35 Caemlyn

Rand si girò e si alzò in ginocchio dietro il sedile. Non riuscì a trattenere una risata di sollievo. «Ce l’abbiamo fatta, Mat! Te lo dicevo che ce l’avremmo...»

Le parole gli morirono in bocca, quando vide Caemlyn. Dopo Baerlon, e a maggior ragione dopo le rovine di Shadar Logoth, credeva di sapere quale aspetto avrebbe avuto una grande città, ma questa... questa era incredibile.

Fuori delle mura c’era un enorme raggruppamento di edifici, come se ogni villaggio incontrato per strada si fosse trasferito lì, a fianco a fianco con gli altri.

I piani superiore delle locande si alzavano al di sopra delle case dal tetto di tegole e dei bassi magazzini privi di finestre. Mattoni rossi, pietre grigie, intonaco bianco, confusi e mescolati, si estendevano a perdita d’occhio. Baerlon vi si sarebbe perduta senza che nessuno la notasse e Whitebridge vi sarebbe sprofondata venti volte senza neppure un’increspatura.

Le mura stesse erano uno spettacolo: cinquanta piedi di ripida pietra grigio chiaro, striata d’argento e di bianco, formavano un ampio cerchio e sparivano a meridione e a settentrione, tanto da chiedersi fin dove giungessero. Per tutta la cinta si alzavano torri rotonde, ben al di sopra delle mura, con in cima bandiere biancorosse che garrivano al vento.

Da dentro le mura sporgevano altre torri snelle e ancora più alte di quelle di guardia; e cupole che mandavano riflessi bianchi e dorati sotto i raggi del sole. Mille storie avevano dipinto città nella mente di Rand, le grandi città di re e di regine, di troni e di poteri e di leggende: Caemlyn si adattava a queste storie come acqua alla brocca.

Il carretto si diresse cigolando lungo l’ampia strada verso la città, verso le porte fiancheggiate da torri. I carri delle carovane di mercanti uscivano da quelle porte, sotto l’arcata di pietra che avrebbe consentito il passaggio a un gigante, a dieci giganti fianco a fianco.

Mercati all’aperto fiancheggiavano la strada, con tetti di tegole che luccicavano di rosso e di viola, con stalli e recinti negli spazi intermedi. Si udivano i versi di vitelli, buoi, oche, galline, capre, pecore e il vocio della gente che contrattava a pieni polmoni. Una parete di rumore incanalava il carretto verso le porte di Caemlyn.

«Cosa vi dicevo?» Bunt fu costretto quasi a gridare, perché i due lo udissero. «La città più grandiosa del mondo. Costruita dagli Ogier, sapete. Almeno, la Città Interna e il Palazzo. Caemlyn è davvero antica. Caemlyn, dove la regina Morgase, la Luce la illumini, fa le leggi e mantiene la pace nell’Andor. La più grande città della terra.»

Rand era prontissimo a convenirne. Ancora a bocca aperta, avrebbe voluto tapparsi le orecchie per eliminare il frastuono. La gente affollava la strada come gli abitanti di Emond’s Field affollavano il Parco durante la festa di Bel Tine. Aveva pensato, ricordò, che a Baerlon c’era un numero incredibile di persone; quasi si mise a ridere. Guardò Mat e sogghignò. Mat si tappava davvero le orecchie e teneva la testa incassata tra le spalle, come a proteggersi meglio dal rumore.

«Come ci nasconderemo, in un posto simile?» disse Mat, quando si accorse che Rand lo guardava. «Come possiamo stabilire di chi fidarci, con tanta gente? Luce santa, che frastuono!»

Prima di rispondere, Rand guardò Bunt. Il contadino era tutto preso nell’ammirazione della città; e poi, con quel frastuono, forse non aveva udito ugualmente. Tuttavia Rand accostò la bocca all’orecchio di Mat.

«Come possono trovarci, fra tanta gente? Non capisci, testa di rapa? Siamo al sicuro, se solo impari a tenere a freno la maledetta lingua!» Mosse la mano in un gesto che comprendeva tutto, i mercati e le mura della città più avanti. «Guarda, Mat! Qui potrebbe accadere qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa! Potremmo perfino trovare Moiraine ad aspettarci, e Egwene, e gli altri.»

