Pasto per dodici persone, al tavolo sotto l’albero illuminato da lanterne: carne di cervo e di cinghiale della foresta, trote del fiume lì vicino, manzo degli armenti al pascolo fra villa Ardis e la piattaforma di teletrasmissione, vino bianco e rosso dei vigneti di Ardis, granturco fresco, zucchine, insalata e piselli dell’orto e caviale faxato da chissà dove.
«Di chi è il compleanno e per quale Ventina?» chiese Daeman, mentre i servitori passavano cibi ai convitati intorno al lungo tavolo.
«Compio io gli anni, ma non la Ventina» rispose il bell’uomo dai capelli ricci, di nome Harman.
«Prego?» Daeman sorrise, senza capire. Prese un po’ di zucchine e passò la terrina alla donna al suo fianco.
«Harman celebra il compimento dei singoli anni» spiegò Ada, seduta a capotavola. Daeman si sentì eccitato dalla bellezza di Ada nell’abito di seta nera e marrone rossiccio.
Scosse la testa: ancora non capiva. Il compimento dei singoli anni non era preso nemmeno in considerazione, altro che festeggiato. «Allora stasera lei non celebra in realtà la Ventina» disse a Harman, facendo cenno al servitore, librato nei pressi, di riempirgli di vino il bicchiere.
«Ma celebro davvero il compleanno» replicò con un sorriso Harman. «Il novantanovesimo.»
Daeman impietrì, sconvolto. Si guardò rapidamente intorno, convinto che si trattasse di una sorta di scherzo tipico di quel gruppo di provinciali… senza dubbio, uno scherzo di cattivo gusto. Non si scherza sul proprio novantanovesimo compleanno. Con un pallido sorriso Daeman aspettò la battuta finale.
«Harman è sincero» disse invece Ada, in tono frivolo. Gli altri ospiti rimasero in silenzio. Nella foresta, uccelli notturni lanciavano richiami.
«Mi… mi spiace» riuscì a dire Daeman.
Harman scosse la testa. «Non vedo l’ora che cominci. Ho un mucchio di progetti.»
«L’anno scorso Harman ha percorso a piedi centocinquanta chilometri della Breccia atlantica» disse Hannah, l’amica di Ada, una donna di colore dai corti capelli neri.
Ora Daeman fu sicuro d’essere preso in giro. «Non si può percorrere a piedi la Breccia atlantica.»
«Ma io l’ho percorsa» replicò Harman, sgranocchiando i chicchi di una pannocchia. «Ho fatto solo una ricognizione. Come ha detto Hannah, più di centocinquanta chilometri verso l’interno e ritorno alla costa del Nord America. Non era certo difficile.»
Daeman sorrise di nuovo per mostrare d’essere uomo di spirito. «Ma come ha raggiunto la Breccia atlantica, Harman Uhr? Non ci sono nodi fax nelle vicinanze.» Non aveva idea di dove si trovasse la Breccia atlantica, non sapeva che cosa fosse il Nord America, non era affatto sicuro della posizione dell’oceano Atlantico, ma era certo che nessuno dei 317 nodi fax si trovasse nei pressi della Breccia. Era passato più di una volta da ciascuno di quei nodi fax e non aveva mai scorto la leggendaria Breccia.
Harman posò la pannocchia. «Ho camminato, Daeman Uhr. Dalla costa orientale del Nord America, la Breccia corre direttamente lungo il quarantesimo parallelo fino a quella che nell’Età Perduta si chiamava Europa. La Spagna era l’ultìma nazione dove la Breccia tocca terra, credo. Le rovine dell’antica città di Filadelfia, forse la conosce come Nodo 124, la tenuta di Loman Uhr, sono solo a qualche ora di cammino dalla Breccia. Se avessi avuto coraggio e mi fossi portato provviste sufficienti, sarei potuto arrivare fino alla Spagna.»
