Achille s’infuriò, ruggì, strappò la parete della tenda dove la dea Atena era scomparsa trascinando il corpo di Patroclo. Poi l’uccisore di uomini divenne pazzo.
Le guardie accorsero nella tenda. Ancora nudo, Achille sollevò il primo e lo scagliò contro il secondo. Il terzo udì un ruggito e si ritrovò a volare in aria, attraverso la parete di tela della tenda. Il quarto gettò a terra la lancia e corse a svegliare i mirmidoni per far sapere che il loro signore e condottiero era posseduto da uno spirito demoniaco.
Achille raccattò le brache, la tunica, la corazza, lo scudo, i lucidi schinieri di bronzo, i sandali e la lancia, avvolse tutto in un lenzuolo e, impugnata la spada, si aprì la strada attraverso tre pareti di tela. Fuori della tenda, rovesciò il grosso tripode lasciato acceso al centro del campo e corse al di là delle tende buie, lontano dagli accampamenti e verso il nero mare, verso sua madre, la dea Teti.
Le onde si frangevano sulla riva, solo il bianco delle creste era visibile nel buio, lì, lontano dai fuochi. Achille camminò su e giù sulla sabbia bagnata. Era sempre nudo: la corazza e le armi erano sparse sulla spiaggia. Mentre andava avanti e indietro, si tirava i capelli e gemeva forte, di tanto in tanto gridava, straziato, il nome della madre.
E Teti, figlia del dio del mare Nereo, il Vecchio del Mare, rispose al richiamo di Achille, comparve dai verdi e salsi abissi, si levò come nebbia dai frangenti e si solidificò nell’alta forma della nobile dea. Achille corse a lei come un bambino ferito e cadde in ginocchio sulla sabbia fradicia. Teti gli cullò la testa contro il seno bagnato, mentre lui singhiozzava. «Figlio mio, perché piangi? Quale angoscia ti strazia il cuore?»
Achille gemette. «Lo sai, non puoi non saperlo, Madre… Non farmelo ripetere.»
«Ero con mio padre nei verdi e salsi abissi» mormorò Teti, lisciando i capelli d’oro di Achille. «Poiché mortali e dèi dormivano, a questa tarda ora, non ho visto ciò che è accaduto. Raccontami tutto, figlio mio.»
E Achille raccontò, piangendo di dolore, soffocato dall’ira. Parlò della comparsa di Pallade Atena, degli insulti e delle parole di scherno della dea. Descrisse l’uccisione del suo amico Patroclo. «Ha portato via il suo cadavere, Madre!» gridò. Era inconsolabile. «Ha portato via il suo cadavere, così non posso nemmeno onorarlo con gli adeguati riti funebri!»
Teti gli diede colpetti sulla spalla e scoppiò in lacrime anche lei. «Oh, figlio mio, mio dolore! La tua nascita è stata amarezza. Ho generato solo sventura. Perché ti ho allevato, se la volontà di Zeus è quella di gettarti nella polvere?»
Achille alzò il viso rigato di lacrime. «Allora è davvero volontà di Zeus? È proprio Pallade Atena colei che ha appena ucciso Patroclo… non una falsa immagine della dea?»
«È stata la volontà di Zeus» pianse Teti. «E anche se non ho visto, so che è stata la dea Atena in persona a schernirti e a uccidere il tuo amico stanotte. Oh, che disgrazia che tu sia destinato a una vita non solo breve, Achille, figlio mio, ma anche rovinata dal crepacuore.»
Achille si staccò da lei e si alzò. «Perché gli dèi immortali mi hanno insultato così, Madre? Perché Atena, che per tanti anni ha sostenuto la causa degli argivi e la mia in particolare, ora mi abbandona?»
«Gli dèi sono volubili» disse Teti, con l’acqua che dai capelli ancora le colava sui seni. «Forse l’hai notato.»
Achille camminava su e giù davanti a lei, stringendo e aprendo i pugni, trafiggendo l’aria. «Non ha senso! Farmi arrivare così lontano… aiutarmi spesso nelle conquiste… solo per essere insultato adesso da Atena e da suo padre.»
«Si vergognano di te, Achille.»
L’eroe si bloccò e girò verso di lei il viso pallido e impietrito. Aveva l’aria di chi è stato schiaffeggiato con forza. «Si vergognano di me? Si vergognano del piè veloce Achille, figlio di Peleo e della dea Teti? Si vergognano del nipote di Eaco?»
«Sì» disse Teti. «Zeus e gli dèi inferiori, Atena compresa, hanno sempre disprezzato i mortali, anche gli eroi. Dal loro punto di vista, tutti voi siete meno che inserti, trascorrete una vita sgradevole, animalesca e breve; la vostra esistenza è giustificata solo dal fatto che con la vostra morte li divertite. Perciò, restandotene imbronciato nella tenda, mentre le sorti della guerra si decidono, hai irritato la figlia terzogenita di Zeus e lo stesso signore e padre Zeus.»
