32 TENDA DI ACHILLE

Devo uccidere Patroclo.

Me ne rendo conto, come se avessi udito un bisbiglio nella notte, mentre me ne sto disteso nell’accampamento dei mirmidoni, nella tenda di Achille, avvolto nel guscio del corpo del vecchio Fenice.

Devo uccidere Patroclo.

Non ho mai ucciso nessuno. Cristo, da studente ho manifestato contro la guerra nel Vietnam, non ce l’ho fatta a mettere a dormire il cane di famiglia (toccò a mia moglie portarlo dal veterinario) e mi sono considerato un pacifista per gran parte della vita accademica. Non ho mai colpito nessuno, per l’amor di Dio!

Devo uccidere Patroclo.

È l’unico modo. Confidavo che la retorica (quella, modificata, del vecchio Fenice) avrebbe avuto successo, che avrebbe persuaso l’uccisore di uomini Achille a incontrarsi con Ettore e terminare la guerra, a seppellire l’ascia.

Già, seppellirla proprio nella mia fronte.

La decisione di Achille, la partenza e la scelta di una vita lunga e poco gloriosa, mi sconvolge profondamente come scoliaste (sconvolgerebbe ogni studioso dell’Iliade) ma è ragionevole. Achille ritiene ancora che l’onore sia più importante della vita; ma dopo gli insulti di Agamennone, non vede alcun onore nell’uccidere Ettore e poi essere ucciso a sua volta. Odisseo, quel retore senza pari, è stato eloquente nello spiegare e nell’evocare che gli achei viventi e le innumerevoli generazioni a venire avrebbero onorato la memoria di Achille, ma del loro onore Achille se ne frega. Qui conta solo il suo senso dell’onore e ora lui non vede alcun onore nell’uccidere i nemici di Agamennone e nel morire per gli obiettivi di Agamennone e di Menelao. Solo l’onore di Achille importa e Achille preferirebbe salpare verso casa fra qualche ora e vivere la vita di un comune mortale, rinunciando all’occasione di far parte di questa banda di fratelli, venti secoli prima del principe Hal e di Agincourt, anziché mettere a rischio altro onore qui nell’insanguinata piana di Ilio.

Ora lo capisco. Perché non l’ho capito prima? Se Odisseo (Odisseo dai modi suadenti e dalla lingua melata) non poteva convincere Achille a combattere, che cosa mi ha indotto a credere che ci sarei riuscito io? Sono stato uno stolto. Omero non è senza colpa, ma sono stato uno stolto ugualmente.

Devo uccidere Patroclo.


Poco dopo la partenza di Odisseo e di Aiace il Grande, appena torce e fuochi nei tripodi sono stati spenti nella stanza principale della tenda, sento entrare due giovani schiave per il piacere di Achille e di Patroclo. Non ho mai visto nessuna delle due, ma ne conosco il nome: Omero non lascia nessuno senza nome, nell’Iliade. L’amichetta di Achille (non avrei potuto usare questa parola, insegnando all’università dell’Indiana, nell’altra mia vita, perché la polizia del politicamente corretto mi avrebbe fatto saltare l’impiego, ma qui non pare appropriato chiamare "donne" quei ridacchianti giocattoli sessuali) è Diomeda, figlia di Forbante, dell’isola di Lesbo… ma non lesbica. La pollastra di Patroclo si chiama Ifide. M’è venuto da ridere, quando le ho scorte per un attimo fra le pieghe della tenda d’ingresso: Achille, che è alto, biondo, statuario, dai muscoli cesellati, preferiva la piccola, robusta e bruna Diomeda dai grossi seni; Patroclo, che è molto più basso di Achille e scuro di capelli, aveva scelto l’alta, bionda, snella Ifide dal piccolo seno. Per una mezz’ora sento le risate delle due donne, la salace conversazione dei due uomini e poi i gemiti e i sospiri di tutt’e quattro nella camera da letto di Achille. Ovviamente l’eroe e il suo amico non hanno scrupoli a fare sesso nella stessa stanza, addirittura commentando la prestazione, e ciò mi fa pensare ad agenti immobiliari di Bloomington, Indiana, o a fratelli di loggia nella metropoli per il fine settimana, più che ai nobili guerrieri di questa età eroica. Barbara.

Poi le ragazze se ne vanno, continuando a ridacchiare scioccamente, e c’è silenzio, a parte i borbottii delle guardie fuori della tenda e lo scoppiettio del braciere acceso per scaldarle. E il mostruoso russare che proviene dalla camera di Achille. Non ho sentito Patroclo uscire, perciò si direbbe che uno dei due, o lui o il biondo eroe, abbia il setto nasale deviato.

