Mastro Gill li guidò a un tavolo d’angolo della sala comune e ordinò a una cameriera di portare del cibo. Rand scosse la testa, quando vide i piatti che contenevano qualche fetta sottile di manzo coperto di sugo, una cucchiaiata di verdure e senape, e due patate ciascuno. Ma fu un gesto triste, di rassegnazione, non di collera. Tutto scarseggia, aveva detto il locandiere. Rand prese forchetta e coltello e si domandò che cosa sarebbe accaduto, quando non ci fosse stato più niente. L’idea gli fece ritenere un banchetto quel piatto mezzo vuoto. E gli procurò un brivido.
Mastro Gill aveva scelto un tavolo a una certa distanza dagli altri; si sedette con le spalle rivolte all’angolo, in modo da tenere d’occhio la sala. Nessuno poteva avvicinarsi tanto da origliare, senza che lui lo vedesse. Quando la cameriera si allontanò, mastro Gill disse a bassa voce: «Allora, perché non mi raccontate i vostri guai? Se devo aiutarvi, voglio sapere in quale pasticcio mi vado a cacciare.»
Rand guardò Mat, ma il suo amico fissava, accigliato, il piatto, come se ce l’avesse con la patata che tagliava in quel momento. Rand trasse un sospiro. «Non ci capisco niente neanch’io» cominciò.
Ridusse il racconto ai minimi termini e non parlò di Trolloc e di Fade. Se gli offrivano aiuto, era meglio non far credere che fossero tutte favole. Ma non riteneva giusto sminuire la portata del pericolo, né implicare altri in una situazione che non sapeva come sarebbe andata a finire. Certe persone, disse, davano la caccia a lui e a Mat, e anche a un paio di loro amici. Comparivano dove uno meno se li aspettava, costoro, ed erano molto pericolosi e ben decisi a uccidere lui e i suoi amici. Secondo Moiraine, alcuni di essi erano Amici delle Tenebre. Thom non si fidava completamente di Moiraine, ma era rimasto con loro, perché gli ricordavano suo nipote. Loro due e Thom erano rimasti separati dagli altri durante un attacco, mentre cercavano di arrivare a Whitebridge; e poi, a Whitebridge, Thom era morto per salvarli da un altro assalto. E avevano dovuto superare altre prove. Rand si rese conto che la storia faceva acqua da tutte le parti, ma era quanto di meglio fosse riuscito a escogitare, lì su due piedi, senza scendere in particolari pericolosi.
«Abbiamo continuato fino a Caemlyn» spiegò. «Era questo, il piano originario. Caemlyn, poi Tar Valon.» Cambiò posizione, a disagio. Dopo avere mantenuto il segreto per tanto tempo, dire anche quel poco gli procurava una bizzarra sensazione. «Se non cambiamo percorso, gli altri riusciranno a trovarci, prima o poi.»
«Se sono ancora vivi» borbottò Mat.
Rand non lo guardò nemmeno, ma si sentì obbligato ad aggiungere: «Rischi di metterti nei guai, se ci aiuti.»
Mastro Gill scacciò con un gesto l’obiezione. «Non dico di cercare guai, ma non sarebbe la prima volta che mi ci trovo dentro. Nessun maledetto Amico delle Tenebre mi farà girare le spalle ad amici di Thom. Questa vostra amica del settentrione... se viene a Caemlyn, lo saprò. In girò c’è gente che tiene d’occhio chi viene e chi va. Le voci corrono.»
Rand esitò, poi chiese: «E Elaida?»
Anche il locandiere esitò, poi scosse la testa. «Non lo consiglio, visto che avete un legame con Thom. Lo verrebbe a sapere, e allora cosa fareste? Non saprei. Forse finireste in prigione. Forse peggio. La gente dice che ha un sistema per intuire cos’è accaduto e cosa accadrà. Che riesce a capire cosa si vuole nascondere. Non so se è vero, ma non correrei il rischio. Se non fosse per Thom, potreste rivolgervi alle Guardie. Ci penserebbero loro, agli Amici delle Tenebre. Ma anche se riusciste a non parlare di Thom alle Guardie, appena menzionati gli Amici delle Tenebre Elaida sarebbe subito informata e vi ritrovereste al punto di prima.»
«Lasciamo perdere le Guardie» convenne Rand. Mat annuì con vigore, portandosi la forchetta alla bocca, e il sugo gli colò sul mento.
