47 Altri racconti della Ruota

L’inquietudine spinse Rand a passeggiare avanti e indietro accanto al tavolo da pranzo. Dodici passi. Il tavolo era sempre lungo dodici passi, per quante volte lo misurasse. Irritato, si costrinse a smettere di contarli. Che cosa stupida! Non gli importava niente, della lunghezza del tavolo. Poco dopo si scoprì a contare quante volte andava avanti e indietro. “Cosa dirà, a Moiraine e a Lan?" si domandò. “Sa per quale motivo il Tenebroso ci dà la caccia? Sa chi di noi tre vuole?"

Diede un’occhiata ai suoi due amici. Perrin aveva sbriciolato un pezzetto di pane e col dito spostava oziosamente le briciole. Mat sedeva scompostamente, a occhi socchiusi, con un accenno di sorriso. Sorriso nervoso, non divertito. Esternamente sembrava il Mat di sempre, ma di tanto in tanto, senza rendersene conto, toccava sotto la giubba il pugnale preso a Shadar Logoth. “Cosa le dirà, Fain?" si domandò ancora Rand. “Cosa sa?"

Loial, almeno, non pareva preoccupato. Esaminava le pareti. All’inizio si era fermato al centro della stanza e le aveva fissate, girandosi lentamente. Ora quasi premeva il naso contro la pietra, mentre col dito seguiva una particolare commessura. A volte chiudeva gli occhi, come se la sensazione fosse più importante della vista. Di tanto in tanto agitava le orecchie e mormorava tra sé in lingua Ogier, all’apparenza dimentico di non essere solo nella stanza.

Lord Agelmar parlava a bassa voce con Nynaeve e Egwene, davanti al camino in fondo alla stanza. Da buon ospite, si premurava di far dimenticare ai presenti le loro preoccupazioni: diverse sue storie facevano ridacchiare Egwene. Una volta perfino Nynaeve scoppiò a ridere. Rand trasalì a quella risata inattesa e sobbalzò, quando la sedia di Mat cadde rumorosamente a terra.

«Sangue e ceneri!» brontolò Mat, senza badare alla smorfia di Nynaeve per il linguaggio che usava. «Come mai ci mette tanto?» Rialzò la sedia e si sedette senza guardare nessuno. Infilò la mano sotto la giubba.

Il signore di Fal Dara lo guardò con disapprovazione... un’occhiata che includeva anche Rand e Perrin; poi si rivolse alle due donne. Andando avanti e indietro, Rand si trovò accanto a loro.

«Milord» diceva in quel momento Egwene, con la scioltezza di parola di chi ha sempre usato certi titoli «pensavo che fosse un Custode, ma tu, come altri, lo chiami Dai Shan e parli del vessillo della Gru Dorata. A volte si direbbe che lo consideri quasi un sovrano. Ricordo che Moiraine, una volta, l’ha definito l’ultimo Signore delle Sette Torri. Chi è, in realtà, Lan?»

Nynaeve fissò attentamente la propria coppa, ma fu chiaro che a un tratto ascoltava con attenzione anche maggiore di Egwene. Rand si fermò e tese l’orecchio, fingendo indifferenza.

«Signore delle Sette Torri» disse Agelmar, corrugando la fronte. «Un titolo antico, lady Egwene. Nemmeno i Grandi Signori di Tear ne hanno di più antichi, anche se la Regina di Andor vi si avvicina.» Sospirò e scosse la testa. «Lui non ne parlerebbe mai, eppure la storia è ben nota, lungo il Confine. È un re, o lo sarebbe stato: al’Lan Mandragoran, Signore delle Sette Torri, Signore dei Laghi, Re senza corona del Malkier.» Sollevò la testa rasata e mostrò negli occhi una luce d’orgoglio quasi paterna. Alzò la voce, nella forza del sentimento. Lo si udì in tutta la stanza. «Noi dello Shienar ci consideriamo gente di frontiera, ma meno di cinquant’anni fa lo Shienar non apparteneva realmente alle Marche di Confine. A settentrione, rispetto a noi e all’Arafel, c’era il Malkier. Le lance dello Shienar cavalcavano a settentrione, ma a tenere indietro la Macchia era il Malkier, la santa Pace ne conservi il ricordo e la Luce ne illumini il nome.»