«Se sono vivi. Secondo me, sono morti come il menestrello.»

Rand sentì svanire il sorriso e si girò a guardare le porte, sempre più vicine. Qualsiasi cosa poteva accadere in una città come Caemlyn. Si aggrappò testardamente a questo pensiero.

Il cavallo non poteva muoversi più rapidamente, per quanto Bunt facesse schioccare le redini. Più si avvicinavano alle porte, più la folla s’infittiva, procedeva spalla a spalla, premeva contro i carri e i carretti che volevano entrare in città. Rand fu lieto di vedere che molti erano giovanotti a piedi, impolverati e con poco bagaglio. A prescindere dall’età, gran parte della gente che s’affollava alle porte aveva l’aria esausta di chi ha viaggiato a lungo, carretti traballanti e cavalli stanchi, abiti gualciti da molte notti di sonno scomodo, passo strascicato e occhi assonnati. Ma tutti, assonnati o no, tenevano gli occhi fissi sulle porte, come se l’ingresso nella città potesse eliminare la stanchezza.

Alle porte c’erano sei Guardie della Regina, col tabarro bianco-rosso e la corazza lucente, in netto contrasto con l’abbigliamento della maggior parte delle persone che varcavano l’arcata di pietra. A schiena dritta e a testa alta, guardavano con disprezzo e diffidenza la gente che entrava in città.

Era chiaro che avrebbero preferito mandarne via la maggior parte. Tenevano sgombra la strada per chi usciva e se la prendevano con chi cercava di spingere; a parte questo, non davano fastidio a nessuno.

«State al vostro posto. Non spingete. Non spingete, che la Luce vi fulmini! C’è posto per tutti. Calma, calma!»

Il carretto di Bunt varcò le porte seguendo la lenta marea di folla ed entrò in Caemlyn.

La città sorgeva su basse colline, simili a gradini che portassero tutti allo stesso punto centrale. Altre mura, d’un bianco brillante, cingevano questa zona, al cui interno c’era un numero maggiore di torri e di cupole, bianche e oro e viola, che dalle colline parevano tenere d’occhio il resto di Caemlyn. Rand pensò che quella era certamente la Città Interna di cui Bunt aveva parlato.

Dentro la città, la Strada per Caemlyn diventava un ampio viale diviso in due da una larga zona erbosa e alberata. L’erba era secca e gli alberi erano spogli, ma la gente si muoveva come se non vi vedesse niente d’insolito e rideva, chiacchierava, discuteva, si comportava normalmente, come se non si accorgesse che quell’anno non c’era stata primavera e che forse non sarebbe mai arrivata. La gente, capì Rand, non vedeva o non voleva vedere. Lo sguardo scivolava via dai rami spogli e i piedi calpestavano con indifferenza l’erba secca. Quel che non si vedeva, era come se non esistesse.

Guardando a bocca aperta la città e la gente, Rand fu colto di sorpresa quando il carretto svoltò in una via laterale, più stretta del viale ma sempre larga il doppio di qualsiasi via di Emond’s Field. Bunt fermò il cavallo e si girò a guardarli, incerto. Lì il traffico era un po’ meno convulso; la folla si divideva per passare ai lati del carretto, senza nemmeno rallentare.

«Quel che nascondi sotto il mantello è davvero ciò di cui Holdwin parlava?» disse Bunt.

Rand stava per gettarsi in spalla le bisacce. Non trasalì nemmeno. «Cosa intendi?» rispose. Mantenne ferma la voce, anche se aveva un nodo allo stomaco.

Mat soffocò uno sbadiglio, ma infilò la mano sotto la giubba; aveva negli occhi uno sguardo duro, da perseguitato. Bunt evitò di guardare Mat, come se sapesse che impugnava un’arma.

«Oh, niente. Ma se avete udito che venivo a Caemlyn, certo eravate lì da un po’, quanto bastava per udire anche il resto. Se avessi voluto una ricompensa, avrei trovato una scusa per entrare nella locanda e parlare a Holdwin. Ma non ho molta simpatia per Holdwin; e ancora meno per quel suo amico. Si direbbe che tiene più a voi due che non alla... all’altra cosa.»