«Il guaio, ragazzo, è che vi trovate presi nel giro della politica, anche se non per colpa vostra; e la politica è una palude nebbiosa piena di serpenti.»
«E se invece...» iniziò Rand, ma il locandiere fece una smorfia e si raddrizzò sulla sedia che cigolò sotto il suo peso.
La cuoca era comparsa nel vano della porta e si puliva nel grembiule le mani. Incrociò lo sguardo del locandiere, lo chiamò con un gesto e scomparve in cucina.
«Tanto varrebbe che fossi suo marito» sospirò mastro Gill. «Trova cose da aggiustare ancora prima che me ne accorga. Se non sono gli scarichi intasati o le grondaie che perdono, si tratta di topi. Tengo pulito il locale; ma, con tanta gente in città, i topi sono dovunque. Raduna gente in un posto e ti ritrovi pieno di topi; Caemlyn ne è infestata. Non credereste quanto costa un bravo gatto ammazzatopi, di questi tempi. La vostra stanza è in soffitta. Una delle ragazze ve la mostrerà. E non preoccupatevi degli Amici delle Tenebre. Non posso dire gran bene dei Manti Bianchi, ma fra loro e le Guardie, quella genia non osa mostrare qui a Caemlyn il suo lurido viso.» La sedia tornò a cigolare, mentre lui la scostava e si alzava. «Mi auguro che non siano di nuovo gli scarichi.»
Rand tornò a occuparsi del cibo, ma notò che Mat aveva smesso di mangiare. «Credevo che fossi affamato» commentò. Mat continuò a fissare il piatto, spingendo qua e là con la forchetta un pezzo di patata. «Devi mangiare, Mat. Dobbiamo conservare le forze, se vogliamo arrivare a Tar Valon.»
Mat emise una risata bassa e amara. «Tar Valon! Fino a oggi era Caemlyn. Moiraine ci aspetterà a Caemlyn. Tutto si risolverà, se solo arriviamo a Caemlyn. Bene, ci siamo arrivati. E niente si è risolto. Niente Moiraine, niente Perrin, niente di niente. Ora tutto si risolverà se solo arriviamo a Tar Valon.»
«Siamo vivi» disse Rand, in tono più brusco di quanto non volesse. Inspirò a fondo e cercò di moderarsi. «Siamo vivi. È già un bel risultato. E voglio restare vivo. Voglio scoprire perché siamo così importanti. Non cedo.»
«Tutta questa gente... e ognuno può essere un Amico delle Tenebre. Mastro Gill ci ha promesso aiuto fin troppo in fretta. Che genere di persona si limita a scrollare le spalle, quando si tratta di Aes Sedai e di Amici delle Tenebre? Non è normale. Una persona normale ci avrebbe detto di andare via, o... o... o qualcosa del genere.»
«Mangia» disse Rand, con gentilezza. E lo guardò finché Mat non si mise a masticare un boccone di carne.
Per un poco tenne le mani accanto al piatto, premute contro il piano del tavolo perché non tremassero. Era spaventato. Non a causa di mastro Gill, ovviamente, ma del resto: e ce n’era a sufficienza. Le alte mura della città non avrebbero fermato un Fade. Forse avrebbe dovuto parlarne al locandiere. Ma anche se mastro Gill gli avesse creduto, sarebbe stato disposto ad aiutarli, se pensava che un Fade potesse comparire nella sua locanda? E i topi. Forse i topi prosperavano dove si affollava molta gente, ma lui ricordava quel sogno che non era un sogno, a Baerlon, e lo schiocco di una piccola spina dorsale. A volte il Tenebroso adopera come occhi i divoratori di carogne, aveva detto Lan. Corvi, cornacchie, topi...
Continuò a mangiare, ma al termine non ricordava d’avere gustato un solo boccone.
Una cameriera, la stessa che quand’erano entrati lustrava i candelieri, li accompagnò alla loro stanza. Un abbaino interrompeva la parete obliqua; ai lati della finestrella c’erano due letti e accanto alla porta dei pioli per appendervi le loro cose. La cameriera, una ragazza dagli occhi scuri, aveva la tendenza ad agitare la sottana e a ridacchiare ogni volta che guardava Rand. Era graziosa, ma Rand capì che, se le avesse detto qualcosa, avrebbe fatto solo la figura dello sciocco. Rimpianse di non essere come Perrin, quando c’era da trattare con le ragazze; e fu contento quando la cameriera uscì.
