15 Un cumulo di sabbia

Egwene spalancò gli occhi e fissò nel nulla. Per un istante rimase sdraiata sulle coperte, giocando oziosamente con l’anello del Gran Serpente infilato nel laccio che aveva al collo. Portarlo al dito provocava troppe occhiate strane. Era più facile passare da studentessa delle Sapienti se nessuno la pensava come Aes Sedai. Cosa che peraltro non era. Lei era un’Ammessa, ma aveva fatto finta di essere Aes Sedai per così tanto che a volte quasi dimenticava di non esserlo.

Dai battenti della tenda trapelò un po’ di sole che illuminò vagamente l’interno. Tanto valeva che non avesse dormito affatto: le tempie le pulsavano. Fin dal giorno in cui Lanfear aveva quasi ucciso lei e Aviendha, il giorno che la Reietta e Moiraine si erano uccise a vicenda, la testa le faceva sempre male dopo le visite nel tel’aran’rhiod, ma mai abbastanza da essere un disturbo. Fortunatamente a casa Nynaeve le aveva insegnato qualcosa sulle erbe e lei era riuscita a trovarne qualcuna proprio a Cairhien. La radice di dormibene l’avrebbe resa sonnolenta — o forse, stanca com’era, avrebbe potuto farla dormire per ore — ma avrebbe anche cancellato ogni traccia di mal di testa.

Si alzò in piedi, sistemò la camicia da notte e camminò sugli strati di tappeti fino al lavabo, una bacinella di cristallo che una volta probabilmente era servita per una bevanda fatta con una miscela di vini, o forse era appartenuta a qualche nobildonna. In ogni caso adesso c’era l’acqua, come anche nella brocca blu smaltata, acqua che non pareva fredda mentre si lavava il viso. Si guardò gli occhi nel piccolo specchio con la cornice di smalto appoggiato contro la tenda e arrossì.

«Be’, cosa credi che sarebbe accaduto?» sussurrò. Non lo avrebbe creduto possibile, ma il viso che vedeva riflesso nello specchio divenne anche più rosso.

Era stato solo un sogno, non come nel tel’aran’rhiod, dove quanto accadeva a una persona era reale anche quando si svegliava, ma si ricordava tutto, come se fosse stato vero. Pensava che le guance le sarebbero bruciate. Solo un sogno, quello di Gawyn. Non aveva alcun diritto di sognarla a quel modo.

«È stata tutta opera sua» disse arrabbiata al riflesso. «Non mia! Non avevo scelta!» Chiuse la bocca mestamente. Cercare di dare all’uomo la colpa per il proprio sogno. E parlare a uno specchio come una pazza.

Fermandosi davanti all’apertura della tenda, si inchinò per passarvi sotto. Il suo basso padiglione era al limite dell’accampamento degli Aiel. Le mura grigie di Cairhien erano a circa due chilometri a occidente sopra le colline spoglie, con nulla che si frapponesse fra loro se non il terreno carbonizzato dove una volta era sorto il Passaggio Anteriore. Da come erano inclinati i suoi raggi, il sole stava appena sorgendo, ma gli Aiel già si agitavano fra le tende.

Lei non si sarebbe alzata presto. Dopo un’intera notte trascorsa fuori dal corpo — le guance si scaldarono di nuovo; Luce, sarebbe arrossita per il resto della vita al ricordo di un sogno? Temeva che fosse possibile — dopo di quello, poteva dormire fino al pomeriggio. L’odore della colazione non poteva nulla contro la pesantezza delle palpebre.

Stanca, fece ritorno alle coltri e si sdraiò, strofinandosi le tempie. Era troppo esausta per preparare la radice di dormibene e anche troppo stanca perché le importasse. Quel dolore svaniva sempre in un’ora o due; sarebbe scomparso al risveglio.

Tutto sommato non era una sorpresa che Gawyn le riempisse i sogni. A volte ripensava a uno di quelli del giovane, anche se non esattamente allo stesso modo. Nella sua versione, gli eventi imbarazzanti non si verificavano, o, quantomeno, erano vaghi. Gawyn passava molto tempo a recitare poesie e a stringerla mentre guardavano il tramonto o l’alba. Non aveva difficoltà nel dirle che l’amava. Ed era attraente come nella realtà. Poi aveva dei sogni tutti suoi. Baci teneri che duravano per sempre. Lui in ginocchio mentre lei gli prendeva la testa fra le mani. Alcuni erano insensati. Per due volte di seguito aveva sognato di prenderlo per le spalle e tentare di farlo girare contro la sua volontà. Una volta Gawyn aveva spostato bruscamente la mano di Egwene, nell’altro lei era stato più forte di lui. I due si fondevano in maniera indistinta. In un altro ancora Gawyn stava chiudendo una porta ed Egwene sapeva che se l’avesse chiusa totalmente facendo svanire la luce, lei sarebbe morta.

I sogni le si accavallavano in testa, non tutti su Gawyn, e spesso erano incubi.

Perrin si ergeva davanti a lei con un lupo sdraiato ai suoi piedi, uno sparviero e un falco sulle spalle che si guardavano furiosi da dietro la sua testa. Perrin non ne pareva consapevole, aveva invece cercato di gettare l’ascia, fino a quando non era corso via con l’arma che fluttuava in aria inseguendolo. Di nuovo Perrin, che dava le spalle a un Calderaio e fuggiva, sempre più veloce anche se lei lo chiamava. Mat che parlava una strana lingua che lei capiva quasi — pensava fosse la lingua antica — e con due corvi appollaiati sulle spalle, gli artigli che affondavano nella giubba per penetrare nella carne. Non ne pareva consapevole come non lo era Perrin del falco e dello sparviero, ma aveva un’espressione di sfida e di tetra accettazione. In un altro sogno, una donna con il volto nascosto dall’ombra faceva cenno a Mat di inoltrarsi in un grande pericolo; Egwene non sapeva di cosa si trattasse, solo che era mostruoso. Alcuni sogni riguardavano Rand, e non erano tutti brutti, ma comunque strani. Elayne che lo costringeva a inginocchiarsi a forza spingendolo con una mano. Elayne, Min e Aviendha, sedute in un circolo silenzioso intorno a lui, che a turno protendevano una mano e l’appoggiavano su di lui. Rand che camminava verso una montagna infuocata, con qualcosa che scricchiolava sotto i suoi piedi. Egwene si agitò e piagnucolò; le cose che scricchiolavano erano i sigilli della prigione del Tenebroso, che si frantumavano a ogni passo di Rand. Egwene lo sapeva. Non aveva bisogno di vederli per saperlo.

