31 Guadagnarsi la cena

Rand socchiuse gli occhi e osservò il polverone che si alzava tre o quattro curve più avanti. Mat era già diretto alla siepe d’arbusti selvatici che fiancheggiava la strada. Le foglie sempreverdi e i fitti rami li avrebbero nascosti come un muro di pietre, se avessero trovato il modo di varcarla. L’altro lato della strada era segnato da scuri scheletri di cespugli alti come una persona, e più in là c’era un campo aperto di mezzo miglio, prima dei boschi. Porse faceva parte di una fattoria abbandonata di recente, ma non offriva nascondigli. Rand cercò di calcolare la velocità del polverone e il vento.

Una folata improvvisa sollevò polvere intorno a loro e oscurò ogni cosa. Rand si aggiustò la sciarpa scura che gli copriva naso e bocca. Ormai non era molto pulita e gli faceva prudere il viso, ma gli evitava di mangiare polvere a ogni respiro. L’aveva avuta da un contadino, un tizio dal viso smunto, con le guance scavate dalle preoccupazioni.

«Non so da chi fuggite» aveva detto, con una ruga d’ansia in fronte. «E non voglio saperlo. Capite? La mia famiglia.» A un tratto aveva tolto di tasca due lunghe sciarpe di lana e le aveva messe in mano ai due ragazzi. «Non è molto, ma prendetele. I miei figli ne hanno altre. Non mi avete mai visto, capito? Sono tempi duri.»

Rand faceva tesoro della sciarpa. L’elenco delle cortesie ricevute dal giorno della fuga da Whitebridge era breve e non credeva che si sarebbe allungato molto.

Mat, con la sciarpa avvolta intorno alla testa in modo da lasciare scoperti solo gli occhi, esaminò rapidamente la siepe, scostando i rami per trovare un varco. Rand toccò l’elsa della spada, ma lasciò ricadere la mano: già una volta avevano praticato un varco in una siepe e a momenti erano stati scoperti. Il polverone si muoveva verso di loro e rimaneva compatto. Non era causato dal vento. Almeno non pioveva: la pioggia impediva che la polvere si sollevasse, ma per quanto violenta, non mutava mai in fango la terra battuta della strada. La polvere era un buon avvertimento; a volte, se si aspettava di udire il rumore di gente in arrivo, era troppo tardi.

«Qui» chiamò piano Mat. Parve passare direttamente attraverso la siepe.

Rand si affrettò a raggiungerlo. Tempo addietro, in quel punto qualcuno aveva praticato un varco, ormai parzialmente richiuso; da tre passi già sembrava solido come il resto della siepe, ma da vicino era solo un sottile schermo di rami. Mentre lo attraversava, udì il rumore di cavalli in arrivo.

Si acquattò dietro l’apertura appena schermata e strinse l’elsa, mentre i cavalieri sfilavano... cinque, sei, sette. Uomini con abiti ordinari, ma non semplici paesani, a giudicare dalle spade e dalle lance.

Alcuni indossavano sopravvesti di pelle con borchie metalliche e due avevano un copricapo rotondo, di ferro. Guardie di mercanti, forse, che passavano da un impiego all’altro. Forse.

Un cavaliere rivolse casualmente lo sguardo alla siepe, nel passare davanti all’apertura schermata; Rand sguainò una spanna di spada. Mat ringhiò in silenzio, come un tasso con le spalle al muro. Teneva la mano sotto la giubba: stringeva sempre il pugnale preso a Shadar Logoth, quando c’era pericolo. Rand non sapeva più se Mat volesse proteggere se stesso o il pugnale con il rubino incastonato nell’elsa. Negli ultimi tempi, a volte Mat sembrava non ricordarsi dell’arco.

I cavalieri passarono al piccolo trotto, diretti chissà dove, con una meta precisa, ma senza fretta. La polvere filtrò nella siepe.