Si aspettava qualche commento da Mat; invece, uscita la cameriera, Mat si gettò sul letto, senza togliersi né mantello né stivali, e girò il viso contro la parete.
Rand appese le sue cose. Gli parve che Mat tenesse la mano sotto la giubba e stringesse di nuovo il pugnale.
«Hai intenzione di startene lì disteso e nasconderti?» disse infine.
«Sono stanco» borbottò Mat.
«Mastro Gill potrebbe consigliarci come trovare Egwene e Perrin. Forse saranno già a Caemlyn, se non hanno perduto i cavalli.»
«Sono morti» disse Mat, senza girarsi.
Rand esitò, poi rinunciò. Si chiuse piano la porta alle spalle e si augurò che Mat riuscisse davvero a dormire.
Al pianterreno, però, mastro Gill era introvabile e l’occhiata della cuoca rivelò che anche lei lo cercava. Per un poco Rand rimase seduto nella sala comune, ma si scoprì a fissare ogni cliente che entrava, ogni estraneo che poteva essere qualsiasi cosa, soprattutto nel momento in cui si stagliava nel vano della porta, sagoma avvolta nel mantello. Un Fade nella stanza sarebbe stato come una volpe in un pollaio.
Entrò una Guardia in uniforme rossa. Si fermò quasi sulla soglia e scrutò con occhio gelido coloro che avevano l’evidente aspetto di forestieri. Rand si finse intento a esaminare il piano del tavolo, quando la Guardia girò gli occhi dalla sua parte. Rialzò lo sguardo, ma l’uomo era già uscito.
In quel momento passava la cameriera dagli occhi scuri, con una bracciata di asciugamani. «A volte fanno così» disse senza fermarsi, con tono fiducioso. «Solo per accertarsi che non ci siano guai. Si prendono cura dei sudditi della Regina. Non hai niente da preoccuparti.» Ridacchiò scioccamente.
Rand scosse la testa. Niente da preoccuparsi. Ci mancava solo che la Guardia si fosse avvicinata a domandargli se conosceva Thom Merrilin. Stava diventando come Mat. Scostò la sedia.
Un’altra cameriera controllava l’olio delle lampade lungo la parete.
«C’è un’altra stanza dove posso starmene seduto?» le domandò Rand. Non voleva tornare di sopra e rinchiudersi in camera con un Mat immusonito. «Una stanza da pranzo privata, al momento libera?»
«C’è la saletta di lettura.» Indicò una porta. «Da lì, a destra, in fondo al corridoio. Forse è vuota, a quest’ora.»
«Grazie. Se vedi mastro Gill, gli dici che Rand al’Thor ha bisogno di parlargli, appena ha un momento?»
«Senz’altro.» Sorrise. «Anche la cuoca vorrebbe parlargli.»
Forse proprio per questo il locandiere si teneva nascosto, pensò Rand, allontanandosi.
Entrò nella stanza che gli era stata indicata e sgranò gli occhi. Gli scaffali contenevano di sicuro tre o quattrocento volumi, più di quanti ne avesse mai visti in un posto solo. Rilegati in tela e in pelle, con dorature sul dorso. Solo alcuni avevano la copertina di legno. Guardò i titoli, notando i libri che gli erano piaciuti. I viaggi di Jain Farstrider. I cimenti di Willim di Maneches. Restò senza fiato, alla vista di una copia rilegata in pelle dei Viaggi fra il Popolo del Mare, Un libro che Tam aveva sempre desiderato leggere.
Si raffigurò Tam che rigirava tra le mani il libro e sorrideva apprezzando la sensazione, prima di sedersi davanti al camino a leggere; e strinse l’elsa, con un senso di vuoto che smorzò tutto il piacere d’avere trovato quei libri.
Dietro di lui, qualcuno si schiarì la gola; Rand si accorse a un tratto di non essere solo. Pronto a scusarsi per la scortesia, si girò. Anche se era di alta statura, fu costretto ad alzare gli occhi per guardare l’altro e rimase a bocca aperta: lo sconosciuto quasi toccava il soffitto alto dieci piedi; aveva un naso largo quasi quanto il viso, tanto da sembrare più un muso che un naso; sopracciglia pendenti come code incorniciavano due occhi chiari, larghi come tazze da tè. Le orecchie terminavano in ciuffi pelosi che sporgevano dalla chioma nera e arruffata. Trolloc! Con un grido soffocato, Rand cercò di arretrare e di sguainare la spada. Invece inciampò nei suoi stessi piedi e cadde duramente a sedere per terra.