Daeman annuì e sorrise e continuò a non avere la più pallida idea delle cose di cui quell’uomo blaterava. Prima la sconcezza di vantarsi del novantanovesimo anno, poi tutte quelle chiacchiere di paralleli e di posti dell’Età Perduta e di camminate. Nessuno camminava per più di un centinaio di metri. A che scopo? Tutto ciò che poteva interessare una persona sì trovava nei pressi di un nodo fax e le stranezze un po’ più distanti, come villa Ardis di Ada, si potevano raggiungere in calessino o in troika. Conosceva Loman, certo; di recente aveva partecipato alla festa per la terza Ventina di Ono, nella grande tenuta di Loman, ma tutto il resto del monologo di Harman gli era incomprensibile. Quell’uomo era di sicuro rimbambito nei suoi giorni finali. Be’, il fax conclusivo nello spedale e l’Ascensione presto si sarebbero presi cura di lui.
Daeman guardò Ada, la padrona di casa, augurandosi che intervenisse per cambiare argomento, ma la vide sorridere come se fosse d’accordo con ogni parola di Harman. Allora guardò lungo il tavolo, in cerca d’aiuto, ma gli altri ospiti ascoltavano educatamente, perfino con chiaro interesse, come se quelle ciance facessero parte della loro normale conversazione di provinciali a pranzo. «Ottima, la trota, vero?» disse alla donna alla sua sinistra. «La sua com’era?»
Dall’altro lato del tavolo, una donna atticciata dai capelli rossi, piuttosto avanti nella terza Ventina, posò sul piccolo pugno il triplo mento e disse a Harman: «Com’era? Nella Breccia, intendo».
Harman, ricciuto e molto abbronzato, si schermì, ma altri lungo il tavolo (compresa la giovane bionda che aveva maleducatamente finto di non sentire, quando Daeman le aveva chiesto della trota) protestarono a gran voce e lo invitarono a raccontare.
Alla fine, con un garbato gesto della mano, Harman acconsentì. «Per chi non l’ha mai vista, la Breccia è spettacolare anche dalla riva. È larga circa ottanta metri: una fenditura che corre a est a perdita d’occhio e diventa sempre più stretta verso l’orizzonte, fino a sembrare una fetta di luce incastonata dove l’oceano tocca il cielo.» Dopo una breve pausa, riprese: «Camminare nella Breccia è… un po’ strano. Dove termina la Breccia, la sabbia lungo la riva non è bagnata, non è toccata dai frangenti. All’inizio si guarda soprattutto l’uno o l’altro dei bordi; si cammina come a guado e si nota la ripida barriera d’acqua simile a una parete di vetro che separa il viandante dal moto ondoso della marea. Si prova il forte impulso di toccare la barriera, nessuno potrebbe resistervi. Spugnosa, invisibile, lievemente cedevole a una forte pressione, fredda per l’acqua dall’altro lato, ma impenetrabile. Ci si addentra su sabbia asciutta: nei secoli il fondo marino ha sentito solo l’umidità della pioggia, perciò sabbia e terriccio sono compatti, le creature e piante marine lì rimaste si sono essiccate quasi al punto da sembrare fossili.
«Nel giro di una decina di metri, le ripide pareti d’acqua ai lati si alzano di parecchio. Ombre si muovono al loro interno. Si vedono pesciolini nuotare nei pressi della barriera fra aria e mare, poi l’ombra di uno squalo, la pallida luminosità di creature gelatinose galleggianti che non si riesce a identificare. A volte le creature marine si avvicinano alla barriera della Breccia, la toccano con la testa e si allontanano in fretta, come allarmate. Dopo circa un chilometro e mezzo, la parete d’acqua è così alta che il cielo diventa più scuro. Dopo una quindicina di chilometri, le due muraglie d’acqua s’innalzano per più di trecento metri. Compaiono le stelle, nella fetta di cielo che si riesce a scorgere, anche di giorno.»
«No!» esclamò un uomo magro dai capelli biondastri, seduto in fondo, del quale Daeman ricordava il nome, Loes. «Ci prendi in giro.»
«Nient’affatto» rispose Harman. Sorrise di nuovo. «Ho camminato per quattro giorni circa. Dormendo di notte. Sono tornato indietro quando ho finito il cibo.»
