«Hai fatto portare questi Illuminatori ad Amador?» Molti avrebbero sussultato nel sentire un tono di voce tanto freddo da Pedron Niall, ma non l’uomo in piedi sopra al sole d’oro intarsiato, davanti alla sedia semplice e dallo schienale alto di Niall. Emanava sicurezza e competenza. Niall proseguì. «C’è un motivo specifico se mi ritrovo con duemila Figli a controllare il confine con Tarabon, Omerna. Tarabon è in quarantena. A nessuno è permesso di valicare il confine. Se facessi a modo mio non farei passare nemmeno un passero.»
Omerna era il ritratto di come avrebbe dovuto essere un ufficiale dei Figli della Luce, alto e autorevole, con il viso spavaldo e temerario, il mento volitivo e delle onde bianche sulle tempie. Gli occhi scuri e impavidi parevano perfettamente capaci di sorvegliare il più duro dei campi di battaglia, e lo avevano fatto veramente. Al momento sembravano indicare un pensiero profondo. Il tabarro bianco e oro da lord Capitano, Unto dalla Luce, si adattava bene all’uomo. «Mio lord capitanò Comandante, desiderano impiantare una casa madre a Tarabon.» Anche la sua voce, profonda e melliflua, si adattava bene all’immagine. «Gli Illuminatori viaggiano ovunque. Dovrebbe essere possibile infiltrare degli agenti fra loro. Agenti benvenuti in ogni città, in ogni residenza dei nobili, in tutti i palazzi dei governanti.» In teoria Abdel Omerna era un membro minore del Consiglio degli Unti. In realtà era uno dei capi delle spie dei Figli della Luce. «Pensaci!»
Niall pensava che la Gilda degli Illuminatori fosse di Tarabon dal primo all’ultimo membro, e Tarabon era infetta dal caos e da una follia che non avrebbe liberato in Amadicia. Se per cauterizzare quell’infezione doveva aspettare, poteva almeno isolarla. «Verranno trattati come chiunque altro che si intrufola nella nazione, Omerna. Teneteli sotto controllo, non permettete loro di parlare con nessuno e scortateli fuori dall’Amadicia senza ritardi.»
«Se posso insistere, mio lord capitano Comandante, la loro utilità vale i pettegolezzi che potrebbero scatenare. Sono riservati. E poi, oltre l’utilizzo per i miei agenti, il prestigio di avere la casa madre degli Illuminatori ad Amador sarebbe notevole. La sola casa madre esistente. Quella a Cairhien è stata abbandonata e quella a Tanchico avrà sicuramente subito la stessa sorte.»
Prestigio! Niall si strofinò l’occhio sinistro per calmare un tremito improvviso. Non serviva a molto arrabbiarsi con Omerna, ma trattenersi era faticoso. Il calore del mattino accendeva il malumore come fosse una cottura a fuoco lento. «Sono molto riservati, Omerna. Vivono a modo loro, viaggiano per proprio conto e non parlano con nessuno. Vuoi che questi agenti si sposino con gli Illuminatori? Raramente sposano persone al di fuori della loro gilda e non si può diventare Illuminatori se non per nascita.»
«Ah, be’, sono certo di poter trovare il sistema.» Nulla poteva intaccare la sua facciata di confidenza e competenza.
«Faremo come dico io, Omerna.» L’uomo aprì di nuovo la bocca, ma Niall lo precedette irritato. «Come ho detto io, Omerna! Non ne voglio più parlare! Adesso, quali informazioni hai per oggi? Utili? È la tua unica funzione. Non procurare dei fuochi d’artificio ad Ailron.»
Omerna esitò, aspettando chiaramente di rivolgergli un’altra preghiera per i suoi preziosi Illuminatori, ma alla fine disse funereo: «I rapporti che parlano dei fautori del Drago in Altara sono più che una voce, a quanto pare. Forse anche nel Murandy. L’invasione è contenuta, ma crescerà. Una mossa forte adesso potrebbe sistemare le Aes Sedai a Salidar in un solo...»