«Lan è del Malkier» disse piano Nynaeve, alzando lo sguardo. Parve turbata.

Non era una domanda, ma Agelmar annuì. «Sì, lady Nynaeve, è il figlio di al’Akir Mandragoran, ultimo re incoronato dei malkierani. Come divenne Custode? La causa iniziale, forse, fu Lain. Per sfida, Lain Mandragoran, fratello del re, guidò le sue lance nella Macchia fino alle Terre Inaridite, forse allo stesso Shayol Ghul. La moglie di Lain, Breyan, causò quella sfida, invidiosa che al’Akir fosse salito al trono al posto del marito. Il re e Lain erano vicini quanto possono esserlo due fratelli, vicini come due gemelli anche dopo che il prefisso reale “al” fu aggiunto al nome di Akir, ma l’invidia travolse Breyan. Lain era acclamato per le sue imprese, e a ragione, ma nemmeno lui poteva risplendere più di al’Akir. Come al’Akir, uomo e re, ne nasce uno ogni cento anni, forse. La Pace ne conservi il ricordo, suo e di el’Leanna.

«Lain morì nelle Terre Inaridite, con la maggior parte di coloro che lo seguirono, uomini che il Malkier non poteva permettersi di perdere; e Breyan diede la colpa al re, dicendo che Shayol Ghul stesso sarebbe caduto, se al’Akir avesse guidato gli altri malkierani insieme con suo marito. Per vendicarsi, complottò con Cowin Gemallan, detto Cowin Cuordoro, per impadronirsi del trono in favore del proprio figlio, Isam. Cowin era un eroe amato quasi quanto lo stesso al’Akir, e uno dei Grandi Signori, ma quando questi ultimi avevano eletto il re, solo due voti dividevano Cowin da Akir, e Cowin non poteva dimenticare che se due uomini avessero messo un sassolino di colore diverso nella Pietra dell’Incoronazione, si sarebbe trovato sul trono al posto di Akir. Fra tutt’e due, Cowin e Breyan richiamarono dalla Macchia i soldati per impadronirsi delle Sette Torri, riducendo a semplici guarnigioni le Fortezze di Confine.

«Ma l’invidia di Cowin aveva radici ancora più profonde.» La voce di Agelmar si tinse di disgusto. «Cowin l’eroe, le cui imprese nella Macchia erano cantate in tutte le Marche di Confine, era un Amico delle Tenebre. Indebolite le Fortezze, i Trolloc si riversarono nel Malkier come un fiume in piena. Re al’Akir e Lain insieme forse avrebbero rianimato il paese, com’era accaduto in precedenza. Ma la sciagurata fine di Lain nelle Terre Inaridite aveva scosso la popolazione e l’arrivo dei Trolloc infranse il coraggio degli uomini e il desiderio di opporre resistenza. Nemici in grande superiorità numerica spinsero i malkierani nell’interno.

«Breyan fuggì, portando con sé il figlio neonato, Isam, e fu assalita dai Trolloc mentre cavalcava verso meridione. Nessuno conosce con certezza la loro sorte, ma è facile immaginare quale sia stata. Provo pietà solo per il piccino. Quando si scoprì il tradimento di Cowin Cuordoro e costui fu catturato dal giovane Jain Charin, già soprannominato Jain Farstrider... quando Cowin fu portato in catene alle Sette Torri, i Grandi Signori chiesero che la sua testa fosse mozzata e infilata su di una picca. Ma dal momento che nel cuore del popolo era stato secondo solo a al’Akiri e a Lain, il re lo affrontò a singolar tenzone e lo uccise. Al’Akir pianse, quando uccise Cowin. Alcuni dicono che pianse un amico che si era votato all’Ombra, altri dissero che pianse il Malkier.» Il signore di Fal Dara scosse tristemente la testa.

«Il primo rintocco del destino funesto delle Sette Torri era risuonato. Mancava il tempo di radunare aiuti nello Shienar o nell’Arafel e non c’era speranza che il Malkier resistesse da solo, con cinquemila lance morte nelle Terre Inaridite e le Fortezze di Confine travolte.

