare e presero per le redini gli altri cavalli. Il vano d’ingresso, che non presentava nemmeno la traccia d’una porta, era ampio a sufficienza per far entrare i cavalli anche due alla volta.

L’interno consisteva di una grande stanza, ampia quanto l’edificio, con il pavimento a piastrelle e brandelli d’arazzi alle pareti, ormai sbiaditi in un marrone uniforme, che sembravano pronti a sbriciolarsi al minimo tocco. Nient’altro. Nell’angolo più vicino Lan aveva preparato un giaciglio per Moiraine, utilizzando il proprio mantello e quello di lei. Nynaeve, inginocchiata accanto all’Aes Sedai, brontolava per la polvere e frugava nel sacchetto tenuto aperto da Egwene.

«Certo, non mi sarà simpatica» diceva in quel momento Nynaeve al Custode, mentre Rand seguiva Thom, conducendo per mano Bela e Cloud «ma io aiuto chiunque abbia bisogno di me, simpatico o no.»

«Non ti ho accusata, Sapiente. Ti ho solo detto di fare attenzione, con le tue erbe.»

Nynaeve lo guardò di sottecchi. «Il fatto è che ha bisogno delle mie erbe, come te, del resto.» Il tono, già secco all’inizio, divenne sempre più acido. «Il fatto è che lei non può fare più di tanto, anche se ha il Potere; e ha già fatto quasi il massimo, senza crollare. Ora la tua spada non può aiutarla, Signore delle Sette Torri; ma le mie erbe, sì.»

Moiraine posò la mano sul braccio di Lan. «Calma, Lan. Non ha cattive intenzioni. Non sa, ecco tutto.» Il Custode sbuffò, ironico.

Nynaeve smise di frugare nel sacchetto e lo guardò, con una ruga sulla fronte. Ma si rivolse a Moiraine. «Sono molte, le cose che non so. A quale ti riferisci?»

«Tanto per cominciare, mi basta solo un po’ di riposo. E poi, sono d’accordo con te. La tua abilità e la tua conoscenza saranno più utili di quanto non pensassi. Ora, se hai qualcosa che mi permetta di dormire per un’ora senza lasciarmi intontita...»

«Un tè assai diluito di licopodio, marisina e...»

Rand perdette il resto, seguendo Thom nella seconda stanza, ampia quanto la prima e anche più vuota. Lì c’era solo polvere, fitta e mai disturbata: per terra non c’erano neppure le impronte di uccelli o di piccoli animali.

Rand cominciò a togliere la sella a Bela e a Cloud, mentre Thom si occupava del suo castrone e di Aldieb, Perrin del suo cavallo e di Mandarb. Solo Mat lasciò cadere le redini al centro della stanza e guardò gli altri due vani, oltre a quello da cui erano entrati.

«Un vicolo» annunciò, ritraendo la testa dal primo. Tutti lo vedevano, da dove si trovavano. Il secondo vano era solo un rettangolo buio nella parete in fondo. Mat lo varcò lentamente e ne uscì molto più in fretta, togliendosi dai capelli vecchie ragnatele. «Non c’è niente, li dentro» disse, con una seconda occhiata al vicolo.

«Vuoi badare al tuo cavallo?» disse Perrin. Aveva già dissellato il suo e provvedeva a Mandarb. Stranamente, il morello dallo sguardo feroce non gli diede alcun fastidio, anche se lo tenne d’occhio. «Non pensare che qualcuno lo faccia al posto tuo.»

Mat lanciò al vicolo un’ultima occhiata e con un sospiro si dedicò al suo cavallo.

Nel posare a terra la sella di Bela, Rand notò che Mat aveva un’aria cupa. Sembrava a mille miglia di distanza e si muoveva con gesti meccanici.

«Ti senti bene?» gli domandò Rand. Mat tolse la sella e rimase come bloccato. «Mat? Mat!»

Mat sobbalzò e quasi lasciò cadere la sella. «Eh? Ah... stavo pensando.»

«Pensando?» rise Perrin, più discosto, mentre toglieva a Mandarb la briglia e gli metteva la cavezza. «Ti eri addormentato!»

Mat lo guardò di storto. «Pensavo a quello che... che avvenne qui. A quelle parole che ho...» Allora tutti si girarono a guardarlo, non solo Rand. E Mat si mosse a disagio. «Be’, avete sentito cosa ha detto Moiraine. Come se un morto parlasse per bocca mia. Non mi piace.»

Perrin ridacchiò. «Il grido di guerra di Aemon, ha detto. Giusto? Forse sei Aemon tornato sulla terra. Hai sempre sostenuto che Emond’s Field è monotono, quindi ti piacerà... essere un re e un eroe rinato.»

«Non dire queste cose!» Thom inspirò a fondo e tutti lo fissarono. «Sono discorsi pericolosi. E stupidi. I morti possono rinascere, o prendersi un corpo vivente. Non bisogna parlarne alla leggera.» Inspirò di nuovo, per calmarsi prima di continuare. «Il sangue antico, ha detto lei. Il sangue, non un morto. Ho sentito dire che può accadere, a volte. Ma non ho mai creduto... Erano le tue radici, ragazzo. Una linea che andava da te a tuo padre a tuo nonno, indietro fino a Manetheren, e forse ancora più in là. Bene, adesso sai che la tua famiglia è antica. Dovrebbe bastarti e farti contento. Molti non sanno nemmeno chi è il proprio padre.»