«Non so cosa vuole» disse Rand. «Non l’abbiamo mai visto prima.» Poteva anche essere vero: non avrebbe distinto un Fade dall’altro.

«Ah-hah. Bene, come ho detto, non so niente e non voglio sapere niente. Ci sono già abbastanza guai per tutti, senza andarne a cercare altri.»

Mat fu lento a raccogliere le sue cose e Rand era già a terra quando l’amico cominciò a scendere dal carretto. Rand lo aspettò, impaziente. Mat girò rigidamente la schiena al carretto, stringendosi al petto arco e faretra e rotolo di coperte, e borbottò sottovoce. Ombre scure gli cerchiavano gli occhi.

Rand sentì brontolare lo stomaco e fece una smorfia. La fame e una fitta alle viscere gli diedero la nausea. Mat adesso lo fissava, in attesa. “Da che parte andiamo?" si chiese Rand. “Cosa facciamo?"

Bunt si chinò e lo chiamò vicino. Rand si accostò, con la speranza di avere un consiglio su Caemlyn.

«Io la terrei nascosta...» L’anziano contadino esitò, si guardò cautamente intorno. La gente passava ai lati del carro, ma a parte qualche imprecazione contro chi bloccava la via, nessuno badava a loro. «Non portarla addosso» continuò Bunt. «Nascondila, vendila. Buttala via. Cose come quella attirano l’attenzione e immagino che a voi non piaccia.»

A un tratto si raddrizzò, schioccò la lingua al cavallo e si mosse lentamente nella via affollata, senza altre parole né un’occhiata indietro. Un carro carico di barili arrivò rumorosamente verso di loro. Rand balzò di lato, barcollò, e quando guardò di nuovo, Bunt e il suo carretto erano scomparsi.

«E ora cosa facciamo?» domandò Mat. Si umettò le labbra, fissando a occhi sgranati la folla e gli edifici che torreggiavano, alti fino a sei piani, sopra di loro. «Siamo a Caemlyn, ma cosa facciamo?» Non si tappava più le orecchie, ma muoveva le mani come se ne sentisse il bisogno. Un rumore costante faceva da sfondo alla città: il basso e continuo ronzio di centinaia di botteghe in attività, di migliaia di persone che parlavano tutte insieme. A Rand pareva d’essere dentro un gigantesco alveare ronzante. «Anche se loro sono qui, Rand, come facciamo a trovarli, in questa confusione?»

«Moiraine troverà noi» rispose Rand lentamente. Era sopraffatto dall’immensità di Caemlyn; avrebbe voluto andare via, nascondersi, sfuggire a tutta quella gente e a quel frastuono. Nonostante gli insegnamenti di Tam, non riusciva a svuotarsi la mente: i suoi occhi vi trascinavano dentro la città. Si concentrò invece su quel che c’era proprio intorno a lui, ignorando qualsiasi cosa ci fosse al di là. Guardando solo quella via, gli sembrava quasi di trovarsi a Baerlon. L’ultimo posto in cui tutti loro avevano creduto d’essere al sicuro. “Più nessuno è al sicuro” pensò. “Forse loro sono davvero morti. Cosa faremo, in questo caso?"

«Sono vivi! Egwene è viva!» esclamò con forza. Alcuni passanti lo guardarono curiosamente.

«Può darsi» disse Mat. «Può darsi. E se Moiraine non ci trova? Se l’unico a trovarci sarà il... il...» Non riuscì a dirlo.

«Ci penseremo al momento buono. Se si presenterà.» Nel caso peggiore, si sarebbero rivolti a Elaida, l’Aes Sedai del Palazzo. Ma lui avrebbe preferito andare a Tar Valon. Forse Mat non ricordava che cosa aveva detto Thom a proposito dell’Ajah Rossa... e della Nera... ma lui sì. Sentì di nuovo una fitta allo stomaco. «Thom ha detto di cercare una locanda chiamata Benedizione della Regina. Per prima cosa andremo lì.»

«E come? Tra tutt’e due non abbiamo quattrini per un pasto.»