«Al’Akir e la regina el’Leanna ordinarono che Lan, ancora nella culla, fosse portato alla loro presenza. In quelle mani di neonato misero la spada dei re di Malkier, quella che lui oggi porta al fianco. Un’arma forgiata dalle Aes Sedai durante la Guerra di Potere, la Guerra dell’Ombra che pose termine all’Epoca Leggendaria. Gli unsero d’olio la testa e lo nominarono Dai Shan, Signore Incoronato, consacrandolo futuro re di Malkier, e a nome suo pronunciarono l’antico giuramento dei re e delle regine malkierani.» Agelmar indurì il viso, mentre ripeteva le parole, come se anche lui avesse pronunciato quel giuramento, o uno simile. «Opporsi all’Ombra finché il ferro non si piegherà e la pietra resisterà. Difendere il popolo di Malkier, fino all’ultima goccia di sangue. Vendicare quel che non si può impedire.» Le parole echeggiarono nella stanza.

«El’Leanna pose al collo del figlio un medaglione, per ricordo; il piccino, avvolto in fasce intessute dalla regina stessa, fu affidato a venti soldati scelti fra le guardie del corpo del re, i migliori spadaccini e i combattenti più micidiali, con l’ordine di portarlo a Fal Moran.

«Solo allora al’Akir e el’Leanna guidarono i malkierani ad affrontare per l’ultima volta l’Ombra. E lì morirono, al Guado di Herot, e morirono i malkierani, e le Sette Torri furono distrutte. Shienar, Arafel e Kandor affrontarono i Mezzi Uomini e i Trolloc alla Scala di Jehaan e li respinsero, ma non lontano come prima. Gran parte del Malkier rimase nelle mani dei Trolloc; anno dopo anno, miglio dopo miglio, la Macchia ha ingoiato il paese.» Agelmar sospirò, addolorato. Quando proseguì, negli occhi e nella voce aveva un tono orgoglioso e triste.

«Solo cinque Guardie Reali arrivarono vive a Fal Moran: ognuna di loro era ferita, ma il piccino era illeso. Fin dalla culla gli insegnarono tutto quel che sapevano. Il bambino imparò a usare le armi come gli altri imparano a giocare e per lui la Macchia fu quello che per gli altri era l’orto materno. Il giuramento pronunciato sopra la sua culla è scolpito nella sua mente. Non rimane niente da proteggere, ma lui può ancora vendicare. Non accetta titoli, eppure nelle Marche di Confine è chiamato Re senza corona, e se mai alzasse la Gru Dorata di Malkier, un esercito lo seguirebbe. Ma lui non porterà nessuno alla morte. Nella Macchia corteggia la morte come un pretendente corteggia una fanciulla, ma non porterà altri a morire.

«Se dovete entrare nella Macchia, e senza molta scorta, non c’è uomo migliore per accompagnarvi e per riportarvi indietro sane e salve. Lui è il migliore dei Custodi, e questo significa il migliore dei migliori. Tanto varrebbe lasciare qui i tre ragazzi a fare un po’ d’esperienza e riporre tutta la fiducia in Lan. La Macchia non è posto per ragazzi privi d’addestramento.»

Mat aprì la bocca, ma la richiuse all’occhiata di Rand. “Imparasse una buona volta a tenerla chiusa!" si disse quest’ultimo.

Nynaeve aveva ascoltato a occhi sgranati, come Egwene; ma ora, pallida in viso, fissava di nuovo la coppa. Egwene le toccò il braccio e le rivolse un’occhiata comprensiva.

Nel vano della porta comparve Moiraine, con Lan alle calcagna. Nynaeve girò loro la schiena.

«Cos’ha rivelato?» domandò subito Rand. Mat si alzò, imitato da Perrin.

«Zotici di campagna» brontolò Agelmar, sottovoce. In tono normale soggiunse: «Hai appreso qualcosa, Aes Sedai? O è semplicemente pazzo?»

«È pazzo» rispose Moiraine «o assai vicino alla pazzia, ma non c’è niente di semplice, in Padan Fain.» Un servitore in livrea nera e oro le porse, con un inchino e un’occhiata ansiosa a Agelmar, una bacinella azzurra e un vassoio d’argento con una brocca, una forma di sapone giallo e una salvietta. Moiraine gli indicò di lasciare tutto sul tavolo. «Ti chiedo scusa se ho dato ordini ai tuoi servitori, lord Agelmar» disse. «Mi sono presa la libertà di chiedere il necessario per lavarmi le mani.»

