L’alba mostrò la rovina del giardino dell’Uomo Verde. Il terreno era coperto di foglie secche, in certi punti alte fino al ginocchio. Tutti i fiori erano morti, a parte alcuni che resistevano disperatamente lungo il limitare della radura. Un piccolo cerchio di fiori e d’erba circondava il massiccio tronco sulla tomba dell’Uomo Verde. La quercia stessa aveva solo metà delle foglie, ma superava di gran lunga ogni altro albero: pareva quasi che un residuo dell’Uomo Verde lottasse ancora per mantenere vivo quel posto. La fresca brezza era scomparsa, sostituita da un caldo sempre più appiccicoso; le farfalle erano sparite, non si udivano uccelli. Fu un gruppetto silenzioso, quello che si preparò alla partenza.
Montando in sella al baio, Rand provò un senso di perdita. “Non dovrei sentirmi così” si disse. “Sangue e ceneri, abbiamo vinto noi!"
«Vorrei che avesse trovato l’altro suo posto» disse Egwene, montando in groppa a Bela. Una barella, fatta da Lan, era appesa fra l’irsuta giumenta e Aldieb, per trasportare Moiraine; Nynaeve avrebbe cavalcato dall’altro lato, reggendo le redini della giumenta bianca. La Sapiente abbassava gli occhi ogni volta che Lan la guardava, ne evitava lo sguardo; il Custode la fissava ogni volta che lei guardava da un’altra parte, ma non intendeva parlarle.
«Non è giusto» disse Loial, fissando la quercia. L’Ogier era l’unico ancora a terra. «Non è giusto che Fratello Albero debba cedere alla Macchia.» Porse a Rand le redini del proprio cavallo. «Non è giusto.»
Lan aprì bocca, mentre l’Ogier si accostava alla grande quercia. Moiraine, distesa sulla barella, sollevò debolmente la mano e il Custode rimase in silenzio.
Davanti alla quercia Loial si inginocchiò, chiuse gli occhi e protese le braccia. Le orecchie irsute si tesero, quando lui alzò la faccia al cielo. E cantò.
Rand non avrebbe saputo dire se quel canto aveva parole: pareva quasi che la terra stessa cantasse, eppure lui fu sicuro di udire di nuovo il trillo degli uccelli e il sospiro lieve della brezza primaverile e il fruscio d’ali di farfalla. Assorto nel canto, pensò che durasse solo qualche minuto; ma quando Loial abbassò le braccia e riaprì gli occhi, Rand si accorse che il sole era assai alto, mentre prima sfiorava la cima degli alberi. Le foglie ancora sui rami parevano d’un verde più intenso, più salde di prima. I fiori che circondavano il tronco erano più dritti, le stelle del mattino erano candide e fresche, i nodi d’amore d’un intenso rosso cremisi.
Tergendosi il sudore, Loial si alzò e prese le redini. Le lunghe sopracciglia avevano una piega d’imbarazzo, quasi a indicare che forse pensava d’avere dato spettacolo. «Non ho mai cantato con tanta intensità, prima d’ora» disse l’Ogier. «Non ci sarei riuscito, se una piccola parte di Fratello Albero non fosse ancora qui. I miei Canti non hanno il suo potere.» Montò in sella; nello sguardo che rivolse alla quercia e ai fiori c’era una luce di soddisfazione. «Questa piccola zona, almeno, non sarà inghiottita. La Macchia non avrà Fratello Albero.»
«Sei un uomo di cuore, Ogier» disse Lan.
Loial sorrise. «Lo riterrò un complimento, ma non so cosa direbbe l’Anziano Haman.»
Cavalcarono in fila, con Mat dietro il Custode, dove poteva usare efficacemente l’arco in caso di bisogno, e Perrin alla retroguardia, con l’ascia di traverso sulla sella. Arrivarono in cima a una collina e in un batter d’occhio la Macchia fu intorno a loro, un arcobaleno di tonalità distorte e imputridite e virulente. Rand guardò indietro, ma il giardino dell’Uomo Verde era ormai fuori vista. Solo la Macchia si estendeva alle loro spalle, come in precedenza. Eppure Rand credette, solo per un istante, di scorgere ancora l’alta cima della quercia, verde e rigogliosa.
Non fu necessario aprirsi la strada con le armi, come all’andata: la Macchia era silenziosa e immobile, come morta. Non un solo ramo vibrò come per colpirli, non si udì un grido né un ululato, neppure in lontananza. La Macchia pareva acquattata, non pronta a balzare addosso, quasi avesse ricevuto un colpo tremendo e aspettasse il successivo. Perfino il sole era meno rosso.