"Anche fra noi c’è chi non lo sa con certezza” pensò amaramente Rand. “Forse la Sapiente aveva ragione. Luce santa, spero che avesse ragione sul serio."

Mat annuì. «Penso di sì» disse. «Solo... credi che sia legato a quel che ci è accaduto? I Trolloc e tutto il resto? Voglio dire... ah, non lo so neppure io.»

«Secondo me, dovresti dimenticartene e concentrarti per uscirne felicemente.» Thom tirò fuori la pipa. «E io mi farò una fumata.» Mosse la pipa nella loro direzione e scomparve nella stanza anteriore.

«In questa storia ci siamo tutt’e tre, non uno solo di noi» disse Rand a Mat.

Mat si scosse e rise brevemente. «Giusto. Bene, visto che siamo coinvolti tutt’e tre, ora che abbiamo badato ai cavalli perché non andiamo a dare un’occhiata alla città? Una città vera e senza la folla che ti prende a gomitate nelle costole. Senza nessuno che ci guarda dall’alto in basso. Resta ancora un’ora di luce, forse due.»

«Hai dimenticato i Trolloc?» disse Perrin.

Mat scosse la testa, sprezzante. «Lan ha detto che qui non sarebbero venuti, ricordi? Dovresti ascoltare quel che dice la gente.»

«Ricordo» replicò Perrin. «E ascolto. Questa città, Aridhol, era alleata di Manetheren. Vedi che ascoltavo?»

«Aridhol era certo la città più importante, se i Trolloc ne hanno ancora paura» disse Rand. «Non hanno avuto paura a venire nei Fiumi Gemelli, e Moiraine ha detto che Manetheren era... com’erano le parole esatte?... una spina nel piede del Tenebroso.»

Perrin alzò le mani. «Non parlare del Pastore della Notte. Per favore.»

«Allora?» rise Mat. «Andiamo?»

«Dovremmo chiedere a Moiraine» rispose Perrin.

Mat alzò le braccia al cielo. «Chiedere a Moiraine! Credi che vorrà perderci d’occhio? E Nynaeve? Sangue e ceneri, Perrin, perché non chiedi anche a comare Luhhan, già che ci sei?»

Perrin annuì con riluttanza e Mat si girò vero Rand, sogghignando. «E tu? Una città vera! Con palazzi!» Rise furbescamente. «E senza Manti Bianchi.»

Rand gli diede un’occhiataccia ma esitò solo un istante. Quei palazzi sembravano usciti davvero dalle storie del menestrello. «D’accordo» disse.

Camminando con prudenza per non farsi udire dalla stanza anteriore, uscirono nel vicolo e lo percorsero fino a una via sull’altro lato dell’edificio. Procedettero in fretta e quando furono a un isolato di distanza, Mat improvvisò un balletto.

«Liberi!» rise. «Liberi!» Descrisse un cerchio, guardando ogni cosa e ridendo. Le ombre del pomeriggio erano lunghe e irregolari; il sole al tramonto indorava la città in rovina. «Avete mai sognato un posto come questo?» disse. «L’avete mai sognato?»

Anche Perrin rise, ma Rand alzò le spalle, a disagio. La città era diversa da quella del suo primo sogno, eppure... «Se vogliamo vedere qualcosa, meglio muoverci» disse. «Non resta molta luce.»

Mat voleva vedere tutto e con entusiasmo si tirò dietro gli altri due. Si arrampicarono su fontane polverose con vasche grandi tanto da contenere tutti gli abitanti di Emond’s Field ed entrarono in edifici scelti a caso, ma sempre i più grandi che riuscirono a trovare. Di alcuni capirono l’uso; di altri, no. Un palazzo era chiaramente un palazzo, ma che cos’era un enorme edificio composto all’esterno di un’unica cupola rotonda grande come una collina e all’interno di una sola stanza mostruosa? E un luogo cinto da muri, aperto al cielo, ampio tanto da contenere tutto il villaggio, circondato da file su file di panche di pietra?

Mat divenne impaziente, perché trovavano solo polvere, o detriti, o brandelli stinti di arazzi che si sbriciolavano al primo tocco. Una volta videro alcune sedie di legno ammucchiate contro la parete, ma caddero tutte a pezzi, quando Perrin cercò di prenderne una.

I palazzi, con le loro stanze enormi e vuote, indussero Rand a pensare troppo alla gente che un tempo li riempiva. Tutti gli abitanti dei Fiumi Gemelli potevano stare sotto l’enorme cupola rotonda; e in quanto all’edificio con le panche di pietra... Quasi immaginava di vedere persone nell’ombra, che fissavano con disapprovazione i tre intrusi venuti a disturbare il loro riposo.

Alla fine Mat si stufò, per quanto grandiosi fossero gli edifici, e ricordò che la notte prima avevano dormito solo un’ora. Anche gli altri due cominciavano a ricordarsene. Sbadigliando, si sedettero sui gradini di un alto edificio con un colonnato sulla facciata e discussero il da farsi.