Agelmar annuì al servitore, che depose tutto sul tavolo e uscì in fretta. «I miei servitori sono ai tuoi ordini, Aes Sedai.»

L’acqua che Moiraine versò nella bacinella fumava come se fosse bollente. L’Aes Sedai si rimboccò le maniche e si lavò vigorosamente le mani, senza badare alla temperatura dell’acqua. «Ho detto che era peggio che abbietto, ma non ci sono andata nemmeno vicino. Non credo di avere mai incontrato qualcuno così depravato e nello stesso tempo così lurido. Mi sento sporca per averlo toccato, e non mi riferisco alla sporcizia della pelle. Sporca qui dentro.» Si toccò il petto. «La degradazione della sua anima mi fa quasi dubitare che ne abbia una. È peggiore degli Amici delle Tenebre.»

«Aveva un’aria così pietosa» mormorò Egwene. «Ricordo che ogni primavera arrivava a Emond’s Field, sempre sorridente e informatissimo sulle novità dell’esterno. Non c’è davvero speranza, per lui?» E citò: “Nessuno sta nell’Ombra tanto a lungo da non poter ritrovare la Luce".

Moiraine si asciugò le mani. «L’ho sempre creduto anch’io» rispose. «Forse Padan Fain potrà redimersi. Ma è stato Amico delle Tenebre per più di quaranta anni. Udire quel che ha fatto in questo periodo, in sangue e sofferenza e morte, vi gelerebbe il cuore. Fra l’altro, sospetto, ha portato i Trolloc a Emond’s Field.»

«Sì» disse piano Rand. Udì l’ansito di sorpresa di Egwene. “Dovevo sospettarlo” si rimproverò. “Maledizione, dovevo sospettarlo appena l’ho riconosciuto."

«Ne ha portati anche qui?» domandò Mat. Guardò le pareti di pietra e rabbrividì. Rand pensò che ricordasse il Myrddraal, non tanto i Trolloc: le pareti non avevano fermato i Myrddraal, né a Baerlon né a Whitebridge.

«Se li ha portati» rise Agelmar «si spezzeranno i denti contro le mura di Fal Dara. Come molti altri prima di loro.» Parlava a tutti, ma chiaramente si rivolgeva a Egwene e a Nynaeve, a giudicare dall’occhiata. «E non preoccupatevi nemmeno dei Mezzi Uomini» soggiunse. Mat arrossì. «Di notte ogni via e ogni vicolo di Fal Dara sono illuminati. E dentro le mura nessuno nasconde il viso.»

«Perché mastro Fain ha fatto una cosa del genere?» domandò Egwene.

«Tre anni fa...» Con un sospiro, Moiraine si accomodò e incrociò le braccia, come se la seduta con Fain l’avesse prosciugata di ogni energia. «Tre anni, quest’estate. Così lontano. La Luce di certo ci favorisce, altrimenti il Padre delle Menzogne avrebbe trionfato, mentre a Tar Valon io continuavo a fare piani. Da tre anni Fain vi cerca per conto del Tenebroso.»

«Che pazzia!» esclamò Rand. «Ogni primavera è venuto a Emond’s Field, con la regolarità delle stagioni. Tre anni? Eravamo proprio lì davanti a lui, ma non ci ha mai rivolto una seconda occhiata, prima dell’anno scorso.»

Moiraine puntò il dito su di lui, fissandolo. «Fain mi ha rivelato ogni cosa, Rand. O quasi. Ritengo che sia riuscito a nascondermi qualche informazione, anche importante, nonostante i miei sforzi; ma ha rivelato abbastanza. Tre anni fa, un Mezzo Uomo andò a cercarlo, in una città del Murandy. Fain era atterrito, naturalmente, ma fra gli Amici delle Tenebre è considerato un grande onore, essere convocati. Fain credette d’essere stato scelto per grandi imprese, ed è vero, ma non nel modo che credeva lui. Fu condotto su nella Macchia, nelle Terre Inaridite. A Shayol Ghul. Lì incontrò un uomo con occhi di fuoco, che disse di chiamarsi Ba’alzamon.»