Quando oltrepassarono la catena di laghi, il sole non era molto lontano dallo zenit. Lan si mantenne a notevole distanza dai laghi e non li guardò neppure, ma Rand pensò che ora le sette torri sembravano più alte. Era sicuro che la loro sommità frastagliata si elevasse maggiormente e che al di sopra ci fosse qualcosa quasi visibile, torri prive di commessure che splendevano al sole e vessilli con la Gru Dorata che garrivano al vento. Batté le palpebre e guardò intensamente, ma le torri non svanirono del tutto. Rimasero al limitare del campo visivo, finché la Macchia non tornò a nascondere la serie di laghi.
Prima del tramonto il Custode scelse il luogo per accamparsi; Moiraine chiese a Nynaeve e a Egwene di aiutarla a predisporre le difese. L’Aes Sedai bisbigliò qualcosa alle altre due, prima di cominciare. Nynaeve esitò, ma quando Moiraine chiuse gli occhi, anche lei, come Egwene, la imitò.
Rand notò che Mat e Perrin fissavano la scena e si domandò come potessero essere sorpresi. “Ogni donna è una Aes Sedai” si disse, senza allegria. “La Luce m’aiuti, lo sono anch’io." L’umor nero gli toglieva la voglia di parlare.
«Perché tutto è così diverso?» domandò Perrin, quando Egwene e la Sapiente aiutarono Moiraine a distendersi. «Si sente...» Scrollò le spalle, come se non riuscisse a trovare le parole giuste.
«Abbiamo inferto al Tenebroso un colpo micidiale» disse Moiraine, abbandonandosi con un sospiro. «L’Ombra impiegherà parecchio tempo a riprendersi.»
«Ma come abbiamo fatto?» domandò Mat.
«Pensa a dormire» disse Moiraine. «Non siamo ancora usciti dalla Macchia.»
Ma il mattino seguente Rand non vide traccia di cambiamenti. Certo, la Macchia sbiadiva, mentre procedevano verso meridione. Gli alberi distorti lasciarono posto a quelli dritti. Il calore soffocante diminuì. Il fogliame imputridito lasciò posto a quello solo malato. E poi a quello normale. La foresta tutt’intorno divenne rossa di foglie nuove, fitte sui rami. Germogli spuntavano nel sottobosco, rampicanti coprivano di verde le rocce, fiori selvatici sbocciati da poco punteggiavano l’erba rigogliosa e lucida come nel giardino dell’Uomo Verde. Sembrava che la primavera, così a lungo respinta dall’inverno, corresse a riprendere il suo posto.
Non fu l’unico a stupirsi. «Un colpo micidiale» mormorò Moiraine. Ma non aggiunse altro.
Una pianta di rose rampicanti si era fatta strada sulla colonna di pietra che segnava il Confine. Dalle torri di guardia uscirono soldati ad accogliere il gruppetto; ridevano, come intontiti, e avevano negli occhi una luce di meraviglia, come se non riuscissero a credere di calpestare erba novella.
«La Luce ha sconfitto l’Ombra!»
«Una grande vittoria, al passo di Tarwin! Abbiamo ricevuto il messaggio. Abbiamo vinto!»
«La Luce ci favorisce di nuovo!»
«Re Easar è forte nella Luce» replicò Lan a tutte quelle grida.
Le guardie volevano prendersi cura di Moiraine, o quanto meno darle una scorta, ma l’Aes Sedai rifiutò. Anche distesa su di una barella, conservava tutto la sua autorità e i soldati s’inchinarono al suo volere.
Nel tardo pomeriggio arrivarono a Fal Dara. La città risuonava di festeggiamenti. Non c’era campana che non mandasse rintocchi, dalle minuscole campanelle d’argento dei finimenti ai grandi gong di bronzo in cima alle torri. Le porte erano spalancate e gli uomini correvano e cantavano per le vie, con fiori infilati nei capelli e nelle fessure dell’armatura. La popolazione normale non era ancora tornata da Fal Moran, ma i soldati erano appena giunti dal passo di Tarwin e bastava la loro gioia a riempire le vie.
«Vittoria a Tarwin! Abbiamo vinto!»
«Miracolo nel passo! L’Epoca Leggendaria è tornata!»