«Come sapevi se era notte o giorno?» domandò l’amica di Ada, la giovane e atletica Hannah.
«Il cielo è nero e le stelle si vedono anche di giorno» disse Harman «ma le sezioni di oceano ai lati hanno tutta la gamma di colori, dal blu brillante molto in alto al nero tenebroso lungo il fondo, a livello del sentiero nella Breccia.»
«Hai trovato cose curiose?» domandò Ada.
«Navi affondate. Antiche. Dell’Età Perduta e di epoche anteriori. E una che potrebbe essere… più recente.» Sorrise di nuovo. «Ne ho esplorata una, un enorme scafo arrugginito che sporgeva dalla parete nord della Breccia, inclinato sul fianco. Sono entrato da un buco nello scafo, ho salito scalette, sono andato a nord lungo piani inclinati, usando una piccola lanterna che mi ero portato dietro, finché a un tratto in un ampio locale, credo lo chiamassero stiva, ho trovato la barriera della Breccia, dal soffitto al pavimento in pendenza, una muraglia d’acqua brulicante di pesci. Ho accostato il viso alla fredda parete invisibile e ho visto cirripedi, molluschi, serpenti di mare e forme di vita che incrostavano ogni superficie, che si cibavano le une delle altre, mentre dalla mia parte… solo aridità, vecchia ruggine. Le uniche forme di vita erano rappresentate da me e da un granchietto bianco evidentemente giunto, come me, dalla riva.»
Si alzò il vento, con uno stormire di fronde dell’alto albero sotto cui sedevano. Le lanterne ondeggiarono e la loro intensa luce giocò sulle vesti di seta e di cotone, sulle acconciature e sulle mani e sulle facce accalorate intorno al tavolo. Tutti ascoltavano, rapiti. Daeman stesso si scoprì interessato, malgrado fossero solo sciocchezze. Le fiamme delle torce nei sostegni lungo il vialetto guizzarono e sfrigolarono nell’improvvisa corrente d’aria.
«E i voynix?» domandò una giovane donna seduta accanto a Loes. Daeman non ne ricordava il nome. Emma, forse? «Sono di più o di meno che sulla terraferma? Sentinelle o mobili?»
«Niente voynix.»
Tutti, intorno al tavolo, parvero ansimare. Daeman sentì la stessa scossa provata quando Harman aveva detto di avere novantanove anni. A un tratto gli girava la testa. Forse il vino era più forte di quanto non pensasse.
«Niente voynix» ripeté Ada, in un tono non tanto stupito quanto pensieroso. Alzò il bicchiere di vino. «Un brindisi» disse. I servitori si librarono più vicino per riempire i bicchieri. Tutti alzarono il proprio. Daeman batté le palpebre per scacciare il senso di vertigine e si costrinse a mostrare un sorriso piacevole e cordiale.
Ada non pronunciò il brindisi, ma tutti (compreso, dopo un momento, Daeman) bevvero un sorso di vino come aveva fatto lei.
Il vento si era alzato verso la fine della cena ed erano giunte le nubi a oscurare l’anello-p e l’anello-e; l’aria puzzava di ozono e di pioggia che stendeva cortine sulle scure colline a ovest, perciò gli ospiti si spostarono nella villa e si divisero, per ritirarsi nella propria stanza o per svagarsi nelle varie sale. I servitori misero a disposizione musica da camera nella serra sud; la piscina racchiusa da vetrate, sul retro della villa, attirò qualche persona e un buffet di mezzanotte era già apparecchiato nella terrazza ovale della veranda panoramica al primo piano. Alcune coppie si ritirarono per fare l’amore, altre trovarono un posto tranquillo per dispiegare il "lino" e andare a Troia.
Daeman seguì Ada, che aveva accompagnato Hannah e Harman nella biblioteca del secondo piano. Se voleva portare a termine con successo il progetto di sedurre Ada entro il fine settimana, doveva trascorrere con lei ogni minuto libero. La seduzione, lo sapeva, era scienza e arte insieme: un misto di abilità, disciplina, vicinanza e occasione. In massima parte vicinanza.