«Almeno, è un punto di partenza. Thom era convinto che avremmo trovato aiuto, in quella locanda.»

«Non posso... Rand, sono dappertutto.» Mat abbassò lo sguardo sulle pietre del lastricato e parve raggrinzirsi per scostarsi dalla gente che li attorniava. «Dovunque andiamo, ci saranno alle calcagna o lì ad aspettarci. Saranno anche alla Benedizione della Regina. Non posso... non... Niente fermerà un Fade.»

Rand lo afferrò per il colletto, sforzandosi di non far tremare la mano. Aveva bisogno di Mat. Se avesse dovuto proseguire da solo... Sentì in bocca il sapore di bile e deglutì con forza.

Si guardò rapidamente intorno: nessuno, gli parve, aveva udito Mat menzionare il Fade; la gente passava, assorta nei propri pensieri. «Siamo arrivati fin qui, no?» disse, in un bisbiglio rauco. «Ancora non ci hanno presi. Possiamo arrivare fino in fondo, se non cediamo. Non ho nessuna voglia di cedere e di aspettarli come una pecora pronta per il macello! Allora? Hai intenzione di stare qui fermo finché non morirai di fame? O finché non ti vengono a prendere?»

Lasciò andare Mat e gli girò le spalle. Serrò i pugni, ma le mani gli tremavano ancora. All’improvviso Mat gli fu al fianco, sempre a occhi bassi, e Rand mandò un sospiro di sollievo.

«Scusa, Rand» borbottò Mat.

«Niente, niente.»

Mat alzò appena lo sguardo per non andare a sbattere contro i passanti, mentre diceva d’un fiato, con voce piatta: «Non posso togliermi dalla testa che non rivedremo più la nostra casa. E io voglio tornarci. Ridi pure, se vuoi: non m’importa. Cosa non darei, per avere qui mia madre a farmi la ramanzina! Mi sembra d’avere dei pesi nella testa, pesi roventi. Estranei tutt’intorno, senza poter dire di chi fidarmi, se pure posso fidarmi di qualcuno. Luce santa, i Fiumi Gemelli sono così lontano che potrebbero trovarsi dall’altra parte del mondo. Siamo soli e non arriveremo mai a casa. Moriremo, Rand.»

«Non ancora. E poi, tutti muoiono. La Ruota gira. Ma non mi siedo ad aspettare che accada.»

«Parli come mastro al’Vere» brontolò Mat, ma in tono un pochino più rincuorato.

«Bene» disse Rand. E pensò: “Luce santa, fa’ che gli altri siano vivi. Non lasciarci da soli".

Cominciò a chiedere indicazioni per arrivare alla Benedizione della Regina. Le risposte variavano enormemente: un’imprecazione contro chi non se ne stava al proprio posto o, più spesso, un’alzata di spalle e uno sguardo vacuo. Alcuni continuarono per la loro strada senza nemmeno un’occhiata.

Un tizio dalla faccia larga, grande e grosso quasi quanto Perrin, piegò la testa e disse: «La Benedizione della Regina, eh? Voi ragazzi di campagna siete suoi sudditi?» Portava una coccarda bianca sul cappello dall’ampia tesa e una larga fascia bianca sulla manica del pastrano. «Be’, siete arrivati troppo tardi.»

Continuò per la sua strada, ridendo della grossa. Rand e Mat rimasero a guardarsi, perplessi. Rand si strinse nelle spalle: Caemlyn era piena di persone bizzarre.

Alcune di esse risaltavano nella folla: pelle troppo scura o troppo chiara, giubbe di foggia strana o di colori vivaci, copricapi a punta o adorni di lunghe piume. C’erano donne col viso velato, donne in veste larga e rigida, donne che mostravano più pelle nuda delle cameriere di locanda. Di tanto in tanto una carrozza, dipinta a colori vivaci e piena di dorature, tirata da un attacco a quattro o a sei cavalli impennacchiati, si apriva la strada tra la folla. Dappertutto c’erano portantine, i cui portatori non badavano affatto a chi spingevano via.