«Torniamo a dormire un poco» disse Rand. Col dorso della mano si coprì la bocca. Terminato lo sbadiglio, soggiunse: «Dormire. Non voglio altro.»

«Per dormire hai sempre tempo» disse Mat, deciso. «Guarda dove ci troviamo. In una città in rovina. Tesori.»

«Tesori?» Le mascelle di Perrin scricchiolarono. «Qui non ci sono tesori. Solo polvere.»

Rand si schermò gli occhi e guardò il sole, una palla rossa molto vicino ai tetti. «Si fa tardi, Mat. Presto sarà buio.»

«Potrebbe esserci un tesoro» continuò Mat, testardo. «E poi, voglio salire su di una torre. Guardate quella lì: è intera. Scommetto che da lassù si vede a miglia di distanza. Che ne dite?»

«Le torri non sono sicure» disse una voce maschile, dietro di loro.

Rand balzò in piedi e si girò di scatto, la mano sull’elsa. Gli altri furono rapidi quanto lui.

Nell’ombra del colonnato in cima ai gradini c’era un uomo. Avanzò di mezzo passo, alzò la mano a ripararsi gli occhi e si ritrasse. «Scusate» disse piano. «Da molto tempo sono rimasto dentro nel buio. I miei occhi non sono più abituati alla luce.»

«Chi sei?» Rand pensò che la pronuncia dell’uomo era bizzarra, anche dopo avere udito come parlava la gente di Baerlon; alcune parole erano appena comprensibili. «Cosa fai qui? Credevamo che la città fosse deserta.»

«Sono Mordeth.» Esitò, quasi si aspettasse che riconoscessero il nome. Poiché nessuno pareva riconoscerlo, mormorò qualcosa sottovoce e continuò: «Potrei fare a voi le stesse domande. Non c’è più stato nessuno a Aridhol, da molto tempo. Da moltissimo tempo. Non avrei mai pensato di trovare tre giovanotti a zonzo per le vie.»

«Siamo diretti a Caemlyn» disse Rand. «Ci siamo fermati qui per passare al riparo la notte.»

«Caemlyn» ripeté lentamente Mordeth, assaporando il nome. Scosse la testa. «Riparo per la notte, dite? Forse vorrete unirvi a me.»

«Non ci hai ancora detto che cosa fai qui» disse Perrin.

«Cerco tesori, ovviamente.»

«Ne hai trovato qualcuno?» domandò Mat, pieno d’entusiasmo.

Rand pensò che nell’ombra Mordeth sorridesse, ma non poteva esserne sicuro. «L’ho trovato» rispose l’uomo. «Più di quanto m’aspettassi. Molto di più. Più di quanto posso portare via. Non mi aspettavo di trovare tre giovanotti robusti e in buona salute. Se mi aiutate a trasportare fino ai cavalli quel che posso prendere, avrete una parte del resto. Quanto riuscirete a portare. Se lascio qualcosa, altri la porteranno via, prima che torni a prenderla.»

«Vi avevo detto che in un luogo come questo c’erano sicuramente tesori» esclamò Mat. Si lanciò su per i gradini. «Ti aiuteremo a trasportarlo. Mostraci il posto.» Si inoltrò con Mordeth nell’ombra più fitta del colonnato.

Rand guardò Perrin. «Non possiamo lasciarlo.» Perrin diede un’occhiata al sole calante e annuì.

Salirono cautamente i gradini e Perrin sganciò il fermo dell’ascia. Rand strinse la mano sull’elsa. Però Mat e Mordeth aspettavano fra le colonne; Mordeth era a braccia conserte, Mat scrutava con impazienza l’interno.

«Venite» disse Mordeth. «Vi mostrerò il tesoro.» Entrò nell’edificio e Mat lo seguì. Agli altri due non rimase che imitarlo.

La sala interna era buia, ma quasi subito Mordeth svoltò e imboccò una stretta scala a chiocciola che scese nel buio sempre più profondo, tanto da costringerli a procedere a tastoni. Rand tenne la mano contro la parete; scopriva la presenza di un gradino solo quando vi posava sopra il piede. Perfino Mat cominciò a sentirsi a disagio, a giudicare dal tono di voce, quando disse: «C’è un buio spaventoso, quaggiù.»

«Sì, sì» rispose Mordeth. Sembrava non avere nessuna difficoltà, nel buio. «Sotto ci sono dei lumi. Venite.»

E infatti all’improvviso la scala a chiocciola lasciò posto a un corridoio fiocamente illuminato da torce fumose poste a intervalli irregolari in staffe di ferro fissate alle pareti. La luce incerta consentì a Rand di dare la prima vera occhiata a Mordeth, che proseguì senza soffermarsi, invitandoli con un gesto a seguirlo.

In quell’uomo c’era qualcosa di bizzarro, si disse Rand, ma non riuscì a definire esattamente che cosa. Mordeth era untuoso e un po’ troppo ben nutrito; con quelle palpebre cascanti, dava l’impressione di guardare fissamente da dietro un nascondiglio. Basso di statura, tutto calvo, camminava come se fosse più alto di loro. Indossava abiti fuori del comune: brache nere, attillate, e morbidi stivali rossi rovesciati sulle caviglie; una lunga veste rossa piena di ricami in oro e una camicia candida con maniche svasate, la cui punta arrivava quasi alle ginocchia. Certo non il genere di vestiti con cui girare in una città morta alla ricerca di tesori. Ma non era l’abbigliamento, si disse Rand, a farlo sembrare bizzarro.