«Vorrei che voi umani non vi comportaste in questo modo» rombò una voce profonda come rullo di tamburo. Le orecchie dalla punta pelosa si agitarono con violenza e la voce divenne triste. «Solo pochissimi si ricordano di noi. Colpa nostra, immagino. Non siamo andati molto fra gli umani, da quando l’Ombra cadde sulle Vie. Ormai sono passate... ah, sei generazioni. Fu subito dopo le Guerre Trolloc.» La creatura scosse la testa ed emise un sospiro che avrebbe reso onore a un toro. «Troppo, troppo tempo. E pochissimi a viaggiare e a vedere. Quasi nessuno.»
Per un minuto Rand rimase a bocca aperta, a fissare l’apparizione che indossava larghi stivali alti fino al ginocchio e un pastrano blu scuro abbottonato dal collo alla cintura e poi svasato fino all’orlo degli stivali, come un kilt, sopra le ampie brache. Reggeva in mano un libro, minuscolo a confronto, e con un dito largo per tre teneva il sogno.
«Ho creduto che tu fossi...» cominciò Rand e si bloccò. «Cosa sei...» Neanche quest’attacco andava bene. Si alzò e cautamente tese la mano. «Mi chiamo Rand al’Thor» disse.
Una mano grossa come prosciutto inghiottì la sua; fu accompagnata da un inchino formale. «Loial, figlio di Arent figlio di Halan. Il tuo nome è musica per le mie orecchie, Rand al’Thor.»
A Rand parve una risposta cerimoniale. Imitò l’inchino. «Il tuo nome è musica per le mie orecchie, Loial figlio di Arent... ah... figlio di Halan.»
La situazione aveva un che d’irreale. Rand non sapeva che genere di creatura fosse, quel Loial. La stretta delle enormi dita fu gentile, ma Rand fu contento di ritrovarsi la mano tutta intera.
«Voi umani siete davvero impressionabili» disse Loial. «Ho ascoltato tutte le storie e ho letto molti libri, ma non me n’ero reso conto. Il primo giorno qui a Caemlyn non riuscivo a credere al subbuglio. I bambini piangevano, le donne strillavano e una folla inferocita mi ha inseguito per tutta la città, agitando bastoni, coltellacci, torce e gridando: Trolloc! Cominciavo a essere un po’ sconvolto, temo. Non so cosa sarebbe accaduto, se non fosse passato un drappello di Guardie della Regina.»
«Un bel colpo di fortuna» disse Rand, debolmente.
«Sì, ma anche le Guardie parevano spaventate quasi quanto gli altri. Ora sono a Caemlyn da quattro giorni, ma non sono riuscito a mettere il naso fuori della locanda. Il buon mastro Gill mi ha perfino chiesto di non usare la sala comune.» Mosse le orecchie. «Si è mostrato assai ospitale, a dire il vero. Ma c’è stato un po’ di trambusto, la prima sera. All’improvviso pareva che tutti volessero andarsene. Fra strilli e grida, volevano uscire dalla porta tutti insieme. Forse alcuni si sono anche fatti male.»
Rand fissava, affascinato, le orecchie che si muovevano in continuazione.
«In fede mia, non è per questo che ho lasciato lo stedding.»
«Sei un Ogier!» esclamò Rand. «Un momento. Sei generazioni? Dalle Guerre Trolloc, hai detto. Quanti anni hai?» Era una domanda scortese, ma Loial assunse un tono difensivo, non offeso.
«Novanta» rispose, freddo. «Fra soli dieci anni potrò prendere la parola, al Consesso. Sono convinto che gli Anziani avrebbero dovuto lasciarmi parlare, dal momento che decidevano se dovevo partire o no. Ma si preoccupano sempre se qualcuno, di qualsiasi età, va Fuori. Voi umani siete così frettolosi, così incostanti.» Batté le palpebre e fece un piccolo inchino. «Ti prego di scusarmi. Non dovevo dirlo. Ma voi combattete ogni momento, anche quando non ce n’è bisogno.»
«Nessuna offesa» disse Rand. Cercava di capire l’età di Loial. Era più vecchio di Cenn Buie, eppure non abbastanza da... Si sedette su una sedia dall’alto schienale. Loial prese un divanetto fatto per due persone e lo riempì. Seduto, era alto come molti uomini in piedi. «Almeno, ti hanno permesso di partire» terminò Rand.
