Tornato alla locanda, Rand si lasciò andare contro lo stipite della porta principale, ansimando. Aveva corso per tutta la strada, senza curarsi se qualcuno vedeva che portava il rosso né se considerava la corsa una scusa per inseguirlo. Nemmeno un Fade, si disse, l’avrebbe raggiunto.
Lamgwin sedeva su di una panca accanto alla porta e teneva in braccio un gatto pezzato. Senza smettere di accarezzarlo, si alzò a guardare se c’erano guai dalla parte da cui Rand era giunto. Non vide niente d’insolito, per cui tornò a sedersi, attento a non disturbare l’animale. «Alcuni pazzi hanno cercato di rubare qualche gatto, poco fa» disse. Si esaminò le nocche. «Valgono dei bei quattrini, al giorno d’oggi.»
I due uomini con la coccarda bianca erano ancora fermi dall’altra parte della via: uno, con un occhio nero e un livido alla mascella, sorvegliava con aria torva la locanda e lisciava con desiderio l’elsa della spada.
«Dov’è mastro Gill?» domandò Rand.
«Nella sala di lettura» rispose Lamgwin. Il gatto si mise a fare le fusa e lui sorrise. «Niente innervosisce a lungo un gatto, nemmeno il tentativo di metterlo in un sacco,»
Rand entrò in fretta dalla sala comune, ora con il solito complemento di uomini che portavano il rosso e chiacchieravano davanti a boccali di birra. Parlavano del falso Drago e della possibilità che i Manti Bianchi causassero guai, mentre veniva trasferito a Tar Valon. Nessuno si preoccupava della sorte di Logain, ma tutti sapevano che l’Erede e lord Gawyn avrebbero fatto il viaggio con lui e nessuno, nella locanda, accettava che corressero pericoli.
Nella sala di lettura, mastro Gill e Loial giocavano alle pietre. Una grassa gatta soriana, accovacciata sul tavolino, guardava le mani muoversi sopra il tavoliere quadrettato.
L’Ogier sistemò un’altra pietra, con tocco assai delicato per quelle dita così grosse. Scuotendo la testa, mastro Gill trovò la scusa dell’arrivo di Rand per interrompere il gioco. Loial vinceva quasi sempre. «Cominciavo a preoccuparmi per te, ragazzo» disse Gill. «Pensavo che avessi avuto guai con quei traditori dalla coccarda bianca o che ti fossi imbattuto in quel mendicante.»
Per un attimo Rand rimase a bocca aperta: si era dimenticato dello straccione. «L’ho visto» disse infine. «Ma questo è niente. Ho visto anche la Regina, e Elaida. Ecco il guaio.»
Mastro Gill sbuffò ironicamente. «La Regina, eh? Non mi dire. Un’ora fa, nella sala comune, Gareth Bryne se la vedeva con il lord comandante dei Figli, ma la Regina, via... è incredibile.»
«Sangue e ceneri» ringhiò Rand. «Oggi tutti pensano che racconti menzogne.» Gettò il mantello sullo schienale di una poltrona e si lasciò cadere in un’altra. Appollaiato sul bordo, col fazzoletto si asciugò la faccia. «Ho visto il mendicante e lui ha visto me. Ho pensato... Questo non ha importanza. Mi sono arrampicato sul muro di un giardino, da dove si vedeva la piazza davanti al Palazzo in cui hanno portato Logain. E sono caduto nel giardino.»
«Quasi quasi ti credo» disse il locandiere.
«Ta’veren» mormorò Loial.
«Oh, santa Luce, m’è capitato davvero» disse Rand.
A poco a poco, mentre Rand proseguiva il racconto, lo scetticismo di mastro Gill scomparve e si mutò in allarme. Il locandiere continuò a sporgersi, fino a essere appollaiato sull’orlo della poltrona, proprio come Rand. Loial ascoltò, impassibile, ma di tanto in tanto si grattava il naso e agitava le orecchie.
Rand raccontò tutto, a parte le parole che Elaida gli aveva mormorato. E il commento di Gawyn, davanti alle porte del Palazzo. Al primo non voleva nemmeno pensare; il secondo riguardava una faccenda personale. “Sono il figlio di Tam al’Thor” si ripeté “anche se non sono nato nei Fiumi Gemelli. Ho il sangue di quel popolo e Tam è mio padre!"
A un tratto s’accorse d’essere rimasto in silenzio, perso nei suoi pensieri: gli altri due lo fissavano. Per un attimo, sconvolto, si domandò se non avesse detto troppo.