Alimentato dalla paura, il sogno peggiorò. Le due donne che aveva visto nel tel’aran’rhiod l’avevano presa e trascinata davanti a un tavolo circondato da donne incappucciate, che quando ebbero abbassato i cappucci si rivelarono essere tutte Liandrin, la Sorella Nera che l’aveva catturata a Tear. Una Seanchan dal volto duro le aveva passato un bracciale d’argento e un collare collegati da un guinzaglio dello stesso materiale, un a’dam. Gli oggetti la fecero gridare. Le Seanchan una volta le avevano messo l’a’dam. Sarebbe morta prima di lasciarlo accadere di nuovo. Rand che faceva le capriole per le vie di Cairhien, ridendo mentre lanciava saette contro i palazzi e le persone, lampi e fuoco, altri uomini che correvano con lui, scagliando il Potere. Quella disgustosa amnistia era stata annunciata a Cairhien, ma sicuramente nessun uomo avrebbe scelto di incanalare. Le Sapienti che la scoprivano nel tel’aran’rhiod e la vendevano nelle terre oltre il deserto Aiel come un animale; era quanto facevano ai Cairhienesi che trovavano nel deserto. In un altro sogno ancora vide il proprio viso fondersi, il cranio spaccarsi e delle sagome nebulose che la colpivano con bastoni. La colpivano, la colpivano...

Scattò in piedi a bocca aperta e Cowinde si sedette sui talloni ai piedi del letto, con la testa china sotto al cappuccio della veste lana bianca.

«Perdonami, Aes Sedai. Volevo solo svegliarti per la cena.»

«Non c’era bisogno che mi perforassi le costole» mormorò Egwene, subito dispiaciuta.

Gli occhi profondi e azzurri di Cowinde si accesero d’irritazione, che represse subito, nascosta dietro la maschera di sottomissione e accettazione da gai’shain. Aveva giurato di obbedire mansueta e di non toccare armi per un anno e un giorno. I gai’shain accettavano ogni cosa accadesse loro, che fosse un lavoro pesante, una percossa o anche una pugnalata al cuore. Per un Aiel uccidere un gai’shain era come uccidere un bambino. Non c’erano scuse, il colpevole sarebbe stato ucciso a sua volta dal proprio fratello o sorella. Ma era pur sempre una maschera, Egwene ne era certa. I gai’shain vi lavoravano caparbiamente, ma rimanevano comunque Aiel, la gente meno sottomessa che Egwene conoscesse. Anche una come Cowinde, che rifiutava di spogliarsi del bianco benché l’anno e il giorno fossero trascorsi. Il suo rifiuto era un atto ostinato d’orgoglio e sfida. Gli Aiel vivevano in una foresta intricata di ji’e’toh.

Era uno dei motivi per cui Egwene cercava di fare attenzione a come si rivolgeva ai gai’shain, specialmente quelli come Cowinde. Non potevano combattere senza violare tutto ciò in cui credevano. D’altro canto, Cowinde era stata una Fanciulla della Lancia e sarebbe tornata a esserlo se l’avessero convinta ad abbandonare quell’indumento. Se Egwene non fosse stata capace di usare il Potere, probabilmente Cowinde avrebbe potuto legarla mentre si lucidava la lancia.

«Non voglio nessun pasto» rispose Egwene. «Vai via e lasciami dormire.»

«Nessun pasto?» chiese Amys; le collane e i bracciali d’avorio e oro tintinnarono mentre si piegava per entrare nella tenda. Non portava anelli — le Aiel non lo facevano — ma per il resto aveva abbastanza monili da far contente tre donne. «Credevo che avessi recuperato l’appetito.»

Bair e Melaine la seguirono, ognuna ingioiellata come lei. Le tre appartenevano a clan diversi, ma mentre la maggior parte delle Sapienti che avevano superato il Muro del Drago rimanevano con le loro sette, le loro tende erano vicine. Le donne si sedettero sui cuscini decorati ai piedi del pagliericcio di Egwene, sistemandosi lo scialle scuro che le Aiel non parevano abbandonare mai. Quelle che non erano Far Dareis Mai. Amys aveva i capelli bianchi come Bair, ma mentre il volto da nonna di Bair era coperto di rughe profonde, Amys pareva insolitamente giovane, forse per il contrasto fra il volto e il colore dei capelli. Le aveva detto che quando era bambina erano stati quasi altrettanto chiari.

Di solito erano Bair o Amys a guidare la conversazione, ma oggi Melaine, che aveva i capelli del colore del sole e gli occhi verdi, parlò per prima. «Se smetti di mangiare non puoi guarire. Avevamo pensato di lasciarti venire al prossimo incontro con le Aes Sedai, chiedono sempre quando tornerai...»

«E ogni volta ridicolizzano gli abitanti delle terre bagnate» intervenne caustica Amys. Non aveva un temperamento acido, ma le Aes Sedai di Salidar parevano farle quell’effetto. Forse era solo il fatto di incontrare delle Aes Sedai. Per tradizione le Sapienti le evitavano, specialmente quelle che sapevano incanalare, come Amys e Melaine. E poi non erano compiaciute dal fatto che quelle Aes Sedai avessero rimpiazzato Elayne e Nynaeve in questi incontri. Né lo era Egwene. Sospettava che le Sapienti fossero convinte di aver impressionato quelle due con la pericolosità di tel’aran’rhiod. Secondo i racconti frammentari che aveva ascoltato sugli incontri recenti, le Aes Sedai non erano affatto impressionate. Poche cose impressionavano le Aes Sedai.

«Ma forse dovremmo ripensarci» proseguì Melaine con calma. Era stata permalosa prima del recente matrimonio, ma adesso quasi nulla pareva spezzare la sua compostezza. «Non devi tornare nel sogno fino a quando il corpo non avrà recuperato totalmente le forze.»

«Hai gli occhi gonfi» osservò Bair preoccupata, con la voce acuta che si associava bene al volto. Per molti versi però era la più dura delle tre. «Hai dormito male?»

«Come potrebbe essere altrimenti?» chiese seccata Amys. «Ho cercato di osservare i suoi sogni per tre volte la scorsa notte, e non ho trovato nulla. Nessuno può dormire bene se non sogna.»

La bocca di Egwene si seccò in un baleno. La lingua si incollò al palato. Dovevano controllarla proprio la notte che non era ritornata nel proprio corpo dopo poche ore.

Melaine fece una smorfia. Non a Egwene, ma a Cowinde, ancora in ginocchio e con la testa bassa. «Vicino alla mia tenda c’è un cumulo di sabbia» disse con tono di voce quasi duro. «La controllerai granello per granello fino a quando ne troverai uno rosso. Se non è quello che cerco, dovrai iniziare da capo. Adesso vai.» Cowinde si inchinò fino a sfiorare il tappeto colorato con il viso, quindi uscì. Guardando Egwene, Melaine sorrise con un’espressione gradevole. «Sembri sorpresa. Se non fa ciò che deve di sua iniziativa, la convincerò io. Visto che sostiene di servirmi, è ancora sotto la mia responsabilità.»

I capelli lunghi di Bair ondeggiarono quando scosse il capo. «Non funzionerà.» Sistemò lo scialle sulle spalle spigolose. Egwene sudava indossando solo la camicia da notte, con il sole non ancora sorto, ma le Aiel erano abituate a ben altro tipo di caldo. «Ho picchiato Juric e Beira fino ad avere male al braccio, ma per quante volte abbia detto loro di abbandonare il bianco, ritornano in quegli abiti prima del tramonto.»