«Primavera!» rise un anziano soldato dal ciuffo grigio, mettendo al collo di Rand una ghirlanda di stelle del mattino. Anche il suo ciuffo era adorno di fiori. «La Luce ci benedice ancora con la primavera!»
Saputo che volevano andare alla fortezza, soldati con indosso armi e fiori li circondarono e aprirono loro la strada tra i festeggianti.
Il primo viso serio fu quello di Ingtar. «Sono giunto troppo tardi» disse Ingtar a Lan, torvo. «Un’ora troppo tardi. Santa Pace!» Digrignò i denti, ma poi parve pentito. «Perdonatemi. Il rimpianto mi fa dimenticare i doveri. Benvenuto, Costruttore. Benvenuti tutti. Sono lieto di vedere che siete tornati indenni dalla Macchia. Manderò la guaritrice nelle stanze di Moiraine Sedai e informerò lord Agelmar...»
«Conducimi da lord Agelmar» ordinò Moiraine. «Me e gli altri.» Ingtar aprì bocca per protestare, ma cedette alla forza dello sguardo dell’Aes Sedai.
Agelmar era nello studio; aveva appeso alle rastrelliere spada e armatura, ma neppure lui sorrideva. Aveva una ruga di preoccupazione che si accentuò alla vista di Moiraine portata in barella da servitori in livrea. Donne in nero e oro mormorarono perché l’Aes Sedai era stata portata alla presenza del Signore di Fal Dara senza che le avessero dato la possibilità di rinfrescarsi o di farsi curare dalla guaritrice. Loial portava lo scrigno d’oro. I frammenti del sigillo erano sempre nella bisaccia di Moiraine; lo stendardo di Lews Therin Kinslayer era avvolto nel rotolo di coperte dell’Aes Sedai legato dietro la sella di Aldieb. Uno stalliere aveva ricevuto in consegna la giumenta bianca e l’ordine preciso di provvedere che il rotolo fosse portato intatto nelle stanze assegnate all’Aes Sedai.
«Pace santa!» borbottò lord Agelmar. «Sei ferita, Moiraine Sedai? Ingtar, perché non l’hai fatta mettere a letto e non hai chiamato la guaritrice?»
«Non rimproverarlo, lord Agelmar» disse Moiraine. «Ingtar ha eseguito i miei ordini. Non sono così fragile come tutti sembrano credere.» Indicò a due delle donne di aiutarla ad accomodarsi in una sedia. Per un momento le due, torcendosi le mani, protestarono che era troppo debole e che avrebbe dovuto distendersi in un letto caldo, in attesa della guaritrice e d’un bagno. Moiraine inarcò il sopracciglio; le due donne tacquero di colpo e si affrettarono ad aiutarla a sedersi. Appena accomodata, lei le congedò con un gesto d’irritazione. «Vorrei parlarti, lord Agelmar.»
Agelmar annuì e Ingtar ordinò ai servitori di lasciare la stanza. Il Signore di Fal Dara guardò i presenti, soprattutto Rand e Loial che reggeva sempre il cofano d’oro.
«Abbiamo saputo» disse Moiraine, appena la porta si chiuse alle spalle di Ingtar «che hai ottenuto una grande vittoria, al passo di Tarwin.»
«Sì» rispose Agelmar, tornando a corrugare la fronte. «Sì e no, Aes Sedai. I Mezzi Uomini e i loro Trolloc sono stati distrutti fino all’ultimo, ma si può dire che noi quasi non abbiamo combattuto. Un miracolo, lo chiamano i miei uomini. La terra ha inghiottito i nemici, le montagne li hanno seppelliti. Sono rimasti solo alcuni Draghkar, troppo spaventati per attaccarci, che sono fuggiti a settentrione alla massima velocità.»
«Davvero un miracolo» disse Moiraine. «E la primavera è giunta di nuovo.»
«Un miracolo» disse Agelmar, scuotendo la testa. «Però... Moiraine Sedai, gli uomini dicono molte cose, su quel che è accaduto nel Passo. Che la Luce si è fatta carne e ha combattuto per noi. Che il Creatore ha camminato nel Passo per colpire l’Ombra. Ma io ho visto un uomo, Moiraine Sedai. Ho visto un uomo; e quel che ha fatto non può essere, non deve essere.»
«La Ruota gira e ordisce come vuole, Signore di Fal Dara.»
«Hai ragione, Moiraine Sedai.»
«E Padan Fain? È al sicuro? Devo parlargli, quando mi sarò riposata.»
