6 Fili d’Ombra intessuti

Sammael camminava cauto sui tappeti decorati da motivi floreali, e aveva lasciato il passaggio aperto nel caso avesse avuto bisogno di una ritirata strategica; aveva anche mantenuto la presa su saidin. Di solito rifiutava di recarsi alle riunioni se non in campo neutro, o nel suo terreno, ma questa era la seconda volta che andava in quel posto. Una questione di necessità. Non era mai stato un uomo fiducioso e lo era sempre meno da quando aveva sentito stralci di quanto fosse successo fra Demandred e le tre donne; inoltre Graendal gli aveva riferito solo quanto le serviva per trarne dei vantaggi personali, ma questo poteva capirlo. Anche lui aveva dei piani personali di cui i Prescelti non erano al corrente. Ci sarebbe stato un solo Nae’blis, e quello era un premio che valeva quanto l’immortalità stessa.

Stava in piedi su un profondo palco, che terminava con una balaustra di marmo, dove tavoli e sedie dorati e intarsiati d’avorio, qualcuno con dettagli disgustosi, erano disposti per controllare il resto del lungo colonnato, tre metri più sotto. Non c’erano scale per scendere; era un’enorme, stravagante fossa dove venivano offerti degli spettacoli. Il sole risplendeva attraverso alte finestre i cui vetri colorati componevano disegni complessi. Il calore soffocante non penetrava; l’aria era fresca, ma se ne accorgeva appena. Graendal, proprio come lui, non aveva alcun bisogno di compiere un tale sforzo, ma lo aveva fatto. La meraviglia era che non avesse esteso la rete a tutto il palazzo.

Nella parte inferiore della stanza vi era qualcosa di diverso dalla sua ultima visita, ma non riusciva a capire cosa. Il centro della sala era occupato da tre lunghe vasche, ognuna con una fontana — forme fluide, movimento immortalato nella pietra — che spruzzavano l’acqua quasi fino agli archi di marmo, che arrivavano al soffitto. Uomini e donne si svagavano nelle vasche, indossando minuscoli indumenti di seta o ancor meno, mentre altri, appena più vestiti, si esibivano sui bordi, acrobati e giocolieri, ballerini di diversi stili e musicisti che suonavano flauti e corni, tamburi e tutti i tipi di strumenti a corda. Erano di tutte le corporature, tutte le tonalità di pelle e colori di occhi e capelli, ciascuno fisicamente perfetto. Era tutto studiato per divertire chiunque si trovasse sul palco. Un’idiozia. Uno spreco di tempo ed energia. Tipico di Graendal.

Quando Sammael vi giunse, il palco era vuoto a eccezione della sua presenza ma, saturo di saidin, aveva fiutato il profumo dolce di Graendal, simile all’aria di un giardino fiorito, e aveva anche sentito il rumore di passi sul tappeto molto prima che lei gli parlasse da dietro le spalle.

«Non sono bellissimi i miei animaletti?»

Si unì a lui davanti alla ringhiera, sorridendo nel vedere lo spettacolo sottostante. Il sottile abito in stile Domanese era molto aderente e riusciva molto più che a suggerire le forme della donna. Come sempre, aveva un anello con una pietra differente per ogni dito, quattro o cinque bracciali tempestati di gemme su ogni polso e una grande collana di zaffiri sopra il collo alto del vestito. Lui non sapeva nulla di certe cose, ma sospettava che ci fossero volute ore per sistemare quei ricci d’oro che le scendevano sulle spalle e le pietre di luna che parevano sparse casualmente fra di essi. C’era qualcosa in quella casualità che indicava una gran precisione.

Sammael a volte pensava a quella donna. Non l’aveva mai incontrata fino a quando aveva scelto di abbandonare una causa persa e seguire il Sommo Signore, ma sapevano tutti di chi si trattasse: era famosa e onorata, un’asceta dedita che curava le persone con le menti disturbate che la guarigione non poteva salvare. Al loro primo incontro, quando aveva accettato il giuramento iniziale al Sommo Signore, ogni traccia della sobria benefattrice era scomparsa, come se si fosse trasformata deliberatamente nell’opposto di ciò che era stata un tempo. In apparenza, la sua unica ossessione era il proprio piacere, che oscurava quasi il desiderio di eliminare tutte le persone che avessero qualche forma di potere. E questa fissazione nascondeva quasi la sete di potere che la donna mostrava di rado apertamente. Graendal era sempre stata brava a nasconder le cose. Sammael credeva di conoscerla meglio di qualunque altro Prescelto — lo aveva accompagnato a Shayol Ghul per rendere omaggio al suo padrone — ma nemmeno lui sapeva tutto. La donna aveva tante sfumature quante erano le squame di un jegal, e passava da una all’altra veloce come il lampo. All’epoca lei era stata l’insegnante e lui l’accolito, nonostante i suoi successi da generale. Adesso la situazione era cambiata.

Nessuno dei nuotatori e giocolieri guardava in alto, ma con la comparsa della donna divennero più energici, anche più aggraziati se possibile, nel tentativo di mostrare il loro lato migliore. Esistevano solo per compiacerla. Graendal se ne era accertata.

La donna fece un cenno a quattro acrobati, un uomo dai capelli scuri che supportava tre donne snelle, dalle pelli ramate e oleate. «Sono i miei favoriti. Credo che Ramsid sia il fratello del re domanese. La donna in piedi sulle sue spalle è la moglie. Le altre due sono la sorella più giovane del re e la figlia maggiore. Non trovi stupefacente quanto possa imparare la gente con il debito incoraggiamento? Pensa a tutti i talenti che finiscono sprecati.» Quello era uno dei suoi concetti favoriti. Un posto per tutti e tutti al proprio posto, scelti secondo i talenti personali e i bisogni della società. Tali bisogni parevano sempre coincidere con i suoi desideri. L’intera faccenda annoiava Sammael; aveva delle regole e sarebbe rimasto del suo parere.

L’acrobata maschio si voltò lentamente per offrire loro una buona visuale; sosteneva a braccia tese una donna da ogni lato mentre loro si tenevano appese con l’altra mano alla donna in bilico sulle sue spalle. Graendal era già andata avanti, verso un uomo dalla pelle molto scura e una donna riccia, entrambi davvero belli. I due suonavano delle strane arpe allungate, con dei campanelli che tintinnavano in risposta al suono cristallino delle corde pizzicate. «Il mio nuovo acquisto dalle terre oltre il deserto Aiel. Dovrebbero essermi grati per averli salvati. Chiape era Sh’boan, una specie di imperatrice, appena rimasta vedova, e Shaofan doveva sposarla e diventare Sh’botay. Per sette anni lei avrebbe governato, quindi sarebbe morta. A quel punto lui avrebbe scelto una nuova Sh’boan che avrebbe governato fino alla sua morte, dopo sette anni. Hanno seguito quel ciclo per almeno tremila anni senza mai interromperlo.» Rise leggermente e scosse il capo meravigliata. «Shaofan e Chiape insistono nel dire che le morti sono naturali. La chiamano la volontà del Disegno. Per loro tutto è volontà del Disegno.»

Sammael teneva gli occhi fissi sulla gente sottostante. Graendal cianciava come una sciocca, ma solo un cieco l’avrebbe scambiata per una sprovveduta. Ciò che in apparenza sembrava trapelare per caso dai suoi vaneggiamenti era invece disposto con la stessa accuratezza di un ago conje. La chiave era capirne la ragione. E cosa intendesse guadagnarci. Perché era andata a prendere delle ‘bestiole’ tanto lontano? Non si allontanava spesso. Stava cercando di spingerlo verso le terre oltre il deserto per fargli credere che avesse degli interessi da quelle parti? Il campo di battaglia era lì, nel luogo in cui si trovavano. Il primo tocco del Sommo Signore una volta che si fosse liberato sarebbe caduto lì. Il resto del mondo sarebbe stato spazzato dalle frange degli uragani, ma gli uragani sarebbero partiti da lì.

