A Rand parve d’essere seduto a tavola, insieme con Logain e Moiraine. L’Aes Sedai e il falso Drago lo guardavano in silenzio, come se ciascuno dei due non sapesse della presenza dell’altro. All’improvviso le pareti della stanza divennero indistinte, svanirono nel grigio. Rand sentì crescere dentro di sé un senso di urgenza. Ogni cosa svaniva, si confondeva. Rand guardò di nuovo il tavolo: Moiraine e Logain erano scomparsi e al loro posto sedeva Ba’alzamon. Fu percorso in tutto il corpo da quel senso d’urgenza che gli ronzava nella testa, sempre più forte. Il ronzio divenne il pulsare del sangue nelle orecchie.
Rand si alzò di scatto; subito mandò un gemito e ondeggiò. La testa gli doleva. Fra i capelli aveva una chiazza umidiccia e appiccicosa. Era seduto per terra, sull’erba verde. Rimase vagamente turbato per la presenza dell’erba, ma non riusciva a mettere a fuoco la vista; voleva solo distendersi e aspettare che lo stordimento gli passasse.
"Il muro!" ricordò. “La voce della ragazza!"
Si puntellò su di una mano e si guardò intorno, lentamente: appena muoveva la testa, ogni cosa ricominciava a roteare. Si trovava in un giardino o in un parco; un vialetto lastricato d’ardesia serpeggiava fra cespugli in fiore, a meno di sei piedi da lui; a lato c’era una panchina di pietra bianca, ombreggiata da un pergolato ricco di foglie. Quindi era caduto al di qua del muro. E la ragazza?
Scoprì l’albero, poco lontano alle sue spalle, e anche la ragazza, che vi si era arrampicata e ora ne scendeva. Toccò terra e si girò per guardarlo in viso; Rand batté le palpebre e gemette di nuovo. La ragazza aveva sulle spalle un mantello di velluto blu scuro, foderato di pelliccia chiara, col cappuccio gettato sulla schiena e ornato in punta di campanelle d’argento che tintinnavano a ogni mossa. Un cerchietto in filigrana d’argento fermava i lunghi riccioli color rosso dorato; sottili anelli d’argento le pendevano dalle orecchie; al collo aveva una collana di grosse maglie d’argento alternate a pietre verde scuro che Rand ritenne smeraldi. La veste azzurra, sporca di corteccia, era di seta, ornata di complessi ricami e guarnizioni d’un brillante colore crema, stretta in vita da un’ampia cintura di tessuto d’argento; dall’orlo della sottana spuntavano pantofole di velluto.
Rand aveva visto solo due donne vestite con tanta eleganza: Moiraine e l’Amica delle Tenebre che aveva tentato d’uccidere Mat. Non riusciva a immaginare a chi potesse venire in mente d’arrampicarsi sugli alberi, vestita a quel modo; ma era sicuro che la ragazza fosse una persona importante. E il modo come lei lo guardava rinforzò questa convinzione. Non pareva turbata nel vedere che un estraneo era ruzzolato nel suo giardino. Mostrava una padronanza di sé degna di Nynaeve o di Moiraine.
Rand, impegnato a domandarsi se si era cacciato nei guai e se la ragazza era il tipo da chiamare le Guardie della Regina anche in una giornata in cui avevano ben altro da fare, impiegò qualche momento, prima di guardare la ragazza stessa, al di là dei vestiti eleganti e dell’aria altezzosa. La ragazza aveva forse tre anni meno di lui; era piuttosto alta e bella: viso d’un ovale perfetto, incorniciato da una massa di riccioli dorati, labbra piene e rosse, occhi d’un azzurro incredibilmente intenso. Assai diversa da Egwene in altezza e aspetto fisico, ma altrettanto bella.
Dall’albero provenne un fruscio, seguito da frammenti di corteccia e da un ragazzo che si lasciò cadere agilmente a terra dietro la sconosciuta. La superava di tutta la testa e aveva qualche mese in più di lei; le somigliava molto, nel viso e nei capelli. Giubba e mantello erano un misto di rosso e bianco e oro, adorni di ricami e di broccati, fin troppo, per un maschio. Quest’eleganza accrebbe l’ansia di Rand. Solo in un giorno di festa una persona normale si sarebbe vestita in quel modo e mai con un simile sfarzo. Ma il giardino non era un parco pubblico: forse la Guardie erano troppo impegnate per badare agli intrusi nei giardini privati.
Da sopra la spalla della ragazza, il giovane esaminò Rand e tastò il pugnale che portava alla cintola. Ma il gesto parve dettato più dall’abitudine che dalla convinzione di doversene servire. Il ragazzo aveva la stessa padronanza di sé della ragazza, e tutt’e due guardavano Rand come se si trattasse di un problema da risolvere. Rand provò la bizzarra sensazione che la ragazza, almeno, catalogasse ogni cosa di lui, dagli stivali alle condizioni del mantello.
«Non la passeremo liscia, Elayne, se nostra madre lo viene a sapere» disse all’improvviso il ragazzo. «Ci ha detto di non uscire, ma tu hai voluto ugualmente dare un’occhiata a Logain. Ed ecco il risultato.»
«Sta’ zitto, Gawyn» replicò la ragazza. Era chiaramente la più giovane dei due, ma parlava come se desse per scontato che l’altro ubbidisse. Il ragazzo parve sul punto di replicare, ma con sorpresa di Rand si trattenne. «Stai bene?» domandò all’improvviso Elayne.
Rand impiegò un istante a capire che si era rivolta a lui. Allora cercò di alzarsi. «Sto bene. Solo...» Barcollò e si sentì mancare le gambe. Tornò a sedersi di peso. La testa gli girava. «Scalerò di nuovo il muro» borbottò. Riprovò ad alzarsi, ma lei gli posò la mano sulla spalla e lo costrinse a stare seduto.
«Sei ferito» disse. Si inginocchiò accanto a lui e con delicatezza gli scostò i capelli insanguinati. «Nel cadere devi avere colpito un ramo. Per fortuna non ti sei rotto niente, a parte la lacerazione al cuoio capelluto. Sei davvero abile, ad arrampicarti, ma a cadere non te la cavi molto bene.»
«Ti sporcherai di sangue» disse Rand, ritraendosi.
Con fermezza lei gli bloccò la testa per esaminarla. «Stai fermo» disse. Non usò un tono brusco, ma nella voce aveva di nuovo la sicurezza di chi s’aspetta ubbidienza. «Non sembra un taglio grave, grazie alla Luce.» Dalle tasche interne del mantello cominciò a estrarre una serie di piccole fiale e di bustine e alcuni tamponi di garza.
Rand fissò, stupito, quella collezione: il genere di cose che s’aspettava di trovare addosso a una Sapiente, non a una ragazza vestita come lei. Elayne si era sporcata di sangue le dita, ma non sembrò darvi peso.
«Gawyn, dammi la fiasca» disse. «Bisogna lavare la ferita.»