«Be’, adesso non puoi più aspettare i tuoi amici» disse mastro Gill. «Devi lasciare la città, e in fretta. Due giorni al massimo. Ti bastano per rimettere in piedi Mat o devo chiamare Mamma Grubb?»
Rand lo guardò, perplesso. «Due giorni?»
«Elaida è consigliere della regina Morgase, stimata quasi quanto lo stesso Gareth Bryne. Forse di più. Se ordina alle guardie di cercarti... e lord Gareth non la fermerà, a meno che la ricerca non interferisca con altri loro incarichi... be’, occorrono due giorni per controllare tutte le locande di Caemlyn. Se la malasorte non li porta qui il primo giorno. Forse avremo un po’ più di tempo, se iniziano dalla Corona e Leone, ma non tanto da scialare.»
«Se non riesco a togliere Mat da quel letto, chiama Mamma Grubb. Mi resta qualche soldo. Forse basterà.»
«A Mamma Grubb penserò io» rispose il locandiere, burbero. «E vi presterò un paio di cavalli. Se andate a piedi a Tar Valon, prima di metà strada avrete consumato quel poco che vi resta degli stivali.»
«Sei un amico» disse Rand. «Ti abbiamo procurato solo disturbi, eppure sei disposto ad aiutarci. Un buon amico.»
Mastro Gill parve imbarazzato. Scrollò le spalle, si schiarì la voce, abbassò lo sguardo. Così vide di nuovo il tavoliere col gioco delle pietre e si affrettò a distogliere gli occhi. Loial era in chiaro vantaggio, nella partita. «Sì, be’, Thom è sempre stato mio amico. Se ha creduto di aiutarvi, posso farlo anch’io.»
«Rand, mi piacerebbe venire con voi» disse a un tratto Loial.
«Ne abbiamo già discusso» replicò Rand. Esitò, perché mastro Gill non conosceva ancora la reale portata del pericolo, e soggiunse: «Sai benissimo che cosa è in attesa di Mat e me, che cosa ci dà la caccia.»
«Amici delle Tenebre» disse l’Ogier, con un placido brontolio «e Aes Sedai e la Luce sa che altro. O il Tenebroso. Voi due andate a Tar Valon e lì c’è un magnifico boschetto, di cui le Aes Sedai si prendono molta cura, a quanto ho sentito. E poi, nel mondo non ci sono da vedere solo i boschetti. Tu sei davvero ta’veren, Rand. Il Disegno s’intreccia intorno a te e tu ne sei al centro.»
Una frase quasi identica a quella di Elaida. Rand sentì un brivido. «Non sto al centro di niente» replicò, brusco.
Mastro Gill parve sorpreso e perfino Loial parve preso alla sprovvista dal tono duro. Il locandiere e l’Ogier si scambiarono un’occhiata e poi fissarono il pavimento. Rand si costrinse a calmarsi, inspirando a fondo. Una volta tanto trovò il vuoto che ultimamente gli era spesso sfuggito, e la calma. Quei due non meritavano un simile trattamento.
«Vieni pure con noi, Loial» disse. «Non so perché ci tieni tanto, ma ti sarò grato della compagnia. Sai... sai com’è Mat.»
«Capisco» disse Loial. «Ancora non posso uscire in strada senza che la gente gridi “Al Trolloc!" Mat, almeno, usa solo parole. Non ha cercato di uccidermi.»
«No, certo. Mat no.»
Bussarono alla porta; una cameriera, Gilda, sporse la testa, con aria preoccupata. «Mastro Gill, vieni, presto. Ci sono Manti Bianchi, nella sala comune.»
Mastro Gill imprecò e balzò in piedi; il gatto, spaventato, saltò giù dal tavolo e uscì dalla stanza, a coda ritta, offeso. «Arrivo subito. Corri a dire che sto arrivando, poi gira alla larga. Capito, ragazza? Stai lontano da loro.» Gilda annuì e scomparve. «Tu resta qui, è meglio» aggiunse il locandiere, rivolto a Loial.
L’Ogier sbuffò. «Non ho alcun desiderio di altri incontri con i Figli della Luce.»
Lo sguardo di mastro Gill cadde sul tavoliere con le pietre. Il locandiere parve riprendere un poco il buonumore. «Sembra proprio che dovremo ricominciare la partita più tardi» disse.
«Non occorre.» Loial tese il braccio e prese un libro dallo scaffale. «La continueremo da dove ci siamo interrotti. La mossa spetta a te.»
Mastro Gill fece una smorfia. «Se non è una cosa, è l’altra» brontolò, uscendo in fretta dalla stanza.