Il corridoio terminò in una stanza dalle pareti a piastrelle e Rand si dimenticò delle stranezze di Mordeth. Il suo ansito fu l’eco di quello dei suoi amici. Anche lì la luce proveniva da alcune torce che annerivano di fumo il soffitto e che davano a tutti più di un’ombra; ma quella luce si rifletteva mille volte sulle gemme e sugli ori ammassati per terra, mucchi di monete e di gioielli, calici e piatti e vassoi, spade e pugnali dorati e tempestati di gemme, il tutto gettato alla rinfusa in cumuli che arrivavano alla cintola.

Con un grido Mat corse avanti e cadde in ginocchio davanti a un mucchio. «Sacchi» disse, senza fiato, toccando gli oggetti d’oro. «Ci servono sacchi, per trasportare tutta questa roba.»

«Non possiamo trasportarla tutta» disse Rand. Si guardò intorno, confuso: tutto l’oro che i mercanti portavano a Emond’s Field in un anno non era neppure la millesima parte di uno solo di quei mucchi. «È quasi buio.»

Perrin estrasse dal mucchio un’ascia, gettando via con noncuranza le catene d’oro ingarbugliate intorno al manico. Pietre preziose brillavano sull’impugnatura nera e lucente; una delicata filigrana d’oro ricopriva la doppia lama. «Domani, allora» disse, sollevando con un sogghigno l’ascia. «Moiraine e Lan capiranno, quando mostreremo loro questa roba.»

«Non siete soli?» disse Mordeth. Era rimasto sulla soglia della sala del tesoro, ma ora li seguì. «Chi c’è con voi?»

Mat, con le mani sprofondate fino al polso nel mucchio, rispose con noncuranza: «Moiraine e Lan. E poi Nynaeve e Egwene e Thom. Thom è un menestrello. Andiamo a Tar Valon.»

Rand trattenne il fiato. Poi il silenzio di Mordeth lo indusse a guardare.

Il viso di Mordeth era distorto dalla collera e anche dalla paura. Le labbra snudarono i denti. «Tar Valon!» Agitò il pugno contro di loro. «Tar Valon! Avete detto che andavate a... a... Caemlyn! Mi avete mentito!»

«Se sei ancora d’accordo» disse Perrin «torneremo domattina ad aiutarti.» Posò con cura l’ascia in cima al mucchio di gioielli e di calici tempestati di gemme. «Se sei d’accordo.»

«No. Questo è...» Ansimando, Mordeth scosse la testa come se non sapesse decidersi. «Prendete quel che volete, Tranne... tranne...»

All’improvviso Rand capì che cosa l’aveva tormentato, di quell’uomo. Nel corridoio le torce avevano dato a ciascuno di loro un cerchio d’ombre, come adesso nella stanza del tesoro. Però... Rimase così sconvolto da dirlo ad alta voce: «Tu non hai ombra.»

Un calice cadde rumorosamente dalle mani di Mat.

Mordeth annuì e per la prima volta aprì completamente le palpebre carnose. Il viso ben pasciuto parve a un tratto emaciato e famelico. «Bene» disse. Si raddrizzò e parve ancora più alto. «È deciso.» All’improvviso Mordeth si gonfiò come un pallone, si distorse, testa contro il soffitto, spalle contro le pareti; riempì l’estremità della stanza, tagliando ogni via di fuga. Con le guance smunte, i denti snudati in un ringhio, allungò le mani, così grosse da circondare una testa umana.

Con un grido Rand balzò indietro. Inciampò in una catena d’oro e cadde rumorosamente a gambe levate. Lottò per riprendere fiato e nello stesso tempo per impugnare la spada, la cui elsa era rimasta impigliata nel mantello. Le urla dei suoi amici riempirono la stanza, tra il fracasso di piatti e di calici d’oro gettati per terra. A un tratto, un grido di sofferenza atroce gli trafisse le orecchie.

Quasi singhiozzando, Rand riuscì infine a riprendere fiato e a sguainare la spada. Cautamente si tirò in piedi, chiedendosi quale dei suoi amici avesse mandato quel grido. Perrin lo guardò a occhi sbarrati, dall’altra parte della stanza, impugnando l’ascia come se si preparasse ad abbattere un albero. Mat scrutò da dietro un mucchio di oggetti preziosi, stringendo un pugnale preso dal tesoro.

Qualcosa si mosse nell’ombra più fitta che le torce non riuscivano a disperdere. Era Mordeth, che stringeva al petto le ginocchia e cercava di rincantucciarsi nell’angolo più lontano.

«Ci ha imbrogliati» ansimò Mat. «Era tutto un imbroglio.»

Mordeth gettò indietro la testa e gemette, mentre le pareti tremavano e la polvere filtrava. «Siete tutti morti!» gridò. «Tutti morti!» Balzò in piedi e si tuffò a mezz’aria.