In piedi accanto a lei e camminandole accanto, Daeman ne percepiva il calore della pelle sotto l’abito di seta nera e marrone. Il labbro inferiore di Ada, notò di nuovo dopo dieci anni, era di una pienezza da far impazzire, rosso, tutto da mordere. Quando Ada alzò il braccio per mostrare a Hannah e a Harman l’altezza degli scaffali nella libreria, Daeman ammirò il lieve e morbido movimento del seno destro sotto la sottile guaina di seta.
Era già stato in una biblioteca, ma mai in una grande come quella. La stanza di sicuro era lunga più di trenta metri e alta la metà, con un soppalco su tre pareti e scalette scorrevoli su tutt’e due i piani, per consentire l’accesso ai volumi posti più in alto. C’erano nicchie, angolini, tavoli con grossi libri aperti, qua e là posti per sedersi, perfino scaffali di libri sopra l’enorme bovindo nella parete di fronte. Daeman sapeva che quei libri, molti e molti secoli prima, probabilmente millenni, erano stati di sicuro trattati con prodotti chimici antidecomposizione (quegli inutili manufatti erano di pelle e di carta e d’inchiostro, santo cielo!) ma alle sue sensibili narici la sala dai pannelli di mogano, con le pozze di luce, gli antichi mobili rivestiti di cuoio e le minacciose pareti di libri, puzzava ancora di vecchio e di marciume. Daeman non riusciva a immaginare perché Ada e i suoi familiari mantenessero quel mausoleo a villa Ardis né perché Harman e Hannah volessero visitarlo proprio quella sera.
L’uomo ricciuto che sosteneva d’essere nell’ultimo anno di vita e di avere camminato nella Breccia atlantica si bloccò, pieno di meraviglia. «È magnifico, Ada!» esclamò. Salì una scaletta, la spostò lungo una fila di scaffali e protese la mano a toccare un grosso volume rilegato in pelle.
Daeman rise. «Crede che la funzione lettura sia tornata, Harman Uhr?»
Harman sorrise, ma parve così fiducioso che per un secondo Daeman quasi s’aspettò di vedere il dorato flusso di simboli lungo il braccio mentre la funzione lettura selezionava il contenuto. Ovviamente Daeman non aveva mai visto in atto la funzione perduta, ma l’aveva sentita descrivere da sua nonna e da altri anziani che parlavano di ciò che avevano avuto a disposizione i loro bis-bis-bisnonni.
Nessun flusso di parole. Harman ritrasse la mano. «Non le piacerebbe avere la funzione lettura, Daeman Uhr?»
Daeman si ritrovò di nuovo a ridere, in quella bizzarra serata; e fu acutamente consapevole dell’occhiata, un misto di confusione e di curiosità, delle due giovani donne. «No, certo» rispose infine. «Perché dovrebbe? Cosa potrebbero dirmi, quelle vecchie cose, che abbia attinenza con la nostra vita oggi?»
Harman salì più in alto sulla scaletta. «Non è curioso di sapere perché i post-umani non si vedono più sulla Terra e dove sono andati?»
«Per niente. Sono tornati a casa, nelle loro città negli anelli. Lo sanno tutti.»
«Perché?» chiese Harman. «Dopo molti millenni passati a plasmare i nostri affari qui, a vegliare su di noi, perché se ne sono andati?»
«Sciocchezze» disse Daeman, forse un po’ più sgarbatamente di quanto non volesse. «I post vegliano ancora su di noi. Dall’alto.»
Harman annuì, come se la risposta chiarisse tutto, e spinse la scaletta di qualche metro lungo la rotaia d’ottone. Ora con la testa sfiorava la parte inferiore del soppalco. «E i voynix?»
«Che c’entrano, i voynix?»
«Si è mai chiesto perché sono rimasti immobili per tanti secoli e adesso sono così attivi?»
Daeman aprì bocca, ma non trovò niente da ribattere. Dopo un momento disse: «La storia che i voynix si muoverebbero solo in vista del fax finale è una completa idiozia. Mito. Folclore».