Ora me ne sto disteso e rifletto sulle possibilità. No, prima mi tolgo di dosso la forma del vecchio Fenice (al diavolo le conseguenze!) e poi me ne sto disteso come Thomas Hockenberry e rifletto sulle possibilità.

Tengo la mano sul medaglione TQ. Posso telequantarmi di nuovo nella camera da letto di Elena… so per certo che Paride è fuori, accanto al fossato, a vari chilometri dalla città, in attesa dell’alba per unirsi a Ettore nel massacro finale dei greci e nell’incendio delle navi achee. Elena potrebbe essere contenta di vedermi. O forse non saprebbe più che farsene del visitatore notturno di nome Hockenberry (davvero bizzarro che qui un’altra persona, a parte gli scoliasti, conosca il mio nome!) e chiamare le guardie. Nessun problema: posso sempre telequantarmi via in un istante.

Ma dove?

Non posso rinunciare al folle piano di cambiare il corso degli eventi dell’Iliade, non posso abbandonare l’obiettivo (concepito la notte del primo litigio fra Agamennone e Achille) di sfidare gli dèi immortali, non posso telequantarmi su Olimpo, scusarmi con la Musa e con Afrodite (quando l’avranno tirata fuori dalla vasca), chiedere a Zeus un’udienza privata e supplicare perdono.

"No, no" penso. "Quante sono le probabilità che ti perdonino e ti dimentichino, Hockenbush? Hai rubato l’Elmo di Ade, il medaglione TQ e tutta l’attrezzatura da scoliaste e te ne sei servito per i tuoi fini personali. Sei scappato lontano dalla Musa. Peggio ancora, hai rubato un cocchio volante e hai cercato di uccidere Afrodite nella vasca di guarigione."

Posso solo augurarmi, dopo avere chiesto scusa, che Zeus o Afrodite o la Musa mi uccidano rapidamente, anziché rivoltarmi come un calzino o gettarmi nel buio abisso del Tartaro, dove probabilmente sarei divorato vivo da Crono e dagli altri barbari Titani banditi laggiù da Zeus.

No, ho imburrato il pane e adesso devo stare dalla parte giusta. O come cavolo si dice. Quando sei in ballo, devi ballare. Chi non risica, non rosica. Meglio andare sul sicuro che poi piangere in futuro. Mentre mi sforzo di trovare una frase fatta, una qualsiasi, sento calare su di me una profonda certezza, in una forma ben poco cattedratica, ma del tutto convincente…

"Se non trovo presto una soluzione, sono davvero fottuto."


Posso parlarne con Odisseo.

Odisseo qui è l’unico sano di mente, l’uomo civilizzato, il saggio stratega. Odisseo può essere la risposta, stanotte. Mi sarà più facile convincere Odisseo che esiste la possibilità di porre fine alla guerra contro i troiani e di fare causa comune contro questi dèi fin troppo umani. A dire il vero, ho sempre preferito insegnare ai miei allievi l’Odissea, anziché l’Iliade; la sensibilità di Fitzgerald nell’Odissea è più umana della rude bellicosità di Mandelbaum, di Lattimore, di Fagles, perfino di Pope, nell’Iliade. Sbagliavo a credere di trovare il fulcro degli eventi partecipando all’ambasceria ad Achille. No, Achille non è l’uomo da avvicinare stanotte, ciò che resta di stanotte; l’uomo giusto è Odisseo, figlio di Laerte, l’unico che potrebbe capire gli appelli di uno studioso e l’impellente logica della pace.

Mi alzo e tocco il medaglione TQ, pronto ad andare da Odisseo a fare il mio appello. Solo un piccolo problema m’impedisce di telequantarmi in cerca di Odisseo. Il problema è che, se Omero ha detto il vero, so che cosa accade altrove mentre me ne sto a rimuginare in questa tenda. Agamennone e Menelao non riescono a dormire per i pensieri sui prossimi eventi e più o meno in questo momento, o forse nell’ultima ora all’incirca, il più anziano e più regale dei due fratelli chiama Nestore e gli chiede idee che potrebbero allontanare il massacro che pare imminente. Nestore suggerisce un consiglio di guerra, con Diomede, Odisseo, Aiace il Piccolo e alcuni altri condottieri achei. Non appena questi si sono radunati, Nestore suggerisce che i più coraggiosi tra loro si infiltrino dietro le linee troiane e scoprano le intenzioni di Ettore: i troiani e i loro alleati tenteranno di incendiare le navi fra qualche ora? Oppure per il momento Ettore è sazio di sangue e di vittorie ed è possibile che riporti le sue orde in città per festeggiare, prima di riaprire le ostilità?