Loial abbassò lo sguardo, arricciò il naso, se lo strofinò. «Be’, in quanto a questo... vedi, il Consesso si era riunito da poco, neppure un anno; ma, dal quel che udivo, una cosa era chiara: prima che gli Anziani prendessero una decisione, avrei avuto l’età per andare dove volevo anche senza il loro permesso. Diranno, temo, che ho fatto il passo più lungo della gamba, ma... sono partito. Gli Anziani hanno sempre sostenuto che sono una testa calda, e mi sa d’aver dato loro ragione. Chissà se hanno già capito che me ne sono andato. Ma dovevo partire.»
Rand si morsicò le labbra per non ridere. Se fra gli Ogier Loial era una testa calda, chissà gli altri! Si erano riuniti da poco, nemmeno un anno? Mastro al’Vere avrebbe scosso la testa, sorpreso: una riunione del Consiglio del Villaggio che durasse mezza giornata avrebbe fatto saltare in aria tutti, perfino Haral Luhhan. Fu travolto da un’ondata di nostalgia che gli rese difficile respirare, coi ricordi di Tam e di Egwene e della Fonte di Vino e della festa di Bel Tine nel Parco, nei giorni più felici.
Si schiarì la voce. «Se posso chiederlo, perché desideravi tanto andare... ah... all’Esterno?» domandò. «Io vorrei non avere mai lasciato casa mia.»
«Ah, per vedere» disse Loial, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Ho letto i libri, tutti i resoconti dei viaggiatori, e ho sentito il bisogno di vedere con i miei occhi.» I suoi occhi chiari si illuminarono e le orecchie si tesero. «Ho studiato ogni frammento che trovavo, sui viaggi, sulle Vie, sulle usanze nelle terre degli esseri umani e sulle città che costruimmo per voi dopo la Frattura del Mondo. E più leggevo, più capivo di dover andare all’Esterno, nei luoghi in cui eravamo stati, e vedere con i miei occhi i boschetti.»
Rand batté le palpebre. «Boschetti?»
«Sì, i boschetti. Gli alberi. Solo alcuni dei Grandi Alberi, certo, torreggianti al cielo per mantenere vivo il ricordo dello stedding.» La poltrona cigolò, mentre lui si sporgeva e muoveva le mani, una delle quali reggeva ancora il libro. Gli occhi erano più brillanti che mai e le orecchie quasi vibravano. «In genere hanno usato alberi locali. Non si può costringere la terra ad andare contro se stessa. Non a lungo: la terra si ribellerà. Bisogna adattare la fantasia alla terra, non viceversa. In ogni boschetto furono piantati tutti gli alberi adatti a crescere e a prosperare in quel luogo, ciascuno in equilibrio col vicino, ciascuno a complemento degli altri, per la crescita migliore, ovviamente, ma anche in modo che l’equilibrio cantasse nell’occhio e nel cuore. Ah, i libri parlano di boschetti da far piangere e ridere nello stesso tempo gli Anziani, boschetti che restano verdi nella memoria per sempre.»
«E le città?» domandò Rand. «Le città edificate dagli Ogier. Questa, per esempio: Caemlyn. L’avete costruita voi Ogier, no? Lo dicono le storie.»
«Lavorare con la pietra...» Loial scrollò le spalle. «Una cosa imparata negli anni dopo la Frattura, durante l’Esilio, quando eravamo ancora impegnati a ritrovare lo stedding. Una buona cosa, immagino, ma non quella vera. Per quanto ci si provi... e ho letto che gli Ogier, nel costruire queste città, tentarono davvero... non si può far vivere la pietra. Alcuni lavorano ancora con la pietra, ma solo perché, con le guerre, voi umani danneggiate spesso gli edifici. C’erano alcuni Ogier, a... a Cairhien, come la chiamano ora... quando vi passai. Erano di un altro stedding, per fortuna, così non sapevano di me, ma mi hanno guardato con sospetto perché, così giovane, mi trovavo all’Esterno da solo. Ma proprio per questo non vidi motivo di trattenermi lì. In ogni caso, lavorare con la pietra è solo una cosa che ci fu imposta dal Disegno: i boschetti provengono dal cuore.»
Rand scosse la testa. «Non sapevo che gli Ogier credessero nel Disegno.»