Il ragazzo si sganciò dalla cintura una fiaschetta di pelle e la porse alla ragazza, poi si sedette sui talloni, ai piedi di Rand, e incrociò le braccia sulle ginocchia. Elayne si mise a lavare la ferita, con gesti assai abili. Rand non trasalì al bruciore dell’acqua fredda, ma lei gli tenne ferma la testa come se si aspettasse che si ritraesse di nuovo e volesse evitarlo. Lavata la ferita, applicò un unguento preso da una fiala, che attenuò il dolore come avrebbe fatto uno dei preparati di Nynaeve.
Mentre lei si dava da fare, Gawyn rivolse a Rand un sorriso. «Trova sempre gatti randagi e uccellini con l’ala rotta» disse. «Sei il primo essere umano che cura.» Esitò, poi soggiunse: «Non offenderti. Non voglio darti del randagio.» Non erano parole di scusa, ma una semplice constatazione.
«Nessuna offesa» replicò Rand, rigidamente. I due si comportavano come se avessero a che fare con un cavallo ombroso.
«Sa davvero il fatto suo» disse Gawyn. «Ha avuto i maestri migliori. Non temere, sei un buone mani.»
Elayne premette sulla ferita un tampone di garza e si tolse dalla cintura un fazzoletto di seta, azzurro e crema e oro. Per qualsiasi ragazza di Emond’s Field sarebbe stato un prezioso ornamento da giorno di festa. Elayne lo avvolse destramente intorno alla testa di Rand, per tenere a posto il tampone di garza.
«Non puoi usare un fazzoletto così bello» protestò vivacemente Rand.
Lei continuò a fasciarlo. «Ti ho detto di stare fermo» replicò, calma.
Rand guardò Gawyn. «Si aspetta sempre che chiunque faccia quel che dice lei?»
Un lampo di sorpresa passò sul viso del ragazzo, che strinse le labbra in una smorfia di divertimento. «Quasi sempre» rispose. «E la maggior parte delle volte le ubbidiscono.»
«Tieni qui» disse Elayne. «Metti il dito, mentre lego...» Mandò un’esclamazione, alla vista delle mani. «Questi graffi non te li sei fatti cadendo. Ti sei arrampicato dove non dovevi arrampicarti.» Terminò in fretta il nodo e gli girò le mani a palmo in su, brontolando tra sé che era rimasta poca acqua. Il lavaggio provocò bruciore, ma il tocco della ragazza era assai delicato. «Stai fermo, adesso.»
Prese di nuovo la fiala d’unguento. Ne spalmò sui graffi uno strato sottile, badando ad applicarlo senza fargli male. Un senso di frescura si diffuse nelle mani di Rand, come se lei portasse via i punti scorticati.
«Quasi sempre fanno come dice lei» riprese Gawyn, con un sorriso affettuoso rivolto alla ragazza. «Quasi tutti. Tranne nostra madre, ovviamente, e Elaida. E anche Lini. Lini è la sua nutrice. Non si danno ordini a chi ti ha sculacciato perché da piccola rubavi fichi. E anche da grandicella.» Elayne alzò la testa quanto bastava a lanciargli un’occhiata minacciosa. Gawyn si schiarì la voce e si premurò di assumere un’espressione vacua, prima di continuare. «E Gareth, è logico. Nessuno dà ordini a Gareth.»
«Neppure nostra madre» disse Elayne, tornando a guardare le mani di Rand. «Gli dà suggerimenti, che lui segue sempre, ma mai ordini.» Scosse la testa.
«Non so perché questo fatto ti sorprende sempre» replicò Gawyn. «Perfino tu non dici mai a Gareth cosa deve fare. È stato al servizio di tre Regine, e Capitano Generale, e Principe Reggente per due di loro. Oserei dire che simboleggia il Trono di Andor più della Regina.»
«Nostra madre dovrebbe decidersi e sposarlo» disse Elyana, con tono assente, occupata a ripulire le mani di Rand. «E vuole farlo: a me non può nasconderlo. Così risolverebbe un mucchio di problemi.»
Gawyn scosse la testa. «Prima uno dei due deve piegarsi. Nostra madre non può e Gareth non vuole.»
«Se lei gli ordinasse...»
«Lui ubbidirebbe. Credo. Ma lei non glielo ordinerà. Lo sai benissimo.»
All’improvviso si girarono a fissare Rand. Quest’ultimo ebbe l’impressione che si fossero dimenticati della sua presenza. Ma disse: «Chi... chi è vostra madre?»
Elayne sgranò gli occhi, sorpresa; ma Gawyn rispose in un tono normale che rese più sconvolgente la risposta. «Morgase, per grazia della Luce Regina di Andor, Protezione del Regno, Difesa del Popolo, Somma Sede della Casa di Trakand.»
«La Regina» mormorò Rand, come intontito. Bel modo, per non attirare l’attenzione, si disse; cadere nel giardino della Regina e lasciare che l’Erede lo curasse come una medicona. Aveva voglia di ridere, ma capì d’essere sull’orlo del panico.
Inspirò a fondo e si alzò. Non voleva darsi alla fuga, ma doveva andarsene prima di farsi scoprire.
Elayne e Gawyn lo guardarono e si alzarono anche loro, senza la minima fretta. Rand allungò la mano per togliersi il fazzoletto, ma Elayne gli bloccò il braccio. «Smettila di toccare la ferita» disse. «Finirai per farla sanguinare di nuovo.»
«Devo andarmene» disse Rand. «Mi arrampico di nuovo sul muro e...»
Per la prima volta Elayne parve sorpresa. «Vuoi dire che ti sei arrampicato sul muro per vedere Logain senza sapere dov’eri? Avresti avuto una visuale migliore, per le vie.»
«Non... non mi piace la folla» mormorò Rand. Rivolse a tutt’e due un rapido inchino. «Se vuoi scusarmi, ah... milady.» Nelle storie, le corti reali erano piene di persone che si rivolgevano titoli come Lord e Lady e Altezza Reale e Maestà; ma lui, se mai aveva udito il modo corretto di rivolgersi all’Erede, non lo ricordava. «Se vuoi scusarmi, me ne vado subito. Ah... grazie per...» Si toccò il fazzoletto che gli fasciava la testa. «Grazie.»
«E non ci dici nemmeno come ti chiami?» protestò Gawyn. «Un misero compenso, per le cure di Elayne. Ero curioso, su di te. Parli come uno di Andor, ma non certo di Caemlyn; però hai l’aspetto di un... Be’, sai il nostro nome. Cortesia vorrebbe che ci dicessi il tuo.»
Con un’occhiata ansiosa al muro, Rand disse come si chiamava e aggiunse perfino: «Vengo da Emond’s Field, nei Fiumi Gemelli.»
«Da occidente» mormorò Gawyn. «Da molto lontano, a occidente.»
Rand si girò e lo guardò attentamente. C’era stata una nota di sorpresa, nel tono del ragazzo, e una traccia gli aleggiava ancora sul viso. Ma Gawyn la sostituì con un sorriso amichevole, così rapidamente che Rand quasi dubitò d’averla scorta.