«Visto che gran parte della famiglia reale domanese ha i tuoi favori,» le rispose asciutto «sono sorpreso di non vedere anche il resto.» Se voleva dirottarlo, avrebbe trovato un modo per introdurre di nuovo il discorso. Graendal non pensava mai che qualcuno conoscesse abbastanza bene i suoi trucchi da poterli scorgere.

Una piccola donna che aveva i capelli scuri, non giovane ma con il tipo di bellezza pallida e l’eleganza che sarebbero durate una vita, apparve vicino al suo gomito, con in mano un calice di cristallo colmo di vino scuro. Sammael lo prese anche se non aveva intenzione di bere. I principianti stavano in guardia dal rischio di attacchi diretti, fino a farsi bruciare gli occhi, e lasciavano che un assassino solitario gli arrivasse alle spalle. Le alleanze, per quanto temporanee, andavano bene, ma meno Prescelti fossero rimasti per il Giorno del Ritorno, maggiori sarebbero state le possibilità fra i sopravvissuti di essere nominati Nae’blis. Il Sommo Signore aveva sempre incoraggiato tale... competizione. Solo i forti meritavano di servire. A volte Sammael credeva che quello scelto per governare il mondo sarebbe stato l’ultimo Prescelto sopravvissuto.

La donna si voltò verso il giovane muscoloso che teneva in mano un vassoio dorato con un altro calice e una brocca. Entrambi indossavano abiti bianchi trasparenti e nessuno guardava nemmeno distrattamente l’apertura del passaggio nel suo appartamento a Illian. Quando servì Graendal, il volto della donna era il ritratto dell’adorazione. Non c’erano mai problemi nel parlare davanti ai servitori e le ‘bestiole’, anche se fra loro non vi era un solo Amico delle Tenebre. Graendal non si fidava di loro, sosteneva che cambiavano idea facilmente, ma il livello di coercizione usato su coloro che la servivano personalmente lasciava poco spazio per altro al di fuori dell’adorazione.

«Mi aspetto quasi di vedere il re in persona servire il vino» proseguì Sammael.

«Sai che scelgo solo il meglio. Alsalam non raggiunge livelli di mio gradimento.» Graendal prese il vino dalla donna rivolgendole appena uno sguardo e Sammael si chiese, non per la prima volta, se quelle bestiole fossero un’altra copertura, come le chiacchiere. Una piccola provocazione avrebbe potuto svelargli qualcosa.

«Prima o poi cadrai, Graendal. Uno dei tuoi visitatori riconoscerà chi gli sta servendo il vino o gli prepara il letto e sarà abbastanza intelligente da mantenere il silenzio fino a quando andrà via. Cosa farai se qualcuno viene in questo palazzo con un esercito per liberare un marito o una sorella? Una freccia non è certo un fucile elettro-fulminante, ma può comunque ucciderti.»

La donna reclinò indietro il capo e rise, uno scampanellio di puro divertimento. Chiaramente troppo sciocca per cogliere l’insulto implicito. Almeno, per chi non la conosceva. «Oh, Sammael, perché dovrei lasciar veder loro qualcosa oltre ciò che voglio? Sicuramente non mando le mie bestiole a servirli. I sostenitori e gli oppositori di Alsalam, anche i fautori del Drago, vivono qui pensando che sono dalla loro parte e solo dalla loro. E non vogliono disturbare un’invalida.» L’uomo provò un forte prurito mentre la donna incanalava e per un istante l’immagine della Reietta cambiò. La pelle divenne ramata ma opaca, i capelli e gli occhi scuri e semplici; pareva scarna e fragile, una donna domanese un tempo bella che adesso stava lentamente perdendo la battaglia contro la malattia. L’uomo riuscì appena a evitare una smorfia. Un solo tocco avrebbe provato che i contorni spigolosi di quel volto non erano i suoi — solo il miglior uso dell’Illusione poteva superare la prova — ma Graendal sembrava avesse sposato l’eccentricità. Subito dopo fu di nuovo se stessa, con un sorriso sarcastico. «Non crederesti mai quanto si fidino di te e mi ascoltino.»

Non finiva mai di stupirlo il fatto che lei avesse scelto di rimanere in un palazzo ben noto in tutto l’Arad Doman, con la guerra civile e l’anarchia che la circondavano. Ovviamente non pensava che avesse lasciato sapere agli altri Prescelti dove si era sistemata. Il fatto che si fidasse di lui lo rendeva sospettoso. Alla donna piacevano le sue comodità e non voleva mai faticare troppo per conservarle, eppure quel palazzo era in vista delle montagne della Nebbia, e Graendal doveva lavorare molto per tenere la rivolta lontano da sé, per evitare che qualcuno chiedesse dove si trovava il precedente proprietario, con tutta la famiglia e i servitori. Sammael non sarebbe rimasto sorpreso se ogni Domanese che l’aveva visitata se ne fosse andato credendo che quella terra fosse stata governata dalla sua famiglia fin dal tempo della Frattura. Graendal usava la coercizione con la frequenza di un martello e qualcuno poteva dimenticare che sapesse usarne anche la forma più debole con gran delicatezza, distorcendo i percorsi mentali in modo talmente subdolo che anche al controllo più ravvicinato avesse potuto non essere scorta. Forse era la più brava tra le creature ancora viventi, in quell’arte.

Sammael lasciò svanire il passaggio ma mantenne la presa su saidin. Quei trucchi non funzionavano su qualcuno avvolto nella Fonte. E poi gli piaceva la lotta per la sopravvivenza, anche se adesso era inconsapevole; solo i più forti meritavano di sopravvivere e lui ne dava prova ogni giorno con la sua battaglia. La donna non aveva modo di sapere che lui aveva ancora saidin in pugno, ma dal sorriso fuggevole che gli rivolse, sembrava esserne certa. A Sammael non piaceva la gente che pensava di sapere tutto, né quelli che sapevano cose a lui sconosciute.

«Che devi dirmi?» le chiese, più rozzamente di quanto intendesse.

«Di Lews Therin? Non sembri mai interessato ad altro. Adesso sarebbe una bestiola. Ne farei l’attrazione principale di ogni spettacolo. Non che sia bello, ma la sua natura vi pone rimedio.» Sorridendo di nuovo, nascosta dietro la coppa di vino, in un mormorio che non sarebbe stato possibile sentire se lui non fosse stato saturo di saidin, aggiunse: «E poi, mi piacciono alti.»

Fu uno sforzo per lui non raddrizzarsi. Non era basso, ma gli seccava che la sua statura non fosse pari alle sue capacità. Lews Therin era più alto di lui, come anche al’Thor. Si supponeva sempre che l’uomo più alto fosse anche il migliore. Dovette sforzarsi di nuovo per non toccare la cicatrice che gli attraversava il viso dall’attaccatura dei capelli fino alla barba squadrata. Era stata opera di Lews Therin. La conservava come promemoria. Sospettava che la donna non gli avesse risposto di proposito. «Lews Therin è morto da molto tempo» ribatté acido. «Rand al’Thor è un contadino, uno spalaletame che ha avuto fortuna.»

Graendal lo guardò come se fosse sorpresa. «Lo pensi davvero? Dev’esserci ben più che fortuna, alle sue spalle. La fortuna non avrebbe potuto portarlo tanto lontano e tanto rapidamente.»