Rand lo seguì, ma più lentamente. Nemmeno lui desiderava trovarsi immischiato con i Figli della Luce. Si fermò alla porta,della sala comune, da dove poteva vedere che cosa accadeva, senza che nessuno lo notasse.
Nella stanza c’era il massimo silenzio. Al centro c’erano cinque Manti Bianchi, ignorati con cura dagli avventori seduti ai tavoli. Sul petto del mantello uno dei cinque aveva, sotto il sole raggiante, il fulmine d’argento, simbolo dei sottufficiali. Lamgwin, stravaccato contro la parete accanto alla porta d’ingresso, era intento a pulirsi le unghie, con una scheggia di legno. Altre quattro guardie assoldate da mastro Gill erano disposte a intervalli nella stanza, e tutte si industriavano di non badare ai Manti Bianchi. Se i Figli della Luce se ne accorsero, non lo diedero a vedere. Solo il sottufficiale dava segni d’impazienza: tamburellava sul palmo il guanto dal dorso di ferro.
Mastro Gill si diresse rapidamente verso di lui. «La Luce t’illumini» disse, con un attento inchino, non troppo profondo, ma non tanto lieve da essere insultante. «E illumini la nostra buona regina Morgase. In che cosa posso aiutarti?»
«Non ho tempo per le chiacchiere, locandiere» replicò, brusco, il sottufficiale. «Oggi sono già stato in venti locande, ciascuna peggiore della precedente, e dovrò guardarne altre venti, prima che il sole tramonti. Cerco Amici delle Tenebre, un ragazzo dei Fiumi Gemelli...»
A ogni parola, il viso di mastro Gill divenne sempre più scuro. Il locandiere si gonfiò come se volesse esplodere e alla fine non si trattenne più. «Non ci sono Amici delle Tenebre, nella mia locanda!» esclamò, interrompendo a sua volta il Manto Bianco. «Qui sono tutti buoni sudditi della Regina!»
«Sì, e sappiamo tutti da quale parte sta Morgase» replicò il sottufficiale, con un ringhio che distorse il nome della Regina «e la sua strega di Tar Valon, eh?»
Il rumore di sedie sfregate per terra fu forte. All’improvviso ogni uomo nella sala comune fu in piedi. Tutti rimasero immobili come statue, ma ciascuno fissava con aria torva i Manti Bianchi. Il sottufficiale parve non accorgersene, ma i quattro alle sue spalle si guardarono intorno, a disagio.
«Sarà meglio se collabori, locandiere» disse il sottufficiale. «Chi ospita Amici delle Tenebre non è visto di buon occhio. Una locanda con la Zanna del Drago sulla porta non attira molti clienti. Forse rischierebbe anche un incendio.»
«Esci subito di qui» disse Mastro Gill, in tono calmo «o mando a chiamare le Guardie della Regina perché portino nei letamai quel che resta di voi cinque.»
La spada di Lamgwin frusciò e il rumore di acciaio contro cuoio si ripeté per tutta la stanza, mentre ciascuno snudava spada o pugnale. Le cameriere si affrettarono a uscire.
Il sottufficiale si guardò intorno, sprezzante e incredulo. «La Zanna del Drago...»
«Non aiuterà voi cinque» terminò mastro Gill. Sollevò il pugno e tese l’indice. «Uno.»
«Sei pazzo, locandiere, a minacciare i Figli della Luce.»
«I Manti Bianchi non hanno diritti, a Caemlyn. Due.»
«Credi davvero che finirà qui?»
«Tre.»
«Torneremo» sbottò il sottufficiale. Ordinò in fretta ai suoi uomini di fare dietro-front, per fingere d’uscire in bell’ordine e nel momento da lui scelto. In questo fu ostacolato dall’ansia con cui gli uomini si diressero alla porta: non di corsa, ma senza nascondere che preferivano essere fuori.
Lamgwin bloccava la porta, con la spada sguainata, e si scostò solo in risposta ai gesti di mastro Gill. Usciti i Manti Bianchi, il locandiere si lasciò cadere pesantemente su di una sedia. Si passò la mano sulla fronte, poi la fissò come sorpreso che non fosse bagnata di sudore. Gli uomini tornarono a sedersi, ridendo per quello che avevano appena fatto. Alcuni si avvicinarono a mastro Gill per dargli manate sulle spalle.