«È un abominio» mormorò Amys. «Da quando abbiamo attraversato le terre bagnate, un quarto di coloro che hanno finito il termine si sono rifiutati di tornare sui loro passi. Hanno distorto il ji’e’toh oltre il suo significato.»

Era opera di Rand. Aveva rivelato a tutti ciò che in passato avevano saputo solo i capiclan e le Sapienti: una volta gli Aiel si rifiutavano di toccare le armi o commettere violenza. Adesso alcuni credevano di dover rimanere gai’shain. Altri rifiutavano di accettare Rand come Car’a’carn per via di quella rivelazione e ogni giorno alcuni andavano a unirsi agli Shaido sulle montagne a nord. Altri abbandonavano semplicemente le armi e scomparivano, e nessuno sapeva cosa succedesse loro. Travolti dalla tetraggine, come la chiamavano gli Aiel. La parte più strana per Egwene era che nessuno degli Aiel incolpasse Rand, tranne gli Shaido. Le Profezie del Rhuidean sostenevano che il Car’a’carn li avrebbe riportati indietro e distrutti. Indietro verso cosa, nessuno pareva saperlo, ma li avrebbe distrutti in qualche modo e lo accettavano con la stessa calma con cui Cowinde aveva iniziato la sua impresa sapendola senza speranza.

In quel momento a Egwene non importava se ogni Aiel a Cairhien avesse indossato il bianco. Se le Sapienti avessero anche solo sospettato cosa aveva combinato... avrebbe rovistato fra centinaia di cumuli di sabbia di sua spontanea volontà, ma non pensava che sarebbe stata tanto fortunata. La sua punizione sarebbe stata ben peggiore. Una volta Amys le aveva detto che se non avesse obbedito a quanto le veniva chiesto di fare — il Mondo dei Sogni senza quella promessa sarebbe stato troppo pericoloso — non le avrebbe insegnato più nulla. Senza dubbio le altre sarebbero state d’accordo; quella era la punizione che temeva. Preferiva di gran lunga mille monticelli di sabbia sotto un sole rovente.

«Non essere scossa» rise Bair. «Amys non è arrabbiata con tutti gli abitanti delle terre bagnate, certo non con te, che sei diventata come una figlia per le nostre tende. Si tratta delle tue Sorelle Aes Sedai. Quella di nome Carlinya ha ventilato l’idea che forse ti stiamo trattenendo contro la tua volontà.»

«Ventilato l’idea?» Le sopracciglia chiare di Amys si sollevarono quasi fino all’attaccatura dei capelli. «La donna lo ha detto apertamente!»

«E ha imparato a sue spese a controllare meglio ciò che dice» rise Bair, dondolandosi sul cuscino rosso. «Scommetto che lo ha fatto. Quando le abbiamo lasciate stava ancora gridando nel tentativo di rimuovere le bisce rosse dal vestito. Una biscia rossa» confidò a Egwene «somiglia molto a una vipera rossa, se hai gli occhi fuori esercizio come quelli delle abitanti delle terre bagnate, ma non è velenosa. Però si agita parecchio quando viene intrappolata.»

Amys tirò su con il naso. «Sarebbero scomparse se le avesse pensate altrove. Quella donna non impara nulla. Le Aes Sedai che servivamo durante l’epoca leggendaria non potevano essere tanto sciocche.» Adesso pareva si fosse calmata.

Melaine rideva apertamente e Egwene si accorse che stava facendo lo stesso. A volte l’umorismo Aiel era inspiegabile per lei, ma non in quell’occasione. Aveva incontrato Carlinya solo tre volte, ma l’immagine di quella donna rigida, fredda e superba che saltellava cercando di strappare i serpenti dal vestito... tutto ciò che poté fare fu tentare di non ridere ancora più forte.

«Almeno il tuo senso dell’umorismo è in buona salute» osservò Melaine. «I mal di testa non sono tornati?»

«La testa è a posto» mentì Egwene e Bair annuì.

«Bene. Avevamo paura che non sarebbero andati via. Se eviterai di accedere al Mondo dei Sogni per un altro po’, dovrebbero sparire. Non temere che abbiano delle brutte conseguenze; il corpo usa il dolore per dirci di riposare.»

La frase la fece quasi ridere di nuovo, anche se non per il divertimento. Le Aiel ignoravano le ferite e le ossa rotte perché non potevano esserne disturbate proprio in quel momento. «Per quanto tempo devo restare fuori?» chiese. Odiava mentire a quelle donne, ma odiava ancor di più non fare nulla. I primi dieci giorni dopo che Lanfear l’aveva colpita — ancora non sapeva che arma avesse usato — erano stati brutti; allora non poteva nemmeno pensare senza che un mal di testa le spaccasse il cranio. Una volta che si era ripresa, ciò che la madre chiamava ‘il prurito delle mani che viene con l’indolenza’ l’aveva fatta tornare nel tel’aran’rhiod di nascosto dalle Sapienti. Riposando non imparavi nulla. «Il prossimo incontro, avete detto?»

«Forse» rispose Melaine sollevando le spalle. «Vedremo. Ma devi mangiare. Se non ne hai voglia, c’è qualcosa che non va e che non abbiamo notato.»

«Oh, posso mangiare.» La farinata d’avena che stavano cucinando fuori aveva un buon odore. «Suppongo di essere solo pigra.» Alzarsi senza vacillare fu uno sforzo; la sua testa non gradiva ancora nessuno spostamento. «La scorsa notte mi sono venute in mente altre domande.»

Melaine alzò gli occhi al cielo, divertita. «Da quando sei ferita ci hai rivolto cinque domande per ognuna che facevi prima.»

Perché stava cercando di scoprire qualcosa da sola ma non poteva dirlo! Egwene prese una sottoveste pulita da una piccola cesta vicino alla tenda e si tolse quella sudata.

«Le domande vanno bene» osservò Bair. «Chiedi.»

Egwene scelse le parole con cautela, continuando a vestirsi disinvolta, la stessa blusa di algode e l’ingombrante gonna di lana che indossavano le Sapienti. «È possibile essere attirate nel sogno di qualcun altro contro la propria volontà?»

«Certo che no» rispose Amys. «A meno che il tuo tocco non sia sporco.»

Ma proprio mentre la donna parlava, Bair aggiunse: «No, a meno che non siano coinvolte forti emozioni. Se tenti di osservare il sogno di qualcuno che ti ama o ti odia, potresti esserne attirata dentro. O se tu ami o odi quella persona. L’ultimo esempio è il motivo per cui non osiamo osservare i sogni di Sevanna, o di parlare con le Sapienti Shaido nei loro sogni.» Egwene era sorpresa che quelle donne e le altre Sapienti ancora parlassero con le Sapienti Shaido. Le Sapienti erano al di sopra degli antagonismi di sangue e le battaglie, ma pensava che opporsi al Car’a’carn giurando di ucciderlo avesse esonerato le Shaido da quell’impegno. «Lasciare i sogni di qualcuno che ti ama o ti odia» concluse Bair «è come tentare di arrampicarsi su una parete liscia.»