Rand attese che il rumore di zoccoli svanisse in lontananza e sporse cautamente la testa. Il polverone era lontano, nella direzione dalla quale loro provenivano; a levante il cielo era pulito. Rand uscì sulla strada e guardò la colonna di polvere muoversi verso ponente.

«Non cercavano noi» disse. Una via di mezzo fra constatazione e domanda.

Mat lo raggiunse e guardò con diffidenza in tutt’e due le direzioni. «Può darsi» commentò. «Può darsi.»

Rand la ritenne una frase ambigua, ma annuì. Non era iniziato a questo modo, il loro viaggio lungo la Strada per Caemlyn.

Per un bel pezzo, dopo la fuga da Whitebridge, Rand aveva continuato a girarsi all’improvviso e a fissare la strada. A volte vedeva qualcuno che lo induceva a trattenere il fiato, un uomo alto e magro che percorreva in fretta la strada o un tizio smilzo e canuto a fianco del conducente di un carro; ma si trattava sempre di venditori ambulanti o di contadini diretti al mercato, mai di Thom Merrilin. La speranza si affievolì col passare dei giorni.

C’era un certo traffico, sulla strada: carri e carretti, gente a cavallo e gente a piedi; da soli o in gruppo, una fila di carri di mercanti o una decina di cavalieri insieme. Non bloccavano la strada e spesso in vista c’erano soltanto gli alberi spogli che fiancheggiavano la carreggiata di terra battuta; ma Rand non aveva mai visto tanti viandanti, nei Fiumi Gemelli. La maggior parte procedeva nella loro stessa direzione, verso Caemlyn.

A volte Rand e Mat ottenevano un passaggio sul carro d’un contadino, per un breve tratto, un miglio, cinque; ma più spesso andavano a piedi. Evitavano gli uomini a cavallo: se da lontano scorgevano anche un cavaliere solitario, lasciavano la strada e si tenevano nascosti finché non era passato. Nessuno portava un mantello nero e Rand non credeva che un Fade si sarebbe lasciato scorgere mentre arrivava, ma non c’era motivo di correre rischi. All’inizio avevano temuto solo i Mezzi Uomini.

Il primo villaggio dopo Whitebridge sembrava assai simile a Emond’s Field, tanto che Rand lo oltrepassò con riluttanza. Tetti di stoppie, alti e a punta; comari in grembiule che spettegolavano da sopra la recinzione delle case; bambini che giocavano nel prato centrale. Le donne non portavano trecce e anche altri piccoli particolari erano diversi, ma nell’insieme sembrava il loro villaggio. Mucche pascolavano nel prato e oche impettite attraversavano la strada. Bambini ruzzavano allegramente anche se l’erba mancava del tutto. Nemmeno si giravano, al passaggio di Rand e di Mat. Ecco una delle differenze: lì i forestieri non erano una rarità, due in più non attiravano una seconda occhiata. I cani si limitavano a sollevare la testa e fiutare l’aria, quando Rand e Mat passavano; non si prendevano la briga di muoversi.

Scendeva la sera, mentre attraversavano il villaggio, e Rand provò una fitta di nostalgia, quando le finestre s’illuminarono. Per quanto gli assomigli, non è casa tua, gli disse una vocina interiore; anche se entri in una di queste case, non troverai Tam. Se ci fosse, riusciresti a guardarlo in viso? Adesso sai, no? A parte qualche piccolo particolare, come da dove provieni e chi sei. Non era delirio dovuto alla febbre. Rand ingobbì le spalle, sotto la sferza della risata irridente che gli risuonava nel cervello. Potresti anche fermarti, lo beffò la vocina. Un posto vale l’altro, se provieni dal nulla, e il Tenebroso ti ha segnato.

Mat lo tirò per il braccio, ma Rand si liberò e continuò a fissare le case. Non voleva fermarsi, voleva guardare e ricordare.

Mat lo strattonò di nuovo. Era teso, pallido intorno agli occhi e alla bocca. «Andiamo» brontolò. «Su, andiamo.» Guardò il villaggio come se sospettasse che vi si nascondesse qualcosa. «Ancora non possiamo fermarci.»