Sammael non era venuto per palare di Rand al’Thor, ma sentì freddo alla base della colonna vertebrale. Pensieri che si era costretto a congedare adesso ritornavano. Al’Thor non era Lews Therin, era l’anima rinata di Lews Therin, come Lews Therin era stato la rinascita di quell’anima. Sammael non era un filosofo né un teologo, ma Ishamael era stato entrambe le cose e sosteneva di avere indovinato dei segreti nascosti in quel fato. Ishamael era morto totalmente pazzo, certo, ma anche quando era ancora sano, quando ancora sembrava che avrebbero portato Lews Therin alla sconfitta, sosteneva che quella lotta fosse cominciata fin dalla Creazione, una guerra infinita fra il Sommo Signore e il Creatore, che usavano surrogati umani. Dichiarava anche che il Sommo Signore avrebbe preferito avere Lews Therin votato all’Ombra anziché liberarsi. Forse a quel punto Ishamael era già vagamente folle, ma erano stati fatti davvero degli sforzi per far convertire Lews Therin. Come diceva Ishamael, tutto era accaduto in passato, il miglior prodotto del Creatore divenuto una creatura dell’Ombra e promosso campione dell’Ombra.

C’erano delle implicazioni sconvenienti in quelle dichiarazioni, ramificazioni che Sammael non voleva prendere in considerazione, ma la cosa che gli tornava ora in mente era la possibilità che il Sommo Signore potesse davvero voler fare di Lews Therin un suo Nae’blis. Non poteva nascere dal nulla. Al’Thor aveva bisogno di aiuto. Aiuto — quello poteva spiegare la presunta fortuna sino ad allora. «Hai scoperto dove al’Thor nasconde Asmodean? O qualcosa su dove sia sparita Lanfear? O Moghedien?» Ma certo, Moghedien si nascondeva; il Ragno appariva sempre quando ormai si era sicuri che fosse morta.

«Ne sai quanto me» rispose allegra Graendal, fermandosi per sorseggiare il vino. «Io penso che Lews li abbia uccisi entrambi Oh, non farmi le smorfie. Al’Thor, visto che insisti.» Il pensiero non pareva disturbarla, ma in fondo non si sarebbe mai trovata in aperto conflitto con al’Thor. Non era mai stato quello il suo sistema. Se al’Thor l’avesse scoperta, avrebbe semplicemente abbandonato tutto e si sarebbe sistemata altrove — o forse si sarebbe arresa prima che potesse colpirla, quindi avrebbe cercato di convincerlo di essere indispensabile. «Ci sono delle voci fuori Cairhien sulla morte di Lanfear a causa di Lews Therin, lo stesso giorno che ha ucciso Rahvin.»

«Voci! Lanfear ha aiutato al’Thor fin dall’inizio, se vuoi saperlo. Avrei avuto la sua testa nel Cuore della Pietra se qualcuno non avesse inviato i Myrddraal e i Trolloc a salvarlo! Sono sicuro che si trattasse di Lanfear. Ho chiuso con lei. La prossima volta che la incontro, la uccido! E perché quel maledetto avrebbe dovuto uccidere Asmodean? Io lo farei se riuscissi a trovarlo, ma è passato dalla parte di al’Thor. Lo sta addestrando!»

«Hai sempre delle scuse per giustificare i tuoi fallimenti» sussurrò la donna, ancora una volta a voce molto bassa, una frase che lui non avrebbe sentito se non fosse stato colmo di saidin. A voce più alta, aggiunse: «Scegli le tue spiegazioni, se lo desideri. Potresti anche avere ragione. Io so solo che Lews Therin sembra ci stia tagliando fuori dal gioco uno a uno.»

La mano di Sammael tremava dalla rabbia, e versò il vino dal boccale prima di riuscire a calmarsi. Rand al’Thor non era Lews Therin. Lui in persona era sopravvissuto al grande Lews Therin Telamon, lasciandogli elogi per vittorie che non avrebbe potuto ottenere da solo aspettandosi che si complimentassero con lui. Il solo rimpianto era che non vi fosse una tomba del nemico su cui poter sputare.

Battendo le mani inanellate al ritmo della musica che proveniva dal basso, Graendal parlò con fare assente, come se la sua attenzione fosse davvero concentrata sul brano. «Molti di noi sono morti scontrandosi con lui. Aginor e Balthamel. Ishamael. Be’lal e Rahvin. Lanfear e Asmodean, qualsiasi cosa tu ne pensi. Forse anche Moghedien; o magari striscia nell’ombra in attesa che il resto di noi cada — era abbastanza sciocca per farlo. Spero che tu abbia un posto dove rifugiarti. Non sembra ci siano molti dubbi sul fatto che sarai la prossima vittima. Presto, direi. Non vedo nessun esercito qui, ma Lews Therin ne sta radunando uno bello grosso da scatenarti contro. Il prezzo che devi pagare se vieni visto mentre usi il Potere.»

Nel caso fosse servito, Sammael aveva delle linee di ritirata pronte — era una questione di prudenza —, ma sentire la certezza nella voce della donna lo fece infuriare. «Se distruggessi al’Thor, non violerei nessuno degli ordini del Sommo Signore.» Non comprendeva bene, ma non doveva capire il Sommo Signore, solo obbedire. «Da quanto mi hai detto. Ma se hai nascosto...»

Gli occhi azzurri di Graendal divennero duri come il ghiaccio. Evitava il confronto diretto, ma non le piacevano le minacce. Subito dopo fu tutta sorrisi frivoli. Era mutevole come il tempo a M’jinn. «Quello che Demandred ha riferito di aver sentito dal Sommo Signore, te l’ho rivelato per intero, Sammael. Ogni singola parola. Credo che nemmeno lui oserebbe mentire nel nome del Sommo Signore.»

«Ma mi hai riferito molto poco dei suoi piani,» rispose in tono sommesso Sammael «i suoi, quelli di Semirhage o di Mesaana. Praticamente non mi hai detto nulla.»

«Ti ho riferito quanto so» sospirò lei irritata. Forse stava dicendo la verità. Pareva davvero rimpiangere la propria ignoranza. Forse. Con lei, tutto e nulla erano possibili. «Per il resto... Pensa al passato, Sammael. Complottavamo uno contro l’altro quasi con la stessa energia con cui combattevamo contro Lews Therin, eppure stavamo vincendo prima che ci trovasse tutti riuniti a Shayol Ghul.» Rabbrividì per un istante e il viso parve stanco. Nemmeno Sammael voleva pensare a quel giorno, o a ciò che lo aveva seguito, un sonno senza sogni mentre il mondo cambiava e diventava irriconoscibile e svaniva tutto ciò per cui lui si era battuto. «Adesso ci siamo svegliati in un mondo dove potremmo trovarci in posizioni molto più alte di quelle dei comuni mortali, tanto da essere una specie differente e... stiamo morendo. Cerca di dimenticare per un momento chi sarà Nae’blis. Al’Thor — se devi chiamarlo con quel nome — era indifeso come un bambino quando ci siamo svegliati.»

«Ishamael non la pensava così» rispose — chiaro, Ishamael all’epoca era pazzo — ma la donna continuò come se l’altro non avesse parlato.

«Agiamo come se questo fosse il mondo che conoscevamo, quando invece nulla è rimasto come allora. Moriamo uno a uno e al’Thor diventa sempre più forte. Le terre e i popoli si uniscono a lui, e noi cadiamo. L’immortalità è mia. Non voglio morire.»