Mat si agitò a disagio e Rand deglutì con forza. Non poteva essere andata diversamente, certo, ma era difficile da accettare lo stesso. Solo Perrin guardò l’Aes Sedai come se niente più lo sorprendesse.

«La Luce ci protegga!» esclamò con fervore Agelmar.

«A Fain non piacque quel che gli fecero a Shayol Ghul» continuò con calma Moiraine. «Mentre parlavamo, ha gridato spesso di fuoco e di bruciature. Quasi l’ha ucciso, strappargli tutto da dove lo teneva nascosto. Anche col mio talento di Guaritrice, è un uomo distrutto. Occorrerà molto tempo prima che si riprenda. Ma farò il tentativo, non foss’altro per scoprire che cosa nasconde ancora. È stato scelto per la zona in cui esercitava il commercio. No» aggiunse in fretta, vendendoli agitati «non solo i Fiumi Gemelli, a quel tempo almeno. Il Padre delle Menzogne sapeva grosso modo dove trovare chi cercava, ma non meglio di noi a Tar Valon.

«Fain ha detto che l’aveva fatto diventare il suo cane da caccia e in un certo senso ha ragione. Il Padre delle Menzogne ha sguinzagliato Fain, ma prima l’ha cambiato perché potesse portare a termine la caccia. Sono le cose fatte per modificarlo, quelle che Fain teme di ricordare: odia il suo padrone per questo, tanto quanto lo teme. Così Fain fu mandato ad annusare i villaggi intorno a Baerlon, fino alle Montagne di Nebbia e giù fino al Taren e ai Fiumi Gemelli.»

«Tre primavere fa?» disse lentamente Perrin. «Quell’anno Fain arrivò più tardi del solito, ma si trattenne un’intera settimana, brontolando per la spesa di una stanza alla Fonte di Vino. Fain non si stacca volentieri dai suoi quattrini.»

«Adesso ricordo» disse Mat. «Tutti si domandavano se stesse male o se si fosse innamorato di una donna del posto. Ma nessuna avrebbe maritato un venditore ambulante, è chiaro. E nemmeno un Girovago.» Egwene gli rivolse un’occhiataccia e Mat chiuse la bocca.

«Dopo, Fain fu portato di nuovo a Shayol Ghul e gli fu... distillata la mente.» Rand si sentì torcere le viscere, al tono di voce dell’Aes Sedai: era più significativo della smorfia che per un attimo le attraversò il viso. «Quel che lui aveva... percepito... fu concentrato e inserito di nuovo nella sua mente. Quando tornò nei Fiumi Gemelli, l’anno seguente, era in grado di scegliere con chiarezza maggiore i bersagli. In realtà, più chiaramente di quanto lo stesso Tenebroso si aspettasse. Fain sapeva con certezza che colui che cercava era uno di tre ragazzi di Emond’s Field.»

Perrin borbottò qualcosa e Mat iniziò una sfilza d’imprecazioni sottovoce e non si fermò neppure all’occhiata di Nynaeve. Agelmar guardò con curiosità i tre ragazzi. Rand provò soltanto un leggerissimo brivido e se ne meravigliò. Per tre anni il Tenebroso l’aveva cercato... li aveva cercati. C’era di che battere i denti.

Moiraine non si lasciò interrompere da Mat. Alzò la voce quanto bastava a farsi udire. «Quando Fain tornò a Lugard, Ba’alzamon gli si presentò in sogno. Fain si umiliò, compì riti innominabili e si legò più strettamente al Tenebroso. A volte ciò che si fa in sogno è più pericoloso di ciò che si fa da svegli. Gli furono promesse grandi ricompense, potere sui regni dopo la vittoria di Ba’alzamon, e gli fu detto che, tornando a Emond’s Field, avrebbe dovuto segnare i tre da lui scoperti. Lì un Mezzo Uomo, con un drappello di Trolloc, sarebbe stato in attesa. Ora sappiamo come i Trolloc giunsero nei Fiumi Gemelli. Senza dubbio a Manetheren un tempo c’erano un boschetto Ogier e una Porta.»