Quando vide Rand, il locandiere si alzò dalla sedia e gli si accostò. «Chi avrebbe mai detto che avevo in me la predisposizione all’eroe?» disse, meravigliato. «La Luce m’illumini!» A un tratto si scosse e riacquistò un tono di voce quasi normale. «Non devi farti vedere, finché non riesco a farvi uscire di città.» Diede un’attenta occhiata nella sala comune e spinse Rand nel corridoio. «Quel gruppetto tornerà, oppure arriveranno delle spie che per l’occasione porteranno il rosso. Dopo la mia piccola esibizione, non baderanno che ci siate o no: si comporteranno come se ci foste.»
«È una pazzia» protestò Rand. Al gesto del locandiere, abbassò la voce. «I Manti Bianchi non hanno motivo di cercarmi.»
«Non so niente, di motivi, ragazzo; ma non c’è dubbio che cercano te e Mat. Cos’hai combinato? Non solo Elaida, anche i Manti Bianchi!»
Rand alzò le mani in segno di protesta, ma le lasciò ricadere. La cosa non aveva senso, ma anche lui aveva udito le parole del Manto Bianco. «E tu?» disse. «I Manti Bianchi ti causeranno guai, anche se non ci troveranno.»
«Non pensarci, ragazzo. Le Guardie della Regina mantengono ancora le leggi, anche se dei traditori con coccarda bianca sono liberi di girare. E per stanotte... be’, Lamgwin e i suoi amici non dormiranno molto, ma ho quasi compassione per chi cercherà di fare un segno alla mia porta.»
Comparve Gilda, con una riverenza a mastro Gill. «Signore, c’è una... una lady. In cucina.» Parve scandalizzata. «Chiede di mastro Rand, signore, e di mastro Mat. Per nome.»
Rand scambiò col locandiere un’occhiata di perplessità.
«Ragazzo, se sei davvero riuscito a far scendere da Palazzo lady Elayne e a farla entrare nella mia locanda, finiremo davanti al boia» disse mastro Gill. Al nome dell’Erede, Gilda mandò uno strillo e lanciò a Rand un’occhiata piena di stupore. «Vai pure, ragazza» le disse il locandiere, brusco. «E tieni la bocca chiusa. Sono cose che riguardano solo noi.» Gilda chinò rispettosamente la testa e corse nel corridoio, lanciando occhiate a Rand, da sopra la spalla. «Entro cinque minuti» sospirò mastro Gill «avrà già raccontato alle altre ragazze che sei un principe in incognito. Prima di notte, tutta la Città Nuova ne sarà al corrente.»
«Mastro Gill» disse Rand «a Elayne non ho parlato di Mat. Non è possibile che...» All’improvviso s’illuminò e corse verso la cucina.
«Aspetta!» gli gridò dietro il locandiere. «Aspetta d’essere sicuro. Aspetta, sciocco!»
Rand spalancò la porta della cucina... ed erano lì. Moiraine lo guardò con serenità, senza sorpresa. Nynaeve e Egwene corsero ridendo ad abbracciarlo, seguite a ruota da Perrin, e gli diedero grandi manate sulle spalle, quasi per convincersi che fosse davvero lui. Nel vano della porta sul cortile della stalla, Lan, fermo con un piede contro lo stipite, divideva l’attenzione fra la cucina e la corte.
Rand cercò di abbracciare le due compaesane e di stringere la mano a Perrin, tutto in una volta, e ci fu un groviglio di braccia e di risate, complicato dal tentativo di Nynaeve di tastargli la fronte per sentire se aveva la febbre. I nuovi arrivati parevano in condizioni peggiori... Perrin aveva graffi sul viso e un modo del tutto nuovo di tenere bassi gli occhi... ma erano vivi, e si erano riuniti. Per il groppo in gola Rand non riusciva quasi a parlare. «Temevo che non vi avrei più rivisti» disse infine. «Temevo che foste tutti...»
«Sapevo che eri vivo» dichiarò Egwene, stringendosi al suo petto. «L’ho sempre saputo. Sempre.»
«Io no» disse Nynaeve. Il tono fu brusco, solo per quell’istante, ma si addolcì subito, accompagnato da un sorriso. «Sembri in buona forma, Rand. Non tanto grasso, ma in salute.»
«Be’» intervenne mastro Gill, dietro di loro «mi sa che conosci queste persone, dopo tutto. Sono gli amici che aspettavi?»
Rand annuì. «Sì, i miei amici.» Fece le presentazioni e provò un certo effetto, nel dire il vero nome di Lan e di Moiraine, che lo guardarono di storto.