Diomede e Odisseo vengono scelti per la missione; poiché sono stati svegliati per partecipare al consiglio, non hanno armi e ricevono il necessario dalle guardie, compreso un elmo di cuoio per Diomede e un famoso elmo miceneo con zanne di cinghiale per Odisseo. Diomede si è gettato sulle spalle una pelle di leone e Odisseo ha calzato l’elmo, di cuoio nero borchiato tutt’intorno di bianchi denti: i due mettono paura solo a guardarli.

"Potrei telequantarmi nel luogo del consiglio e vedere cosa fanno" penso.

Mossa inutile. Forse Diomede e Odisseo sono già partiti nella missione da commando. O forse Omero ha mentito o si è sbagliato sulle loro azioni, proprio come per l’intervento di Fenice. Inoltre, non ne ricaverei alcun aiuto per risolvere il problema, in questo momento. Non sono più uno scoliaste, sono solo un uomo che cerca il modo per sopravvivere e per mettere fine a questa guerra… o almeno rivoltarla contro gli dèi.

Comunque mi viene in mente un’altra parte dell’azione di stanotte, in un altro luogo, e mi sento gelare il sangue. Quando Diomede e Odisseo si avventurano fuori del campo acheo, s’imbattono in Dolone (il lanciere del quale ho preso in prestito il corpo solo due notti fa, quando seguivo Ettore nell’incontro con Elena e Paride) mandato dietro le linee achee a spiare per conto di Ettore. Dolone porta un arco ricurvo e un copricapo di pelle di martora; si muove di soppiatto e con prudenza nel campo dei recenti caduti, cerca un modo per attraversare il fossato e passare oltre le sentinelle greche; ma Odisseo dalla vista acuta lo scorge nel buio: imitato da Diomede, si distende fra i cadaveri, lo coglie di sorpresa e lo disarma.

Dolone supplica d’avere salva la vita. Odisseo gli dirà (se non l’ha già fatto) che "la morte è l’ultima cosa di cui ti devi preoccupare" e poi con calma e a bassa voce spreme dal giovane lanciere informazioni specifiche sulla disposizione dei troiani di Ettore e dei loro alleati.

Dolone rivela tutto: la posizione di cari e di peoni e di lelegi e di cauconi, le zone di riposo degli eccellenti pelasgi e dei flemmatici, leali lici e dei fieri misi, la disposizione del campo dei famosi frigi domatori di cavalli e dei meoni conduttori di cocchi da guerra; rivela tutto e supplica che lo lascino in vita. Suggerisce perfino ai due di legarlo e tenerlo prigioniero finché non avranno verificato di persona che le informazioni sono giuste.

Odisseo farà un sorriso (forse l’ha già fatto) e darà un colpetto sulla spalla all’atterrito e tremante Dolone (ricordo l’equilibrio muscolare di Dolone, quando ero morfizzato in lui) e poi con Diomede gli toglierà il copricapo e l’arco e la pelle di lupo (gli dirà con calma che lo disarmano prima di portarlo nel campo come prigioniero); infine Diomede gli mozzerà la testa, con un solo colpo di spada. La testa di Dolone cercherà ancora di parlare e chiedere pietà, mentre rotola nella polvere.

E Odisseo leverà in alto la lancia del giovane e l’arco e il copricapo di martora e la pelle di lupo e offrirà quelle spoglie a Pallade Atena, gridando: «Accettale volentieri, o dea. Sono tue! Ora guidaci al campo dei traci, così possiamo uccidere altri uomini e rubare i loro cavalli! Anche quelle spoglie saranno tue».

Barbari. Sono fra barbari. Perfino gli dèi, qui, sono barbari. Una cosa è certa: stanotte non parlerò a Odisseo.


Ma perché Patroclo deve morire?

Perché avevo ragione all’inizio: Achille è la chiave, il fulcro mediante il quale posso modificare il destino d’ognuno, dio e uomo.