«Vero.» Amys adesso pareva di buon umore e rivolse a Melaine una lunga occhiata. «Questo è il motivo per cui una camminatrice dei sogni non commette mai l’errore di osservare i sogni del marito.» Melaine guardava dritto davanti a sé, con il volto scuro. «E in ogni caso non lo fa mai due volte» aggiunse Amys.

Bair sorrise senza guardare Melaine e le rughe sul suo viso aumentarono. «Può essere spiacevole, specialmente se è arrabbiato con te. Se, per fare un esempio a caso, ji’e’toh te lo porta via e tu, come una bambina sciocca, sei stata tanto stupida da dirgli che se ti amava non avrebbe dovuto lasciarti.»

«Vi state allontanando troppo dalla domanda» intervenne Melaine, rossa in viso e rigida. Bair rise a crepapelle.

Egwene si raddrizzò incuriosita, e divertita, ma parlò veloce. «E se non provi a spiare?» Melaine la guardò con gratitudine ed Egwene si sentì in colpa. Non abbastanza per non chiedere di sentire tutta la storia più tardi. Qualsiasi cosa facesse arrossire Melaine in quel modo, doveva essere divertente.

«Ne ho sentito parlare,» rispose Bair «quando ero giovane e stavo iniziando a imparare. Mora, la Sapiente della fortezza di Colrada, mi addestrava e mi aveva spiegato che se il sentimento era davvero molto forte, amore o odio talmente grandi da non lasciare spazio ad altro, potevi esservi attirata anche solo essendo consapevole dell’esistenza di quel sogno.»

«Non ho mai sentito nulla di simile» intervenne Melaine. Amys pareva dubbiosa.

«Nemmeno io, se non da Mora,» rispose Bair «ma era una donna notevole. Si dice che fosse prossima ai trecento anni quando morì a seguito del morso di un serpente, ma pareva giovane come una di voi. Io ero solo una ragazza, ma la ricordo bene. Sapeva molte cose e poteva incanalare con molta forza. Molte Sapienti venivano da altri clan per imparare da lei. Credo che un grande amore o un grande odio siano rari, ma lei mi raccontò che le era capitato due volte, una con il primo uomo che aveva sposato e la seconda con un rivale del terzo marito.»

«Trecento?» Egwene si lasciò sfuggire un’esclamazione mentre si allacciava uno stivale. Sicuramente nemmeno le Aes Sedai vivevano tanto a lungo.

«Ho detto che così si raccontava» rispose Bair, sorridendo. «Alcune donne invecchiano più lentamente di altre, come Amys, e quando si tratta di una donna come Mora, le favole nascono facilmente. Ti racconterò la storia di quando Mora spostò una montagna.»

«Un altro giorno?» aggiunse Melaine, un po’ troppo educata. Ovviamente era ancora risentita per quanto era accaduto nel sogno di Bael e per il fatto che le altre sapessero. «Ho sentito tutte le favole su Mora quando ero bambina, le so a memoria. Se Egwene finirà mai di vestirsi, dovremmo accertarci che mangi.» Un bagliore in quegli occhi verdi fece capire che aveva intenzione di vedere ogni boccone masticato e deglutito, chiaramente sospettosa che Egwene non si fosse ancora ben ripresa. «E risponderemo al resto delle domande.»

Egwene rivolse subito loro la seconda. Di solito ne aveva molte, ma quanto era accaduto quella notte l’aveva lasciata con quell’unico interrogativo. Se fosse rimasta su quella posizione forse avrebbero iniziato a chiedersi se le domande le fossero venute in mente per aver spiato i sogni di qualcuno. Un’altra domanda. Non sui suoi strani sogni. Alcuni forse significavano qualcosa, se fosse riuscita a ragionarci sopra. Anaiya sosteneva che Egwene fosse una sognatrice, in grado di prevedere gli eventi futuri, e quelle tre donne pensavano potesse essere vero, ma sostenevano anche che doveva imparare da sola a capirne il significato. E poi non era certa di voler discutere quei sogni con qualcuno. Quelle donne ne sapevano già più di quanto voleva su quanto accadeva nella sua testa. «Ah... e cosa mi dite delle camminatrici dei sogni che non sono Sapienti? Voglio dire, vedete mai altre donne nel tel’aran’rhiod?»

«A volte,» rispose Amys «ma non spesso. Senza qualcuno che l’addestra una donna potrebbe non rendersi conto che sta facendo ben altro che dei sogni particolarmente vividi.»

«E, naturalmente,» aggiunse Bair «essendo ignorante potrebbe rimanere uccisa dal sogno prima di imparare...»

Al sicuro dall’argomento pericoloso, Egwene si rilassò. Aveva ricevuto più risposte di quanto sperava. Sapeva già di amare Gawyn — Ne sei certa? si chiese. Eri pronta ad ammetterlo anche prima? — e i sogni del ragazzo indicavano che anche lui l’amava. Certo, se gli uomini da svegli riuscivano a dire cose che non sentivano davvero, probabilmente potevano anche sognarle.

Ma con le Sapienti che lo avevano confermato, sapere che l’amava con tale forza da sopraffare tutto il resto, be’, lei...

No. Avrebbe dovuto pensarci in un altro momento. Non aveva nemmeno idea di dove si trovasse Gawyn. La cosa importante, era che adesso conosceva il pericolo. La prossima volta avrebbe riconosciuto il sogno di Gawyn e lo avrebbe evitato. Se davvero lo vuoi, le disse una vocina interiore. Sperava che le Sapienti scambiassero il rossore sulle guance come segno di buona salute. Avrebbe tanto voluto sapere il significato dei suoi sogni. Se significavano qualcosa.

Elayne salì su un masso, da dove poteva vedere le teste della folla. Oggi non c’erano soldati a Salidar, ma la gente riempiva le strade e si affacciava alle finestre pregustando la scena, gli sguardi fissi sulla Piccola Torre. Il rumore dei passi e i colpi di tosse occasionali causati dalla polvere che saliva dalla strada erano i soli suoni udibili. Malgrado il caldo, la gente si limitava ad agitare leggermente un ventaglio o un cappello in cerca di sollievo.

Leane stava in piedi nello spazio fra due case dal tetto di paglia, a braccetto con un uomo alto e dal volto duro che Elayne non aveva mai visto prima. Sarebbe stato più indicato dire che se ne stava avvinghiata al braccio dell’uomo. Senza dubbio uno degli agenti di Leane. La maggior parte degli occhi e delle orecchie delle Aes Sedai erano donne, ma quelli di Leane pareva fossero tutti uomini. Li teneva nascosti, ma Elayne aveva notato la donna dare dei colpetti sulle guance di persone sconosciute o sorridere a un paio di occhi estranei. Non sapeva come Leane vi riuscisse. Elayne era certa che se avesse provato lei a usare quei trucchi delle Domanesi, il tizio avrebbe creduto che stesse promettendo ben altro da ciò che intendeva, ma quegli uomini prendevano un buffetto e un sorriso da Leane e se ne andavano felici come se avesse dato loro una cesta piena d’oro.