«Tabacco e lana» disse Gawyn. «Conosco i prodotti principali di ogni parte del Regno. Anzi, di ogni paese, a dire il vero. Fa parte del mio addestramento. Prodotti e attività principali, caratteristiche della popolazione. Usanze, punti di forza e debolezze. Si dice che la gente dei Fiumi Gemelli sia testarda. Ma sono individui che si lasciano guidare, se ti ritengono meritevole; però, più cerchi di spingerli, più ti resistono. Elayne dovrebbe scegliersi il marito laggiù: solo un uomo con la volontà di pietra riuscirebbe a non farsi calpestare da lei.»
Rand lo fissò. Anche Elayne lo fissava. Gawyn pareva padrone di sé come sempre, ma diceva stupidaggini. Perché?
«Cosa succede?»
Alla domanda, tutt’e tre sobbalzarono e si girarono di scatto.
Il giovanotto fermo a poca distanza era il più bello che Rand avesse mai visto, forse fin troppo, per un uomo. Alto e snello, ma forte e sicuro di sé, a giudicare da come si muoveva. Scuro d’occhi e di capelli, vestiva di rosso e di bianco come Gawyn: abiti un po’ meno eleganti, portati con indifferenza. Teneva la mano sull’elsa della spada e gli occhi puntati su Rand.
«Stai lontano da lui, Elayne» disse. «Anche tu, Gawyn.»
Subito Elayne si frappose tra Rand e il nuovo venuto, a testa alta, sicura come sempre. «È un leale suddito di nostra madre, un buon suddito della Regina. Ed è sotto la mia protezione, Galad.»
Rand cercò di ricordare che cosa aveva saputo da mastro Kinch e poi da mastro Gill. Galadedrid Damodred era il fratellastro di Elayne e di Gawyn, per parte di padre. Forse mastro Kinch non aveva molto in simpatia Taringail Damodred — come d’altronde tutti coloro che Rand aveva udito parlare di lui — ma il figlio era benvoluto da tutti, sia rossi sia bianchi, a prestare fede alle voci.
«So benissimo che hai una particolare simpatia per i randagi Elyana» disse in tono ragionevole Galad «ma costui è armato e non ha un aspetto raccomandabile. Di questi tempi, la prudenza non è mai troppa. Se è un leale suddito della Regina, cosa ci fa, qui? Non è difficile cambiare il colore del panno intorno alla spada.»
«È qui come mio ospite. Garantisco io per lui. O sei diventato la mia nutrice, per stabilire con chi devo parlare e quando?»
Il tono era pieno di sdegno, ma Galad parve non prendersela. «Sai che non pretendo di controllare le tue azioni, Elayne» replicò. «Ma questo tuo... ospite è fuori luogo. Lo sai bene quanto me. Gawyn, aiutami a convincerla. Nostra madre...»
«Basta!» sbottò Elayne. «Non hai diritto di giudicare le mie azioni. Vattene. Subito!»
Galad rivolse a Gawyn un’occhiata triste, come per chiedergli aiuto ma riconoscendo nello stesso tempo che Elayne era troppo testarda.
Elayne si rabbuiò, ma Galad le rivolse un inchino formale, arretrò d’un passo, si girò e si allontanò; in breve scomparve dietro il pergolato.
«Lo odio» mormorò Elayne. «È ignobile e invidioso.»
«Ora esageri» disse Gawyn. «Galad non conosce l’invidia. Due volte mi ha salvato la vita; e se avesse evitato d’intervenire, nessuno l’avrebbe saputo. A quest’ora sarebbe il tuo Principe della Spada, al mio posto.»
«Mai, Gawyn. Sceglierei chiunque, anziché Galad. Chiunque. Il più umile dei mozzi di stalla.» All’improvviso sorrise e rivolse al fratello un’occhiata semiseria. «Dici sempre che mi piace dare ordini. Bene ti ordino di fare in modo che non ti accada niente. Ti ordino di essere il mio Principe della Spada, quando salirò al trono... voglia la Luce che sia il più tardi possibile!... e di guidare l’esercito di Andor, con quella sorta di onore che Galad non si sogna neppure.»
«Ai tuoi ordini, milady.» Gawyn scoppiò a ridere ed eseguì un inchino che era la parodia di quello di Galad.
Elayne rivolse a Rand un’occhiata pensierosa. «Adesso dobbiamo farti uscire in fretta di qui.»
«Galad fa sempre la cosa giusta» spiegò Gawyn «anche quando non dovrebbe. In questo caso, con un estraneo in giardino, la cosa giusta è informare le guardie di Palazzo. E sospetto che sia già andato a informarle.»
«Scavalco il muro» disse Rand. Elayne lo fermò.
«No, dopo la pena che mi sono data per curarti le mani. Te le rovinerai di nuovo e chissà quali impiastri ti metterebbe una medicona. In fondo al giardino c’è una porticina nascosta dalle erbacce. Nessuno si ricorda mai che esiste.»
All’improvviso Rand udì rumore di stivali sulle pietre del vialetto.
«Troppo tardi» brontolò Gawyn. «Girato l’angolo, si sarà messo a correre.»
Elayne ringhiò un’imprecazione. Rand rimase di stucco: quella frase l’aveva udita da uno stalliere. L’attimo dopo, la ragazza era di nuovo padrona di sé.
Gawyn e Elayne non si mossero, ma Rand non poteva aspettare con altrettanta serenità le Guardie della Regina. Si mosse verso il muro, pur sapendo che non sarebbe arrivato neppure a metà strada, prima della comparsa delle guardie.
Prima che facesse tre passi, dal vialetto giunsero di corsa alcuni uomini in uniforme rossa, con la corazza che brillava al sole; altri parvero sbucare da tutte le direzioni. Se non impugnavano la spada, erano pronti a tendere l’arco. Dietro ogni visiera c’era una faccia torva e ogni freccia era puntata su Rand.
Elayne e Gawyn si mossero insieme e si frapposero tra Rand e le frecce, a braccia larghe per coprirlo. Rand rimase immobile e tenne le mani bene in vista, lontano dalla spada.
Il rumore di stivali e la vibrazione delle corde d’arco non erano ancora svaniti, quando l’uomo che aveva sulla spallina il nodo da ufficiale gridò: «Milady, milord, a terra, presto!»
Senza abbassare le braccia, Elayne si tese con aria regale. «Osi venire in mia presenza con l’acciaio sguainato, Tallanvor? Se sarai fortunato, Gareth Bryne ti metterà nelle stalle a spalare letame insieme con la feccia dell’esercito!»
I soldati si scambiarono occhiate di perplessità; alcuni, a disagio, abbassarono un poco l’arco. Solo allora Elayne lasciò ricadere le braccia, come se le avesse tenute sollevate solo per capriccio. Gawyn esitò, poi seguì l’esempio della sorella. Rand poteva contare gli archi che non erano stati abbassati. Tese i muscoli dello stomaco, come se potessero fermare una freccia scagliata da venti passi.
L’uomo col nodo da ufficiale parve il più perplesso. «Ti chiedo scusa, milady, ma lord Galadedrid ha riferito che un contadino armato si aggirava furtivamente nei giardini e minacciava milady Elayne e milord Gawyn.» Posò lo sguardo su Rand e rafforzò il tono di voce. «Se per favore milady e milord si scostano, prenderò in custodia questo malfattore. C’è molta confusione in città, in questi giorni.»