«Il più bello di tutti, dopo quello di Tar Valon» disse Loial. «Gli Ogier ricordano con affezione Manetheren.»

«Lord Agelmar» disse Moiraine «ti indicherò come trovare la Porta di Mafal Dadaranell. Bisogna chiuderla con un muro, sorvegliarla, impedire a chiunque d’avvicinarsi. I Mezzi Uomini non hanno ancora scoperto tutte le Vie, ma questa Porta si trova solo a qualche ora di viaggio da Fal Dara, verso meridione.»

Agelmar si scosse, come se uscisse da un sogno. «A meridione? Santa Pace! Non ne abbiamo bisogno, che la Luce ci illumini. Sarà fatto.»

«Fain ci ha seguito nelle Vie?» domandò Perrin. «Non può essere altrimenti.»

Moiraine annuì. «Fain seguirebbe voi tre fin nella tomba, perché è obbligato. Quando il Myrddraal fallì a Emond’s Field, portò Fain e i Trolloc sulla vostra pista. Il Fade non permise a Fain di cavalcare con lui: anche se Fain pensava che a lui toccasse il miglior cavallo dei Fiumi Gemelli per cavalcare alla testa di quella banda, il Myrddraal lo costrinse a correre con i Trolloc, e obbligò i Trolloc a portarlo di peso, quando non ce la faceva. I Trolloc parlavano in modo che Fain li capisse e discutevano sul sistema migliore di cucinarlo, quando sarebbe venuta meno la sua utilità. Fain sostiene d’essersi rivoltato al Tenebroso ancora prima di giungere al Taren. Ma a volte dalle sue parole trapela ancora la cupidigia per le ricompense promesse.

«Quando sfuggimmo alla loro caccia attraversando il Taren, il Myrddraal riportò i Trolloc alla Porta più vicina, nelle Montagne di Nebbia, e mandò Fain a traversare il fiume da solo. Allora Fain pensò d’essere libero, ma prima d’arrivare a Baerlon, fu trovato da un altro Fade, che non si mostrò altrettanto gentile. Di notte lo costringeva a dormire, piegato in due, in un pentolone dei Trolloc, per ricordargli cosa gli sarebbe accaduto in caso di fallimento. Questo Fade si servì di Fain fino a Shadar Logoth; a quel punto Fain avrebbe dato al Myrddraal la propria madre, pur d’essere libero; ma il Tenebroso non cede mai volentieri ciò di cui è padrone.

«La falsa pista verso le montagne, che creai a Shadar Logoth, ingannò i Myrddraal ma non Fain. I Mezzi Uomini non gli credettero; in seguito, se lo portarono dietro legato a un guinzaglio. Solo quando parve che noi restassimo sempre un poco più avanti, per quanti sforzi facessero per raggiungerci, cominciarono a dargli un certo credito. Quelli furono i quattro che tornarono a Shadar Logoth. Fain sostiene che fu Ba’alzamon in persona a spingere i Myrddraal.»

Agelmar scosse con disprezzo la testa. «Il Tenebroso? Bah! Quell’uomo è bugiardo o pazzo. Se Heartsbane fosse in libertà, a quest’ora saremmo tutti morti, o peggio.»

«Fain ha detto quella che riteneva la verità» disse Moiraine. «Non poteva mentire a me, anche se ha tenuto nascoste molte cose. Ecco le sue parole: “Ba’alzamon comparve come guizzante fiamma di candela, svanì e ricomparve, mai due volte nel medesimo posto. I suoi occhi bruciarono i Myrddraal e i fuochi della sua bocca ci scottarono".»

«Qualcosa» intervenne Lan «ha davvero spinto quattro Fade in un luogo che li atterriva... un luogo che temono quasi quanto la collera del Tenebroso.»

Agelmar grugnì come se avesse ricevuto un calcio; parve in preda alla nausea.

«Fu uno scontro fra due aspetti del male, nelle rovine di Shadar Logoth» proseguì Moiraine. «Nel parlarne, Fain batteva i denti e piagnucolava. Molti Trolloc perirono, consumati da Mashadar e da altre creature, e con loro anche il Fade che reggeva il guinzaglio di Fain. E Fain fuggì dalla città, come se fosse il Pozzo del Destino a Shayol Ghul.