«Se ti spaventa, allora uccidilo.» Si pentì di averlo detto ancor prima di pronunciare quelle parole.

Incredulità e sdegno deformarono il volto di Graendal. «Io servo il Sommo Signore e obbedisco, Sammael.»

«Come me. Come chiunque altro.»

«È generoso da parte tua degnarti di genufletterti al nostro Padrone.» La voce della donna era di un freddo invernale, come il sorriso, e il volto stava oscurandosi. «Io dico solo che Lews Therin è pericoloso adesso come lo era ai nostri tempi. Spaventata? Sì. Ho paura. Voglio vivere per sempre, non andare incontro al destino di Rahvin!»

«Tsag!» L’oscenità le fece almeno battere le palpebre e per la prima volta lo guardò veramente. «Al’Thor... al’Thor, Graendal! Un ragazzo ignorante, qualunque cosa sia riuscito a insegnargli Asmodean! Un primitivo che probabilmente crede ancora che la maggior parte di quanto tu e io diamo per scontato sia impossibile! Al’Thor fa inchinare qualche signore e pensa di avere conquistato una nazione. Non ha la volontà di stringere il pugno e conquistarli su serio! Solo gli Aiel — Bajad drovja! Chi avrebbe creduto che potessero cambiare così tanto?» Doveva controllarsi. Non imprecava mai in quel modo, era una forma di debolezza. «Solo loro lo seguono veramente, e non tutti. È appeso a un filo, e prima o poi cadrà.»

«Lo farà, eh? E se invece...» Graendal si interruppe, sollevando il calice con tale rapidità che si versò il vino sul polso, e bevve fino a quando la coppa fu quasi vuota. L’elegante inserviente giunse di corsa con la brocca di cristallo. Graendal gli porse il calice per farlo riempire e proseguì a perdifiato. «Quanti di noi moriranno prima che sia finita? Dobbiamo restare insieme come non abbiamo mai fatto prima.»

Ma non era ciò che aveva iniziato a dire. Ignorò il ghiaccio che gli attanagliava ancora una volta la spina dorsale. Al’Thor non sarebbe stato scelto come Nae’blis. Non sarebbe successo! Per cui Graendal voleva che restassero uniti, vero? «Allora legati a me. Noi due insieme saremmo più che superiori ad al’Thor. Lascia che sia l’inizio della nostra alleanza.» La cicatrice dell’uomo si tese quando sorrise davanti all’improvvisa espressione vacua sul volto della donna. Avrebbe dovuto lasciargli il controllo e fidarsi della sua scelta del momento finale. «A quanto pare proseguiremo come prima.» Su quel punto non c’erano mai state discussioni; la fiducia non era una caratteristica di nessuno di loro. «Cos’altro hai da dirmi?» Era il motivo per cui si era recato in quel luogo, non per sentirla straparlare di al’Thor. Di lui si sarebbe occupato in un secondo momento. Direttamente o meno.

La donna si riprese e lo fissò con occhi colmi di animosità. Alla fine rispose: «Non molto.» Non avrebbe dimenticato che lui l’aveva vista perdere il controllo. Dalla voce della donna non trapelava rabbia; il tono era sereno, addirittura disinvolto. «Semirhage non si è presentata all’ultima riunione; non so perché e credo che non lo sapessero nemmeno Mesaana e Demandred. Mesaana in particolare era molto seccata, anche se cercava di nasconderlo. Crede che Lews Therin presto sarà nelle nostre mani, ma in fondo lo dice ogni volta. Era certa che Be’lal lo avrebbe catturato o ucciso a Tear; era molto fiera della trappola. Demandred ti raccomanda di essere cauto.»

«Quindi Demandred sa che ci incontriamo» rispose lui atono. Perché si era aspettato di ricevere da lei qualcosa più delle briciole?

«Certo che lo sa. Non sa quanto ti rivelo, ma sa che ti dico qualcosa. Sto cercando di fare in modo che ci uniamo, Sammael, prima che sia trop...»

L’uomo la interruppe secco. «Riferisci a Demandred questo messaggio per mio conto. Digli che so cosa sta combinando.» Gli eventi al Sud avevano il marchio di Demandred. Gli era sempre piaciuto servirsi dei delegati. «Digli che è lui quello che deve essere cauto. Non lascerò che lui o i suoi amici interferiscano con i miei piani.» Forse avrebbe potuto dirottare l’attenzione di al’Thor da quella parte; probabilmente così lo avrebbe eliminato. Se gli altri sistemi non avessero funzionato. «Fino a quando si terranno alla larga da me, i suoi lacchè potranno fare tutto quello che vuole lui, ma dovranno restare ben lontani, o lo riterrò responsabile.» C’erano stati molti conflitti dopo che il Foro era stato aperto nella prigione del Sommo Signore, molti anni prima che fossero riusciti a raccogliere abbastanza forze per muoversi apertamente. Stavolta, quando sarebbe stato spezzato l’ultimo sigillo, lui avrebbe presentato al Sommo Signore un’alleanza di nazioni pronte a seguirlo. Che male avrebbe fatto se non sapevano chi seguissero? Non avrebbe sbagliato, al contrario di Be’lal e Rahvin. Il Sommo Signore avrebbe potuto constatare chi lo aveva servito meglio.

«Glielo dirai?»

«Se lo desideri» rispose lei con riluttanza facendo una smorfia. Un istante dopo sul viso le tornò un sorriso pigro. Mutevole. «Tutte queste minacce mi hanno stancata. Vieni. Ascoltiamo la musica e calmiamoci.» Lui stava per rispondere che non aveva interesse per la musica, ma la donna si voltò verso la ringhiera. «Eccoli. Ascolta.»

L’uomo e la donna molto scuri erano andati ai piedi del palco con le loro strane arpe. Sammael supponeva che i campanelli aggiungessero qualcosa alla musica; cosa, non lo sapeva. Si inchinarono riverenti verso Graendal, mentre li guardava.

Malgrado il suo consiglio di stare ad ascoltare, la Reietta proseguì a parlare. «Vengono da un posto particolare. Le donne che possono incanalare devono sposare i figli di donne che possono incanalare e ognuna di quelle linee di discendenza viene marchiata fin dalla nascita da tatuaggi sul volto. Nessuno con il marchio può sposare qualcuno che non lo ha. Tutti i figli di tali unioni vengono uccisi. Gli uomini tatuati vengono uccisi al ventunesimo anno di età e prima di allora restano chiusi in un convento, troppo ignoranti anche solo per leggere.»

Così alla fine era ritornata sull’argomento. Doveva davvero pensare che fosse un sempliciotto. Decise di lanciare anche lui una frecciatina. «Li legano tutti assieme come criminali?»

La donna parve perplessa, ma nascose subito quell’espressione. Chiaramente non aveva capito; non c’era nessun motivo per cui avrebbe dovuto farlo. Poche persone ai loro tempi avevano commesso un crimine violento. Almeno prima del Foro. Ma lei non aveva ammesso la propria ignoranza. C’erano momenti in cui era più ragionevole nascondere la mancanza di conoscenza, ma Graendal a volte esagerava. Era il motivo per cui lui aveva parlato dei criminali. Sapeva che l’avrebbe incuriosita, la ricompensa per gli inutili stralci di informazioni che era stato costretto a elemosinare.