Rand vide una zuffa iniziare per questo motivo: un mucchio di uomini vocianti che menavano pugni, mentre un uomo dalla pelle chiara, in giubba a strisce rosse, scendeva dalla portantina ribaltata. Due uomini malvestiti, che fino a quel momento erano sembrati semplici passanti, gli saltarono addosso prima che si fosse rialzato. La folla che si era fermata a guardare cominciò a diventare minacciosa, a brontolare e a scuotere il pugno. Rand tirò per la manica Mat e si allontanò in fretta. Mat non si fece pregare. Il trambusto del tafferuglio li seguì lungo la via.

Varie volte, a causa degli abiti impolverati che li segnavano come forestieri e parevano attirare certa gente, furono avvicinati da sconosciuti che con aria furtiva, rapide occhiate e piedi pronti alla fuga, offrivano in vendita cimeli di Logain. Il viso di Mat s’illuminò d’interesse, la prima volta almeno; ma Rand rispondeva a tutti con un secco no e loro rispondevano con un cenno e un rapido: «La Luce illumini la Regina, buon mastro», e si dileguavano. Numerose botteghe mettevano in mostra piatti e coppe, istoriati con scene fantasiose del falso Drago in catene davanti alla Regina. E nelle vie circolavano Manti Bianchi: come a Baerlon, intorno a loro la gente lasciava sempre un po’ di spazio.

Rand pensava soprattutto a non farsi notare. Continuò a tenere coperta col mantello la spada, ma la cosa non sarebbe durata a lungo. Prima o poi qualcuno si sarebbe domandato che cosa nascondesse. Ma lui non intendeva seguire il consiglio di Bunt: non poteva rinunciare a quel legame con Tam, con suo padre.

Molti portavano la spada, ma nessuna aveva il marchio dell’airone. Tutti quelli di Caemlyn, però, e alcuni forestieri, intorno al fodero e all’elsa avevano legato strisce di stoffa, rosse con corda bianca o bianche con corda rossa. Nessuno avrebbe visto un marchio dell’airone, sotto quegli involucri. E poi, si disse Rand, seguire la moda locale avrebbe dato meno nell’occhio.

Parecchie botteghe esponevano tavoli con la stoffa e la corda. Rand si fermò davanti a una di esse. La stoffa rossa costava meno di quella bianca, anche se non si vedeva la differenza, a parte il colore perciò Rand comprò la prima, e la corda che s’accompagnava, nonostante le proteste di Mat per i pochi quattrini che restavano. Il bottegaio li squadrò da capo a piedi, a labbra serrate, mentre accettava le monete di rame di Rand, e imprecò contro di lui, quando il ragazzo gli chiese se dentro la bottega c’era un posto dove avvolgere la spada.

«Non siamo venuti a vedere Logain» spiegò Rand, paziente. «Siamo venuti solo a vedere Caemlyn.» Ricordò Bunt e soggiunse: «La città più grandiosa del mondo.» La smorfia del bottegaio non cambiò. «La Luce illumini la buona regina Morgase» concluse Rand, speranzoso.

«Prova a darmi fastidio» replicò il bottegaio, acido. «A portata di voce ci sono cento persone che si prenderanno cura di te anche se le Guardie non vorranno farlo.» Si fermò a sputare, mancando d’un pelo lo stivale di Rand. «Vai a farti i tuoi sporchi affari.»

Rand rispose con un cenno, come se l’uomo gli avesse rivolto un allegro saluto, e tirò via Mat, che continuò a guardare indietro verso la bottega, brontolando, finché Rand non lo spinse in un vicolo deserto. Con la schiena alla via, i passanti non potevano vedere che cosa facevano. Rand si tolse il cinturone e si mise ad avvolgere fodero ed elsa.

«Sono sicuro che te l’ha fatta pagare il doppio, quella maledetta stoffa» disse Mat. «Il triplo. Tutti proveranno a imbrogliarci. Credono che siamo venuti a vedere il falso Drago, come tutti. Saremo fortunati se qualcuno non ci darà un colpo in testa mentre dormiamo. Questo non è posto per noi. C’è troppa gente. Partiamo subito per Tar Valon. Oppure andiamo a Illian. Non mi spiacerebbe vedere il raduno per la Cerca del Corno. Se non possiamo tornare a casa, andiamo avanti.»