Rand rimase a bocca aperta e quasi lasciò cadere la spada. Mordeth si allungò e si assottigliò come un filo di fumo. Colpì una fessura tra le mattonelle della parete e scomparve. Un ultimo grido rimase sospeso nella stanza, mentre lui svaniva, e si affievolì lentamente.

«Siete tutti morti!»

«Usciamo di qui» disse debolmente Perrin, serrando la presa sul manico dell’ascia e cercando di guardare in tutte le direzioni nello stesso tempo. Monili d’oro e gemme si sparpagliarono sotto i suoi piedi, ma lui non se ne curò.

«Il tesoro!» protestò Mat. «Non possiamo andarcene proprio ora!»

«Non voglio niente, di questa roba» disse Perrin, continuando a girarsi da una parte e dall’altra. Alzò la voce e gridò alle pareti: «Il tesoro è tuo, mi senti? Non prendiamo niente!»

Rand fissò con rabbia Mat. «Vuoi che ci dia la caccia? Oppure restiamo qui a riempirci le tasche nell’attesa che torni con altri dieci come lui?»

Mat si limitò a indicare gli ori e le gemme. Prima che aprisse bocca, Rand lo afferrò per un braccio e Perrin per l’altro. Lo spinsero fuori della stanza, anche se si dibatteva e gridava di tesori.

Non avevano percorso dieci passi, quando la luce già fioca cominciò a svanire. Le torce nella sala del tesoro si spegnevano. Mat smise di gridare. Affrettarono il passo. Fuori della stanza, la prima torcia si estinse, poi la seconda. Quando arrivarono alla scala a chiocciola, non avevano più bisogno di trascinare Mat. Correvano tutt’e tre, mentre il buio li seguiva dappresso. Anche davanti alle tenebre della scala esitarono solo un istante, poi salirono di corsa, gridando a pieni polmoni. Gridavano per spaventare chiunque fosse in attesa; gridavano per ricordare a se stessi d’essere ancora vivi.

Sbucarono nella stanza superiore, scivolando e cadendo sul marmo polveroso; uscirono di corsa nel colonnato, ruzzolarono giù per i gradini e finirono in un mucchio sulla via, lividi e contusi.

Rand si liberò e raccolse dal selciato la spada di Tam, guardandosi intorno a disagio. Sopra i tetti si vedeva solo una fetta di sole. Le ombre si allungavano, simili a mani rese più tenebrose dall’ultima luce, e quasi riempivano la via. Rand rabbrividì. Le ombre sembravano Mordeth che allungasse le mani.

«Almeno né siamo fuori.» Mat si rialzò e si spazzolò gli abiti, in una misera imitazione del suo solito modo di fare. «E io almeno...»

«Ne siamo fuori davvero?» disse Perrin.

Rand capì che stavolta non era immaginazione. Si sentì rizzare i capelli. Qualcosa li guardava, dal buio del colonnato. Si girò, fissò gli edifici dall’altra parte della via. Sentiva occhi che lo guatavano anche da lì. Strinse l’elsa, pur chiedendosi a che cosa sarebbe valsa la spada. Aveva l’impressione che ci fossero occhi dappertutto. Gli altri si guardarono intorno, circospetti; Rand capiva benissimo come si sentivano.

«Teniamoci al centro della via» disse con voce roca. Incontrò lo sguardo degli altri: parevano spaventati quanto lui. Deglutì con forza. «Evitiamo il più possibile le zone d’ombra. E camminiamo velocemente.»

«Molto velocemente» convenne Mat con fervore.

Gli occhi invisibili li seguirono. Oppure erano molto numerosi e li fissavano da quasi ogni edificio. Rand non scorse movimenti, ma sentì gli sguardi, avidi, famelici.

Nei tratti ancora illuminati dagli ultimi raggi di sole, i tre rallentavano un poco e scrutavano nervosamente nel buio che sembrava sempre estendersi più avanti. Non avevano la minima voglia di passare nelle zone d’ombra, dove poteva esserci qualcosa in attesa. L’ansia famelica degli occhi invisibili diventava quasi palpabile, nei punti dove le ombre si allungavano di traverso nella via e sbarravano la strada. I tre superavano di corsa quei tratti, gridando. Rand credette di udire risatine secche e fruscianti.

Finalmente, quando già il crepuscolo svaniva, giunsero in vista dell’edificio di pietra bianca. Di colpo l’impressione d’essere fissati scomparve. Senza una parola, imitato dai due amici, Rand si lanciò in una corsa che terminò solo quando varcarono l’ingresso e, ansanti, si lasciarono cadere a terra.

Al centro del pavimento piastrellato ardeva un piccolo fuoco, il cui fumo svaniva da un foro nel soffitto, in un modo che a Rand ricordò spiacevolmente Mordeth. Tranne Lan, gli altri erano intorno al fuoco e la loro reazione variò notevolmente. Egwene, che si scaldava le mani, sobbalzò quando i tre entrarono all’improvviso e si portò alla gola le mani. Thom si limitò a borbottare qualcosa, senza togliersi di bocca il cannello della pipa, ma Rand colse la parola “pazzi” prima che il menestrello tornasse ad attizzare con un rametto il fuoco.