Il locandiere salutò ciascuno con un aperto sorriso e fu giustamente impressionato dal Custode e soprattutto da Moiraine. La guardò con occhi sgranati: sapere che una Aes Sedai aiutava i ragazzi era un conto, ma vedersela comparire in cucina... Eseguì un profondo inchino. «Sei la benvenuta nella locanda, Aes Sedai, come mia ospite. Anche se immagino che andrai a Palazzo per stare con Elaida Sedai e le Aes Sedai giunte col falso Drago.» S’inchinò di nuovo e diede a Rand un’occhiata rapida e preoccupata. Era vero che non parlava male delle Aes Sedai, ma preferiva non averne una sotto il tetto.
Rand lo incoraggiò con un cenno e cercò di fargli capire che era tutto a posto. Moiraine non somigliava a Elaida, che dietro ogni sguardo, dietro ogni parola, celava una minaccia.
«Mi fermerò qui, per la brevissima permanenza a Caemlyn» disse Moiraine. «E dovrai accettare il pagamento.»
Un gatto screziato entrò dal vicolo e andò a strusciarsi contro le caviglie del locandiere. Subito un gatto grigio balzò da sotto il tavolo, inarcò la schiena e cominciò a soffiare. Quello screziato si acquattò, con un ringhio di minaccia; il grigio passò davanti a Lan e uscì nella corte.
Mastro Gill cominciò a scusarsi per i gatti e nello stesso tempo protestò che Moiraine gli rendeva onore a essere sua ospite e se proprio era sicura di non preferire il Palazzo, cosa che lui avrebbe capito, la pregava di accettare come omaggio la sua camera migliore. Fece una confusione alla quale Moiraine parve non badare. Invece l’Aes Sedai si chinò a grattare tra le orecchie il gatto a chiazze bianche e fulve.
«Qui ho già visto quattro gatti» disse. «Hai difficoltà con i topi? Con i ratti?»
«Ratti, Moiraine Sedai» sospirò il locandiere. «Sono un vero guaio. Eppure tengo pulito il locale. Ma c’è troppa folla. La città è piena di gente e di topi. Però a questi ultimi ci pensano i miei gatti. Non ti daranno alcun disturbo, te lo garantisco.»
Rand scambiò una fuggevole occhiata con Perrin, che si affrettò ad abbassare gli occhi. C’era qualcosa di bizzarro, negli occhi di Perrin: e il ragazzo era troppo silenzioso. In genere era di poche parole, ma ora non apriva proprio bocca. «Forse è colpa della folla» disse Rand.
«Col tuo permesso, mastro Gill» disse Moiraine, come se lo desse per scontato «c’è un sistema assai semplice per tenere i ratti lontano da questa via. Con un po’ di fortuna, non si accorgeranno nemmeno che qualcosa li tiene lontano.»
A quest’ultima frase mastro Gill corrugò la fronte, perplesso; ma fece un inchino per indicare che accettava l’offerta. «Sei sicura di non volere andare al Palazzo, Aes Sedai?» disse.
«Dov’è Mat?» intervenne all’improvviso Nynaeve. «Lei ha detto che era qui anche lui.»
«Di sopra» rispose Rand. «È... non si sente bene.»
Nynaeve sollevò la testa. «È ammalato? Lascerò i ratti a lei e mi occuperò di Mat. Portami subito da lui, Rand.»
«Salite tutti» disse Moiraine. «Vi raggiungerò fra qualche minuto. Non sta bene affollare la cucina di mastro Gill e sarebbe meglio avere un posto dove stare tranquilli per un poco.» Sotto sotto, nelle sue parole c’era un avvertimento: tenersi fuori vista, perché era ancora necessario nascondersi.
«Venite» disse Rand. «Saliremo dalla scala posteriore.»
I tre di Emond’s Field lo seguirono verso il retro e lasciarono l’Aes Sedai e il Custode in cucina con mastro Gill. Rand non stava nella pelle, perché erano di nuovo insieme. Gli pareva quasi d’essere tornato a casa. Non riusciva a smettere di sorridere.
Lo stesso sollievo, quasi gioioso, pareva colpire anche gli altri. Ridacchiavano tra sé, continuavano a stringergli il braccio. La voce di Perrin pareva mogia e lui teneva ancora la testa bassa, ma cominciò a parlare mentre salivano.
«Moiraine ha detto che poteva trovare te e Mat, e c’è riuscita. Quando siamo entrati in città, non la smettevamo di fissare a bocca aperta la gente, gli edifici, ogni cosa.» Scosse la testa, incredulo. «È tutto così grande! E c’è tanta di quella gente! Alcuni non smettevano di fissarci e gridavano: “Rosso o bianco?" come se avesse un significato.»