«Io resto» disse Rand. «Se gli altri non sono già qui, prima o poi arriveranno e ci cercheranno.»

Non era sicuro di avere avvolto la spada nel modo corretto, ma gli aironi sul fodero e sull’elsa erano nascosti e pensava che andasse bene. Tornò nella via, convinto d’avere una preoccupazione in meno. Mat lo seguì con riluttanza, come se lo tirassero al guinzaglio.

A poco a poco Rand riuscì a ottenere le indicazioni che voleva. Sulle prime erano vaghe, del tipo “più o meno da quella parte” o “laggiù in quella direzione"; ma più si avvicinavano, più diventavano precise. Alla fine si trovarono davanti a un ampio edificio di pietra con l’insegna che cigolava al vento: un uomo inginocchiato davanti a una donna dai capelli rosso oro, con la corona, che gli teneva la mano sulla testa. La Benedizione della Regina.

«Sei sicuro di quel che fai?» domandò Mat.

«Certo.» Rand trasse un profondo respiro e spinse la porta.

La sala comune era ampia, rivestita di pannelli di legno scuro e riscaldata da due caminetti. Una cameriera spazzava il pavimento, anche se era pulito, e un’altra, in un angolo, lucidava i candelieri. Tutt’e due rivolsero loro un sorriso e continuarono a lavorare.

Solo alcuni tavoli erano occupati, ma dieci persone erano una folla, a quell’ora del mattino; e se nessuno pareva particolarmente lieto di vedere Rand e Mat, almeno avevano l’aria pulita e sobria. Dalla cucina giunse il profumo di carne arrosto e di pane in forno. Rand si sentì l’acquolina in bocca.

Il locandiere era grasso, roseo in viso, con un grembiule bianco inamidato e capelli grigi pettinati all’indietro per coprire alla meglio la chierica. Con occhio acuto li squadrò da cima a fondo, abiti impolverati e stivali consumati, ma ebbe anche un sorriso pronto e amabile. Si chiamava Basel Gill.

«Mastro Gill» disse Rand «un nostro amico ci ha detto di venire qui. Thom Merrilin. Lui...» Il locandiere perdette il sorriso. Rand guardò Mat, ma l’amico era troppo intento ad annusare i profumi che giungevano dalla cucina per notare altro. «Qualcosa non va?» disse. «Lo conosci?»

«Lo conosco» rispose Gill, brusco. Parve più interessato all’astuccio del flauto che penzolava al fianco di Rand. «Venite con me.» Con un cenno indicò il retro, Rand diede a Mat una spinta e seguì il locandiere, domandandosi che cosa succedeva.

In cucina mastro Gill si fermò a parlare alla cuoca, una donna grassoccia, con i capelli raccolti a crocchia, che pesava quasi quanto il locandiere stesso e che continuò a rimestare nelle pentole, mentre mastro Gill parlava.

I profumi erano così appetitosi — due giorni di digiuno sono un ottimo condimento per qualsiasi pietanza, ma quella cucina aveva lo stesso buon profumo di quella di comare al’Vere — che lo stomaco di Rand mandò un brontolio. Mat allungava il naso verso le pentole. Rand gli diede di gomito; Mat si affrettò ad asciugarsi il filo di saliva che gli colava sul mento.

Poi il locandiere li spinse verso la porta posteriore. Nel cortile della stalla si guardò intorno per accertarsi che nessuno fosse nelle vicinanze. «Cosa c’è in quell’astuccio?» domandò a Rand.

«Il flauto di Thom» rispose lentamente Rand. Aprì l’astuccio, come se gli fosse d’aiuto mostrare il flauto intarsiato d’oro e d’argento. Mat infilò di nascosto la mano sotto la giubba.

Mastro Gill non staccò lo sguardo da Rand. «Sì, lo riconosco. L’ho visto suonare molte volte e non è probabile che ce ne siano due uguali, fuori della corte reale.» Il sorriso amabile era scomparso. «Come l’hai avuto? Thom avrebbe dato un braccio, pur di non separarsi dal flauto.»