«Giovani scervellati!» li apostrofò la Sapiente. Mandava lampi dagli occhi e aveva sulle guance due chiazze rosse. «Perché vi siete allontanati? State bene? Non avete proprio cervello? Lan è uscito a cercarvi: sarete più fortunati di quanto non meritiate, se al ritorno vi farà entrare in zucca un po’ di buonsenso a furia di botte.»

L’Aes Sedai non mostrò agitazione, ma nel vederli entrare smise di tormentare il bordo della veste. La pozione di Nynaeve le aveva giovato di sicuro, dal momento che si reggeva in piedi. «Non dovevate farlo» disse, con voce chiara e calma come un laghetto del Waterwood. «Ne parleremo dopo. Là fuori è accaduto qualcosa, altrimenti non sareste qui a rotolarvi l’uno sull’altro. Sentiamo.»

«Hai detto che era un posto sicuro» si lamentò Mat, tirandosi in piedi. «Hai detto che Aridhol era alleata di Manetheren e che i Trolloc non sarebbero entrati nella città e...»

Moiraine avanzò d’un passo, con tale repentinità che Mat si zittì di colpo e rimase a bocca aperta, mentre Rand e Perrin si bloccarono nel gesto di rialzarsi. «Trolloc? Avete visto dei Trolloc dentro le mura?»

Rand deglutì. «Trolloc, no» disse; e cominciarono a parlare tutt’e tre insieme, eccitati.

Ciascuno iniziò da un punto diverso. Mat cominciò dalla scoperta del tesoro, come se l’avesse fatta lui; Perrin cercò di spiegare prima di tutto perché si erano allontanati senza avvertire nessuno; Rand saltò direttamente alla parte che riteneva più importante, l’incontro con lo straniero. Ma erano così sconvolti che, appena pensavano a una cosa, la raccontavano, senza badare a quel che veniva prima o dopo. Gli occhi. Tutti parlarono confusamente di occhi che li guatavano.

Il racconto era quasi incoerente, ma lasciava trasparire la loro paura. Egwene cominciò a lanciare occhiate incerte alle finestre vuote che davano sulla via. Fuori, gli ultimi residui di luce svanivano; dentro, il fuoco pareva piccolo e fioco. Thom si tolse di bocca la pipa e ascoltò, la testa piegata di lato, con una ruga di preoccupazione. Moiraine mostrò interesse, ma non in maniera sproporzionata. Finché...

All’improvviso l’Aes Sedai afferrò strettamente il braccio di Rand. «Mordeth!» esclamò. «Sei sicuro del nome? Pensateci bene, tutt’e tre. Mordeth?»

Assentirono in coro, sbigottiti per la reazione dell’Aes Sedai.

«Vi ha toccati?» continuò Moiraine. «Vi ha dato qualcosa? Avete fatto qualcosa per lui? Devo saperlo.»

«No» rispose Rand. «Non abbiamo avuto niente, né fatto niente.»

«Ha solo cercato di ucciderci» aggiunse Perrin. «Non basta? Si è gonfiato fino a riempire mezza stanza, ha gridato che eravamo tutti morti, poi è svanito. Come fumo.»

Mat si scostò, con fare petulante. «Un posto sicuro, hai detto! Qui i Trolloc non sarebbero venuti. Cosa potevamo pensare?»

«Evidentemente, non avete pensato affatto» replicò Moiraine, di nuovo padrona di sé. «Chi è capace di pensare, userebbe prudenza, in un luogo dove i Trolloc hanno paura di entrare.»

«Tutta colpa di Mat» disse Nynaeve, decisa. «Ne combina sempre una delle sue e gli altri, quando sono con lui, perdono anche quel poco di cervello che hanno avuto da madre natura.»

Moiraine annuì, ma non distolse lo sguardo da Rand e dai suoi due amici. «Sul finire delle Guerre Trolloc, un esercito si accampò fra queste rovine: Trolloc, Amici delle Tenebre, Myrddraal, Signori del Terrore, alcune migliaia in tutto. Poiché non tornavano, furono inviati esploratori dentro le mura. Gli esploratori trovarono armi, parti d’armatura, macchie di sangue dappertutto. E messaggi scribacchiati sui muri, in lingua Trolloc, messaggi che invocavano il Tenebroso perché li aiutasse nella loro ultima ora. Dopo qualche tempo, altri esploratori non trovarono segno del sangue e dei messaggi. Erano stati cancellati. Mezzi Uomini e Trolloc lo ricordano ancora. Per questo si tengono fuori di qui.»

«E per questo ci siamo nascosti qui?» disse Rand, incredulo. «Saremmo più al sicuro all’aperto, cercando di distanziarli.»

«Se non foste andati in giro» disse Moiraine, paziente «sapreste che ho posto difese intorno a questo edificio. Un Myrddraal non si accorgerebbe della loro esistenza, perché queste difese sono fatte per fermare un male di diversa natura, ma gli esseri che infestano Shadar Logoth non riusciranno a passarle né ad avvicinarsi. Domattina potremo muoverci in piena sicurezza: questi esseri non sopportano la luce del sole. Se ne staranno ben nascosti nelle profondità della terra.»