Rand descrisse un giro completo, guardò l’intero villaggio e sospirò. Non erano molto lontano da Whitebridge. Se il Myrddraal fosse uscito dalla città senza farsi vedere, non avrebbe avuto difficoltà a perlustrare quel piccolo villaggio. Rand si lasciò trascinare lungo la strada, finché i tetti di stoppie non rimasero alle sue spalle.

Cadde la notte, prima che al chiaro di luna trovassero un posto sotto alcuni cespugli che conservavano ancora foglie secche. Si riempirono la pancia con l’acqua gelida d’un rigagnolo poco distante e si rannicchiarono per terra, avvolti nel mantello, senza accendere il fuoco. Il fuoco era visibile: meglio stare al freddo.

Inquieto per i ricordi, Rand si svegliò spesso e ogni volta udì Mat parlottare e agitarsi nel sonno. Lui non ricordò i sogni, ma non dormì bene. Non avrebbe più rivisto la sua casa.

Non fu l’unica notte che passarono con solo il mantello a difenderli dal vento e talvolta dalla pioggia fredda e battente. Non fu l’unico pasto di sola acqua. Fra tutt’e due, avevano denaro sufficiente per qualche pasto in una locanda, ma un letto sarebbe costato troppo. I prezzi erano alti, fuori dei Fiumi Gemelli, e più alti da questa parte dell’Arinelle che a Baerlon. Meglio risparmiare il denaro per casi d’emergenza.

Un pomeriggio Rand accennò al pugnale con il rubino, mentre percorrevano la strada, con lo stomaco troppo vuoto anche per brontolare, e il sole era basso e debole, e in vista per la notte c’erano solo altri cespugli. In alto si addensavano nuvole scure che promettevano pioggia.

Rand percorse ancora qualche passo, prima di accorgersi che Mat si era fermato. Si fermò anche lui e mosse le dita dei piedi: questi, almeno, li sentiva caldi. Allentò le cinghie che gli segavano le spalle. Il rotolo di coperte e il fagotto di Thom non erano pesanti, ma bastava poco a dare fastidio, dopo miglia percorse a pancia vuota. «Mat, che ti succede?» domandò.

«Come mai sei così ansioso di venderlo?» rispose Mat, con rabbia. «L’ho trovato io, in fin dei conti. Non hai mai pensato che forse mi piacerebbe tenerlo? Per un poco, comunque. Se vuoi vendere qualcosa, vendi quella maledetta spada!»

Rand accarezzò l’elsa con il segno dell’airone. «Me l’ha data mio padre» disse. «Era la sua. Non ti chiederei di vendere un regalo di tuo padre. Sangue e ceneri, Mat, ti piace fare la fame? E poi, anche se trovassi da venderla, quanto ricaverei da una spada? Cosa se ne fa, un contadino? Dal rubino ricaveremmo invece denaro sufficiente ad andare a Caemlyn in carrozza. Forse anche a Tar Valon. E consumeremmo i pasti nelle locande e dormiremmo ogni notte in un letto. Ti piace l’idea di camminare per mezzo mondo e di dormire per terra?» Lo guardò di brutto e Mat gli restituì la stessa occhiata.

Rimasero così, fermi in mezzo alla strada, finché Mat all’improvviso scrollò le spalle e distolse lo sguardo. «A chi lo venderei?» disse. «Un contadino pagherebbe in polli; non si comprano carrozze, con i polli. E se lo mostrassi in un villaggio, penserebbero che l’ho rubato. Chissà cosa accadrebbe allora.»

Dopo un momento Rand annuì. «Hai ragione. Lo so. Scusa, non volevo fare la voce grossa. Ma sono affamato e ho male ai piedi, ecco tutto.»

«Anch’io.» Ripresero la strada, a passo ancora più stanco. Folate di polvere li colpirono in viso. «Anch’io» ripeté Mat, tossendo.