Elayne vide Birgitte in mezzo alla folla che si teneva saggiamente lontano da lei. Per una volta quell’orribile Areina non era in zona. La notte era stata più che caotica ed Elayne non era andata a letto fino a quando il cielo aveva cominciato a schiarirsi. Non ci sarebbe andata affatto se Birgitte non avesse detto ad Ashmanaille che Elayne pareva instabile, e non riferendosi all’aspetto; il legame con la Custode funzionava in entrambe le direzioni. Vero. Era un po’ stanca. E allora? Avevano avuto molto da fare e poteva ancora incanalare con maggior forza di metà delle Aes Sedai a Salidar.

Quel legame le diceva che Birgitte non aveva ancora dormito, lei no! Elayne spedita a letto come una novizia, mentre Birgitte aveva trasportato i feriti e rimosso i rottami tutta la notte!

Un’occhiata le mostrò Leane, adesso da sola, che si infilava fra la folla per trovare un buon punto d’osservazione. Non c’era traccia di quell’uomo alto.

Nynaeve, assonnata, salì sul masso insieme a Elayne, guardando torva un taglialegna con il grembiule di cuoio che era arrivato prima di lei. Il tizio borbottò e rientrò nella calca. Elayne avrebbe tanto voluto che Nynaeve non si comportasse in quel modo. Lo sbadiglio, non l’occhiataccia. Anche lei sbadigliò imitandola prima di riuscire a fermarsi. Per Birgitte c’erano delle scuse — almeno in parte —, ma non per Nynaeve. Theodrin non poteva aspettarsi che rimanesse sveglia dopo la notte precedente ed Elayne aveva sentito Anaiya ordinarle di andare a letto, eppure l’aveva trovata lì, in bilico sullo sgabello, con una zampa rotta, la testa che ciondolava ogni due minuti, borbottando che gliela avrebbe fatta vedere a Theodrin, a tutti.

Il bracciale dell’a’dam convogliava paura verso Elayne, ma anche qualcosa che somigliava al divertimento. Moghedien aveva trascorso la notte infilata sotto al letto, intonsa perché era rimasta ben nascosta, senza raccogliere un solo coccio. Aveva anche dormito bene, una volta che si era calmata la confusione iniziale. Pareva che quel vecchio detto sulla fortuna del Tenebroso fosse vero.

Nynaeve iniziò un altro sbadiglio ed Elayne voltò il capo dall’altra parte. Anche così, dovette coprirsi la bocca con la mano nel tentativo non molto efficace di non imitarla di nuovo. Il mormorio delle voci e il rumore di passi divennero impazienti.

Le Adunanti erano ancora dentro la Piccola Torre con Tarna, ma il castrone della Rossa era già in strada davanti alla vecchia locanda, e una dozzina di Custodi tenevano i cavalli per le briglie; i mantelli dal colore cangiante non erano gradevoli da guardare. Una scorta d’onore per il primo chilometro del viaggio di ritorno di Tarna a Tar Valon. La folla aspettava ben altro che la partenza della scorta, anche se molti parevano stanchi proprio come Elayne.

«Viene quasi da pensare che fosse... fosse...» Nynaeve spalancò la bocca dietro la mano.

«Oh, sangue e ceneri» mormorò Elayne, o almeno ci provò. Tutto ciò che seguì la sua esclamazione fu come un gracidio strangolato dal pugno davanti alla bocca coperta. Lini diceva sempre che esclamazioni come quella erano segno di una mente lenta e uno spirito ottuso — subito prima di lavare con il sapone la bocca della vittima — ma a volte nient’altro era tanto efficace per riassumere in poche parole i propri sentimenti. Avrebbe aggiunto dell’altro, ma non ne ebbe la possibilità.

«Perché non le fanno la processione?» ruggì Nynaeve. «Non capisco perché debbano darsi questo gran da fare per quella donna.» Quindi sbadigliò di nuovo!

«Perché è Aes Sedai, testa assonnata» le rispose Siuan, unendosi a loro. «Due teste addormentate» aggiunse, lanciando un’occhiata a Elayne. «Prenderai qualche pesce se continui a spalancare la bocca a quel modo.» Elayne chiuse la bocca di scatto e lanciò un’occhiata freddissima alla donna, che come sempre le scivolò addosso come la pioggia su un tetto smaltato. «Tarna è un’Aes Sedai, ragazze mie» proseguì Siuan, guardando i cavalli che aspettavano. O forse era stato il carro trainato davanti all’edificio di pietra ad attirare l’attenzione della donna. «Un’Aes Sedai è un’Aes Sedai, e nulla cambia i fatti.» Nynaeve le lanciò un’occhiata che Siuan non vide.

Elayne era contenta che l’amica tenesse la lingua a freno; la risposta più ovvia avrebbe avuto conseguenze dolorose. «Qual è stato il prezzo la notte scorsa?»

Siuan rispose senza distogliere lo sguardo dal punto dove sarebbe apparsa Tarna. «Sette morti nel villaggio. Quasi cento nell’accampamento dei soldati. Tutte quelle spade e asce in giro e nessuno per incanalare e fermarle. Adesso ci sono delle Sorelle che praticano la guarigione nell’accampamento.»

«Lord Gareth?» chiese Elayne, vagamente ansiosa. Forse adesso era freddo con lei, ma una volta aveva sempre avuto un sorriso caldo e la tasca piena di caramelle per una bambina.

Siuan sbuffò talmente forte che la gente si voltò a guardarla. «Quello» mormorò. «Un pesce leone si spezzerebbe i denti su quell’uomo.»

«Sembri di buon umore stamattina» osservò Nynaeve. «Hai finalmente scoperto quale sia il messaggio della Torre? Gareth Bryne ti ha chiesto di sposarlo? Qualcuno è morto e ti ha lasciato...»

Elayne cercò di non guardare Nynaeve; bastava il rumore di uno sbadiglio a farle spalancare la bocca.

Siuan guardò Nynaeve senza espressione, ma per una volta anche Nynaeve rimase impassibile, anche se con l’occhio vagamente assonnato.

«Se hai scoperto qualcosa,» intervenne Elayne prima che le due iniziassero un duello di sguardi «diccelo.»

«Una donna che sostiene di essere Aes Sedai quando non lo è,» mormorò Siuan, come se stesse dando voce a un pensiero ozioso «è immersa fino al collo in una pentola d’acqua bollente, e se ha dichiarato un’Ajah in particolare, quell’Ajah ha i primi diritti su di lei. Myrelle non ti ha mai raccontato di quella donna che aveva scoperto a Chachin, che dichiarava di appartenere all’Ajah Verde? Una novizia che aveva fallito le prove da Ammessa. Chiediglielo, quando avrà un’ora o due da dedicarti. È il tempo che le servirà per raccontartelo. Quella sciocca ragazza probabilmente ha capito a sue spese che sarebbe stata preferibile la quietatura e anche essere decapitata prima che Myrelle avesse finito con lei.»

Per qualche motivo quella minaccia non ebbe altri effetti se non un’occhiata di Nynaeve, nemmeno un fremito. Forse erano tutte e due troppo stanche. «Dimmi quello che sai,» chiese Elayne a bassa voce «o la prossima volta che siamo da sole ti insegnerò a sederti come si deve, e per quanto mi riguarda potrai anche andare di corsa da Sheriam.» Siuan socchiuse gli occhi ed Elayne sobbalzò di colpo appoggiandosi una mano sul fianco.