Egwene toccò la spada di Rand e la stoffa rossa che la copriva. «Cosa significa?»
«Niente d’importante. Partiamo per Tar Valon, l’hai scordato?»
Egwene gli scoccò un’occhiata, ma ritrasse la mano e continuò da dove Perrin si era interrotto. «Moiraine non guardava niente, come Lan, del resto. Ci ha guidati avanti e indietro per le vie, come un cane che fiuti l’usta. Quasi pensavo che tu non potessi essere qui. Poi, all’improvviso, ha lasciato la via, ha affidato i cavalli a un garzone di stalla ed è entrata in cucina. Non ha mai domandato se eravate qui. Si è limitata a dire a una donna che mescolava la pastella di riferire a Rand al’Thor e a Mat Cauthon che una persona voleva vederli. E sei comparso tu.» Sogghignò. «Come una palla che sbuca dal nulla nella mano d’un giocoliere.»
«Dov’è il menestrello?» domandò Perrin. «È con voi?»
Rand si sentì contrarre lo stomaco: il piacere di avere intorno gli amici si velò un poco. «Thom è morto. Penso che sia morto. C’era un Fade...» Non riuscì a dire altro. Nynaeve scosse la testa, borbottando sottovoce.
Il silenzio divenne pesante, soffocò le risatine, offuscò la gioia, finché non arrivarono al pianerottolo in cima alla scala.
«Mat non è realmente ammalato» disse allora Rand. «È... Be’, lo vedrete da soli.» Spalancò la porta. «Mat, guarda chi c’è!»
Mat, ancora rannicchiato nel letto come quando Rand era uscito, alzò la testa per fissare i nuovi arrivati. «Come fai a sapere che sono proprio coloro di cui hanno l’aspetto?» disse, con voce rauca. Era rosso in viso, con la pelle tirata e lucida di sudore. «Come faccio a sapere che sei quello che sembri?»
«E secondo te non è ammalato?» disse Nynaeve a Rand, con un’occhiata di rimprovero, togliendosi di spalla la sacca.
«Tutto cambia» gracchiò Mat. «Como posso essere sicuro? Perrin? Sei tu? Sei cambiato, vero?» La risata parve piuttosto un colpo di tosse. «Oh, sì, sei cambiato.»
Con sorpresa di Rand, Perrin si lasciò cadere sul bordo dell’altro letto, si prese fra le mani la testa e fissò per terra. La risata secca di Mat parve trapassarlo.
Nynaeve s’inginocchiò accanto a Mat e gli toccò il viso, spingendo via la fascia. Mat si ritrasse di scatto, con un’occhiata di disgusto. Aveva gli occhi lucidi. «Scotti» disse Nynaeve «ma non dovresti sudare così tanto.» Dal tono traspariva la preoccupazione. «Rand, tu e Perrin andate a prendere panni puliti e tutta l’acqua fredda che potete. Prima ti farò scendere la febbre, Mat, e poi..»
«La bella Nynaeve» sbottò Mat. «Una Sapiente non dovrebbe pensare a se stessa come a una donna, no? Non una donna bella. Ma tu sì, vero? Ora. Non riesci a dimenticare che sei una bella donna, e questo ti spaventa. Tutti cambiano.» Nynaeve impallidì, forse di collera. Mat rise furbescamente e posò su Egwene lo sguardo febbricitante. «Bella Egwene» gracchiò. «Bella come Nynaeve. E con lei condividi altre cose, ora, vero? Altri sogni. Cosa sogni, ora?» Egwene arretrò d’un passo.
«Per il momento siamo al sicuro dagli occhi del Tenebroso» disse Moiraine, entrando con Lan alle calcagna. Posò lo sguardo su Mat e sibilò come se avesse toccato un fornello rovente. «State lontano da lui!»
Nynaeve non si mosse, ma si girò a fissare l’Aes Sedai, sorpresa. In due rapidi passi Moiraine afferrò per la spalla la Sapiente e la tirò via come un sacco di grano. Nynaeve si ribellò, ma Moiraine non la lasciò andare finché non fu lontano dal letto. La Sapiente si rimise in piedi e continuò a protestare, lisciandosi la veste; Moiraine non le badò e si limitò a fissare Mat come avrebbe guardato una vipera.
«State lontano da lui, tutti» disse. «E fate silenzio.»