«Shadar Logoth?» disse Egwene, in tono incerto. «Non avevi detto che la città si chiama Aridhol?»

«Un tempo era chiamata Aridhol» rispose Moiraine «e faceva parte delle Dieci Nazioni, le terre che strinsero il Secondo Patto, che si opposero al Tenebroso fin dal primo giorno dopo la Frattura del Mondo. Quando Thorin al Toren al Ban era re di Manetheren, il re di Aridhol era Balwen Mayel, detto Mano di Ferro. In un crepuscolo di disperazione, durante le Guerre Trolloc, quando pareva che il Signore delle Menzogne avrebbe certamente vinto, l’uomo chiamato Mordeth venne alla corte di Balwen.»

«Lo stesso uomo?» esclamò Rand; e Mat disse: «Impossibile!» Moiraine li zittì con un’occhiata. Nella stanza si udì solo la voce dell’Aes Sedai.

«In breve Mordeth si guadagnò la fiducia di Balwen e ben presto fu secondo solo al re. Gli dava cattivi consigli e presto Aridhol iniziò a cambiare. Si ritirò in se stessa. Si diceva che parecchi preferissero vedere i Trolloc anziché gli uomini di Aridhol. La vittoria della Luce è tutto. Era questo il grido di battaglia che Mordeth insegnò loro, e gli uomini di Aridhol lanciarono quel grido, mentre le loro imprese abbandonavano la Luce.

«La storia è troppo lunga per raccontarla tutta, e troppo sinistra, e se ne conoscono solo frammenti, perfino a Tar Valon. Caar, figlio di Thorin, venne a riguadagnare Aridhol al Secondo Patto, e Balwen sedeva sul trono, un guscio avvizzito con la luce della follia negli occhi, ridendo mentre al suo fianco Mordeth ordinava la condanna a morte di Caar e degli ambasciatori, dichiarandoli Amici delle Tenebre. Il principe Caar, chiamato in seguito Caar il Monco, evase dalle segrete di Aridhol e fuggì da solo nelle Marche di Confine, inseguito dagli innaturali assassini di Mordeth. Lì incontrò Rhea, che non sapeva chi fosse, e la sposò; così introdusse nel Disegno la confusione che lo portò alla morte per mano di lei, e al suicidio di lei sulla sua tomba, e alla caduta di Aleth-Loriel. Gli eserciti di Manetheren vennero a vendicare Caar e scoprirono che le porte di Aridhol erano state abbattute e dentro le mura non rimaneva essere vivente, ma qualcosa di peggiore della morte. Aridhol non era stata distrutta dai nemici, ma da se stessa. Sospetto e odio avevano generato un orrore che si nutriva di ciò che l’aveva creato, un orrore prigioniero nel letto di roccia sul quale la città sorgeva. Mashadar aspetta ancora, famelico. Nessuno parlò più di Aridhol: la città fu chiamata Shadar Logoth, il Luogo dove l’Ombra attende.

«Solo Mordeth non fu consumato da Mashadar, ma ne fu intrappolato e anche lui ha atteso fra queste mura nel corso dei secoli. Altri l’hanno visto. Alcuni sono stati influenzati da lui, per mezzo di doni che distorcono la mente e contaminano lo spirito, una contaminazione che cresce e cala finché non è lui a comandare... o a uccidere. Se convince l’incauto ad accompagnarlo alle mura, al confine del potere di Mashadar, potrà consumarne l’anima. Mordeth sarà libero di andarsene, indossando il corpo di colui al quale ha riservato una fine peggiore della morte, per scatenare di nuovo il male nel mondo.»

«Il tesoro» borbottò Perrin, quando lei tacque. «Voleva che lo aiutassimo a portare il tesoro dove teneva i cavalli. Fuori delle mura, immagino.»

«Ma ora siamo al sicuro, vero?» domandò Mat. «Non ci ha dato niente e non ci ha toccati. Siamo al sicuro, allora, con le difese che hai disposto?»

«Siamo al sicuro» convenne Moiraine. «Non può varcare le linee di difesa, né possono farlo gli altri abitanti di questo luogo. Inoltre, devono stare lontano dalla luce del sole, per cui domattina potremo andarcene tranquillamente. Ora cercate di dormire. Le difese ci proteggeranno fino al ritorno di Lan.»

«È via da parecchio» disse Nynaeve. Scrutò, preoccupata, la notte. Il buio era fittissimo.

«Lan se la caverà» la tranquillizzò Moiraine; intanto allargò accanto al fuoco le coperte. «Fin dalla culla, con una spada nelle mani di neonato, ha assunto l’impegno di combattere il Tenebroso. E poi saprei l’istante e il modo della sua morte, come lui lo saprebbe della mia. Riposa, Nynaeve. Andrà tutto bene.» Però, mentre si avvolgeva nelle coperte, esitò e fissò la via, come se anche lei si domandasse che cosa tratteneva il Custode.

Rand si sentiva braccia e gambe di piombo e non riusciva a tenere aperti gli occhi, ma trovò difficoltà a prendere sonno; quando infine si addormentò, fece brutti sogni, borbottando e agitandosi. Si svegliò di colpo e per un istante si guardò intorno, senza ricordare dove si trovava.