A volte nelle fattorie trovavano qualcosa da mangiare e passavano la notte al riparo dal freddo. Un fienile era caldo quasi quanto una stanza col focolare, a confronto di una notte fra i cespugli; inoltre, anche senza il telone di copertura, riparava dalla pioggia, se ci s’infilava bene in fondo. Mat provò a rubare qualche uovo e in un caso tentò di mungere una mucca legata a pascolare. Però in molte fattorie c’erano cani da guardia. Secondo Rand, una corsa di due miglia, con cani ringhiosi alle calcagna, era un prezzo troppo alto per un paio d’uova, soprattutto se i cani restavano per delle ore ai piedi dell’albero su cui loro due si erano rifugiati. Rand rimpiangeva il tempo sprecato in questo modo.

Per quanto gli piacesse poco, Rand preferiva avvicinarsi apertamente alle fattorie, in pieno giorno. Di tanto in tanto i contadini aizzavano contro di loro i cani, senza una parola di spiegazione, perché, a causa delle voci e dei tempi duri, chi viveva isolato s’innervosiva per la presenza di forestieri; ma a volte offrivano qualche piccolo lavoro, spaccare legna o tirare acqua da un pozzo, e lo compensavano con un pasto e un letto, anche se quest’ultimo era solo un mucchio di paglia nella stalla. Ma un paio d’ore di lavoro aumentavano il rischio che il Myrddraal li raggiungesse. A volte Rand si domandava quante miglia percorresse in un’ora un Fade. Rimpiangeva ogni minuto perso... un po’ meno, lo ammetteva, se divorava una scodella di minestra calda. E quando non avevano da mangiare, il fatto di non perdere tempo per avvicinarsi a Caemlyn non consolava lo stomaco vuoto. Mat invece non si preoccupava della pancia vuota o dell’inseguimento.

«E poi, cosa sappiamo di loro?» domandò un pomeriggio, mentre toglievano il letame dalla stalla d’una piccola fattoria.

«E loro cosa sanno di noi?» ribatté Rand, starnutendo. Lavoravano a torso nudo, coperti di sudore e di fili di paglia. «Ci daranno un pezzo d’agnello arrosto e un vero letto, ecco cosa so.»

Mat infilò il forcone nella paglia e nel letame, e diede un’occhiata di scancio al contadino che spuntava da dietro il fienile portando un secchio in una mano e lo sgabello per la mungitura nell’altra. Era un vecchietto curvo, dalla pelle scura come cuoio, capelli grigi e radi; rallentò il passo, quando si accorse che Mat lo guardava, poi distolse lo sguardo e si affrettò a uscire dal fienile, versando un po’ di latte per la fretta.

«Ci prepara un brutto scherzo, dammi retta» disse Mat. «Hai visto come ha guardato da un’altra parte? Come mai si mostrano tanto amichevoli verso due viandanti sconosciuti?»

«La moglie dice che le ricordiamo i suoi nipoti. Smettila di preoccuparti. Il vero pericolo è dietro di noi. Spero.»

«Ha qualcosa per la testa» borbottò Mat, tutt’altro che convinto.

Terminato il lavoro, si lavarono nel truogolo davanti al fienile, quando ormai il sole si avvicinava al tramonto. Rand si asciugò nella camicia, mentre si dirigevano alla casa. Il contadino li accolse sulla soglia, appoggiato a un bastone dalla punta di ferro, in modo fin troppo casuale.

Dietro di lui, la moglie tormentava l’orlo del grembiule e scrutava da sopra la spalla del marito, mordicchiandosi il labbro. Rand sospirò: non era più tanto convinto che lui e Mat ricordavano ai due contadini i propri nipoti.

«Stasera i nostri figli vengono a farci visita» disse il vecchio. «Tutti e quattro. Grandi e grossi. Robusti. Me n’ero dimenticato. Saranno qui da un momento all’altro. Purtroppo non possiamo più darvi il letto che vi avevamo promesso.»