Ada gli si avvicinò. «Daeman, ti sei mai chiesto da dove sono venuti?»
«Chi, mia cara?»
«I voynix.»
Daeman rise di cuore, sinceramente. «No, certo, signora mia. I voynix sono sempre stati qui. Sono permanenti, fissi, eterni, a volte fuori vista, ma sempre presenti, come il sole o le stelle.»
«O gli anelli?» disse Hannah, col suo tono sommesso.
«Proprio così» rispose Daeman, compiaciuto che lei capisse.
Harman tolse dallo scaffale un pesante volume. «Daeman Uhr, Ada mi ha detto che è un buon entomologo specializzato in lepidotteri.»
«Prego?»
«Un esperto di farfalle.»
Daeman arrossì. Era sempre piacevole vedere riconosciute le proprie abilità, anche da estranei, perfino da estranei non del tutto sani di mente. «Non un esperto, Harman Uhr, un semplice collezionista al quale lo zio ha insegnato qualcosa.»
Harman scese dalla scaletta e portò il pesante libro su un tavolino di lettura. «Allora questo libro le dovrebbe interessare» disse. Lo aprì. Una dopo l’altra, le lucide pagine mostravano pittoresche raffigurazioni di farfalle.
Daeman si avvicinò, senza parole. Dallo zio aveva appreso il nome di una ventina di tipi di farfalle e da altri collezionisti aveva imparato quello di alcuni esemplari da lui catturati. Tese la mano a toccare l’immagine di un macaone.
«Macaone» disse Harman e soggiunse: «Papilio rutulus».
Daeman non capì le ultime due parole, ma fissò con stupore Harman. «Le colleziona anche lei!»
«Oh, no» rispose Harman. Toccò un’immagine a Daeman ben nota, giallo oro e nero. «Monarca.»
«Sì» disse Daeman, confuso.
«Vanessa atalanta, Speyeria aphrodite, Melitea, Lycaena icarus, Vanessa del cardo, Parnassio febo» disse Harman, toccando via via le immagini. Delle nominate, Daeman ne riconobbe tre.
«Lei conosce le farfalle» disse.
Harman scosse la testa. «Prima d’ora nemmeno immaginavo che tipi diversi avessero nomi diversi.»
Daeman guardò la tozza mano di Harman. «Lei ha la funzione lettura.»
Harman scosse di nuovo la testa. «Più nessuno ha quella funzione palmare. Né quella di comunicazione o di orientamento geografico o di accesso dati o di autofax lontano dai nodi.»
«Allora…» cominciò Daeman e s’interruppe, genuinamente confuso. Si chiese se lo prendessero in giro, per chissà quale motivo. Era venuto a passare il fine settimana a villa Ardis, pieno di buone intenzioni (be’, con l’intenzione di sedurre Ada, ma in allegria) e ora questo… gioco malizioso?
Come se avesse intuito che cominciava ad arrabbiarsi, Ada gli toccò il braccio. «Harman non ha la funzione lettura, Daeman Uhr» disse piano. «Di recente ha proprio imparato a leggere.»
Daeman la fissò. Imparare a leggere era assurdo quanto celebrare il proprio novantanovesimo compleanno o cianciare della Breccia atlantica.
«È una cosa che si impara» disse con calma Harman. «Come i nomi delle farfalle o la sua leggendaria tecnica di… seduzione.»
Nell’udire l’ultima frase Daeman batté le palpebre per la sorpresa. "L’altro mio hobby" si chiese "è davvero così noto?"
Intervenne Hannah. «Harman ha promesso d’insegnarci il trucco… d’insegnarci a leggere. Potrebbe venire utile. Devo imparare come si fanno le gettate, anziché continuare per tentativi e scottarmi.»
"Gettate?" si domandò Daeman. Conosceva pescatori che usavano quella parola. Non capiva però cosa avesse a che fare con le scottature o la funzione lettura. Si umettò le labbra e disse: «Questi giochi non m’interessano. Cosa volete da me?».
«Dobbiamo trovare una nave spaziale» disse Ada. «E abbiamo motivo di credere che tu ci possa aiutare.»