Siuan ritirò la mano che l’aveva pizzicata senza tentare di nascondersi. «Non prendo bene le minacce, ragazza. Conosci quanto me il messaggio di Elaida; lo hai visto prima di chiunque altra.»

«‘Fate ritorno, tutto è perdonato’?» intervenne incredula Nynaeve.

«Più o meno. Con un mucchio di interiora di pesce sui bisogni della Torre che deve essere integra adesso più che mai, vischiosa come un’anguilla sul fatto che nessuno deve temere, a parte quelle che si sono impelagate con la ribellione. La Luce sola sapeva cosa significasse. Io non ho capito.»

«Perché lo tengono segreto?» chiese Elayne. «Non possono pensare che qualcuna tornerà indietro da Elaida. Tutto quello che devono fare è mostrare Logain.» Siuan non disse nulla, si limitò a guardare i Custodi in attesa.

«Ancora non capisco perché chiedono altro tempo» mormorò Nynaeve. «Sanno ciò che devono fare.» Siuan rimase in silenzio, ma Nynaeve sollevò le sopracciglia. «Non conoscevi la risposta.»

«Adesso sì.» Siuan parlò a scatti e disse qualcosa sottovoce del tipo ‘sciocche dalle ginocchia deboli’. Elayne concordò in silenzio.

La porta frontale della vecchia locanda si spalancò di colpo. Ne uscirono una mezza dozzina di Adunanti con gli scialli frangiati, una per ogni Ajala, seguite da Tarna. Se la gente in attesa si aspettava una cerimonia, fu profondamente delusa. Una volta in sella, Tarna fece scorrere lo sguardo sulle Adunanti e sulla folla con un’espressione illeggibile, quindi fece muovere il castrone al passo. La scorta di Custodi si mosse con lei. Un brusio preoccupato che ricordava il rumore delle api disturbate salì dalla folla di spettatori.

Il mormorio durò fino a quando Tarna fu fuori dalla visuale, fuori dal villaggio, e Romanda si arrampicò sul carro, sistemandosi lo scialle con le frange gialle. A quel punto scese un silenzio mortale. Per tradizione era la Sorella più anziana a dare gli annunci in nome del Consiglio. Romanda non si muoveva come una donna anziana e dal suo volto erano assenti i segni dell’età come da quelli di tutte le Aes Sedai, eppure il grigio fra i capelli denotava età avanzata anche fra le Sorelle, e l’acconciatura che aveva era grigio chiaro senza alcuna traccia di colore scuro. Elayne si domandò quanti anni avesse, ma chiedere l’età di un’Aes Sedai era una fra le domande più maleducate.

Romanda lavorò dei semplici flussi di Aria per rendere udibile la propria voce; Elayne la sentiva come se fosse a un passo da lei. «Molte di voi si sono preoccupate in questi ultimi giorni, ma non era necessario. Se Tarna Sedai non fosse venuta da noi, avremmo inviato lo stesso messaggio alla Torre Bianca. Dopotutto ormai non possiamo più dire che ci stiamo nascondendo.» Fece una pausa per dare tempo all’udienza di ridere, ma la folla si limitò a fissarla e la donna si aggiustò lo scialle. «Il nostro proposito in questo luogo non è cambiato. Siamo alla ricerca della verità, della giustizia, siamo qui per cercare di fare ciò che è giusto.»

«Giusto per chi?» mormorò Nynaeve.

«E non possiamo vacillare o fallire. Continuate a svolgere i vostri compiti, certe di essere al sicuro sotto la nostra protezione, adesso e dopo il nostro ritorno al posto che ci compete nella Torre Bianca. Che la Luce risplenda su tutti voi. Che la Luce risplenda su tutti noi.»

Il mormorio si diffuse di nuovo e la folla cominciò a sciogliersi, mentre Romanda scendeva dal carro. Il volto di Siuan pareva scolpito nella pietra, le labbra erano tese ed esangui. Elayne voleva fare domande, ma Nynaeve scese dal masso e incominciò a farsi strada verso il palazzo a tre piani. Elayne la seguì rapidamente. La scorsa notte la donna era parsa pronta a parlare di tutto ciò che avevano scoperto senza curarsene; ma dovevano presentare l’argomento con cautela se volevano che fosse utile con il Consiglio. Sicuramente non c’era motivo di vacillare nel loro proposito. L’annuncio di Romanda non aveva alcun significato, ma aveva innervosito Siuan.

Facendosi largo fra due grossi tizi che stavano fissando la schiena di Nynaeve — la donna aveva pestato i piedi di tutti per avanzare — Elayne si guardò alle spalle e vide che Siuan osservava lei e l’amica. Solo per un istante; non appena si accorse di essere stata vista, fece finta di localizzare qualcuno fra la folla e di andargli incontro. Elayne aggrottò le sopracciglia e proseguì. Siuan era turbata o no? Quanto della sua irritazione e della sua ignoranza era finzione? L’idea di Nynaeve di scappare a Caemlyn — Elayne non era certa che vi avesse ancora rinunciato — era più che sciocca, ma lei per prima era impaziente di andare a Ebou Dar per fare qualcosa che fosse davvero utile. Tutti questi segreti e sospetti erano qualcosa che non riusciva a capire. Se solo Nynaeve non vi avesse infilato il piede in mezzo.

La raggiunse proprio quando aveva appena trovato Sheriam, vicino al carro dov’era salita Romanda. C’erano anche Morvrin e Carlinya, e tutte e tre portavano lo scialle. Quella mattina tutte le Aes Sedai lo indossavano. I capelli corti di Carlinya, un tempo una distesa di ricci, erano il solo segno del disastro sfiorato nel tel’aran’rhiod.

«Dobbiamo parlarvi da sole» disse Nynaeve. «In privato.»

Elayne sospirò. Non era l’inizio migliore, ma nemmeno il peggiore.

Sheriam le osservò per un istante, quindi lanciò un’occhiata a Morvrin e Carlinya. «Molto bene, entriamo.»

Quando si voltarono, Romanda si trovava fra loro e la porta, una donna robusta, bella, con gli occhi scuri e lo scialle dalle frange gialle tutto ornato di fiori e viticci attorno alla Fiamma di Tar Valon, ricamata in alto in mezzo alle spalle. Ignorò Nynaeve, sorrise calorosa a Elayne, uno di quei sorrisi che adesso lei si aspettava e temeva da ogni Aes Sedai. Per Sheriam, Carlinya e Morvrin però fu molto diverso. Le guardò priva di espressione, a testa alta, fino a quando le altre fecero delle riverenze profonde e mormorarono: «Con il tuo permesso, Sorella.» Solo allora si fece da parte, tirando su con il naso.

La gente comune non vi prestò attenzione, ma Elayne aveva sentito diverse voci su Sheriam e il suo piccolo consiglio. Alcuni pensavano che si occupassero solo della routine quotidiana di Salidar, liberando così il Consiglio per faccende più importanti. Altre sapevano che avevano una certa influenza sul Consiglio, in misura differente a seconda di chi riferiva la storia. Romanda era una di quelle che credeva manipolassero il Consiglio fin troppo; cosa ancor più grave, visto che fra loro c’erano due Azzurre e nessuna Gialla. Elayne sentì che le seguiva con lo sguardo.