La moglie tese un piccolo fagotto avvolto in un tovagliolo. «Ecco. Pane, formaggio, sottaceti e un pezzo d’agnello. Sufficiente per due pasti, forse. Prendete.» Il viso rugoso li supplicava di prendere l’involto e andare via.

Rand accettò il pacco. «Grazie. Capisco. Andiamo, Mat.»

Mat lo seguì, brontolando nell’infilarsi la camicia. Rand pensò che era meglio andare avanti qualche miglio, prima di fermarsi a mangiare. Il vecchio contadino aveva un cane.

Poteva andare peggio, si disse. Tre giorni prima, mentre ancora lavoravano, avevano aizzato i cani contro di loro. I cani, il fattore e i suoi due figli, muniti di bastone, li avevano inseguiti fino alla Strada per Caemlyn e poi per mezzo miglio, prima di lasciarli perdere. Avevano avuto appena il tempo di afferrare le loro cose e di scappare. Il fattore aveva un arco con la freccia già incoccata.

«Non azzardatevi a tornare!» aveva gridato. «Non so cosa state combinando, ma non voglio più vedere il vostro sguardo sfuggente!»

Mat si era girato, frugando nella faretra, ma Rand l’aveva spinto a continuare. «Sei impazzito?» gli aveva detto. Mat l’aveva guardato di storto, ma almeno aveva proseguito.

A volte Rand si domandava se valesse la pena fermarsi nelle fattorie. Più andavano avanti, più Mat diventava diffidente degli sconosciuti e meno riusciva a nasconderlo o si preoccupava di farlo. Per gli stessi lavori ottenevano pasti sempre più scarsi e a volte neanche il permesso di dormire nel fienile. Ma poi la soluzione di tutti i loro problemi si presentò — o così parve a Rand — alla fattoria di Grinwell.

Mastro Grinwell e sua moglie avevano nove figli; il più anziano era una ragazza forse un anno più giovane di Rand e Mat. Mastro Grinwell era un uomo robusto e, con tanti figli, probabilmente non aveva bisogno d’altro aiuto, ma li squadrò per bene, notò i vestiti sporchi per il viaggio e gli stivali impolverati, e si comportò come se potesse sempre trovare lavoro per altre mani. Comare Grinwell disse che se dovevano sedere alla sua tavola, non l’avrebbero fatto con quelle vesti luride. Stava per fare il bucato e alcuni vecchi vestiti del marito sarebbero andati bene per lavorare, Lo disse con un sorriso; e per un istante a Rand parve comare al’Vere, anche se era bionda e lui non aveva mai visto capelli di quel colore. Anche Mat parve rilassarsi un poco, quando fu sfiorato dal sorriso della donna. La figlia più anziana era un’altra questione.

Capelli scuri, occhi grandi, graziosa, Else sorrideva con impudenza a tutt’e due, se i genitori non guardavano. Mentre Rand e Mat, nel fienile, spostavano barili e sacchi di granaglie, se ne stava sulla porta di uno stallo, canticchiando tra sé e mordicchiandosi la punta della lunga coda di cavallo, e li osservava. Rand in particolare. Quest’ultimo cercò di non badarle, ma dopo qualche minuto indossò la camicia prestatagli da mastro Grinwell. Era stretta di spalle e troppo corta, ma meglio di niente. Else rise forte, quando lui se l’infilò. Rand cominciò a pensare che stavolta non sarebbe stata colpa di Mat, se li cacciavano in malo modo.

"Perrin saprebbe come cavarsela” pensò. “Farebbe qualche commento disinvolto e in breve lei riderebbe delle sue battute, invece di bighellonare dove il padre non può vederla." Ma lui non riusciva a pensare a nessun commento disinvolto, né a qualche battuta. Ogni volta che guardava nella direzione della ragazza, lei gli sorrideva in un modo che avrebbe indotto suo padre a sguinzagliare i cani contro di loro, se avesse visto. Una volta Else disse che a lei piacevano gli uomini alti. Tutti i ragazzi delle fattorie vicine erano di statura bassa. Mat ridacchiò. Rand cercò di concentrarsi sul forcone, con il rimpianto di non saper trovare qualche battuta scherzosa.