La sottile falce di luna all’ultimo quarto mandava una fievole luce sconfitta dalla notte. Gli altri dormivano ancora, ma Egwene e i due ragazzi si agitavano e borbottavano nel sonno. Il russare di Thom, leggero una volta tanto, era interrotto a tratti da parole formate a metà. Ancora non c’era segno di Lan.

All’improvviso Rand si sentì inerme, come se le difese non fossero affatto una protezione. Là fuori nel buio poteva esserci di tutto. Dandosi dello sciocco, mise altra legna sulle ultime braci. Il fuoco era troppo piccolo per scaldare, ma diede più luce.

Rand non sapeva che cosa l’avesse svegliato dallo spiacevole sogno. Nel sogno era di nuovo bambino, reggeva la spada di Tam e portava una culla legata sulla schiena; correva nelle vie deserte, inseguito da Mordeth che gridava di volere solo il suo aiuto. E per tutto il tempo un vecchio li osservava e sghignazzava follemente.

Rand sistemò le coperte e si distese, fissando il soffitto. Aveva una gran voglia di dormire, anche a rischio di fare altri sogni, ma non riusciva a chiudere occhio.

All’improvviso dalle tenebre comparve silenziosamente il Custode. Moiraine si svegliò e si alzò a sedere, come se lui avesse suonato un campanello. Lan aprì la mano e tre piccoli oggetti caddero con un tintinnio sulle piastrelle davanti a lei. Tre emblemi rosso sangue, a forma di teschio munito di corna.

«Ci sono Trolloc, dentro le mura» disse Lan. «Saranno qui fra poco più di un’ora. E i Dha’vol sono i peggiori di tutti.» Passò a svegliare gli altri.

Moiraine iniziò a ripiegare le coperte. «Quanti sono? Sanno che siamo qui?» Parlò come se non ci fosse alcuna urgenza.

«Non credo che lo sappiano. Sono ben più d’un centinaio e tanto atterriti da uccidere qualsiasi cosa si muova, inclusi loro stessi. I Mezzi Uomini sono costretti a spronarli. In quattro guidano un solo manipolo. Ma perfino i Myrddraal sembrano ansiosi di attraversare al più presto la città e uscirne. Non si scostano dalla via per fare ricerche e sono così trascurati che, se non puntassero proprio su di noi, direi che non abbiamo di che preoccuparci.» Esitò.

«C’è altro?»

«Solo questo» rispose lentamente Lan. «I Myrddraal hanno forzato i Trolloc a entrare nella città. Ma loro, chi li forza?»

Tutti ascoltarono in silenzio. Poi Thom imprecò sottovoce e Egwene mormorò: «Il Tenebroso?»

«Non dire sciocchezze, ragazza» intervenne, brusca, Nynaeve. «Il Tenebroso è imprigionato a Shayol Ghul.»

«Per il momento, almeno» convenne Moiraine. «No, il Padre delle Menzogne non è qui fuori; ma dobbiamo andarcene in ogni caso.»

Nynaeve la guardò, insospettita. «Lasciamo la protezione delle difese e attraversiamo di notte Shadar Logoth?»

«Oppure restiamo qui ad affrontare i Trolloc» rispose Moiraine. «Per tenerli a bada occorrerebbe l’Unico Potere. Distruggerebbe le difese e attirerebbe proprio colui dal quale le difese dovrebbero proteggerci. Inoltre, sarebbe come accendere un falò in cima a una di queste torri per richiamare ogni Mezzo Uomo nel raggio di venti miglia. Non mi piace muovermi di notte, ma noi siamo la lepre e sono i segugi a dettare la caccia.»

«Cosa faremo, se ce ne sono altri fuori delle mura?» domandò Mat.

«Useremo il mio piano originale» rispose Moiraine. Lan le scoccò un’occhiata. Lei alzò la mano e soggiunse: «Che ero troppo stanca per mettere in atto prima. Ma ora sono riposata, grazie alla Sapiente. Ci dirigeremo al fiume. Lì, con le spalle protette dall’acqua, potrò erigere difese che tratterranno Trolloc e Mezzi Uomini finché non avremo costruito una zattera per attraversare il fiume. O, meglio ancora, finché non troveremo un passaggio sulle barche dei mercanti che scendono dalla Saldaea.»

I cinque di Emond’s Field la guardarono senza capire.

«Trolloc e Myrddraal odiano l’acqua profonda» spiegò Lan. «I Trolloc ne hanno terrore. Né gli uni né gli altri sanno nuotare. I Mezzi Uomini attraversano a guado l’acqua bassa, se non è corrente. I Trolloc, neanche quella, se possono evitarlo.»

«Allora al di là del fiume saremo al sicuro» disse Rand. Il Custode annuì.

«I Myrddraal avranno difficoltà a costringere i Trolloc a costruire zattere, almeno quanta ne hanno avuta a spingerli dentro Shadar Logoth; se li obbligheranno ad attraversare l’Arinelle, metà dei Trolloc si darà alla fuga e l’altra probabilmente finirà per annegare.»

«Andate a prendere i cavalli» disse Moiraine. «Non siamo ancora al di là del fiume.»

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