«No» rispose la donna, come se avesse capito. «Gli Ayyad, come si fanno chiamare, vivono nelle loro città o piccoli villaggi evitando chiunque altro e in teoria non incanalano mai senza permesso o ordine dei Sh’botay e Sh’boan. Sono loro il vero potere e il motivo per cui gli Sh’botay e Sh’boan governano per sette anni.» La donna rise per un istante. Lei aveva sempre ritenuto di essere il potere dietro al potere. «Sì, una terra affascinante. Troppo lontana dal centro per essere di qualche utilità almeno per molti anni.» La Reietta fece un impercettibile cenno di congedo con le dita inanellate. «Ci sarà molto tempo per vedere cosa si può fare, dopo il Giorno del Ritorno.»

Voleva definitivamente convincerlo di avere degli interessi da quelle parti. Se era vero, non ne avrebbe mai parlato. Sammael appoggiò il calice intonso sul vassoio che l’uomo muscoloso gli avvicinò prontamente. Graendal addestrava bene i suoi servitori. «Sono certo che la loro musica sia affascinante...» se ti interessavano quel tipo di cose «ma devo completare dei preparativi.»

Graendal gli appoggiò una mano sul braccio. «Preparativi prudenti, mi auguro. Il Sommo Signore non sarà compiaciuto se interferisci con i suoi piani.»

Sammael tese le labbra. «Ho fatto quasi tutto tranne arrendermi, per convincere al’Thor che non sono una minaccia per lui, ma l’uomo sembra ossessionato da me.»

«Potresti abbandonare Illian e iniziare da capo altrove.»

«No!» Non era mai fuggito da Lews Therin e non lo avrebbe fatto davanti a un buffone di provincia. Il Sommo Signore non poteva voler mettere uno come lui al comando dei Prescelti.

«Non mi piace ripetermi, Sammael.» Dietro la voce della donna si nascondeva un tocco di esasperazione e negli occhi un pizzico di rabbia. «Se non mi hai creduta la prima volta, non lo farai ora.»

L’uomo la fissò ancora per un istante, quindi fece un brusco cenno del capo. Molto probabilmente gli aveva detto la verità; una bugia che riguardasse il Sommo Signore poteva avere dei temibili contraccolpi. «Non vedo alcun motivo per incontrarci di nuovo fino a quando tu non avrai qualcosa da dirmi oltre il fatto della presenza o meno di Semirhage.» La breve occhiata cupa verso i musicisti avrebbe dovuto essere sufficiente a convincere Graendal che era riuscita a ingannarlo; lo sguardo di disapprovazione si estese alla gente che sguazzava nelle vasche, agli acrobati e al resto, per non sembrare troppo ovvio. Tutto ciò gli costò uno sforzo: la carne in mostra lo disgustava davvero. «La prossima volta verrai a Illian.»

La donna sollevò le spalle come se non importasse, ma mosse leggermente le labbra e l’udito dell’uomo amplificato da saidin sentì: «Se sarai ancora lì.»

Sammael aprì con freddezza un passaggio verso Illian. Il giovane uomo muscoloso non si mosse abbastanza rapidamente; non ebbe il tempo di gridare prima di essere tagliato in due, lui e il vassoio con la caraffa. I bordi di un passaggio facevano sembrare poco taglienti quelli di un rasoio. Graendal si umettò le labbra con un gesto di stizza alla perdita di una delle sue bestiole.

«Se vuoi aiutarci a restare vivi,» aggiunse Sammael «cerca di scoprire come Demandred e gli altri intendono eseguire le istruzioni del Sommo Signore.» Detto questo entrò nel passaggio senza mai distogliere lo sguardo dal viso della donna.

Graendal mantenne l’espressione stizzosa fino a quando il passaggio si chiuse alle spalle di Sammael, quindi si permise di tamburellare sulla ringhiera di marmo. Con i suoi capelli biondo oro, Sammael avrebbe potuto essere abbastanza attraente da stare fra le sue bestiole, se avesse lasciato che Semirhage rimuovesse la cicatrice che gli attraversava il volto. Era la sola a essere sopravvissuta con la capacità di fare quanto una volta sarebbe apparsa una cosa semplice. Fu un pensiero ozioso. La vera domanda era se i suoi sforzi fossero valsi a qualcosa.

Shaofan e Chiape suonavano l’insolita musica atonale, piena di complesse armonie e strane dissonanze, molto bella; i loro volti erano illuminati dalla gioia di poterla compiacere. La donna annuì, quasi percependo la loro delizia. Adesso erano molto più felici di quanto non sarebbero stati da soli. Era stato difficile procurarseli, e tutto per quei pochi minuti con Sammael. Avrebbe anche potuto darsi meno da fare — chiunque originario di quelle terre sarebbe andato ugualmente bene — ma lei aveva dei parametri precisi anche quando preparava un sotterfugio momentaneo. Da molto tempo ormai aveva deciso di cercare ogni forma di piacere, di non negarsi nulla purché non si intromettesse fra lei e il Sommo Signore.

Lo sguardo le ricadde sulle interiora che macchiavano il tappeto e arricciò il naso irritata. Il tappeto poteva essere salvato, ma le seccava dover rimuovere il sangue di persona. Diede degli ordini veloci e Osana corse per far portare via il tappeto. E occuparsi dei resti di Rashan.

Sammael era uno sciocco prevedibile. No, non uno sciocco. Era letale quando aveva qualcosa da combattere direttamente, qualcosa che potesse vedere con chiarezza, ma era quasi cieco davanti ai sotterfugi. Probabilmente credeva che il suo trucco servisse a mascherare le intenzioni sue e degli altri. Una cosa che l’uomo non avrebbe mai preso in considerazione era che lei conosceva ogni anfratto della sua mente, dei suoi pensieri. Dopotutto aveva trascorso quasi quattrocento anni a studiare il lavorio di cervelli più complessi del suo. Era trasparente. Per quanto cercasse di nasconderlo, il suo era un temperamento frenetico. Intrappolato in una scatola che lui stesso aveva progettato, che avrebbe difeso fino alla fine anziché abbandonarla, una scatola nella quale probabilmente sarebbe morto.

La donna sorseggiò il vino e aggrottò leggermente la fronte. Forse aveva già raggiunto i suoi scopi con lui, anche se si era aspettata che le sarebbero servite quattro o cinque visite. Avrebbe dovuto trovare una scusa per recarsi a Illian; era meglio tenere il paziente sotto osservazione, anche se pareva che si fosse avviato nella direzione prescelta.

Che il ragazzo fosse un semplice contadino o Lews Therin in persona reincarnato — non riusciva a decidersi in merito —, si era dimostrato fin troppo pericoloso. Lei serviva il Sommo Signore delle Tenebre, ma non voleva morire, nemmeno per Lui. Ovviamente nessuno andava contro i desideri del Sommo Signore, a meno che non desiderasse trascorrere un’eternità a morire e un’altra a desiderare un’agonia migliore di quella lenta morte. Rand al’Thor andava eliminato, ma la sua morte sarebbe stata colpa di Sammael. Se si fosse accorto che lo avevano indirizzato su Rand al’Thor come un dormat addestrato per la caccia, ne sarebbe rimasta sorpresa. Ma quello non era un uomo in grado di riconoscere i sotterfugi.

Non era però stupido. Sarebbe stato interessante scoprire com’era venuto a sapere del legame. Lei non lo avrebbe mai scoperto se Mesaana non se lo fosse lasciato sfuggire mentre si sfogava con Semirhage; era talmente arrabbiata che non si era accorta di quanto avesse finito per rivelare. Per quanto tempo era rimasta nascosta nella Torre Bianca, Mesaana? Il semplice fatto che fosse stata in quel posto apriva nuovi, interessanti orizzonti. Se c’era qualche modo di scoprire anche i nascondigli di Demandred e Semirhage, sarebbe stato possibile decifrare cosa avevano intenzione di fare, ma non si erano fidati a rivelarglielo. Oh, no. Quei tre avevano lavorato insieme fin dalla Guerra del Potere. Se non altro in apparenza. Era certa che avessero complottato uno contro l’altra con la stessa assiduità degli altri Prescelti, ma lei non aveva mai trovato spazio per le sue manovre, all’interno dei loro reciproci tradimenti.