Sheriam fece loro strada in una delle stanze private, subito dopo quella che una volta era stata la sala comune, con dei pannelli di legno rovinati e un tavolo cosparso di carte appoggiato contro una parete. Sollevò un sopracciglio quando Nynaeve chiese di elevare una protezione contro le spie, ma lo fece senza alcun commento. Ricordandosi dell’avventura di Nynaeve, Elayne controllò che entrambe le finestre fossero ben chiuse.

«Non mi aspetto meno che notizie su Rand al’Thor in cammino per raggiungerci» disse asciutta Morvrin. Le altre due Aes Sedai si scambiarono un’occhiata. Elayne trattenne l’indignazione; pensavano davvero che lei e Nynaeve avessero dei segreti sul conto di Rand!

«Non quello,» rispose Nynaeve «ma qualcosa di altrettanto importante, anche se in modo diverso.» A quel punto raccontò la storia della loro escursione a Ebou Dar e del ritrovamento della scodella ter’angreal. Non nell’ordine giusto e senza parlare della Torre, ma espose tutti i punti essenziali.

«Siete sicure che quella scodella sia un ter’angreal?» chiese Sheriam quando Nynaeve ebbe concluso il racconto. «Che può cambiare il tempo?»

«Sì, Aes Sedai» rispose semplicemente Elayne. All’inizio sarebbe stato più ragionevole attenersi alle risposte semplici. Morvrin borbottò; la donna dubitava di tutto.

Sheriam annuì spostando lo scialle. «Allora avete fatto bene. Invieremo una lettera a Merilille.» Merilille Ceandevin era la Sorella Grigia inviata a convincere la regina di Ebou Dar ad appoggiare Salidar. «Abbiamo bisogno che ci riveliate tutti i dettagli.»

«Non la troverà mai» esplose Nynaeve prima che Elayne potesse aprire bocca. «Elayne e io invece possiamo.» Gli occhi delle Aes Sedai si gelarono.

«Per lei probabilmente sarebbe impossibile» intervenne subito Elayne. «Abbiamo visto dove si trova la scodella e ritrovarla sarebbe comunque difficile anche per noi. Ma almeno sappiamo cos’abbiamo visto. Descriverlo in una lettera non sarebbe lo stesso.»

«Ebou Dar non è un posto per delle Ammesse» intervenne fredda Carlinya.

Il tono di voce di Morvrin fu leggermente meno duro, ma sempre burbero. «Dobbiamo tutte fare quanto possiamo, bambine. Pensate che Edesina o Afara o Guisin volessero andare a Tarabon? Cosa possono fare per riportare l’ordine in quella terra irrequieta? Ma dobbiamo provare, quindi sono andate. Kiruna e Bera probabilmente si trovano sulla Dorsale del Mondo proprio in questo momento, alla ricerca di Rand al’Thor nel deserto aiel perché pensavamo, quando le abbiamo inviate, che potesse trovarsi lì. Che avessimo ragione non rende quel viaggio meno futile, con lui fuori dal deserto. Facciamo tutte quello che possiamo, o che dobbiamo. Voi due siete Ammesse. Le Ammesse non se ne vanno in giro per Ebou Dar o in qualunque altro posto. Ciò che voi due potete e dovete fare è rimanere qui e studiare. Se foste state Sorelle vi avrei comunque tenute qui. Nessuna ha mai fatto le scoperte che avete fatto voi due, e in così poco tempo per giunta, nemmeno in cento anni.»

Essendo Nynaeve la persona che era, ignorò ciò che non voleva sentire e si concentrò su Carlinya. «Ce la siamo cavata molto bene da sole sino a ora, grazie. Dubito che Ebou Dar potrebbe essere peggiore di Tanchico.»

Elayne pensava che la donna non si fosse accorta di avere una presa ferrea sulla treccia. Nynaeve non avrebbe mai imparato che a volte la diplomazia vinceva contro la franchezza? «Capisco le tue preoccupazioni, Aes Sedai,» intervenne Elayne «ma per quanto sia poco modesto, la verità è che io ho maggiori possibilità di trovare un ter’angreal rispetto a chiunque altra a Salidar. E Nynaeve e io sappiamo dove cercare meglio di quanto potremmo mettere su carta. Se ci mandi da Merilille Sedai, sotto la sua guida sono certa che riusciremmo a localizzarlo in breve. Alcuni giorni per raggiungere Ebou Dar con un battello fluviale, altrettanti per tornare, e pochi giorni sotto l’occhio vigile di Merilille Sedai a Ebou Dar.» Fu uno sforzo fermarsi per respirare. «Nel contempo potresti inviare un messaggio a uno degli occhi e orecchie di Siuan a Caemlyn, affinché sia sul posto nel momento in cui giungerà Merana Sedai con l’ambasciata.»

«E perché mai, per la Luce, dovremmo fare una cosa simile?» borbottò Morvrin.

«Credevo che Nynaeve te lo avesse spiegato, Aes Sedai. Non ne sono certa, ma penso che per incanalare nella scodella e farla funzionare, serva un uomo.»

L’ultima affermazione scatenò del trambusto. Carlinya rimase a bocca aperta, Morvrin imprecò e Sheriam restò di stucco. Anche Nynaeve fu sorpresa, ma solo per un istante. Si coprì la bocca prima che le altre la notassero. Erano troppo sconvolte per accorgersene. Si trattava di una bugia, pura e semplice. Semplicità era la chiave. I risultati maggiori nell’Epoca Leggendaria erano stati ottenuti da uomini e donne legati assieme. Molto probabilmente c’erano ter’angreal che avevano bisogno di un uomo per funzionare. In ogni caso, se lei non poteva far funzionare la scodella da sola, sicuramente non ci sarebbe riuscita nessun’altra a Salidar. Tranne forse Nynaeve. Se c’era bisogno di Rand, non potevano ignorare la possibilità di fare qualcosa sul clima, e nel momento in cui Elayne avesse scoperto che anche un circolo di donne poteva maneggiare la scodella, le Aes Sedai a Salidar sarebbero state ormai legate troppo strettamente a Rand per lasciarlo andare.

«È tutto interessante,» disse alla fine Sheriam «ma non cambia il fatto che siete Ammesse. Manderemo una lettera a Merilille. Si parlava di voi due...»