«Pensò d’essere finalmente libero. Voleva scappare finché Ba’alzamon non potesse più trovarlo, ai confini della terra, se necessario. Potete immaginare il suo orrore, quando scoprì che la spinta a darvi la caccia non diminuiva, anzi diventava ogni giorno più forte. Non poteva mangiare, se non quel che trovava mentre v’inseguiva... scarafaggi e lucertole afferrati senza smettere di correre, rifiuti mezzi marci presi dai letamai nel cuore della notte... e non poteva fermarsi finché lo sfinimento non lo faceva crollare come un sacco vuoto. E appena aveva di nuovo la forza di reggersi in piedi, era spinto a cercarvi. Quando arrivò a Caemlyn, riusciva a percepire la preda anche a distanza d’un miglio. Anche qui, nelle celle sotterranee, a volte alzava lo sguardo senza rendersi conto di quel che faceva: guardava in direzione di questa stanza.»

Rand sentì fra le scapole un prurito improvviso, come se Fain lo osservasse anche attraverso la pietra. L’Aes Sedai notò il suo senso di disagio, ma continuò, implacabile.

«Se, raggiunta Caemlyn, Fain era già mezzo matto, peggiorò rendendosi conto che in città c’erano soltanto due dei tre che cercava. Era costretto a trovarvi tutti, ma poteva soltanto seguire i due già rintracciati. Si mise a urlare, quando a Caemlyn si aprì la Porta. Ma conosceva il modo di aprirla, come se gliel’avessero inciso nella mente: le sue mani si mossero da sole e bruciarono dei fuochi di Ba’alzamon, quando cercò di fermarle. Il padrone della bottega scese a scoprire la causa del trambusto e Fain lo uccise. Non perché vi fosse costretto, ma per invidia che l’uomo potesse uscire liberamente dalla cantina mentre lui era costretto inesorabilmente a imboccare le Vie.»

«Allora era Fain, quello che ci seguiva» disse Egwene. Lan annuì. «Com’è sfuggito al... al Vento Nero?» La voce le tremò. «Era proprio dietro di noi, alla Porta.»

«Gli è sfuggito e non gli è sfuggito» disse Moiraine. «Il Vento Nero lo raggiunse... e Fain sostiene d’avere capito le voci. Alcune lo salutarono come loro simile, altre ebbero paura di lui. E quando lo avvolse, il Vento Nero si affrettò a lasciarlo.»

«La Luce ci protegga» mormorò Loial.

«Prega che sia così» disse Moiraine. «Ancora molto, di Padan Fain, è nascosto; e devo scoprirlo. Il male in lui è più profondo e più forte che in qualsiasi persona abbia mai visto. Può darsi che il Tenebroso, facendo a Fain quel che ha fatto, abbia impresso in lui una parte di sé, e forse anche, senza saperlo, una parte del proprio intento. Quando ho accennato all’Occhio del Mondo, Fain ha chiuso bocca, ma dietro quel silenzio ho intuito una certa conoscenza. Se solo avessi il tempo! Invece non possiamo aspettare.»

«Se quest’uomo sa qualcosa» disse Agelmar «lo costringerò a rivelarlo.» In viso non mostrava compassione per gli Amici delle Tenebre e il tono non prometteva pietà per Fain. «Se puoi apprendere anche una piccola parte di quel che affronterai nella Macchia, vale la pena perdere ancora un giorno. Molte battaglie sono state perdute perché non si conoscevano le intenzioni del nemico.»

Moiraine sospirò e scosse tristemente la testa. «Milord, se non avessimo bisogno di almeno una notte di sonno prima d’affrontare la Macchia, partirei subito, anche a rischio d’incontrare nel buio un drappello di Trolloc. Considera che cosa ho appreso da Fain. Tre anni fa il Tenebroso è stato obbligato a farlo portare a Shayol Ghul per toccarlo, nonostante fosse un Amico delle Tenebre fino al midollo. Un anno fa poteva comandarlo attraverso i sogni. Quest’anno Ba’alzamon entra nei sogni di chi cammina nella Luce e compare realmente, pur con difficoltà, a Shadar Logoth. Non di persona, certo; ma anche una proiezione della mente del Tenebroso, anche una proiezione che tremola e non resiste a lungo, è molto più pericolosa di tutte le orde Trolloc messe insieme. A Shayol Ghul i sigilli s’indeboliscono disperatamente, lord Agelmar. Non c’è tempo.»