Mat la fissò con pari intensità. Snudò i denti in un ringhio muto e si rannicchiò maggiormente, ma non la perdette mai di vista. Con gesti lenti, Moiraine gli posò la mano sul ginocchio stretto al petto. Al tocco, Mat fu scosso da una convulsione, un brivido di ripulsa che gli attraversò tutto il corpo; all’improvviso allungò la mano e col pugnale dall’elsa di rubino vibrò un fendente contro il viso di Moiraine.
Lan si mosse con la velocità del lampo: in un baleno fu accanto al letto e afferrò il polso di Mat, bloccandolo a mezz’aria. Mat rimase raggomitolato, cercò solo di muovere la mano armata per liberarla dalla stretta implacabile del Custode. Con lo sguardo ardente d’odio non abbandonò mai Moiraine.
Anche Moiraine non si mosse. Non trasalì per la vicinanza della lama, come non aveva reagito al tentativo di colpirla. «Come l’ha avuto?» domandò, con voce d’acciaio. «Vi ho chiesto se Mordeth vi aveva dato qualcosa e vi ho avvertiti. Avevate risposto di no.»
«Non gliel’ha dato Mordeth» rispose Rand. «Lui... Mat l’ha preso dalla stanza del tesoro.» Moiraine lo guardò, con occhi ardenti quasi quanto quelli di Mat. Rand quasi arretrò, prima che lei si rivolgesse di nuovo al letto. «L’ho scoperto solo dopo che ci siamo separati» disse. «Non ne sapevo niente.»
«Non sapevi.» Moiraine studiò Mat, ancora raggomitolato, ancora ringhiante, ancora impegnato a liberare la mano dalla stretta di Lan. «È sorprendente che siate andati così lontano, portando con voi quel pugnale. Ne ho percepito il male, quando ho guardato Mat: il tocco di Mashadar. Ma un Fade lo sentirebbe a miglia di distanza. Anche senza conoscerne la posizione precisa, ne avvertirebbe la vicinanza; e Mashadar attirerebbe il suo spirito, mentre le sue ossa ricorderebbero che questo stesso male inghiottì un esercito... Signori del Terrore, Fade, Trolloc e tutto il resto. Anche alcuni Amici delle Tenebre potrebbero percepirlo: quelli che hanno realmente ceduto la propria anima. Si porrebbero domande, nel sentirlo all’improvviso, come se l’aria stessa tutt’intorno formicolasse. Proverebbero la costrizione a cercarlo. Certo li ha attirati come il miele attira le mosche.»
«Abbiamo incontrato Amici delle Tenebre» disse Rand. «Più d’una volta. Ma siamo fuggiti. E un Fade, la notte prima di arrivare a Caemlyn; ma non ci ha visti.» Si schiarì la voce. «Corre voce che di notte ci siano strane creature, fuori della città. Forse sono Trolloc.»
«Oh, sono certamente Trolloc, pastore» disse Lan, ironico. «E dove ci sono Trolloc, ci sono Fade.» Sul dorso della mano i tendini risaltavano per lo sforzo di bloccare il polso di Mat, ma la voce era calma. «Hanno tentato di nascondere le tracce, ma per due giorni ho visto segni del loro passaggio. E ho udito contadini brontolare di creature nel buio. Chissà come, nei Fiumi Gemelli il Myrddraal è riuscito a colpire senza farsi scorgere; ma ogni giorno i Trolloc si avvicinano a chi può mandare soldati a dare loro la caccia. Anche così, pastore, non si fermeranno.»
«Ma siamo a Caemlyn» disse Egwene. «Non possono catturarci, finché...»
«Ne sei sicura?» la interruppe il Custode. «I Fade si radunano nelle campagne. Risulta evidente dalle tracce, se si sa cosa cercare. Ci sono già più Trolloc di quanti occorrano a sorvegliare tutte le uscite della città. Almeno dodici manipoli. Il motivo è uno solo: quando i Fade ne avranno radunato un numero sufficiente, entreranno in città per catturarvi. Forse questo assalto spingerà metà degli eserciti meridionali a marciare contro le Marche di Confine, ma l’evidenza proclama che loro sono disposti a correre il rischio. Siete sfuggiti per troppo tempo. Si direbbe, pastore, che hai portato a Caemlyn una nuova Guerra Trolloc.»