«Parlare!» scattò Nynaeve. «La sola cosa che fate è parlare, voi e il Consiglio! Parlare! Elayne e io possiamo trovare quel ter’angreal. Ma preferite chiocciare come un branco di galline.» Le parole si accavallavano una con l’altra. Manteneva una presa talmente salda sulla treccia che Elayne si aspettava di vederla staccarsi dal capo da un momento all’altro. «Ve ne state sedute qui, sperando che Thom, Juilin e gli altri tornino dicendovi che i Manti Bianchi non piomberanno su di noi come una casa che crolla, quando invece quegli uomini porrebbero arrivare proprio con i Manti Bianchi alle calcagna. Ve ne state sedute valutando oziosamente il problema di Elaida invece di fare ciò che avevate detto avreste fatto riguardo Rand. Sapete quale posizione avete preso con lui adesso? Lo sapete, visto che l’ambasciata è in viaggio verso Caemlyn? Sapete perché ve ne rimanete sedute a parlare? Io sì! Avete paura. Avete paura della Torre divisa, di Rand, dei Reietti e dell’Ajah Nera. La scorsa notte Anaiya si è lasciata sfuggire che avete un piano pronto nel caso di attacco da parte di uno dei Reietti. Tutti quei circoli legati, proprio mentre scoppiava una bolla di male — ci credete finalmente? — ma tutti poco assortiti e quasi tutti con più novizie che Aes Sedai. Perché solo poche Aes Sedai ne erano al corrente. Questo perché pensate che l’Ajah Nera sia proprio qui a Salidar, o forse avevate paura che il vostro piano potesse giungere alle orecchie di Sammael. Non vi fidate fra voi. Non vi fidate di nessuno! È per questo che non volete inviarci a Ebou Dar? Pensate che potremmo appartenere all’Ajah Nera, o che potremmo raggiungere Rand, o... o...» Si interruppe farfugliando e ansimando. Non aveva quasi respirato durate tutta la tirata.

Il primo istinto di Elayne fu quello di provare ad appianare la situazione, ma non aveva idea di come fare. Era facile quanto appiattire una montagna. Furono le Aes Sedai che le fecero dimenticare di preoccuparsi se Nynaeve fosse riuscita a distruggere tutto o meno. I volti inespressivi, gli occhi che parevano in grado di trapassare la pietra, non avrebbero dovuto comunicare nulla dei loro pensieri. A lei invece dicevano qualcosa. Non vedeva la rabbia fredda che avrebbe dovuto fluire in quegli occhi nei confronti di una donna tanto stupida da inveire contro le Aes Sedai. Era una copertura, e la sola cosa da nascondere era la verità, una verità che non volevano ammettere nemmeno a se stesse. Avevano paura.

«Hai finito?» chiese Carlinya con una voce che avrebbe gelato il sole di mezzogiorno.

Elayne starnutì, sbattendo la testa nel calderone capovolto. Aveva il naso pieno dell’odore di zuppa bruciata. Il sole di metà mattina aveva surriscaldato la pentola tanto da farla sembrare in fiamme e lei grondava sudore. A fiumi. Appoggiando il pezzo di pomice da un lato uscì dalla pentola camminando all’indietro e guardò furiosa la donna che aveva accanto. O meglio, la metà che spuntava da una pentola simile alla sua. Colpì Nynaeve su un fianco e sorrise maligna quando sentì che aveva sbattuto la testa contro il ferro. Nynaeve uscì fuori dalla pentola con lo sguardo feroce, per niente ostacolato da uno sbadiglio che coprì con la mano unta. Elayne non le diede modo di parlare.

«Dovevi proprio fare quella sparata, vero? Non potevi tenere a freno la lingua per cinque minuti. Avevamo il gioco in mano e tu ci hai fatto perdere.»

«Non ci avrebbero comunque inviate a Ebou Dar» mormorò Nynaeve. «E non sono stata solo io a far saltare tutto.» Sollevò il mento in maniera ridicola, per poter guardare Elayne dall’alto in basso. «‘Le Aes Sedai governano le loro paure’,» citò, con un tono di voce che andava bene per rimproverare un beone sfaccendato che bloccava il passaggio «‘non permettono che accada il contrario. Guidateci, e vi seguiremo felici, ma dovete guidare, non rimpicciolirvi sperando che qualcosa faccia svanire i problemi’.»

Elayne arrossì. Non aveva quell’aspetto. E sicuramente non aveva parlato in quel modo. «Be’, forse abbiamo entrambe fatto il passo troppo lungo, ma...» si interruppe nel sentire un rumore di passi.

«Bene. Così le cocche delle Aes Sedai hanno deciso di fare una pausa, vero?» Il sorriso di Faolain era ben lungi dall’essere amichevole. «Non sono qui per mio divertimento, sapete. Oggi volevo lavorare su qualcosa di mio, qualcosa di non inferiore a quanto voi due cocche avete fatto. Invece devo fare la guardia a due Ammesse che strofinano le pentole per punizione. Per non darvi modo di scappare come le novizie che dovreste essere. Adesso al lavoro. Non posso andare via fino a quando non avrete finito e non voglio passare tutta la mattinata qui.»

La donna con i ricci scuri era come Theodrin, qualcosa più di un’Ammessa e meno di un’Aes Sedai. Proprio ciò che sarebbero state Elayne e Nynaeve, se quest’ultima non si fosse comportata come una gatta alla quale avevano pestato la coda. Nynaeve e io stessa, riconobbe con riluttanza Elayne. Sheriam glielo aveva detto mentre spiegava per quanto tempo avrebbero dovuto lavorare nelle cucine durante il tempo libero, facendo i lavori peggiori che le cuoche riuscissero a escogitare. Ma niente Ebou Dar; anche quello era stato chiarito. La lettera sarebbe stata in viaggio verso Merilille nel pomeriggio, se non prima.

«Mi... dispiace» rispose Nynaeve ed Elayne batté le palpebre. Le scuse da Nynaeve erano come la neve durante l’estate.

«Anche a me dispiace, Nynaeve.»

«Certo che siete dispiaciute» disse Faolain a tutte e due. «Più di quanto abbia mai visto. Adesso al lavoro! Prima che trovi un motivo per spedirvi da Tiana una volta finito qui.»

Elayne lanciò un’occhiata addolorata a Nynaeve e si infilò nella pentola, attaccando la zuppa bruciata con la pomice come se si trattasse di Faolain. Ne uscirono pezzi di pomice e verdure bruciate. No, non Faolain. Le Aes Sedai, sedute quando invece avrebbero dovuto agire. Sarebbe andata a Ebou Dar, avrebbe trovato il ter’angreal e lo avrebbe usato per legare Sheriam e tutte le altre a Rand. In ginocchio! Lo starnuto le fece quasi volare via le scarpe.

Sheriam si voltò dal suo punto d’osservazione, un’apertura nello steccato, e iniziò a risalire lo stretto vicolo coperto di chiazze di erba e stoppie. «Mi dispiace.» Ripensando alle parole di Nynaeve e al tono di voce usato — e quello di Elayne, ragazzina viziata! — aggiunse «Un po’.»

Carlinya sogghignò. «Vuoi rivelare a delle Ammesse quanto poche sono le Aes Sedai a sapere?» Chiuse la bocca di scatto davanti all’espressione dura di Sheriam.

«Ci sono orecchie dove meno te l’aspetti» rispose Sheriam a bassa voce.

«Quelle ragazze hanno ragione su una cosa» aggiunse Morvrin. «Al’Thor mi trasforma le budella in acqua. Che cosa possiamo fare con lui?»

Sheriam non era certa che avessero ancora delle scelte disponibili. Se ne andarono in silenzio.

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