«È prigioniero, come avevi ordinato; per metà del tempo si lamenta e per l’altra metà cerca di dare ordini alle guardie, ma... Santa Pace, Moiraine Sedai, che cosa è accaduto, nella Macchia? Hai trovato l’Uomo Verde? Scorgo la sua mano, nella crescita di piante nuove.»
«L’abbiamo trovato» rispose Moiraine, in tono piatto. «L’Uomo Verde ora è morto e l’Occhio del Mondo è scomparso. Non ci saranno altre cerche di giovani vogliosi di gloria.»
Il Signore di Fal Dara si accigliò e scosse la testa, confuso. «Morto? L’Uomo Verde? Impossibile... Allora siete stati sconfitti? Ma i fiori, le piante?»
«Abbiamo vinto, lord Agelmar. Abbiamo vinto, la fine dell’inverno ne è la prova; ma purtroppo l’ultima battaglia non è stata ancora combattuta.» Rand si agitò, ma l’Aes Sedai gli scoccò un’occhiata dura e lui rimase immobile. «La Macchia esiste ancora e le forge di Thakan’dar sono in funzione, sotto Shayol Ghul. Esistono ancora molti Mezzi Uomini e innumerevoli Trolloc. Non credere che la sorveglianza lungo le Marche di Confine non sia più necessaria.»
«Non l’ho mai pensato, Aes Sedai» replicò Agelmar, brusco.
Moiraine indicò a Loial di deporre ai suoi piedi il cofano d’oro; lo aprì e mise in mostra il corno. «Il Corno di Valere» disse. Agelmar rimase a bocca aperta. Rand pensò addirittura che si sarebbe inginocchiato.
«Con il Corno, Moiraine, non conta più quanti Mezzi Uomini o quanti Trolloc rimangano. Appena gli eroi d’un tempo torneranno dalla tomba, marceremo verso le Terre Inaridite e spianeremo Shayol Ghul.»
«No!» esclamò Moiraine. Agelmar rimase a bocca aperta per lo stupore, ma l’Aes Sedai soggiunse, con calma: «Non ti ho mostrato il Corno per provocarti, ma per farti sapere che nello scontro a venire la nostra forza sarà pari a quella dell’Ombra. Il campo di battaglia non è qui. Bisogna portare il Corno a Illian. Laggiù, in previsione di altre battaglie, devono radunarsi le forze della Luce. Ti chiedo una scorta dei tuoi uomini migliori perché il Corno arrivi a Illian senza pericolo. Esistono ancora Amici delle Tenebre, oltre a Mezzi Uomini e Trolloc; e coloro che risponderanno al richiamo del Corno, seguiranno chiunque lo suoni. Deve arrivare a Illian.»
«Sarai accontentata, Aes Sedai» disse Agelmar. Ma quando il coperchio del cofano si chiuse, il Signore di Fal Dara parve una persona a cui negassero l’ultimo sguardo alla Luce.
Sette giorni dopo, a Fal Dara le campane rintoccavano ancora. La popolazione era tornata da Fal Moran e si era unita ai festeggiamenti dei soldati; grida e canti si mischiavano ai rintocchi. Fermo sulla veranda che dava sui giardini privati di Agelmar, rigogliosi e fioriti, Rand non diede neppure una seconda occhiata allo spettacolo. Anche se il sole era alto, nello Shienar la primavera era più fredda di quella a cui lui era abituato; eppure il sudore gli imperlava le spalle e il petto nudi, mentre lui muoveva la spada col marchio dell’airone, con mosse precise ma distanti dal punto dove lui galleggiava nel vuoto. Anche così assorto, si domandava quanta gioia avrebbe invaso la città, se la gente avesse saputo dello stendardo che Moiraine teneva ancora nascosto.
«Bene, pastore» disse Lan, appoggiato a braccia conserte alla ringhiera, osservandolo con occhio critico. «Ti comporti bene, ma non eccedere nell’impegno. In qualche settimana diventerai uno spadaccino provetto.»
Il vuoto svanì come una bolla forata. «Non m’interessa diventare spadaccino.»
«Quella è una lama da spadaccino, pastore.»
«Voglio solo che mio padre sia orgoglioso di me» replicò Rand. Serrò le dita sul cuoio scabro dell’elsa. “Voglio solo che Tam sia mio padre” pensò. Con un colpo secco rinfoderò la spada. «Comunque, non dispongo di settimane.»