«Dubito molto che Galad abbia riferito una cosa del genere» disse Elayne. «Galad non mente.»
«Mi piacerebbe che mentisse almeno una volta» mormorò Gawyn a Rand. «Forse renderebbe più facile la vita con lui.»
«Costui è mio ospite» continuò Elayne. «E si trova qui sotto la mia protezione. Puoi ritirarti, Tallanvor.»
«Purtroppo non posso, milady. Come milady sa, la Regina vostra madre ha dato ordini riguardanti chiunque sia scoperto sul terreno del Palazzo senza il permesso di sua maestà e sua maestà stessa è stata informata della presenza di questo intruso.» Nella voce di Tallanvor c’era una chiara traccia di soddisfazione. Rand sospettò che in altre occasioni l’ufficiale avesse dovuto accettare da Elayne ordini che lui riteneva ingiusti; ma stavolta non le avrebbe ubbidito, poiché aveva una scusa perfetta.
Elayne fissò Tallanvor e per un istante parve che non sapesse che pesci pigliare.
Rand rivolse con gli occhi una muta domanda a Gawyn e questi capì al volo. «Prigione» mormorò. Rand sbiancò in viso e il ragazzo aggiunse in fretta: «Solo per qualche giorno. Non ti faranno niente. Sarai interrogato da Gareth Bryne, il Capitano Generale in persona, ma ti lasceranno libero appena sarà chiaro che non intendevi fare niente di male.» Esitò, con lo sguardo velato da pensieri nascosti. «Mi auguro che tu abbia detto la verità, Rand al’Thor dei Fiumi Gemelli.»
«Ci condurrai tutt’e tre da mia madre» annunciò a un tratto Elayne. Sul viso di Gawyn sbocciò un sorriso.
Dietro la celata, Tallanvor parve sconvolto. «Milady, io...»
«Oppure tutt’e tre in cella. Rimarremo insieme. O intendi ordinare che mi si mettano le mani addosso?» Mostrò un sorriso di vittoria. Da come Tallanvor si guardò intorno, quasi aspettasse aiuto dagli alberi, fu chiaro che anche lui si riteneva sconfitto.
«Nostra madre in questo momento giudica Logain» disse sottovoce Gawyn a Rand, come se gli avesse letto nel pensiero. «Anche se non fosse occupata, Tallanvor non oserebbe presentarsi a lei portando Elayne e me come se fossimo prigionieri. Nostra madre ha un brutto carattere, a volte.»
Dal vialetto giunse di corsa un altro soldato in uniforme rossa e si fermò a eseguire il saluto, braccio contro il petto. Parlò sottovoce a Tallanvor, che parve ringalluzzirsi.
«La regina vostra madre ordina di portare subito da lei l’intruso. Ordina anche che milady Elayne e milord Gawyn si presentino subito da lei.»
Gawyn fece una smorfia e Elayne deglutì con forza. Riacquistò padronanza e cominciò a ripulirsi la veste per togliere le macchie, ma riuscì solo a scuotere via qualche frammento di corteccia.
«Se milady vuole seguirmi» disse Tallanvor, con aria compiaciuta. «Milord?»
I soldati formarono quadrato intorno a loro e si avviarono dietro Tallanvor. Gawyn e Elayne procedevano ai lati di Rand e parevano assorti in pensieri poco piacevoli. I soldati avevano rinfoderato la spada, ma tenevano d’occhio Rand come se si aspettassero che da un momento all’altro cercasse di aprirsi la strada verso la libertà.
Guardando i soldati che lo controllavano, Rand solo allora notò anche il giardino. Ormai si era rimesso dalle conseguenze della caduta. Ma gli avvenimenti si erano susseguiti in fretta e lui in pratica non si era accorto dell’ambiente, a parte il muro e il desiderio di trovarsi dall’altra parte. Ora vide davvero l’erba, gli alberi e gli arbusti, ricchi di foglie e di frutti. Rampicanti rigogliosi coprivano i pergolati lungo il vialetto. C’erano fiori dappertutto, tantissimi fiori, che punteggiavano di colore il giardino. Rand ne riconobbe alcuni... bruciasole d’un giallo vivido e minuscoli codagrassa rosa, stellardenti rosso cremisi e porporine Glorie di Emond, rose di ogni sfumatura dal bianco candidissimo al rosso cupo... ma altri non li aveva mai visti, fiori così fantastici per forma e colore da sembrare finti.
«È pieno di verde» mormorò. «Verde.» I soldati borbottarono sottovoce; girando solo la testa, Tallanvor rivolse loro un’occhiata penetrante e quelli tacquero subito.
«Opera di Elaida» disse Gawyn, con noncuranza.
«Però non è giusto che noi abbiamo fiori, mentre tutt’intorno le messi ancora non spuntano e la gente non ha da mangiare a sufficienza» disse Elayne. Trasse un profondo sospiro e riacquistò la padronanza di sé. Si rivolse vivacemente a Rand. «Cerca di comportarti bene. Se ti fanno domande, rispondi con chiarezza, altrimenti resta in silenzio. E segui la mia guida. Andrà tutto bene.»
Rand avrebbe voluto condividere la sua fiducia. E si sarebbe rincuorato se anche Gawyn ne avesse mostrata altrettanta. Mentre Tallanvor li conduceva nel Palazzo, Rand lanciò ancora un’occhiata al giardino, a tutto quel verde chiazzato di fiori, creato da un’Aes Sedai per la Regina. Era in acque profonde, si disse; e non c’era riva in vista.
Nel Palazzo, i corridoi erano pieni di servitori in livrea rossa con colletto e polsini bianchi, il Leone Bianco ricamato sul petto della veste, impegnati in compiti che non saltavano subito all’occhio. Al passaggio del drappello di soldati con Elayne e Gawyn e Rand in mezzo, tutti rimasero a guardare a bocca aperta.
In mezzo a tanta costernazione, un gatto grigio tigrato si mosse con indifferenza nel corridoio, scansando i servitori stupefatti. A Rand parve una stranezza. A Baerlon aveva imparato che anche la bottega più misera aveva gatti in ogni angolo. Ma nel Palazzo aveva visto soltanto quell’unico gatto.
«Non ci sono topi?» disse, assai stupito. I topi erano dovunque.
«A Elaida i topi non piacciono» mormorò vagamente Gawyn. Fissava, accigliato, il corridoio, come se già vedesse l’incontro con la Regina. «Qui non ce ne sono mai.»
«Zitti, tutt’e due» disse Elayne, in tono aspro, ma assente come quello del fratello. «Devo riflettere.»
Da sopra la spalla Rand tenne d’occhio il gatto, finché non girarono un angolo e l’animale scomparve. Se avesse visto molti gatti, si sarebbe sentito meglio: almeno, nel Palazzo ci sarebbe stata una cosa normale, fosse pure la presenza di topi.
Il percorso seguito da Tallanvor fece tante di quelle svolte che Rand perdette l’orientamento. Alla fine l’ufficiale si fermò davanti a, un’alta porta a due battenti di lucido legno scuro, meno grandiosa di altri usci già oltrepassati, ma intagliata con file di leoni riprodotti nei minimi particolari. Due servitori in livrea erano fermi ai lati della porta.