Egwene ansimò e Perrin scosse la testa, quasi a negare l’ipotesi. Rand si sentì assalire dalla nausea, all’idea di Trolloc nelle vie di Caemlyn. Tutte quelle persone, l’una alla gola dell’altra, senza il sospetto che la vera minaccia era in attesa di sciamare sopra le mura. Che cosa avrebbero fatto, quando avessero trovato all’improvviso in mezzo a loro Trolloc e Fade assassini? Vedeva le torri bruciare, le fiamme sbucare dalle cupole, i Trolloc saccheggiare la Città Interna; il Palazzo stesso incendiato; Elayne e Gawyn e Morgase... morti.
«Non ancora» disse Moiraine, con aria assente. Continuava a fissare Mat. «Se troviamo il modo di uscire da Caemlyn, i Mezzi Uomini lasceranno perdere la città. È solo questione di “se".»
«Sarebbe meglio se fossimo morti tutti» disse Perrin a un tratto e Rand trasalì nell’udire l’eco dei propri pensieri. Perrin sedeva sempre a occhi bassi e aveva nella voce un tono d’amarezza. «Dovunque andiamo, portiamo con noi dolore e sofferenza. Sarebbe meglio per tutti, se fossimo morti.»
Nynaeve si girò a guardarlo, con espressione per metà di collera e per metà di timore, ma Moiraine l’anticipò.
«Cosa credi di guadagnare, per te stesso e per chiunque altro, se muori?» disse, con voce calma eppure penetrante. «Se, come temo, il Signore della Tomba si è procurato libertà sufficiente a toccare il Disegno, ormai può raggiungerci da morti con maggiore facilità che da vivi. Da morto, non aiuterai nessuno, né la gente che ha aiutato te, né i tuoi amici e la tua famiglia. Già l’Ombra cade sul mondo e nessuno di voi può fermarla, da morto.»
Perrin alzò la testa a guardare Moiraine e Rand sobbalzò. Le iridi dell’amico erano più gialle che marrone. Con i capelli arruffati e lo sguardo intenso, aveva qualcosa... Rand non riuscì a stabilire che cosa.
Perrin parlò con una calma che diede alle parole più peso che se avesse urlato. «Non possiamo fermarla neppure da vivi, giusto?»
«Più tardi avrò tempo di discutere con te» disse Moiraine «ma il tuo amico ha bisogno di me adesso.» Si spostò di lato, in modo che tutti vedessero chiaramente Mat. Con gli occhi sempre pieni di rabbia, non si era mosso né aveva cambiato posizione. Era madido, aveva le labbra esangui atteggiate a un ringhio sempre uguale. Pareva riversare tutte le forze nel tentativo di colpire Moiraine, col pugnale che Lan bloccava. «O l’hai dimenticato?»
Perrin scrollò le spalle, imbarazzato, e allargò le braccia, senza fare parola.
«Cos’ha, Mat» domandò Egwene. E Nynaeve aggiunse: «È una malattia contagiosa? Posso ancora curarlo. In genere sono immune a qualsiasi malattia.»
«Oh, è contagiosa» disse Moiraine «e la tua... protezione non ti salverebbe.» Indicò il pugnale dall’elsa di rubino, badando bene a non sfiorarlo nemmeno. La lama vibrò, mentre Mat si sforzava di colpire l’Aes Sedai. «Proviene da Shadar Logoth. Non c’è sasso, in quella città, che non sia contaminato e pericoloso da portare fuori delle sue mura; e questo pugnale non è un semplice sasso. C’è in esso il male che uccise Shadar Logoth, e ora questo male è anche in Mat. Il sospetto e l’odio, così intensi che anche gli amici più intimi sono visti come nemici, si sono radicati profondamente in lui, tanto che alla fine avrà un solo pensiero fisso, quello di uccidere. Portando il pugnale fuori delle mura di Shadar Logoth, ha liberato questo seme del male dal legame che lo confinava laggiù. Forse il male è cresciuto e calato, perché lui in cuor suo ha combattuto contro quel che il contagio di Mashadar ha cercato di farlo diventare, ma ora lo scontro è quasi terminato e Mat è quasi sconfitto. Presto, se non ne resta vittima prima, diffonderà dovunque vada quel male, come una pestilenza. Un semplice graffio provocato da questa lama è sufficiente a infettare e distruggere: presto, allo stesso modo pochi minuti con Mat saranno altrettanto letali.»
Nynaeve era sbiancata. «Non puoi fare qualcosa?» mormorò.
«Me lo auguro» sospirò Moiraine. «Per il bene del mondo, spero di essere in tempo.» Frugò nella bisaccia appesa alla cintura e ne trasse un angreal avvolto in un panno di seta. «Lasciatemi sola. Restate insieme, dove nessuno vi veda, ma lasciatemi da sola. Farò per lui tutto il possibile.»