Agelmar chinò la testa, accettando la decisione, ma conservò un’espressione ostinata. «Aes Sedai, posso accettare che, quando guiderò le lance al passo di Tarwin, saremo solo una diversione o una scaramuccia ai margini della battaglia vera. Il dovere chiama gli uomini con la stessa certezza del Disegno e nessuno dei due promette che le nostre azioni siano importanti. Ma, anche in caso di vittoria, la nostra scaramuccia sarà inutile, se tu perderai la battaglia. Quando dici che il tuo gruppo dev’essere piccolo, mi sta bene; ma ti prego di fare ogni sforzo per garantirti la possibilità di vincere. Lascia qui questi tre ragazzi, Aes Sedai. Ti troverò tre uomini esperti, senza pensieri di gloria per la testa, per sostituirli: bravi spadaccini che nella Macchia sono di casa quasi quanto Lan. Consentimi di cavalcare al passo di Tarwin con la convinzione d’avere fatto il possibile per aiutarti nella vittoria.»

«Devo portare loro tre e non altri, lord Agelmar» disse Moiraine, con gentilezza. «Saranno loro a combattere la battaglia all’Occhio del Mondo.»

Agelmar, a bocca aperta, fissò Rand e Mat e Perrin. All’improvviso arretrò d’un passo, cercando inconsciamente d’impugnare la spada che non portava mai dentro la fortezza. «Loro non sono... Tu non sei dell’Ajah Rossa, Moiraine Sedai, ma certo nemmeno tu faresti...» Goccioline di sudore gli luccicarono sul cranio rasato.

«Loro sono ta’veren» disse Moiraine, cercando di tranquillizzarlo. «Il Disegno s’intesse intorno a loro. Più d’una volta il Tenebroso ha tentato di ucciderli. Tre ta’veren nello stesso luogo sono sufficienti a cambiare la vita intorno a loro, con la stessa certezza con cui un mulinello cambia il percorso di una pagliuzza. Quando il luogo è l’Occhio del Mondo, il Disegno può intessere in sé perfino il Padre delle Menzogne e renderlo di nuovo inoffensivo.»

Agelmar smise di cercare la spada, ma continuò a guardare Rand e gli altri due, con aria dubbiosa. «Moiraine Sedai, se lo dici tu, ti credo, ma non capisco. Ragazzi di campagna. Sei sicura, Aes Sedai?»

«Il sangue antico» disse Moiraine «si separò, come un fiume, in mille volte mille rivoli; ma a volte i rivoli si riuniscono per formare di nuovo un fiume. L’antico sangue di Manetheren è forte e puro in quasi tutti questi giovanotti. Puoi dubitare del sangue di Manetheren, lord Agelmar?»

Rand guardò di scancio l’Aes Sedai. Quasi tutti. Rischiò un’occhiata a Nynaeve, che si era girata per guardare oltre che ascoltare. La Sapiente scosse la testa: non aveva rivelato all’Aes Sedai che Rand non era originario dei Fiumi Gemelli. Che cosa sapeva, Moiraine?

«Manetheren» disse Agelmar, annuendo. «Non ho dubbi, su quel sangue.» Poi, più vivacemente: «La Ruota porta tempi bizzarri. Ragazzi di campagna portano nella Macchia l’onore di Manetheren; eppure, se un sangue può vibrare al Tenebroso un colpo mortale, questo è proprio il sangue di Manetheren. Sarà fatto come vuoi, Aes Sedai.»

«Allora permettici di ritirarci nelle nostre stanze» disse Moiraine. «Dobbiamo alzarci col sole, perché il tempo vola. I tre ragazzi devono dormire accanto a me. Manca troppo poco alla battaglia, per consentire al Tenebroso di vibrare un altro colpo. Troppo poco.»

Rand sentì su di sé lo sguardo dell’Aes Sedai, che esaminava lui e gli altri due, soppesandone la forza. Rabbrividì. Troppo poco.

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