«Almeno non è la Sala del Trono» disse Gawyn, con una risatina incerta. «Qui non ho mai udito nostra madre ordinare che mozzassero la testa a qualcuno.» Ma il suo tono parve insinuare che era sempre possibile stabilire un precedente.
Tallanvor allungò la mano verso la spada di Rand, ma Elayne si frappose. «È mio ospite» disse. «Per consuetudine e per legge, gli ospiti della famiglia reale possono presentarsi anche armati davanti a nostra madre. O metti in dubbio la mia parola?»
Tallanvor esitò, guardandola negli occhi; poi annuì. «Benissimo, milady» rispose. Elayne sorrise a Rand, mentre Tallanvor faceva un passo indietro; ma il sorriso durò solo un momento. «La prima fila mi accompagni» ordinò Tallanvor. Poi, rivolto ai due servitori alla porta: «Annunciate a sua maestà l’arrivo di lady Elayne e di lord Gawyn; inoltre, del tenente della Guardia Tallanvor, con l’intruso sotto scorta.»
Elayne gli lanciò un’occhiataccia, ma i battenti già si aprivano. Una voce sonora annunciò chi stava per entrare.
Con imponenza Elayne varcò la porta, ma guastò un poco l’entrata regale indicando a Rand di tenersi dietro di lei. Gawyn drizzò le spalle e seguì la sorella, un passo esatto più indietro. Rand lo imitò, incerto, tenendosi alla stessa altezza, dall’altra parte di Elayne. Tallanvor rimase vicino a Rand, accompagnato da dieci soldati. I battenti si chiusero senza rumore alle spalle del gruppetto.
All’improvviso Elayne eseguì una profonda riverenza accompagnata da un inchino, e rimase in quella posizione. Rand trasalì, poi si affrettò a imitare Gawyn e gli altri, ponendosi goffamente nella posizione corretta: ginocchio destro a terra, testa china, corpo piegato a premere con le nocche della destra le piastrelle di marmo, la sinistra sull’elsa. Gawyn, che non aveva spada, tenne la mano sull’elsa del pugnale.
Ognuno mantenne la posizione, come statua di ghiaccio in attesa del disgelo di primavera. Rand non sapeva che cosa aspettassero, ma colse l’occasione per esaminare la sala. Mosse la testa solo quanto bastava a guardarsi intorno.
La stanza, quadrata, aveva all’incirca le dimensioni della sala comune della locanda; le pareti mostravano scene di caccia scolpite a bassorilievo su pietra candidissima. Gli arazzi riproducevano fiori dai colori vividi e colibrì dal piumaggio variopinto, a parte i due in fondo alla stanza, che rappresentavano su fondo rosso il Leone Bianco di Andor, più alto di una persona. Questi due arazzi fiancheggiavano una pedana col trono scolpito e dorato sul quale sedeva la Regina.
Alla destra della Regina c’era un uomo a capo scoperto, basso e tozzo, con l’uniforme rossa della Guardie, quattro nodi d’oro sulla spallina del mantello e larghe strisce dorate che interrompevano il bianco dei polsini. Era assai brizzolato, ma pareva forte e inamovibile come una roccia. Senz’altro si trattava del Capitano Generale Gareth Bryne. Dietro il trono, dall’altro lato, una donna vestita di seta verde scuro sedeva su di un basso panchetto e sferruzzava usando un gomitolo di lana scura, quasi nera. Questo particolare indusse Rand a pensare che fosse anziana, ma a una seconda occhiata non riuscì a darle un’età precisa. Giovane o vecchia, pareva dedicare tutta l’attenzione ai ferri e alla lana, come se a un braccio da lei non ci fosse una regina. Era una donna bella, dall’aria serena; eppure c’era qualcosa di terribile, nella sua concentrazione. Nella stanza si udiva solo il ticchettio dei ferri.
Rand cercò di guardare ogni cosa, ma finiva sempre per tornare con lo sguardo alla donna dal lucente serto di rose finemente lavorate, la Corona di Rose di Andor. Una lunga stola rossa, istoriata con il Leone di Andor, le scendeva sulla veste di seta a pieghine rosse e bianche; quando mosse la sinistra a toccare il braccio del Capitano Generale, fece brillare un anello a forma del Gran Serpente che si morde la coda. Eppure, ad attirare in continuazione lo sguardo di Rand non era la magnificenza delle vesti e dei gioielli e della corona, ma la donna stessa.
Morgase aveva la bellezza della figlia, sbocciata e maturata. Il suo viso, la sua figura, il suo portamento riempivano la stanza come una luce che soffocasse le altre. A Emond’s Field, una vedova come lei avrebbe avuto alla porta una fila di pretendenti, anche se fosse stata la peggiore cuoca e la più sciatta padrona di casa dei Fiumi Gemelli. Rand si accorse che lei lo esaminava e chinò la testa, timoroso che potesse leggergli in viso i pensieri.
«Alzatevi» disse Morgase, con voce piena e calda che mostrava la certezza dell’ubbidienza, cento volte più della voce di Elayne.
Rand si alzò con gli altri.
«Madre...» cominciò Elayne.
Morgase l’interruppe. «Si direbbe che tu ti sia arrampicata sugli alberi, figlia.» Elayne si tolse dal vestito un ultimo frammento di corteccia e, non sapendo dove metterlo, lo tenne stretto in pugno. «Da quanto ho capito» continuò con calma Morgase «pare che, nonostante i miei ordini, hai fatto in modo di dare un’occhiata a questo Logain. Gawyn, da te m’aspettavo di più. Devi imparare non solo a ubbidire a tua sorella, ma nello stesso tempo a farle da contrappeso per evitare disastri.» Lanciò una rapida occhiata all’uomo tozzo alla sua destra. Bryne rimase impassibile, come se non se ne fosse accorto, ma Rand pensò che a quegli occhi non sfuggisse nulla. «Il Primo Principe, Gawyn» continuò Morgase «ha anche questo compito, oltre quello di guidare l’esercito di Andor. Forse, intensificando l’addestramento, avresti meno tempo per lasciare che tua sorella ti trascini nei guai. Chiederò al Capitano Generale di provvedere affinché non ti manchi da fare, durante il viaggio a settentrione.»
Gawyn parve sul punto di protestare; invece chinò la testa. «Ai tuoi ordini, madre» disse.
Elayne fece una smorfia. «Madre, Gawyn non può tenermi fuori dei guai, se non sta con me. Solo per questo motivo ha lasciato le sue stanze. E poi, non può esserci niente di male a dare solo un’occhiata a Logain. Tutti, in città, erano più vicino di noi.»
«Tutti, in città, non significa anche l’Erede.» C’era una nota d’asprezza, nella voce della Regina. «Ho visto da vicino questo Logain. È un individuo pericoloso, figlia mia. Anche in gabbia, sotto la sorveglianza continua delle Aes Sedai, è pericoloso come un lupo. Vorrei che non l’avessero mai portato a Caemlyn.»