«Me l’ha dato lui.» Rand si tolse di spalla il fagotto di Thom e lo posò per terra; lo aprì quanto bastava a mostrare le pezze colorate, e un angolo dell’astuccio con l’arpa. «Thom è morto, mastro Gill. Se era tuo amico, mi dispiace. Era anche amico mio.»

«Morto, dici. Come?»

«Un... un uomo cercò di ucciderci. Thom mi diede questo involto e ci disse di scappare.» Le pezze svolazzarono al vento come farfalle. Rand sentì un groppo in gola. Ripiegò con cura il mantello. «Saremmo morti, se non fosse stato per Thom. Venivamo a Caemlyn insieme. Thom ci ha detto di venire qui, alla tua locanda.»

«Crederò che sia morto quando vedrò il suo cadavere» disse piano il locandiere. Col piede diede una spinta al fagotto e si schiarì la voce. «No, no, non metto in dubbio la tua parola. Solo, non credo che lui sia morto. È duro a morire, più di quanto non crediate, il vecchio Thom Merrilin.»

Rand mise la mano sulla spalla di Mat. «Tutto a posto, Mat. Lui è suo amico.»

Mastro Gill diede un’occhiata a Mat e sospirò. «Penso proprio di sì.»

Mat si raddrizzò, a braccia conserte. Ma continuò con diffidenza a tenere d’occhio il locandiere; e aveva un tic alla guancia.

«Venivate a Caemlyn, hai detto?» Il locandiere scosse la testa. «Caemlyn è l’ultimo posto della terra dove mi aspetterei che Thom venisse, tranne forse Tar Valon.» Aspettò che passasse uno stalliere che portava sottomano un cavallo, ma anche allora abbassò la voce. «Avete guai con le Aes Sedai, immagino.»

«Sì» brontolò Mat, mentre Rand domandava: «Cosa te lo fa pensare?»

Mastro Gill ridacchiò senza allegria. «Conosco Thom, ecco tutto. Si getterebbe subito in guai del genere, soprattutto per aiutare un paio di ragazzi della vostra età...» Lasciò perdere i ricordi e raddrizzò la schiena. «Ora... ah... non voglio fare accuse, badate bene, ma... ah... penso che nessuno di voi possa... ah... esattamente che tipo di guai avete con Tar Valon, se non vi dispiace che lo domandi?»

Rand si sentì accapponare la pelle, rendendosi conto di quel che l’altro insinuava. L’Unico Potere. «No, niente del genere. Lo giuro. C’era perfino un’Aes Sedai che ci aiutava. Moiraine era...» Si morsicò la lingua, ma l’espressione del locandiere non cambiò.

«Mi fa piacere saperlo. Non ho troppa simpatia per le Aes Sedai, ma meglio loro di... di un’altra cosa.» Scosse la testa. «Se ne parla fin troppo, in attesa dell’arrivo di Logain. Non volevo offendervi, capite, ma... be’, dovevo sapere, no?»

«Non ci siamo offesi» disse Rand. Il mormorio di Mat poteva significare qualsiasi cosa, ma parve che il locandiere lo interpretasse come assenso.

«Voi due mi sembrate gente giusta e credo che eravate... che siete... amici di Thom. Ma sono tempi brutti. Immagino che non possiate pagare. No, non pensavo di farvi pagare. Tutto scarseggia; e quel che si trova, costa un occhio; perciò vi darò un letto, non dei migliori, ma caldo e asciutto, e da mangiare. Non posso promettervi altro, mi dispiace.»

«Grazie» disse Rand, con un’occhiata interrogativa a Mat. «È più di quanto m’aspettassi.»

«Be’, Thom è un buon amico. Un vecchio amico. Impulsivo e capace di dire la peggior cosa possibile all’unica persona a cui non dovrebbe dirla; ma un buon amico ugualmente. Se non si farà vedere... be’, vedremo allora cosa fare. Ma non parlate più dell’Aes Sedai che vi aiuta. Sono un buon suddito, ma in questo momento a Caemlyn c’è troppa gente che si farebbe un’idea sbagliata, e non mi riferisco solo ai Manti Bianchi.»