Il rumore di passi annunciò un nuovo arrivo, ma non erano gli uomini che dovevano rimpiazzare il tappeto e rimuovere Rashan. Ebram era un bel giovane domanese con delle brache rosse aderenti e una fluttuante camicia bianca; avrebbe potuto far parte della sua collezione di bestiole se fosse stato qualcosa più del figlio di un mercante. Mentre si inginocchiava la fissò, con gli occhi scuri e brillanti. «Il lord Iturande è arrivato, somma signora.»

Graendal appoggiò il calice sul tavolo che a prima vista pareva intarsiato di ballerini d’avorio. «Allora parlerà con lady Basene.»

Ebram si alzò lentamente e offrì il braccio alla fragile donna domanese che aveva davanti agli occhi. Sapeva chi si nascondesse dietro le tessiture dell’illusione, ma anche così la riverenza sul suo viso diminuì leggermente; adorava Graendal, ma, non Basene. Al momento, però, non le importava. Sammael era puntato contro Rand al’Thor, e forse si era anche già lanciato. Per quanto riguardava Demandred, Semirhage e Mesaana... Nessuno sapeva che anche lei aveva fatto il viaggio a Shayol Ghul, fino al lago di fuoco. Solo lei sapeva che il Sommo Signore le aveva promesso di farla Nae’blis, una promessa che sarebbe stata portata a termine non appena fosse stato eliminato al’Thor. Sarebbe stata la più obbediente dei servitori del Sommo Signore. Avrebbe disseminato il caos fino a quando la messe avrebbe fatto esplodere i polmoni di Demandred.

Semirhage chiuse la porta rinforzata in ferro alle sue spalle. Uno dei globi luminosi, salvato solo il Sommo Signore sapeva da dove, lampeggiava intermittente, ma la luce era comunque migliore delle candele o delle lampade a olio che doveva per forza accettare in quei giorni. A parte la luce, il luogo aveva un aspetto intimidatorio, come una prigione, pareti di pietra rozza e un pavimento spoglio con un piccolo tavolo di legno in un angolo. Non era stata una sua idea. Lei avrebbe fatto tutto bianco immacolato e lucido cueran, Uscio e sterile. Quel luogo era stato preparato prima che lei ne conoscesse l’uso. Una donna vestita di seta chiara era sospesa in aria a braccia e gambe divaricate e la guardava con aria di sfida. Un’Aes Sedai. Semirhage odiava le Aes Sedai.

«Chi sei?» chiese la donna. «Un’Amica delle Tenebre? Una Sorella Nera?»

Ignorando quella voce, Semirhage controllò la barriera fra quella donna e saidar. Se avesse ceduto, avrebbe potuto nuovamente mascherare la disgraziata senza problemi — era un segno di debolezza se poteva lasciare la barriera legata e senza guardia — ma prendersi cura di tutto era nella sua natura, fare ogni passo quando era necessario. Adesso doveva occuparsi del vestito della donna. Le persone vestite si sentivano più sicure di quelle nude. Con delicatezza lavorò dei flussi di Fuoco e Vento, tagliando il vestito e facendone ricadere ogni minima parte ai piedi della ‘paziente’.

Ammucchiando tutto davanti alla donna in una palla compatta, incanalò ancora, Fuoco e Terra, e una polvere sottile ricadde sul pavimento.

La donna spalancò gli occhi azzurri. Semirhage dubitava che sarebbe riuscita a duplicare quelle piccole imprese, anche se l’aveva seguita.

«Chi sei?» Stavolta la voce era tesa. Forse aveva paura. Era sempre un bene se si spaventavano subito.

Semirhage trovò il centro nervoso del cervello della donna che riceveva il messaggio di dolore dal corpo, e con molta meticolosità incominciò a stimolarlo con Spirito e Fuoco. All’inizio solo in piccole quantità, aumentando poi con lentezza. Troppo e tutto insieme poteva uccidere in pochi momenti, ma era stupefacente quanto a lungo potesse essere portato avanti quel sistema, se veniva incrementato poco per volta. Lavorare su qualcosa che non potevi vedere era un compito difficile, anche da vicino, ma sapeva molto del corpo umano, più di chiunque altro.

La paziente scosse il capo nel tentativo di rimuovere il dolore, quindi si accorse di non riuscire a farlo e guardò fissa Semirhage, che restituì appena lo sguardo mantenendo la rete di flussi. Anche in un’azione rapida come doveva essere quella, poteva comunque permettersi un po’ di pazienza.

Odiava quelle che adesso si facevano chiamare Aes Sedai. Lei era stata una vera Aes Sedai, non una sciocca ignorante come quella sempliciotta appesa davanti a lei. Era stata nota, famosa, inviata in ogni angolo del mondo per la sua capacità di guarire ogni ferita, di riportare la gente indietro dal limite della morte, quando tutti gli altri si arrendevano dicendo che non potevano più farci nulla. Una delegazione dalla Sala dei Servitori le aveva offerto una scelta che non era una scelta: essere legata e quindi non conoscere mai il suo piacere personale e, con quel legame, essere in grado di vedere l’arrivo della fine di una vita; l’alternativa era essere Troncata e cacciata via dalle Aes Sedai. Si erano aspettati che avrebbe accettato il legame; era logico, la cosa giusta da fare, e loro erano razionali, uomini e donne a posto. Non credevano che sarebbe fuggita. Semirhage era stata una delle prime a recarsi a Shayol Ghul.

Sul volto della paziente apparvero grandi gocce di sudore. Aveva la mandibola serrata e le narici dilatate. Di tanto in tanto gemeva. Pazienza. Sarebbe accaduto presto.

La causa era stata la gelosia da parte di tutti coloro che non potevano fare quello che faceva lei. Quelli che aveva strappato alla morte, avevano forse mai detto che avrebbero preferito morire piuttosto che soffrire un po’ mentre li salvava? E gli altri? C’era sempre qualcuno che meritava la sofferenza. Che cosa importava se a lei piaceva che gli altri soffrissero? Il Consiglio e le sue lamentele ipocrite sulla legge e i diritti. Si era guadagnata il diritto di fare quel che faceva; lo aveva sudato. Lei aveva avuto più valore per il mondo di tutti quelli che la intrattenevano con le loro grida. Il Consiglio aveva cercato di rimuoverla dalla sua posizione per gelosia e mancanza di rispetto!

Be’, alcuni di loro erano caduti nelle sue mani durante la guerra. A tempo debito avrebbe spezzato anche l’uomo più forte, la donna più fiera, li avrebbe modellati esattamente come voleva. Quel processo forse era più lento della coercizione, ma era anche molto più divertente, e pensava che nemmeno Graendal potesse disfare il suo operato. La coercizione poteva venire districata. Ma i suoi pazienti... l’avevano pregata in ginocchio di affidare le loro anime all’Ombra e avevano servito obbedienti fino al giorno della morte. Demandred era pieno di boria come sempre, un altro Membro del Consiglio che annunciava pubblicamente l’alleanza con il Sommo Signore, ma per lei la parte migliore era il modo in cui impallidivano, anche ad anni di distanza, quando la vedevano, il modo in cui si affrettavano a rassicurarla che erano ancora fedeli a ciò in cui li aveva trasformati.