«Penseranno a lui, a Tar Valon» intervenne la donna seduta sul panchetto, senza distogliere lo sguardo dal lavoro a maglia. «Ma è importante che la gente veda che la Luce ha sconfitto ancora una volta le Tenebre. E che tu hai partecipato alla vittoria, Morgase.»
«Continuo a rimpiangere che sia venuto a Caemlyn» replicò la Regina. «Elayne, ti conosco bene.»
«Madre» protestò Elayne «ma io voglio ubbidirti. Davvero.»
«Davvero?» ripeté Morgase, con finta sorpresa. Poi ridacchiò. «Sì, ti sforzi di essere una figlia ubbidiente. Ma cerchi sempre di stabilire fin dove puoi spingerti. Be’, lo facevo anch’io, con mia madre. Questo spirito ti farà comodo, quando salirai al trono... ma non sei ancora la regina, figlia mia. Hai disubbidito e hai dato un’occhiata a Logain. Ti basti questo. Durante il viaggio, non ti sarà permesso d’avvicinarti a meno di cento passi da lui. Né a te, né a Gawyn. Se non sapessi quanto saranno dure le lezioni a Tar Valon, manderei con te Lini a badare che tu ubbidisca. Lei almeno, sembra in grado di farti rigare dritto.»
Elayne chinò la testa, imbronciata.
La donna dietro il trono pareva impegnata a contare le maglie. «Dopo una sola settimana» disse a un tratto «avrai voglia di tornare a casa da tua madre. Dopo un mese, avrai voglia di fuggire con i Girovaghi. Ma le mie sorelle ti terranno lontano dai miscredenti. Cose del genere non sono per te, non ancora.» Di colpo si girò a fissare Elayne: tutta la sua serenità era scomparsa, come se non fosse mai esistita. «Hai in te le qualità per essere la più grande Regina che l’Andor abbia mai visto... che in più di mille anni nessuna nazione abbia mai visto. Per questo ti formeremo, se ne avrai la forza.»
Rand la fissò. Quella donna era certamente Elaida, l’Aes Sedai. A un tratto fu lieto di non avere chiesto aiuto a lei, indipendentemente dal colore della sua Ajah. Emanava una severità molto maggiore di quella di Moiraine. Certe volte, lui aveva paragonato Moiraine ad acciaio rivestito di velluto; nel caso di Elaida, il velluto era solo illusione.
«Basta così, Elaida» disse Morgase, con una ruga di disagio. «Sono cose che ha già sentito a sufficienza. La Ruota gira e ordisce come vuole.» Per un momento rimase in silenzio, a guardare la figlia. «E ora c’è la questione di questo giovanotto...» indicò Rand, senza staccare lo sguardo dal viso di Elayne «e del come e perché è venuto qui, e come mai, con tuo fratello, ti sei appellata al diritto d’ospitalità.»
«Posso parlare, madre?» Morgase annuì e Elayne raccontò semplicemente cos’era accaduto da quando aveva scorto Rand arrampicarsi su per il pendio fino al muro. Rand si aspettò che concludesse proclamandolo innocente, invece Elayne disse: «Madre, sostieni spesso che devo conoscere il nostro popolo, dal più alto al più umile, ma ogni volta che incontro un nostro suddito è sempre presente una decina di servitori. Come faccio a conoscere la realtà e la verità, in queste circostanze? Parlando con questo giovanotto, ho imparato più cose, sulla gente dei Fiumi Gemelli, di quante non ne avrei mai apprese dai libri. Non ti dice niente, il fatto che sia giunto da così lontano e abbia scelto il rosso, mentre tanti nuovi venuti portano il bianco per paura? Madre, ti prego di non maltrattare un suddito leale, che mi ha insegnato molte cose sulla gente che tu governi.»
«Un leale suddito giunto dai Fiumi Gemelli» sospirò Morgase. «Figlia mia, dovresti fare più attenzione ai libri. Da sei generazioni i Fiumi Gemelli non vedono un esattore né Guardie della Regina. Oserei dire che ben di rado si ricordano d’appartenere al Regno.» Rand mosse le spalle a disagio, ricordando la sorpresa nell’apprendere che i Fiumi Gemelli facevano parte del Regno di Andor. La Regina notò il gesto e sorrise tristemente alla figlia. «Capisci, bambina mia?»
Elaida aveva posato il lavoro a maglia e osservava Rand. Si alzò dal panchetto, scese dalla pedana e si fermò davanti a lui. «Dai Fiumi Gemelli?» disse. Allungò la mano verso la testa di Rand, che si ritrasse, e lei lasciò perdere. «Con questi capelli rossi e questi occhi grigi? La gente dei Fiumi Gemelli è scura d’occhi e di capelli; e ben di rado è così alta di statura.» Allungò di scatto la mano e gli scostò la manica della giubba, mettendo in mostra la pelle più chiara, non abbronzata dal sole. «E non ha questa carnagione.»
Rand si dominò per non stringere i pugni. «Sono nato a Emond’s Field» disse rigidamente. «Mia madre era forestiera. Ho preso da lei il colore degli occhi. Mio padre è Tam al’Thor, pastore e contadino, come me.»
Elaida annuì, senza mai distogliere lo sguardo dal suo viso. Rand le restituì lo sguardo, con una calma che mascherava il sapore acido allo stomaco. Vide che lei notava la fermezza del suo sguardo. Continuando a guardarlo negli occhi, Elaida mosse di nuovo la mano verso di lui. Rand decise questa volta di non scostarsi.
Però Elaida non toccò lui, ma la spada. Chiuse le dita intorno alla parte superiore dell’elsa e sgranò gli occhi per la sorpresa. «Un pastore dei Fiumi Gemelli» disse piano, in un bisbiglio che nessuno avrebbe dovuto udire «con una spada col marchio dell’airone.»
Le ultime parole ebbero lo stesso effetto d’un annuncio della presenza del Tenebroso. Cuoio e metallo scricchiolarono, mentre stivali strusciavano sulle piastrelle di marmo. Con la coda dell’occhio Rand vide Tallanvor e un’altra guardia scostarsi da lui per avere spazio, mano sulla spada, pronti a estrarla; avevano in viso l’espressione di chi è pronto a morire. Con due rapidi passi Gareth Bryne si spostò davanti alla pedana, fra Rand e la Regina. Perfino Gawyn si mise davanti a Elayne, con aria preoccupata e la mano sul pugnale. Elayne stessa guardò Rand come se lo vedesse per la prima volta. Morgase non cambiò espressione, ma serrò le mani sui braccioli dorati del trono.
Solo Elaida si mostrò più tranquilla della Regina. L’Aes Sedai non diede segno d’avere detto qualcosa di straordinario. Tolse la mano dalla spada, accrescendo la tensione nei soldati. Continuò a fissare Rand, con aria imperturbata e calcolatrice.
«Senza dubbio» disse Morgase, calma «è troppo giovane per essersi guadagnato il marchio dell’airone. Avrà l’età di Gawyn.»
«La spada gli si adatta» disse Gareth Bryne.
La Regina lo guardò, sorpresa. «Com’è possibile?»
«Non lo so, Morgase» rispose lentamente Bryne. «È davvero troppo giovane, eppure la spada si adatta a lui, e lui della spada. Guarda i suoi occhi. Guarda il portamento. Lui e la spada sembrano fatti l’uno per l’altra. È troppo giovane, ma la spada gli appartiene.»