Non credo che Achille partirà fra qualche ora, quando l’alba tenderà le rosee dita. No, no. Achille resterà qui a guardare, proprio come nel racconto di Omero, e a godersi le ulteriori disgrazie dei greci. "Penso che ora i greci verranno da me strisciando sulle ginocchia" dirà, dopo la dura giornata seguente, quando tutti i grandi condottieri, Agamennone, Menelao, Diomede e Odisseo, saranno feriti. E ciò avviene dopo l’ambasceria di stanotte, quando loro hanno già strisciato per farlo tornare sui suoi passi. Achille trarrà piacere dalla sconfitta dei suoi compagni argivi e achei; sarà solo la morte, per mano di Ettore, dell’amico Patroclo (che ora russa nella stanza accanto) a riportare sul campo di battaglia l’uccisore di uomini.

Perciò Patroclo deve morire per cambiare la direzione degli eventi.

Mi alzo e faccio l’inventario delle cose che indosso e ho con me. Una corta spada, sì, per confondermi con i soldati… ma non ho mai usato il maledetto arnese e non so nemmeno se taglia. La Musa me l’ha data come arredo scenico, non come arma. Per la difesa vera e propria, in questi ultimi nove anni, sono stato equipaggiato con il leggero strato di corazza protettiva (sufficiente a fermare un affondo di spada o una lancia o una freccia vagabonda, ci hanno detto nei dormitori degli scoliasti, anche se non ho mai avuto occasione di sperimentarlo) e lo storditore da cinquantamila volt camuffato nel bastone-microfono direzionale che portiamo tutti. Quest’arma è progettata solo per stordire un aggressore il tempo sufficiente a fuggire verso un portale TQ. Gli altri accessori comprendono le lenti che potenziano la vista, i filtri che espandono l’udito, l’Elmo di Ade (arrotolato come scialle intorno al collo), il medaglione TQ appeso alla catenina e, al polso, il bracciale per morfizzarmi.

A un tratto un piano (almeno, un germe di piano) mi si forma nella mente.

Agisco prima di perdermi di coraggio. Calzo l’Elmo di Ade, scompaio alla vista di mortali e immortali, sentendomi come Frodo o Bilbo o Gollum che s’infilano l’anello che li lega tutti, e in punta di piedi esco dalla dépendence dove hanno disteso i cuscini per Fenice e vado nella camera da letto di Achille.

Achille e Patroclo dormono insieme, nudi, ora che le due schiave se ne sono andate da un pezzo: il braccio di Patroclo è di traverso sulle spalle dell’uccisore di uomini.

A quella vista mi fermo di botto. "Achille è gay?" penso. "Allora quello stupido professore ossessionato da gay e lesbiche aveva ragione, i suoi farneticanti articoli erano corretti, tutte quelle ciance politicamente corrette erano vere!"

Mi tolgo di mente queste storie. Non significa niente, tranne che mi trovo a tremila anni dall’Indiana del Ventunesimo secolo e che non so cosa vedo. I due hanno appena fornicato con le schiave per due ore e sì sono addormentati lì dov’erano. E poi chi se ne frega della vita amorosa segreta di Achille?

Aziono il bracciale e richiamo la scansione fatta due giorni fa nella sala degli dèi sull’Olimpo. Non so se funzionerà: gli altri scoliasti ridevano, all’idea.

Le onde di probabilità si spostano in livelli quantici che non posso percepire. L’aria pare tremolare, rimane ferma, tremola di nuovo. Mi tolgo l’Elmo di Ade e sono di nuovo visibile.

Visibile nei panni di Pallade Atena, Tritogenia, terzogenita degli dèi, figlia di Zeus, protettrice degli achei. Alto quasi tre metri, irraggiante luce divina, mi avvicino al letto. Achille e Patroclo si svegliano e trasalgono.

Percepisco l’instabilità in ogni atomo della figura morfizzata: il bracciale non è progettato perché noi assumiamo la forma di dèi. Sento la mia sagoma ronzare come un’arpa pizzicata con forza, ma sfrutto il breve tempo che la sostituzione quantica mi concederà. Fatico a non badare alle nuove sensazioni, non solo l’improvvisa comparsa dei seni e della vagina (non mi sono mai morfizzato in una donna, prima d’oggi) ma anche l’impressione di essere una dea.

La forma è instabile. So in cuor mio di non avere i poteri di Atena, di avere soltanto preso in prestito per brevi istanti il suo guscio quantico. Mi sento come se stia per verificarsi una reazione nucleare, un disastro morfico, se non mi libero in fretta dell’onda quantica di Atena. Parlo rapidamente. «Achille! Sveglia! In piedi!»

«Dea!» esclama il piè veloce, rotolando giù dai cuscini. «Cosa ti porta qui nel cuore della notte, o figlia di Zeus?»