«Allora non hai cambiato idea?»
«Tu l’avresti cambiata?» Lan non mutò espressione. «Non cercherai di fermarmi? Tu, o Moiraine Sedai?»
«Puoi fare come vuoi, pastore, o come il Disegno tesse per te.» Il Custode si raddrizzò. «Ora ti lascio.»
Rand si girò a guardare Lan che si allontanava e scoprì Egwene ferma lì vicino.
«Cambiare quale idea, Rand?»
Rand raccolse camicia e giubba, infreddolito all’improvviso. «Me ne vado, Egwene.»
«Dove?»
«Da qualche parte. Non so.» Non voleva incontrare il suo sguardo, ma non riusciva a smettere d’ammirarla. Egwene portava fiori rossi di rosa selvatica intrecciati fra i capelli che le ricadevano sulle spalle; si stringeva nel mantello, blu scuro e bordato di ricami a forma di fiori bianchi, nello stile dello Shienar, e i fiori formavano una linea dritta verso la sua faccia. Non erano meno pallidi delle sue guance; gli occhi sembravano grandi e cupi. «Via.»
«Sono sicura che a Moiraine non piacerà che tu te ne vada. Dopo... dopo la tua impresa, meriti una ricompensa.»
«Moiraine non sa nemmeno se sono vivo. Ho fatto quel che voleva e la storia finisce qui. Non mi parla nemmeno, se vado da lei. Non ho cercato di starle vicino, certo; ma lei mi evita. Non le importa se me ne vado, e a me non importa che cosa ne pensa lei.»
«Moiraine non si è ancora rimessa completamente, Rand.» Esitò. «Devo andare a Tar Valon, per l’addestramento. Viene anche Nynaeve. E Mat ha ancora bisogno d’essere guarito dal legame che lo unisce a quel pugnale. E Perrin vuole vedere Tar Valon, prima di andare... chissà dove. Potresti venire con noi.»
«E aspettare che un’altra Aes Sedai scopra cosa sono e cerchi di domarmi?» La voce era rauca, quasi un ringhio, ma lui non riusciva a cambiare tono. «È questo, che vuoi?»
«No.»
Non sarebbe mai riuscito a dirle quanto le era grato perché non aveva esitato prima di rispondere.
«Rand, non hai paura che...» Erano da soli, ma Egwene si guardò intorno ugualmente e abbassò la voce. «Moiraine Sedai dice che non sei obbligato a toccare la Vera Fonte. Se non tocchi Saidin, se non cerchi di usare il Potere, sarai al sicuro.»
«Oh, non lo toccherò mai più. Nemmeno se dovessi mozzarmi la mano.» “E se non ci riuscissi?" pensò. “Non ho mai provato a servirmene, nemmeno nell’Occhio. Ma in caso contrario?"
«Andrai a casa, Rand? Tuo padre morirà dalla voglia di rivederti. Anche il padre di Mat avrà voglia di rivederlo, ormai. L’anno prossimo tornerò a Emond’s Field. Per un poco, almeno.»
Rand strusciò il palmo sull’elsa della spada, sentì l’airone di bronzo. “Mio padre. Casa mia. Luce santa, quanto desidero vedere..."
«No, non a casa» disse. “Da qualche altra parte, dove non ci siano persone a cui nuocere, se non riesco a fermarmi. Da qualche parte dove possa stare da solo."
All’improvviso provò una sensazione di gelo, sulla balconata. «Vado via, ma non torno a casa.» “Egwene, Egwene, perché dovevi essere una di queste..."
Con il braccio le circondò le spalle e le mormorò fra i capelli: «Mai più, a casa.»
Nel giardino privato di Agelmar, sotto un folto pergolato ricco di fiori bianchi, Moiraine si agitò sulla sedia a sdraio. Teneva in grembo i frammenti del sigillo; la piccola gemma che a volte portava fra i capelli girava e scintillava, appesa a una catenella d’oro sorretta fra due dita. Il debole bagliore azzurrino della pietra si affievolì e un sorriso toccò le labbra di Moiraine. La pietra in sé non aveva alcun potere; ma lei, da bambina, nel palazzo reale di Cairhien, aveva imparato a usare l’Unico Potere utilizzando proprio quella pietra per ascoltare la gente che credeva d’essere troppo distante perché altri origliassero.
«Le Profezie si avvereranno» mormorò l’Aes Sedai. «Il Drago è Risorto.»
del Libro Primo
di La Ruota del Tempo