Quando il Capitano Generale tacque, Elaida domandò: «Come hai avuto questa spada, Rand al’Thor dei Fiumi Gemelli?» Dal tono, parve quasi dubitare del nome e del luogo di provenienza.
«Ma l’ha data mio padre» rispose Rand. «Era sua. Pensava che mi servisse una spada, visto che andavo via dai Fiumi Gemelli.»
«Ancora un altro pastore dei Fiumi Gemelli con una spada col marchio dell’airone.» Il sorriso di Elaida seccò la bocca a Rand. «Quando sei arrivato a Caemlyn?»
Rand era stufo di dire la verità a quella donna: l’Aes Sedai gli incuteva paura come un Amico delle Tenebre. «Oggi» rispose. «Di mattina.»
«Appena in tempo» rifletté lei. «Dove alloggi? Non dirmi che non hai trovato una stanza da qualche parte. Sembri un po’ male in arnese, ma hai avuto occasione di darti una ripulita. Dove?»
«Alla Corona e Leone.» Rand ricordò d’essere passato davanti a quella locanda, mentre cercava l’altra; rispetto a quella di mastro Gill, era dall’altra parte della Città Nuova. «Ho un letto, lì. In soffitta.» Provò l’impressione che lei sapesse che mentiva, ma l’Aes Sedai si limitò ad annuire.
«Che coincidenza» disse Elaida. «Oggi il miscredente è giunto a Caemlyn. Fra due giorni sarà portato a Tar Valon e con lui andrà l’Erede per l’addestramento. E proprio in un momento del genere, un giovanotto compare nei giardini del Palazzo, sostenendo d’essere un leale suddito giunto dai Fiumi Gemelli...»
«Vengo davvero dai Fiumi Gemelli!» Tutti lo guardavano, ma nessuno badò alla sua protesta. Tranne Tallanvor e le guardie, che non lo perdevano d’occhio.
«...con una storia calcolata per allettare Elayne, e portando con sé una spada col marchio dell’airone. Non porta un bracciale né una coccarda, per dimostrare la sua lealtà alla Regina, ma un pezzo di stoffa che nasconde accuratamente l’airone a occhi indiscreti. Davvero una coincidenza, Morgase.»
La Regina indicò al Capitano Generale di spostarsi ed esaminò Rand, turbata. Ma si rivolse a Elaida. «Cosa lo consideri? Un Amico delle Tenebre? Un seguace di Logain?»
«Il Tenebroso si muove, a Shayol Ghul» rispose l’Aes Sedai. «L’Ombra si proietta sul Disegno e il futuro è in equilibrio sulla punta d’uno spillo. Costui è pericoloso.»
All’improvviso Elayne si gettò in ginocchio davanti al trono. «Madre, ti supplico di non fargli male. Se ne sarebbe andato subito, se non l’avessi trattenuto. Voleva andarsene. Sono stata io a farlo restare. Non posso credere che sia un Amico delle Tenebre.»
Con un gesto Morgase la tranquillizzò, ma non distolse lo sguardo da Rand. «È una Predizione, Elaida? Stai leggendo il Disegno? Dici che il talento si manifesta in te quando meno te l’aspetti e che con uguale repentinità scompare. Se questa è una Predizione, ti ordino di dire chiaramente la verità, senza avvolgerla come al solito in tanto di quel mistero che nessuno capisce se hai detto di sì o di no. Parla. Cosa vedi?»
«Ecco cosa predico» rispose Elaida «e non posso usare maggiore chiarezza, lo giuro per la Luce. Da questo giorno l’Andor marcia verso la sofferenza e la discordia. L’Ombra non ha raggiunto ancora il massimo e non posso vedere se la Luce verrà dopo. Dove il mondo ha versato una lacrima, ne verserà migliaia. Questo, predico.»
Una cappa di silenzio scese sulla sala, rotta solo da Morgase, che espirò come se fosse il suo ultimo alito.
Elaida continuò a fissare negli occhi Rand. Parlò di nuovo, muovendo appena le labbra, con tono così basso che lui non l’avrebbe udita, a distanza maggiore d’un braccio. «Anche questa, è la mia Predizione. Sofferenza e discordia riguardano il mondo intero e costui si trova al centro. Ubbidisco alla Regina e parlo con chiarezza.»
Rand si sentì come se i piedi avessero messo radici nel pavimento di marmo. Il freddo e la rigidità della pietra gli strisciarono su per le gambe e gli mandarono un brivido lungo la schiena. Nessun altro poteva avere udito. Ma Elaida continuava a guardare lui, e lui aveva udito.
«Sono un pastore» disse a beneficio di tutti. «Dei Fiumi Gemelli. Un pastore.»
«La Ruota gira e ordisce come vuole» disse ad alta voce Elaida; e Rand non riuscì a stabilire se nel tono ci fosse o meno una traccia di presa in giro.
«Lord Gareth» disse Morgase «ho bisogno del tuo consiglio.»
Il Capitano Generale scosse la testa. «Elaida Sedai dice che il ragazzo è pericoloso, mia regina, e se si spiegasse meglio, direi di chiamare subito il boia. Ma lei ha detto solo quel che ognuno di noi vede con i propri occhi. In tutto il paese qualsiasi contadino può dire, senza bisogno di Predizioni, che la situazione continuerà a peggiorare. In quanto a me, ritengo che il ragazzo si trovi qui per caso, anche se è un caso per lui sfortunato. Per sicurezza, mia regina, suggerisco di chiuderlo in cella, finché lady Elayne e lord Gawyn non sono già in viaggio, e poi di lasciarlo libero. A meno che, Aes Sedai, tu non abbia altre Predizioni che lo riguardano.»
«Ho detto tutto ciò che ho letto nel Disegno, Capitano Generale» replicò Elaida. Rivolse a Rand un sorriso duro, che toccò appena le labbra, prendendolo in giro perché non poteva dire che lei non diceva la verità. «Qualche settimana di prigionia non gli farà male e forse mi darà l’occasione di apprendere altro.» Una luce famelica le brillò negli occhi e rese più gelido il brivido che percorse Rand. «Forse ci sarà un’altra Predizione.»
Per un poco Morgase rifletté, mento sul pugno e gomito sul bracciolo del trono. Rand avrebbe cambiato posizione, se avesse potuto muoversi; ma gli occhi di Elaida lo tenevano come inchiodato. Alla fine la Regina parlò.
«Il sospetto soffoca Caemlyn, forse tutto l’Andor. La paura e il sospetto. Le donne denunciano le vicine, gli uomini scarabocchiano la Zanna del Drago sulla porta di gente che conoscono da anni. Non mi lascerò contagiare.»
«Morgase...» cominciò Elaida, ma la Regina la interruppe.
«Non mi lascerò contagiare. Quando sono salita al trono, ho giurato di amministrare la giustizia per i ricchi e per i poveri, e lo farò anche se sarò l’ultima nell’Andor a ricordare la giustizia. Rand al’Thor, giuri per la Luce che tuo padre, un pastore dei Fiumi Gemelli, ti ha dato questa spada col marchio dell’airone?»