Mat sbuffò. «Per quel che m’importa, i corvi si portassero pure a Shayol Ghul tutte le Aes Sedai!»

«Attento a come parli» lo rimproverò mastro Gill, brusco. «Ho detto che non le ho in simpatia; ma non sono tanto sciocco da pensare che dietro ogni guaio ci siano loro. La Regina sostiene Elaida e le Guardie sostengono la Regina. Comunque, di recente alcune Guardie hanno preso a trattare con una certa rudezza la gente che parla contro le Aes Sedai. Fuori servizio, grazie alla Luce, ma è accaduto. Non mi va che Guardie fuori servizio mi distruggano la sala comune per darvi una lezione, né che i Manti Bianchi spingano qualcuno a dipingere sulla mia porta la Zanna del Drago; perciò, se volete che v’aiuti, tenete per voi ogni pensiero riguardante le Aes Sedai, buono o cattivo che sia.» Esitò, pensieroso. «Forse è meglio che non facciate nemmeno il nome di Thom, se c’è qualcuno a portata d’orecchio. Alcune Guardie hanno memoria lunga; e la Regina pure. Inutile correre rischi.»

«Thom ha avuto guai con la Regina?» disse Rand, incredulo. Il locandiere si mise a ridere.

«Allora non vi ha detto tutto. Be’, non so perché avrebbe dovuto. D’altro canto, non so nemmeno perché dovreste sapere. Non che sia proprio un segreto. Credete che ogni menestrello abbia un’alta stima di se stesso come Thom? Be’, riflettendoci, direi di sì, ma a me è sempre sembrato che Thom avesse un motivo in più per ritenersi superiore. Un tempo non faceva il menestrello, sapete, vagando di villaggio in villaggio e dormendo sotto una siepe più spesso che in un letto. Thom Merrilin era bardo di corte, proprio qui a Caemlyn, ed era noto in ogni corte reale da Tear a Maradon.»

«Thom?» si stupì Mat.

Rand annuì lentamente. Riusciva a immaginarsi Thom alla corte della Regina, con il suo portamento fiero e i gesti grandiosi.

«Proprio lui» disse mastro Gill. «Fu poco dopo la morte di Taringail Damodred, che si manifestarono le... le difficoltà a proposito di suo nipote. Alcuni sostenevano che Thom era, per così dire, più vicino alla Regina di quanto fosse giusto. Ma Morgase era una giovane vedova e a quel tempo Thom era nel fiore degli anni. E la Regina può fare quel che vuole, da come la vedo io. Solo, ha sempre avuto un brutto carattere, la nostra buona Morgase; e lui se ne andò senza una parola, quando seppe in quali guai si era cacciato suo nipote. Alla Regina non piacque affatto. E non le piacque che Thom s’immischiasse nelle faccende delle Aes Sedai. Comunque, quando tornò, Thom si sfogò, certo. Con parole che non si dicono a una Regina. Né a una donna con il carattere di Morgase. Elaida era contro di lui, perché Thom cercava di immischiarsi nella faccenda del nipote; e fra il brutto carattere della Regina e l’animosità di Elaida, Thom lasciò Caemlyn un attimo prima di finire in prigione, se non sotto la scure del boia. Per quanto ne so, l’editto è ancora valido.»

«Se accadde tanto tempo fa» disse Rand «forse nessuno se ne ricorda più.»

Mastro Gill scosse la testa. «Gareth Bryne è Capitano Generale delle Guardie della Regina. Comandava di persona le guardie mandate da Morgase a prendere Thom e a riportarlo in catene; non credo che dimenticherà d’essersi presentato a mani vuote, dopo avere scoperto che Thom era già tornato al Palazzo e se n’era andato di nuovo. E la Regina non dimentica mai niente! Avete mai conosciuto una donna che dimentichi un affronto? Diamine, Morgase era su tutte le furie. Giurerei che per un mese in città tutti camminavano senza far rumore e parlavano sottovoce. No, meglio che non parliate di Thom, né della vostra Aes Sedai. Venite, vi faccio preparare un boccone. A guardarvi, si direbbe che lo stomaco vi morde la spina dorsale.»

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