«Certo che ci crediamo. La Ruota del Tempo tesse il Disegno delle Epoche e le vite sono i fili che adopera per tessere. Nessuno può dire come il filo della propria vita, né quello di un popolo, sarà in tessuto nel Disegno. Abbiamo avuto la Frattura del Mondo, e l’Esilio, e la Pietra, e la Nostalgia, e alla fine abbiamo riavuto lo stedding, prima che morissimo tutti. A volte penso che la ragione per cui gli esseri umani sono come sono, sia il fatto che il vostro filo è così corto. Oh, ecco, ci sono cascato di nuovo. Gli Anziani dicono che a voi non piace che vi si ricordi la brevità della vita. Spero di non avere urtato i tuoi sentimenti.»
Rand rise e scosse la testa. «Per niente. Immagino che sarebbe divertente vivere quanto voi, ma in realtà non ci ho mai pensato. Arrivare all’età del vecchio Cenn Buie, mi sembra sufficiente per chiunque.»
«È un uomo vecchissimo?»
Rand si limitò ad annuire. Non voleva spiegare che il vecchio Cenn Buie non arrivava nemmeno ai novant’anni di Loial.
«Bene» disse l’Ogier «forse voi avete vita più breve, ma trovate il tempo di fare un mucchio di cose, sempre in movimento, sempre in fretta. E avete tutto il mondo a disposizione. Noi Ogier siamo legati al nostro stedding.»
«Ma tu sei all’Esterno.»
«Per un poco, Rand. Ma alla fine devo tornare. Questo mondo è della vostra razza. Lo stedding è della mia. C’è molta confusione, all’Esterno. E molte cose sono cambiate, rispetto a quel che ho letto.»
«Be’, le cose cambiano, nel corso degli anni. Alcune, almeno.»
«Alcune? Metà delle città di cui ho letto non esistono più e quasi tutte le rimanenti hanno un nome diverso. Prendi Cairhien. Il vero nome di questa città è Al’cair’rahienallen, Collina dell’Alba Dorata. Non lo ricordano nemmeno, nonostante il simbolo del sole sorgente sulle loro bandiere. E il boschetto della città. Dubito che sia stato curato, dalle Guerre Trolloc. Ora è soltanto un’altra foresta da cui ricavare legna da ardere. I Grandi Alberi sono scomparsi e nessuno se ne ricorda. E qui? Caemlyn è sempre Caemlyn, ma hanno lasciato che la città crescesse proprio sul boschetto. Siamo a meno d’un quarto di miglio dal suo centro... da quello che dovrebbe essere il suo centro. Non c’è rimasto nemmeno un albero. Sono stato anche a Tear e a Illian. Nomi diversi e niente ricordi. A Tear, al posto del boschetto c’è solo pascolo per i cavalli; e il boschetto di Illian è il Parco Reale, dove il re va a caccia di cervi e non entra nessuno senza il suo permesso. È cambiato tutto, Rand. Purtroppo credo che troverò la stessa cosa dovunque vada. Scomparsi tutti i boschetti, svaniti tutti i ricordi, morti tutti i sogni.»
«Non puoi rinunciare, Loial. La rinuncia equivale alla morte.» Rand sprofondò nella poltrona, rosso in viso. Si aspettò che l’Ogier ridesse di lui, ma Loial annuì con aria grave.
«Sì, la tua razza ragiona in questo modo, vero?» L’Ogier cambiò tono, come se citasse qualcosa. «Finché la penombra è svanita, finché l’acqua è svanita, nell’Ombra con i denti snudati, urlando sfide con l’ultimo respiro, per sputare nell’occhio di Colui che Acceca nel Giorno Finale.» Piegò la testa, in attesa, ma Rand non aveva idea di che cosa s’aspettasse.
Trascorse un minuto, poi un altro, e le lunghe sopracciglia cominciarono a inarcarsi in un’espressione di perplessità. Ma l’Ogier attese ancora, in un silenzio che mise a disagio Rand.
«I Grandi Alberi» disse infine Rand, tanto per rompere il silenzio «sono simili all’ Avendesora?»
Loial si drizzò di scatto; la poltrona cigolò così forte che Rand ebbe paura che si rompesse. «Tu la sai più lunga. Tu, fra tutti.»
«Io? E come?»
«Mi prendi in giro? A volte voi Aiel avete un’idea bizzarra del divertimento.»
«Ma io non sono un Aiel! Vengo dai Fiumi Gemelli. Non ho mai visto un Aiel!»