«Lo giuro» riuscì a rispondere Rand. All’improvviso ricordò chi era l’interlocutrice e soggiunse: «Mia regina.» Lord Gareth inarcò il sopracciglio, ma Morgase parve non badargli.
«E ti sei arrampicato sul muro del giardino solo per dare un’occhiata al falso Drago?»
«Sì, mia regina.»
«Hai brutte intenzioni nei confronti del trono di Andor, o di mia figlia, o di mio figlio?»
«Non ho brutte intenzioni nei confronti di nessuno, mia regina. Men che meno, verso di te e i tuoi figli.»
«Allora ti renderò giustizia, Rand al’Thor. In primo luogo, perché a differenza di Elaida e di Gareth ho il vantaggio di avere udito, da giovane, la parlata dei Fiumi Gemelli; non hai l’aspetto di quella gente, ma, se la memoria non mi tradisce, parli come loro. In secondo luogo, nessuno che abbia i tuoi capelli e i tuoi occhi può sostenere d’essere un pastore dei Fiumi Gemelli, se non è vero. E che tuo padre ti abbia dato una spada col marchio dell’airone è troppo assurdo per essere una menzogna. In terzo luogo, una vocina mi mormora che spesso la menzogna migliore è quella troppo assurda per sembrare menzogna... ma questa non è una prova. Confermo le leggi da me fatte. Ti rendo la libertà, Rand al’Thor; ma ti suggerisco di badare in futuro a dove ti intrufoli. Se ti scoprono di nuovo nei terreni del Palazzo, non te la caverai altrettanto facilmente.»
«Grazie, mia regina» disse Rand, con voce rauca. Sentì, come ondata di calore sul viso, lo scontento di Elaida.
«Tallanvor, scorta questo... scorta l’ospite di mia figlia fuori del Palazzo e trattalo con ogni cortesia. Anche gli altri possono andare. No, Elaida, tu resta. E anche tu, lord Gareth, se non ti spiace. Devo prendere una decisione a riguardo dei Manti Bianchi in città.»
Tallanvor e le guardie rinfoderarono con riluttanza la spada, pronti a estrarla in un attimo. Eppure Rand fu lieto che i soldati formassero quadrato intorno a lui e seguì Tallanvor. Elaida ascoltava solo a metà le parole della Regina: lui sentiva sulla nuca lo sguardo dell’Aes Sedai. Cosa sarebbe accaduto, si domandò, se Morgase non avesse detto all’Aes Sedai di restare? Desiderò che i soldati si muovessero più in fretta.
Con sua sorpresa, appena fuori della stanza Elayne e Gawyn scambiarono qualche parola e rimasero accanto a lui. Anche Tallanvor si stupì e diede un’occhiata ai battenti che si chiudevano.
«Mia madre» disse Elayne «ha ordinato di scortarlo fuori del Palazzo, Tallanvor. Con ogni cortesia. Cosa aspetti?»
Tallanvor rivolse un’occhiata torva alla porta dietro cui la Regina conferiva con i propri consiglieri. «Niente, milady» rispose, acido, e ordinò alla scorta di muoversi.
Le meraviglie del Palazzo sfilarono senza che Rand le notasse. Era stordito, brandelli di conversazione continuavano a ronzargli nella testa. «Non hai l’aspetto.» «Costui si trova al centro.»
La scorta si fermò. Rand trasalì, sorpreso di trovarsi nella grande corte davanti al Palazzo, di fronte alle alte porte dorate. Quelle porte non si sarebbero aperte per una persona sola, certo non per un intruso, anche se l’Erede aveva rivendicato per lui il diritto d’ospitalità. Senza dire una parola, Tallanvor tolse il chiavistello a una porticina posta nel battente.
«È consuetudine» disse Elayne «scortare gli ospiti fino alle porte e non restare a guardarli mentre se ne vanno. Bisognerebbe ricordare il piacere della compagnia, non la tristezza della partenza.»
«Grazie, milady» disse Rand. Toccò il fazzoletto che gli fasciava la testa. «Grazie di tutto. Nei Fiumi Gemelli è consuetudine portare all’ospite un piccolo dono. Purtroppo non ho niente. Anche se...» proseguì, in tono ironico «a quanto pare ti ho insegnato qualcosa sulla gente dei Fiumi Gemelli.»
«Se avessi detto a nostra madre che ti ritengo un bel ragazzo, di sicuro ti avrebbe richiuso in cella.» Elayne gli rivolse un sorriso radioso. «Addio, Rand al’Thor.»
A bocca aperta, Rand la guardò allontanarsi, una versione più giovane della bellezza e della maestà di Morgase.
«Inutile, discutere con lei» rise Gawyn. «Avrà sempre l’ultima parola.»
Rand annuì, distratto. “Un bel ragazzo?" pensò. “Luce santa, ma lei è l’Erede al trono di Andor!" Si scosse per schiarirsi la testa. Gawyn pareva in attesa. Rand lo guardò.
«Milord, quando ho detto di provenire dai Fiumi Gemelli, sei rimasto sorpreso. Come ogni altro, tua madre, lord Gareth, Elaida Sedai...» sentì un brivido lungo la schiena «tutti quanti...» Non riuscì a terminare. Non sapeva nemmeno perché avesse cominciato. “Sono il figlio di Tam al’Thor” pensò “anche se non sono nato nei Fiumi Gemelli."
Gawyn annuì, come se aspettasse proprio questo. Ma esitò ancora. Rand aprì la bocca per ritrattare la domanda inespressa, e Gawyn disse: «Avvolgiti in testa uno shoufa, Rand, e diventi l’immagine perfetta di un Aiel. Eppure mia madre pare convinta che quanto meno parli come uno dei Fiumi Gemelli. Mi sarebbe piaciuto conoscerti meglio, Rand al’Thor. Addio.»
Un Aiel, pensò Rand.
Rimase a guardare la schiena di Gawyn, finché il colpo di tosse dello spazientito Tallanvor gli ricordò dove si trovava. Varcò la porticina e tolse le gambe appena in tempo: Tallanvor la chiuse con forza e mise rumorosamente a posto la sbarra interna.
Ormai la piazza ovale davanti al Palazzo era deserta. Spariti i soldati, la folla, le trombe, i tamburi, restavano solo rifiuti che il vento sparpagliava sul lastricato e alcune persone frettolose che, passata l’eccitazione, pensavano ai propri affari. Rand non riuscì a distinguere se portavano il rosso o il bianco.
Un Aiel, pensò di nuovo.
Con un sobbalzo si rese conto di stare fermo proprio davanti alle porte del Palazzo, dove Elaida poteva trovarlo con facilità, terminata la discussione con la Regina. Si strinse nel mantello e si avviò di buon passo. Attraversata la piazza, nelle vie della Città Interna si guardò spesso indietro, per scoprire se qualcuno lo seguiva; ma le vie piene di curve non gli consentivano di vedere molto lontano. Però ricordava fin troppo bene gli occhi di Elaida e provò l’impressione che ancora lo guardassero. Quando arrivò alle porte della Città Nuova, andava quasi di corsa.