I bambini più giovani, almeno, erano una benedizione, agli occhi di Rand. La diffidenza di Mat si allentava sempre un poco, in presenza di bambini. Dopo cena si accomodarono tutti davanti al camino, con mastro Grinwell a caricare la pipa, seduto nella poltrona preferita, e comare Grinwell a trafficare con la scatola da cucito e le camicie lavate per Rand e per Mat. Mat tirò fuori le palle colorate di Thom e si mise a fare giochi di prestigio. Non lo faceva mai, se non c’erano bambini. I piccoli ridevano, quando lui faceva finta di lasciarle cadere e le afferrava all’ultimo momento, e batterono le mani quando lui eseguì le fontane e gli otto e un cerchio di sei che quasi gli cadde sul serio. Ma anche Mastro Grinwell e sua moglie si divertirono e batterono le mani con l’entusiasmo dei figli. Mat terminò, con un giro d’inchini e di svolazzi degno di Thom, e Rand tolse dall’astuccio il flauto.

Ogni volta che toccava lo strumento, provava una fitta di tristezza. Sfiorare gli intarsi d’oro e d’argento era come sfiorare il ricordo di Thom. Non toccava mai l’arpa, se non per vedere che fosse asciutta e in buone condizioni... Thom diceva sempre che l’arpa non era adatta alle goffe mani d’un ragazzo di campagna. Ma se un fattore li ospitava, dopo cena Rand suonava il flauto. Era solo un piccolo extra per ripagare il contadino e forse un modo per tenere vivo il ricordo di Thom.

Visto l’umore allegro già stabilito dai giochi di prestigio, Rand suonò “Tre ragazze nel prato". Mastro Grinwell e la moglie lo accompagnarono battendo a tempo le mani e i bambini più piccoli ballarono, anche l’ultimo, che camminava appena. Rand sapeva che non avrebbe mai vinto un premio alla festa di Bel Tine, ma dopo gli insegnamenti di Thom non si sarebbe sentito imbarazzato a iscriversi alla gara.

Else sedeva a gambe incrociate davanti al fuoco; quando Rand abbassò il flauto, si sporse con un lungo sospiro e gli sorrise. «Suoni davvero bene. Non ho mai udito niente di così bello.»

Comare Grinwell smise di colpo di cucire e inarcò il sopracciglio verso la figlia, poi guardò Rand, soppesandolo a lungo.

Rand si apprestava a mettere via lo strumento, ma sotto il suo sguardo a momenti lasciò cadere l’astuccio e anche il flauto. Se la donna lo accusava di fare il cascamorto con la figlia... Non sapendo che pesci pigliare, si portò alle labbra il flauto e suonò un’altra canzone, poi ancora una, e ancora una. Comare Grinwell continuò a tenerlo d’occhio.

Rand suonò “Il vento che scuote il salice", e “Tornando a casa dal Passo di Tarwin", e “Il gallo di comare Aynora", e “Il vecchio orso nero". Suonò ogni canzone che ricordava, ma la padrona di casa non si distrasse. Non fece commenti, è vero, ma lo guardava e lo soppesava.

Si era fatto tardi, quando alla fine mastro Grinwell si alzò, ridacchiando e fregandosi le mani. «Bene, ci siamo davvero divertiti, ma l’ora d’andare a letto è passata da un pezzo. Voi viandanti non badate agli orari, ma nelle fattorie il mattino viene presto. Sapete, ragazzi, ho pagato denaro sonante, in una locanda, per uno spettacolo come quello di stasera. Anzi, peggiore.»

«Meriterebbero un premio, padre» disse comare Grinwell, prendendo in braccio il figlio più piccolo, che da un pezzo si era addormentato davanti al fuoco. «Il fienile non è il posto migliore per passare la notte. Potrebbero dormire nella stanza di Else e Else nel mio letto.»