Loial scosse la testa e i ciuffi di pelo sulla punta delle orecchie si afflosciarono. «Vedi? Tutto è cambiato e metà delle mie conoscenze sono inutili. Mi auguro di non averti offeso. Sono sicuro che la terra dei Fiumi Gemelli, dovunque si trovi, è un luogo bellissimo.»
«Mi hanno detto che un tempo si chiamava Manetheren. Non so, ma forse tu...»
L’Ogier drizzò le orecchie, allegro. «Ah! Sì. Manetheren.» I ciuffi ricaddero. «Lì c’era un magnifico boschetto. Il tuo dolore mi canta nel cuore, Rand al’Thor. Forse non arriveremo in tempo.»
Loial fece un inchino e Rand lo imitò. Sospettava che Loial si sarebbe risentito, se lui non gli avesse risposto allo stesso modo: come minimo, l’avrebbe ritenuto scortese. Si domandò se Loial pensava che lui avesse lo stesso tipo di ricordi degli Ogier. Loial aveva abbassato gli angoli delle labbra e gli occhi, come se condividesse il senso di perdita di Rand, come se la distruzione di Manetheren non fosse un evento accaduto duemila anni prima... un evento che Rand conosceva solo grazie al racconto di Moiraine.
Dopo un poco, Loial sospirò. «La Ruota gira» disse «e nessuno sa quali giri compie. Ma tu sei lontano da casa quasi quanto me. Una distanza considerevole, al giorno d’oggi. Certo, quando le Vie erano libere e aperte... ma si tratta di parecchio tempo fa. Dimmi, cosa ti porta così lontano? Ci sono cose che anche tu vuoi vedere?»
Rand aprì bocca per dire d’essere venuto a vedere il falso Drago... e non ci riuscì. Forse perché Loial si comportava come se avesse la stessa età di Rand... era probabile che per gli Ogier novant’anni equivalessero a una ventina di anni umani. Da parecchio tempo non parlava con qualcuno di quel che gli era accaduto realmente, sempre con la paura che gli interlocutori fossero Amici delle Tenebre o che lo pensassero di lui. Mat si era ritirato in se stesso, nutriva col sospetto le proprie paure, al punto da rendere impossibile parlargli. E così Rand si ritrovò a raccontare a Loial della Notte d’Inverno. Non una storia vaga di Amici delle Tenebre, ma la verità sui Trolloc che gli abbattevano la porta e su di un Fade lungo la Strada della Cava.
Dentro di sé Rand era inorridito, ma gli pareva quasi d’essere composto di due persone diverse, una delle quali cercava di trattenere la lingua, mentre l’altra finalmente provava sollievo a raccontare tutto. Ne risultò una narrazione confusa e ingarbugliata. Shadar Logoth e la perdita dei suoi amici nel buio, senza sapere se erano ancora vivi. Il Fade a Whitebridge e Thom che moriva per consentire loro la fuga. Il Fade a Baerlon. E poi gli Amici delle Tenebre, Howal Gode e il ragazzo che aveva paura di loro e la donna che aveva tentato di uccidere Mat. Il Mezzo Uomo davanti alla locanda dell’Oca e Corona.
Quando iniziò a raccontare confusamente i sogni, anche la parte di lui che voleva parlare si sentì rizzare i capelli. Si morsicò la lingua e serrò i denti. Osservò con diffidenza l’Ogier, augurandosi che pensasse a incubi. Sembravano proprio incubi, o cose da dare gli incubi a chiunque. Forse Loial avrebbe pensato che Rand stesse per impazzire. Forse...
«Ta’veren» disse l’Ogier.
Rand fu sorpreso. «Come?»
«Ta’veren» ripeté Loial. Si grattò l’orecchio e scrollò le spalle. «L’Anziano Haman diceva sempre che non l’ascoltavo, ma non è vero. Sai com’è tessuto il Disegno, ovviamente.»
«A dire il vero non ci ho mai riflettuto» rispose Rand. «L’ho sempre accettato così com’è.»
«Uhm. Sì, be’, non esattamente. Vedi, la Ruota del Tempo tesse il Disegno delle Epoche e come fili adopera vite. Ma il Disegno non sempre è fisso. Se una persona cerca di cambiare la direzione della propria vita e nel Disegno c’è posto, la Ruota continua a tessere e include la variazione. C’è sempre spazio per piccoli cambiamenti, ma a volte il Disegno non accetta un cambiamento importante, per quanto si provi. Hai capito?»