«Hanno ucciso Patroclo!» ruggì Achille, allontanandosi di un passo dalla dea, lasciando sulla sabbia bagnata impronte subito cancellate dalle onde di risacca.
«Ritengono che tu sia troppo codardo per vendicare la sua morte» disse Teti. «Hanno abbandonato il suo corpo a corvi e avvoltoi sulle vette dell’Olimpo.»
Con un gemito, Achille cadde sulle ginocchia. Prese manate di sabbia bagnata e si percosse il petto. «Madre, perché me lo dici ora? Se già sapevi che gli dèi mi disprezzano, perché non me l’hai detto prima? Mi hai sempre insegnato a servire e riverire Zeus. A obbedire alla dea Atena.»
«Ho sempre sperato che gli altri dèi concedessero misericordia ai nostri figli mortali» disse Teti. «Ma il gelido cuore del signore Zeus e i modi da guerriero di Atena hanno avuto la meglio. La razza umana a loro non interessa più. Nemmeno per divertimento. E i pochi immortali che difendono la vostra causa non sono al sicuro dall’ira di Zeus.»
Achille si alzò e si avvicinò di tre passi. «Madre, tu sei una dea immortale, Zeus non ti può fare nulla.»
Teti rise senza allegria. «Il Padre può distruggere qualsiasi cosa e uccidere chiunque voglia, figlio mio. Perfino un immortale. Peggio ancora, può esiliarci nelle tenebre del Tartaro, gettarci in quell’abisso infernale, come ha fatto col suo stesso padre Crono e con la sua piangente madre, Rea.»
«Allora sei in pericolo» disse Achille, tramortito. Barcollò come un uomo che avesse bevuto troppo o un marinaio sul ponte di una piccola nave che beccheggi nel mare in burrasca.
«Sono condannata» disse Teti. «E tu pure, figlio mio, a meno che tu non faccia l’unica cosa che nessun mortale, nemmeno l’impudente Eracle, ha mai tentato prima.»
«Cosa, madre?» Al chiarore delle stelle il viso di Achille rivelava il turbamento, mutava per emozioni che passavano in un lampo dalla disperazione all’ira e a qualcosa più dell’ira.
«Abbatti gli dèi» bisbigliò Teti e le sue parole furono appena percettibili nel fragore della risacca. Achille si avvicinò, piegò la testa come se non credesse alle proprie orecchie. «Abbatti gli dèi» bisbigliò di nuovo Teti. «Assali l’Olimpo. Uccidi Atena. Deponi Zeus.»
Achille arretrò, barcollando. «È possibile?»
«No, se agisci da solo» disse Teti. Bianche onde si arricciarono intorno ai suoi piedi. «Ma se porti con te i guerrieri argivi e achei…»
«Agamennone e suo fratello comandano gli achei, gli argivi e i loro alleati, stanotte» la interruppe Achille. Si girò a guardare i fuochi accesi lungo chilometri di spiaggia e poi quelli, molto più numerosi, dei troiani, che splendevano appena al di là del fossato difensivo. «E argivi e achei sono sul punto di darsi alla fuga, stanotte, Madre. Forse all’alba le nere navi saranno già in fiamme.»
«Forse» disse Teti. «Le vittorie troiane di oggi sono solo un altro segno del capriccio di Zeus. Ma argivi e achei seguiranno te nella vittoria anche contro gli dèi, Achille. Proprio stanotte Agamennone ha detto a Odisseo e a Nestore e agli altri radunati nel suo campo che il migliore era lui: più saggio, più forte, più coraggioso di Achille. Mostragli che non è così, figlio mio. Mostra a tutti che non è così.»
Achille le girò la schiena. Guardava la lontana Ilio, dove le torce ardevano vividamente sulle alte mura. «Non posso combattere gli dèi e i troiani contemporaneamente.»
Teti gli toccò la spalla, fino a farlo girare. «Hai ragione, figlio mio, Achille piè veloce. Devi porre termine a questa insensata guerra contro Troia, iniziata per quella puttana della moglie di Menelao. Chi se ne frega di dove dorme la mortale Elena o se gli Arridi, Menelao e il suo arrogante fratello Agamennone, sono o no cornificati? Poni fine alla guerra. Fai pace con Ettore. Anche lui stanotte ha motivi per odiare gli dèi.»
Achille le rivolse un’occhiata, incuriosito, ma Teti non diede spiegazioni. Achille tornò a guardare i fuochi e la lontana città. «Oh, se potessi visitare l’Olimpo stanotte, così da uccidere Atena, deporre Zeus e reclamare il cadavere di Patroclo per i riti funebri.» Il tono era basso, ma terrificante per la folle decisione.
«Ti manderò un uomo a mostrarti la via» disse Teti.
Achille si girò di scatto. «Quando?»
«Domani, dopo che avrai parlato con Ettore, fatto fronte comune con i guerrieri troiani e tolto la sovranità sugli argivi e sugli achei a quell’Agamennone buono solo ad atteggiarsi a sovrano.»
Achille batté le palpebre all’audacia di quel progetto. «Come potrò trovare Ettore senza che mi uccida o che debba ucciderlo io?»