Else ci rimase male. Badò bene a tenere bassa la testa, ma Rand se ne accorse. E pensò che se ne fosse accorta anche la madre.

Mastro Grinwell annuì. «Sì, molto meglio del fienile. Se vi va di dormire in due nello stesso letto.» Rand arrossì: comare Grinwell non aveva smesso di fissarlo. «Mi piacerebbe ascoltare ancora il flauto. E guardare anche i giochi di prestigio. Mi piacciono, questi spettacoli. Sapete, domani potreste aiutarmi a fare un lavoretto e...»

«Vorranno partire presto, padre» lo interruppe comare Grinwell. «Arien è il primo villaggio sulla loro strada; se vogliono tentare la sorte alla locanda, dovranno camminare tutto il giorno per arrivare prima di sera.»

«Certo» disse Rand. «Partiremo presto. E grazie.»

Lei gli sorrise di storto, come se sapesse che il ringraziamento riguardava non solo il consiglio o la cena e un letto caldo.

Per tutto il giorno seguente, Mat prese in giro Rand a proposito di Else. Rand continuò a cambiare discorso e sostenne che la cosa migliore era seguire il suggerimento dei Grinwell e dare spettacolo nelle locande. Quel mattino, i saluti — Else aveva messo il broncio perché Rand se ne andava e comare Grinwell li aveva guardati con un’aria che pareva dire: prima te ne vai e prima s’aggiusta — erano bastati a far tenere a Mat la bocca chiusa, ma durante il viaggio fu tutta un’altra cosa.

Al calare della sera entrarono nell’unica locanda di Arien e Rand parlò al locandiere. Suonò “Traghetto sul fiume", che il grassoccio locandiere chiamava “Cara Sara” e un pezzo di “La strada per Dun Aren"; Mat si esibì in qualche gioco di prestigio; come risultato, quella sera dormirono in un letto e mangiarono patate arrosto e manzo caldo. Ebbero la stanza più piccola della locanda, è vero, sul retro e sotto la grondaia, e cenarono nel mezzo d’una lunga serata di spettacolo, ma dormirono in un letto e al riparo. Inoltre, avevano sfruttato le ore di luce per viaggiare. Gli avventori della locanda non badarono alla diffidenza con cui Mat li fissava: alcuni di loro si guardavano in cagnesco l’un con l’altro. I tempi duri rendevano normale il sospetto per i forestieri e in una locanda ce n’erano sempre.

Rand dormì meglio di quanto non avesse fatto dalla fuga da Whitebridge, anche se divideva il letto con Mat e con i suoi borbottii notturni. Al mattino il locandiere cercò di convincerli a restare un altro paio di giorni; visto che non ci riusciva, chiamò un contadino dagli occhi cisposi che la sera prima era troppo ubriaco per guidare il carro e tornare a casa. Un’ora dopo, Rand e Mat avevano percorso cinque miglia, distesi a pancia all’aria sulla paglia nel carro di Eazil Forney.

Quello diventò il loro modo di viaggiare. Con un po’ di fortuna, e a volte un paio di passaggi, riuscivano quasi sempre ad arrivare prima di sera al villaggio seguente. Se c’era più d’una locanda, i locandieri facevano a gara per assicurarseli, dopo avere sentito suonare Rand e avere visto i giochi di prestigio di Mat. Tra tutt’e due, non erano nemmeno la brutta copia di un menestrello, ma più di quanto gran parte dei villaggi avesse visto in un anno. Due o tre locande nello stesso paese significavano una stanza migliore, con due letti, porzioni più generose di carne e a volte perfino qualche moneta di rame al momento della partenza. Al mattino c’era sempre qualcuno disposto a dare un passaggio, un contadino che aveva bevuto troppo la sera precedente o un mercante che aveva gradito il loro spettacolo. Rand cominciò a pensare che non avrebbero più avuto difficoltà fino a Caemlyn. Ma poi giunsero al villaggio di Four Kings, i Quattro Re.

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