Rand annuì. «Potevo abitare alla fattoria o a Emond’s Field, e sarebbe stato un piccolo cambiamento. Ma se avessi voluto divenire re...» Rise e Loial gli rispose con un sorriso che gli divise in due la faccia. Aveva denti bianchi, larghi come scalpelli.
«Sì, giusto. Ma a volte la Ruota sceglie per te i cambiamenti. E a volte la Ruota piega il filo o i fili della vita in modo tale che tutti i fili vicini sono costretti a ruotare intorno agli altri; questa azione influenza altri fili, e così via. La prima piegatura per formare la Grinza è ta’veren: non puoi fare niente per cambiarla, finché il Disegno non muta. La Grinza, detta ta’maral’ailen, può durare settimane, oppure anni. Può comprendere una sola città o perfino l’intero Disegno. Artur Hawkwing era ta’veren. E anche Lews Therin Kinslayer, immagino.» Ridacchiò. «L’Anziano Haman sarebbe orgoglioso di me. Lui parlava sempre in modo noioso e i libri di viaggi erano molto più interessanti, ma qualche volta anch’io stavo attento.»
«Però non vedo che cosa tutto questo abbia a che fare con me» disse Rand. «Sono un pastore, non un altro Artur Hawkwing. Né lo sono Mat e Perrin. Mi sembra... ridicolo.»
«Non ho detto che tu lo sia, ma quasi sentivo turbinare il Disegno, solo ascoltando il tuo racconto, anche se in questo campo non ho il Talento. Tu sei ta’veren, certo. E anche i tuoi amici, forse.» L’Ogier esitò, strofinandosi pensierosamente la base del naso. Alla fine annuì come se avesse preso una decisione. «Mi piacerebbe venire con te, Rand.»
Per un momento Rand lo fissò, domandandosi se aveva udito bene. «Con me?» esclamò, ritrovando la voce. «Non hai udito cosa ho detto a proposito di...?» Guardò la porta: era chiusa e abbastanza robusta per impedire che qualcuno origliasse, anche con l’orecchio contro il battente. Continuò ugualmente a voce più bassa. «Di chi mi dà la caccia? E poi, credevo che volessi vedere i vostri alberi.»
«C’è un magnifico boschetto, a Tar Valon, e si dice che le Aes Sedai ne abbiano grande cura. E poi, non voglio vedere soltanto i boschetti. Forse non sei un altro Artur Hawkwing, ma per un poco almeno una parte del mondo si modellerà intorno a te, forse perfino in questo momento. Ed è una cosa che anche l’Anziano Haman vorrebbe vedere.»
Rand esitò. Gli sarebbe piaciuto avere un altro compagno di viaggio. Visto il comportamento di Mat, stare con lui era come stare da soli. L’Ogier era una presenza confortante. Forse era giovane, secondo i criteri degli Ogier, ma sembrava solido come roccia, proprio come Tam. Ed era stato in molti luoghi e ne conosceva altri. Lo guardò, lì seduto, l’immagine stessa della pazienza. E, pur seduto, più alto di molti uomini. Come avrebbe nascosto una creatura alta quasi dieci piedi? Con un sospiro, scosse la testa.
«Non mi sembra una buona idea» disse. «Anche se Moiraine ci trova, qui a Caemlyn, saremo in pericolo per tutto il viaggio fino a Tar Valon. E se non ci trova...»
"Se non ci trova” pensò “allora è morta, e con lei tutti gli altri. Oh, Egwene!" Si scosse. Egwene non era morta e Moiraine li avrebbe trovati.
Loial lo guardò con simpatia e gli toccò la spalla. «Sono sicuro che i tuoi amici stanno bene.»
Rand lo ringraziò con un cenno. Un groppo in gola gli impediva di parlare.
«Parlerai almeno con me qualche volta?» sospirò Loial. «Potremo fare qualche partita al gioco delle pietre. Da giorni non ho nessuno con cui parlare, a parte il buon mastro Gill, che però è occupato per la maggior parte del tempo. Sembra che la cuoca lo comandi a bacchetta senza pietà. Forse è lei la vera padrona della locanda.»
«Ma certo, Loial» rispose Rand, con voce rauca. Si schiarì la gola e cercò di sorridere. «E se ci incontreremo a Tar Valon, mi mostrerai il boschetto.»