Dalla donna sospesa giunse il primo singhiozzo. Semirhage aspettava impassibile. In quel caso forse avrebbe dovuto agire più rapidamente, ma troppa fretta poteva rovinare tutto. Eruppero altri singhiozzi, malgrado gli sforzi della paziente di trattenerli, e il gemito divenne sempre più forte, fino a quando si trasformò in un grido. Semirhage aspettava. La donna riluceva per via di uno spesso strato di sudore; la testa ciondolava da un lato all’altro, i capelli ondeggiavano, e si agitava senza speranze in preda alle convulsioni, cinta da pastoie invisibili. Le grida a squarciagola erano assordanti, duravano fino a esaurire l’ultimo filo di fiato e ricominciavano non appena l’aria riempiva di nuovo i polmoni. Quei grandi occhi azzurri e sgranati non vedevano nulla; sembravano vitrei.

Semirhage tagliò di colpo i filamenti di saidar, ma passarono alcuni minuti prima che le grida si tramutassero in ansimi. «Come ti chiami?» chiese gentilmente. Il tipo di domanda era irrilevante, purché fosse una alla quale poteva rispondere. Avrebbe potuto essere «Vuoi ancora sfidarmi?» Spesso era piacevole continuare con quella stessa domanda fino a quando la pregavano di poterle dimostrare che non volevano più sfidarla, ma stavolta doveva rivolgere tutte domande mirate.

La donna fu scossa da tremiti involontari. Rivolse a Semirhage un’occhiata sospettosa, uno sguardo in tralice, si umettò le labbra, tossì e alla fine mormorò rauca: «Cabriana Mecandes.»

Semirhage sorrise. «Fai bene a dirmi la verità.» Nel cervello c’erano centri del dolore e del piacere. Stavolta stimolò il secondo, solo per qualche momento ma con energia, e si avvicinò. La scossa fece sgranare gli occhi di Cabriana. Era rimasta a bocca aperta. Semirhage estrasse un fazzoletto dalla manica, sollevò il volto stupito della donna e tamponò il sudore con dolcezza. «So che per te è molto difficile, Cabriana» disse con voce calorosa. «Ma devi cercare di non rendere tutto ancora più complicato.» Con un tocco delicato le rimosse i capelli umidi dal viso. «Gradiresti qualcosa da bere?» Incanalò senza attendere la risposta; una borraccia di metallo battuto volò dal piccolo tavolo all’angolo fino alla sua mano. L’Aes Sedai non distolse lo sguardo da Semirhage, ma bevve con avidità. Dopo alcuni sorsi, Semirhage prese la borraccia e la mise di nuovo sul tavolo. «Sì, molto meglio, vero? Ricorda, cerca di non rendere le cose più difficili per te.» Quando si voltò, la donna parlò ancora con voce graffiante.

«Sputo nel latte di tua madre, Amica delle Tenebre! Mi senti? Io...»

Semirhage smise di ascoltare. In ogni altro momento sarebbe stato un gran piacere vedere che la resistenza del paziente non era stata ancora abbattuta. L’estasi più pura derivava dallo sradicare resistenza e dignità poco a poco, osservando i pazienti che si rendevano infine conto che avrebbero perso e tentavano invano di appigliarsi a quanto rimaneva loro. Adesso però non c’era tempo. Piazzò di nuovo con cura la rete sui centri del dolore. Di solito le piaceva mantenere il controllo, ma stavolta era necessario muoversi in fretta. Fece scattare la rete, incanalò per spegnere le luci e andò via, chiudendosi la porta alle spalle. L’oscurità avrebbe lavorato a suo favore. Da sola, nell’oscurità, con il dolore.

Pur non volendo, Semirhage emise un verso di frustrazione. Non era un lavoro raffinato. Non le piaceva operare con la fretta e doversi allontanare dal suo incarico; la ragazza era testarda e ostinata, le circostanze difficili.

Il corridoio era molto simile alla stanza per la sua semplicità, un ampio e oscuro passaggio nella roccia, con dei tronconi perpendicolari che non aveva voglia di visitare, quasi persi nelle tenebre. Si vedevano solo altre due porte; una conduceva ai suoi appartamenti. Sarebbero stati abbastanza accoglienti se si fosse fermata lì, ma si diresse da tutt’altra parte. Shaidar Haran piantonava quella porta, vestito di nero e avvolto in un’oscurità simile a fumo, così immobile che fu quasi un colpo quando parlò; ricordava il suono delle ossa che si polverizzavano in terra.

«Che cosa hai scoperto?»

La convocazione a Shayol Ghul si era rivelata un ammonimento da parte del Sommo Signore. QUANDO OBBEDISCI A SHAIDAR HARAN, OBBEDISCI A ME. QUANDO DISOBBEDISCI A SHAIDAR HARAN...

Per quanto l’avviso le fosse odioso, non c’era stato bisogno di altro. «Il suo nome. Cabriana Mecandes. Non avrei potuto scoprire altro, con tutta questa fretta.»

L’uomo fluttuò in quel suo modo che dava noia alla vista: il mantello nero come l’ebano pendeva rigido come se volesse negare ogni forma di movimento. Un istante prima era una statua a venti passi di distanza, e il seguente torreggiava su di lei costringendola a indietreggiare oppure torcersi il collo per guardare quel volto pallido e senza occhi. Indietreggiare era fuori discussione. «La prosciugherai totalmente, Semirhage. La spremerai fino all’ultimo, senza ritardi, e mi riferirai tutto quello che scopri.»

«Ho promesso al Sommo Signore che lo avrei fatto» dichiarò lei con freddezza. Le labbra anemiche di Shaidar Haran si distorsero in un sorriso. Fu la sola risposta che fornì. Voltandosi di scatto si allontanò fra le chiazze d’oscurità e... scomparve di colpo.

Semirhage avrebbe tanto voluto sapere come faceva il Myrddraal a eseguire quel trucco. Non aveva nulla a che fare con il Potere, ma ai margini dell’ombra, dove la luce diventava scura, un Myrddraal poteva trovarsi di colpo altrove, raccolto in un’altra ombra ben più lontana. Molto tempo prima, Aginor aveva studiato oltre cento di loro fino a distruggerli nel vano sforzo di scoprire come riuscissero a farlo. Nemmeno i Myrddraal lo sapevano; lei in persona lo aveva sperimentato.

Si accorse di colpo di avere le mani premute sullo stomaco che le sembrava una palla di ghiaccio. Erano trascorsi molti anni da quando aveva provato paura in qualsiasi circostanza, se non quando incontrava il Sommo Signore nel Pozzo del Destino. Il groppo gelido incominciò a sciogliersi mentre Semirhage si spostava verso l’altra porta della prigione. Più tardi avrebbe analizzato quelle emozioni; Shaidar Haran era diverso da ogni altro Myrddraal che avesse mai visto, ma era pur sempre un Myrddraal.

Il secondo paziente, sospeso come la prima a mezz’aria, era un uomo massiccio dal volto squadrato, con una giubba verde e le brache che parevano adatte a svanire in una foresta. I bulbi luminosi tremavano e stavano esaurendosi — era un miracolo che avessero sopravvissuto tanto a lungo — ma il Custode di Cabriana non era importante. Ciò di cui aveva bisogno, qualsiasi ne fosse lo scopo, era custodito nella mente dell’Aes Sedai, ma al Myrddraal era stato detto di catturare un’Aes Sedai e nelle loro menti, per qualche motivo, le Aes Sedai erano inseparabili dal loro Custode; era un bene che lo avesse preso. Prima d’ora, lei non aveva avuto mai modo di spezzare uno di questi combattenti tanto decantati.