Anche Patroclo, strofinandosi gli occhi, si tira in piedi. Tutt’e due sono nudi: muscoli che paiono scolpiti, più belli delle più raffinate statue greche, pene non circonciso ciondolante fra le cosce robuste e abbronzate.

«SILENZIO!» tuono. La voce di Atena è amplificata, superumana. So di svegliare ogni altro nella tenda di Achille e di mettere in allarme le guardie all’esterno. Ho meno di un minuto. Quasi a dimostrare il mio punto, il dorato braccio di Atena tremola, si muta in quello pallido e irsuto del professore Thomas Hockenberry, torna quello della dea. Vedo che Achille tiene bassi gli occhi e non si accorge di niente. Patroclo guarda a occhi sgranati, confuso.

«Dea, se ti ho offeso…» comincia Achille, alzando gli occhi, ma sempre a capo chino.

«SILENZIO!» tuono. «UNA FORMICA STRISCIANTE NELLA POLVERE PUÒ FORSE OFFENDERE UN UOMO? IL PIÙ PICCOLO E PIÙ BRUTTO PESCE NEL MARE PUÒ FORSE OFFENDERE IL MARINAIO I CUI PENSIERI SONO SU ALTRE COSE?»

«Una formica?» ripete Achille. Il suo bel viso scultoreo mostra la confusione di un bambino rimproverato a torto.

«SIETE TUTTI MENO CHE FORMICHE, PER GLI DÈI» rombo e mi avvicino di un passo, cosicché la radiosità di Atena tremola su di loro come luce radioattiva. «CI HAI DIVERTITO CON LE TUE MORTI, ACHILLE, FIGLIO DI PELEO E FIGLIO IDIOTA DI TETI.»

«Figlio idiota» ripete Achille, diventando rosso. «Dea, come ti ho…»

«SILENZIO, CODARDO!» Ho amplificato la voce di Atena in modo che l’insulto sia udito anche nel campo di Agamennone, un chilometro più in là lungo la spiaggia. «NOI CE NE FREGHIAMO DI TE. CE NE FREGHIAMO DI OGNUNO DI VOI. CI DIVERTIAMO A VEDERVI MORIRE… MA LA TUA CODARDIA NON CI DIVERTE AFFATTO, PIÈ VELOCE ACHILLE!» Pronuncio con scherno le ultime tre parole, cambiando in insulto il titolo onorifico usato dal poeta. Achille stringe i pugni e muove mezzo passo avanti, come se si avvicinasse a un nemico. «O dea, Pallade Atena, protettrice degli achei, ti ho sempre offerto i migliori sacrifici…»

«IL SACRIFICIO DI UN CODARDO NON HA SIGNIFICATO PER NOI SULL’OLIMPO» ruggisco. L’onda di probabilità che è la vera dea Atena si avvicina al punto critico di collasso. Mi restano solo alcuni secondi in questa figura parzialmente morfizzata. «DA QUESTO MOMENTO CI PRENDEREMO NOI STESSI IL SACRIFICIO E CE LO BRUCEREMO» dico e il braccio di Atena si protende verso Patroclo, il bastone nascosto sotto l’avambraccio, il dito sul pulsante. «SE VUOI IL CADAVERE DEL TUO AMICHETTO, FATTI STRADA COMBATTENDO FIN NELLE SALE DELL’OLIMPO PER RIPRENDERTELO, ACHILLE CODARDO!»

Tocco Patroclo al centro del petto glabro e abbronzato: i quasi invisibili elettrodi e gli invisibili cavi gli trasmettono una corrente di cinquantamila volt.

Patroclo si stringe il petto, come colpito da un fulmine, lancia un grido, si contorce e si dibatte come per una crisi epilettica, si piscia addosso e crolla a terra.

Prima che Achille possa reagire (il piè veloce è lì in piedi, nudo, pugni chiusi, occhi sporgenti, troppo sorpreso per muoversi), Atena muove due passi avanti, afferra per i capelli quello che sembra il cadavere di Patroclo e lo trascina rudemente sul terreno.

Achille si sblocca, estrae dal fodero la spada lasciata su uno sgabello.

Sempre trascinando per i capelli l’inerte Patroclo, Atena vibra ed esce dalla stabilità morfica quantica, screziata di disturbi come una cattiva trasmissione TV. Tocco il medaglione appeso al collo e in un baleno telequanto Patroclo e me stesso fuori della tenda di Achille.

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