«Manderò un uomo che ti mostrerà anche questo» disse Teti. Arretrò. La risacca prima dell’alba le avvolse le gambe.
«Madre, non andare via!»
«Vado nella dimora di padre Zeus, incontro al mio fato» mormorò Teti, con voce che quasi si perse nel rumore dei frangenti. «Discuterò la tua causa un’ultima volta, figliolo, ma temo di fallire; e l’esilio sarà la mia sorte. Sii ardito, Achille! Sii coraggioso! Il tuo fato è stato previsto, ma non stabilito. Hai ancora la scelta fra morte e gloria o lunga vita, ma anche vita e gloria… e che gloria, Achille! Nessun mortale ha mai sognato una simile gloria! Vendica Patroclo.»
«Madre…»
«Gli dèi possono morire, figlio mio. Gli… dèi… possono… morire!» La sua forma ondeggiò, cambiò, divenne una nebbiolina e scomparve.
Achille rimase a fissare per vari minuti il mare, finché la fredda luce dell’alba non cominciò a strisciare da oriente; allora si girò, indossò le vesti e i sandali e la corazza e gli schinieri, prese il grande scudo, infilò la spada nel fodero appeso al cinturone, raccolse la lancia e si diresse al campo di Agamennone.
Dopo questa recita, crollo. Per tutto il dialogo il bracciale morfico mi ha pigolato all’orecchio, con la sua voce IA, da intelligenza artificiale: «Dieci minuti di carica prima del blocco. Sei minuti di carica prima…» e via di questo passo.
il marchingegno è quasi scarico e non ho idea di come ricaricarlo. Mi rimangono soltanto meno di tre minuti di morfizzazione, ma ne ho bisogno per fare visita alla famiglia di Ettore.
"Non puoi rapire un bambino" mi dice la vocina che è tutto ciò che resta della mia coscienza. "Devo farlo" è l’unica risposta che posso dare.
Devo farlo.
Ormai ci sono dentro. Ho riflettuto a fondo. Patroclo era il segreto per arrivare ad Achille. Scamandrio e Andromaca, figlio e moglie di Ettore, sono il segreto per convertire l’eroe troiano. L’unico modo.
Quando si è in ballo, bisogna ballare.
In precedenza, quando mi ero telequantato sulla collina inondata dal sole pomeridiano di quello che ancora mi auguro sia l’Indiana, tenendo fra le braccia Patroclo privo di sensi, non avevo visto traccia di Nightenhelser. Avevo subito lasciato cadere nell’erba Patroclo (non sono omofobo, ma trascinare un uomo nudo mi fa una strana impressione) e avevo lanciato richiami verso il fiume e la foresta, senza ottenere risposta da Keith Nightenhelser. Forse gli antichi nativi americani l’avevano ormai scotennato o adottato nella tribù. O forse il mio amico era soltanto dall’altra parte del fiume, nei boschi, a raccogliere noci e bacche.
Patroclo aveva emesso un gemito e si era mosso.
Dov’è il senso nel lasciare un uomo, nudo e stordito, straniero in una terra straniera come questa? E se un orso l’avesse ucciso? Poco probabile. Più probabile invece che Patroclo trovasse e uccidesse il povero Nightenhelser, anche se il greco era nudo e disarmato, mentre Keith era ancora in possesso di giubbotto protettivo, storditore e spada in dotazione. Sì, avrei scommesso su Patroclo. Dov’è il senso nel lasciare un Patroclo incazzato nello stesso ettaro di terra dove avevo abbandonato un pacifico accademico a raccogliere bacche?
Non avevo tempo per preoccuparmi. Avevo controllato la carica del bracciale morfico (era ridotta al lumicino) e mi ero telequantato di nuovo sulla costa di Ilio. Dall’esperienza con Atena avevo imparato qualcosa sul diventare una dea e morfizzarsi in Teti avrebbe richiesto meno energia che non morfizzarsi nella figlia di Zeus. Con un po’ di fortuna, avevo pensato, il congegno morfico avrebbe funzionato tanto da permettermi la scena con Achille e da conservare un po’ di carica per quella con la famiglia di Ettore.
Così era stato. E adesso mi resta ancora un po’ di carica. Mi posso morfizzare per un’ultima volta.
"La famiglia di Ettore" penso. Che cosa sono diventato?
"Un uomo in fuga" mi rispondo, mentre mi infilo l’Elmo di Ade e cammino sulla sabbia. Un disperato.
"Si scaricherà presto anche il medaglione? Nello storditore ci sarà ancora un po’ di energia, caso mai ne avessi bisogno a Ilio?"
Lo scoprirò presto. Non sarebbe ironico, se riuscissi a portare dalla mia parte Achille ed Ettore e poi non avessi più il mezzo per telequantare loro o me sull’Olimpo?
Me ne preoccuperò più tardi. Di tutta questa merda mi preoccuperò più tardi.
Ora ho un appuntamento, alle quattro di mattina, con la moglie e il figlio di Ettore.