Gli occhi scuri dell’uomo tentarono di scavarle dei buchi nella testa mentre lo svestiva e distruggeva gli indumenti come aveva fatto con quelli di Cabriana. Era peloso, una grande massa di muscoli duri e cicatrici. Non batteva ciglio. Non diceva nulla. La sfida che proponeva era diversa da quella della donna. Quella di lei era ardita, gliela aveva gettata in faccia apertamente, mentre quella di lui era un calmo rifiuto a piegarsi. Sarebbe stato più duro da spezzare della sua padrona. In condizioni normali, sarebbe stato molto più interessante.

Semirhage fece una pausa e lo studiò. C’era qualcosa... Una certa tensione attorno alle labbra e agli occhi. Come se stesse già combattendo il dolore. Ma certo. Il particolare legame fra Aes Sedai e Custode. Strano che quelle primitive fossero riuscite a inventare qualcosa che nessuno dei Prescelti capiva, ma era proprio così. Da quel poco che sapeva, quel tizio probabilmente provava almeno parte di quanto la donna stava subendo. In un altro momento, questo fatto avrebbe offerto possibilità interessanti. Adesso significava solo che l’uomo pensava di sapere cosa stesse affrontando.

«La tua padrona non si prende buona cura di te» gli disse. «Se non fosse solo una selvaggia, non ci sarebbe stato bisogno che ti venissero inferte tutte quelle cicatrici.» L’espressione dell’uomo cambiò di poco. Piegando verso il disgusto. «Ecco.»

Stavolta la Reietta piazzò la rete di flussi sul centro del piacere e iniziò a stimolarlo lentamente. Era un uomo intelligente. Fece una smorfia, scosse il capo, quindi socchiuse gli occhi, mantenendoli fissi su di lei come schegge di ghiaccio scuro. Sapeva che non avrebbe dovuto provare quella gioia crescente e, anche se non poteva vedere la tessitura, capiva che doveva essere opera sua, quindi sembrò che la combattesse. Semirhage sorrise quasi. Senza dubbio l’uomo credeva che il piacere fosse più facile da combattere del dolore. In rare occasioni era bastato a spezzare la resistenza dei pazienti. Non la faceva divertire molto, e subito dopo i pazienti non riuscivano a pensare in maniera coerente e volevano che altra estasi fiorisse nelle loro teste, ma era un metodo veloce: avrebbero fatto di tutto per averne ancora. La mancanza di coerenza era il motivo per cui non aveva usato il metodo con l’Aes Sedai; da lei aveva bisogno di risposte. Quel tizio avrebbe scoperto presto la differenza.

Differenza. La donna appoggiò pensierosa un dito sulle labbra. Perché Shaidar Haran era diverso da tutti gli altri Myrddraal? Non le piaceva scoprire cose insolite quando tutto pareva volgere a suo favore, e un Myrddraal elevato al di sopra dei Prescelti, anche se occasionalmente, era ben altro che una semplice stranezza. Al’Thor era accecato, concentrato su Sammael, e Graendal faceva sapere a Sammael abbastanza da evitare che rovinasse tutto con il suo orgoglio. Ovviamente Graendal e Sammael stavano complottando per avvantaggiarsi, insieme o separati. Sammael era un animo focoso con dei progetti complessi e Graendal non era più prevedibile di lui. Non avevano mai imparato che il potere derivava solo dal Sommo Signore, elargito secondo la sua volontà, per suoi motivi personali. Secondo i suoi capricci; nella sicurezza della propria testa, lei poteva pensarlo.

Ancora più preoccupanti erano i Prescelti svaniti misteriosamente. Demandred insisteva che erano morti, ma lei e Mesaana non ne erano sicure. Lanfear. Se esisteva la giustizia, il tempo le avrebbe consegnato Lanfear. La donna appariva sempre quando meno ci si aspettava, comportandosi come se avesse il diritto d’infilare il naso negli affari degli altri; svolazzando sempre verso la salvezza se il suo curiosare la portava al disastro. Moghedien. Rimaneva sempre nascosta, ma non era mai sparita tanto a lungo senza farsi vedere di tanto in tanto, solo per ricordare agli altri che anche lei era una Prescelta. Asmodean. Un traditore, quindi marchiato dal destino, ma era davvero svanito. L’esistenza di Shaidar Haran e gli ordini che lei aveva ricevuto, impartiti in modo tale da ricordarle che il Sommo Signore lavorava a modo suo e per i propri fini.

I Prescelti erano solo pedine di una scacchiera. Forse erano consiglieri e capi, ma erano pur sempre dei pezzi in un gioco più ampio. Se il Sommo Signore l’aveva convocata in segreto, forse stava facendo lo stesso con Lanfear e Moghedien, o magari Asmodean. Forse Shaidar Haran avrebbe anche potuto essere inviato a dare ordini a Graendal o Sammael. O Demandred e Mesaana. La loro scomoda alleanza — se poteva essere definita con un termine tanto forte — era durata a lungo, ma nessuno dei due le avrebbe detto se avevano o meno ricevuto degli ordini in segreto dal Sommo Signore, come lei non li avrebbe messi al corrente dei comandi che l’avevano portata in quel luogo, o di quelli che le avevano fatto inviare Myrddraal e Trolloc alla Pietra di Tear contro quelli di Sammael.

Se il Sommo Signore voleva fare di al’Thor un Nae’blis, lei si sarebbe inginocchiata al nuovo padrone — e avrebbe atteso che commettesse un errore finendo per cadere nelle sue mani. L’immortalità significava poter aspettare all’infinito. Ci sarebbero sempre stati altri pazienti per divertirla, nell’attesa. Quello che la preoccupava era Shaidar Haran. Era sempre stata indifferente come una giocatrice di tcheran, ma Shaidar Haran era un nuovo pezzo sulla scacchiera, dalla forza e dagli scopi sconosciuti. E un modo azzardato di catturare l’Alto Consigliere del tuo avversario e farlo convertire alla tua causa consisteva nel sacrificare i tuoi capi in un falso attacco. Se fosse servito si sarebbe inginocchiata, per tutto il tempo necessario, ma non sarebbe stata un agnello sacrificale.

Una strana sensazione proveniente dalla rete la distrasse dai suoi pensieri. Guardò il paziente e schioccò la lingua esasperata. La testa pendeva da un lato, il mento era annerito dal sangue nel punto in cui si era morso la lingua, gli occhi erano fissi e già vitrei. Si era distratta, lasciando avanzare troppo e troppo in fretta la stimolazione. Con una forma d’irritazione che non le sfiorò mai il volto, smise di incanalare. Non serviva a nulla stimolare il cervello di un morto.

Le venne in mente un pensiero improvviso. Se il Custode provava le stesse sensazioni dell’Aes Sedai, era vero anche il contrario? Guardando le cicatrici sul corpo dell’uomo era certa che fosse impossibile; anche quelle semplici sciocche avrebbero modificato il legame, se avesse significato condividere tutto quel dolore. Abbandonò comunque il cadavere e si avviò rapida nel corridoio.

Le grida, udibili ancora da prima che aprisse la porta rinforzata nell’oscurità, le procurarono un sospiro di sollievo. Uccidere la donna prima di estorcerle tutto ciò che sapeva probabilmente avrebbe significato rimanere in attesa fino a quando non fosse stata catturata un’altra Aes Sedai. Come minimo.

Fra le frasi gridate e gutturali ce n’era qualcuna comprensibile, parole che sembravano avere tutta la forza dell’anima della paziente. «Ti prego! Oh, Luce, ti prego!»

Semirhage sorrise debolmente. Non era poi così divertente.

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