«Adesso mi fornisci anche le strategie per i Figli? Raccogli le informazioni e lascia tutto nelle mie mani. Cos’altro hai per me?»
La reazione dell’uomo a quell’interruzione fu un tranquillo inchino remissivo. Omerna era molto bravo a rimanere calmo; forse era la cosa che gli riusciva meglio. «Ho buone notizie. Martin Stepanoes è pronto a unirsi a te. Esita nel fare un annuncio pubblico, ma la mia gente a Illian riferisce che presto lo farà. Pare che sia impaziente.»
«Questo sarebbe decisamente ottimo» rispose asciutto Niall. Davvero notevole. Fra le bandiere e gli stendardi incorniciati e appesi alle pareti della stanza, quello di Martin Stepanoes, i tre leopardi d’argento in campo nero, stava accanto allo stendardo con le frange d’oro della casata reale di Illian, nove api lavorate con un filo d’oro sulla seta verde. Il re di Illian era finito primo durante le ‘Preoccupazioni’, al punto da forzare una tregua che spostava il confine fra l’Amadicia e l’Altara dov’era stato all’inizio, ma Niall dubitava che l’uomo avrebbe mai dimenticato che aveva avuto il vantaggio del territorio e del numero di soldati a Soremaine ed era stato comunque sconfitto e catturato. Se i Compagni di Illian non avessero coperto il campo per far fuggire l’esercito dalla trappola di Niall, l’Altara sarebbe stato un feudo dei Figli, e molto probabilmente la stessa sorte sarebbe toccata al Murandy come anche a Illian. Quel che era peggio, Martin Stepanoes aveva una strega di Tar Valon come consigliera, anche se lo nascondeva. Niall aveva inviato degli emissari perché non osava lasciare nulla di intentato, ma sì, in fondo avere Martin Stepanoes dalla sua parte e di sua spontanea volontà sarebbe stato bellissimo. «Continua. E sii breve. Ho molto da fare oggi e posso leggere i tuoi rapporti più tardi.»
Malgrado quelle istruzioni il lungo rendiconto di Omerna fu pronunciato con una voce sonora e piena di sicurezza. Al’Thor aveva appena esteso il controllo ad Andor oltre Caemlyn. L’assalto, a colpi di fulmini era chiaramente finito — Omerna fece cautamente notare che lo aveva predetto. C’erano scarse possibilità che le Marche di Confine si sarebbero unite presto ai Figli contro il falso Drago; i signori di Shienar, Arafel e Kandor stavano avvantaggiandosi della calma della Macchia per ribellarsi e la regina della Saldea si era isolata nella nazione, per il timore degli eventi, secondo Omerna. I suoi agenti erano comunque al lavoro e i governanti delle Marche di Confine sarebbero stati presto domati, non appena fossero state represse le piccole ribellioni. D’altro canto i governanti di Murandy, Altara e Ghealdan erano pronti a seguire i Figli, anche se al momento il loro atteggiamento era ambivalente, visto che cercavano comunque di calmare le streghe di Tar Valon. Alliandre del Ghealdan sapeva che il suo trono era instabile, che aveva bisogno dei Figli per evitare di precipitare come i suoi predecessori, mentre sia Tylin di Altara che Roedran del Murandy speravano che il peso di Cairhien li avrebbe resi qualcosa di più che delle semplici comparse. Chiaramente l’uomo considerava quelle terre come se fossero già nel taschino di Niall.
In Amadicia, secondo l’opinione di Omerna, la situazione era anche migliore. Le reclute si precipitavano sotto la bandiera dei Figli in numero maggiore che negli ultimi anni. Per essere franchi non erano fatti di cui Omerna avrebbe dovuto preoccuparsi, ma l’uomo infarciva sempre i rapporti con tutte le buone notizie che riusciva a trovare. Il Profeta non avrebbe preoccupato la nazione ancora per molto; al momento, la sua plebaglia si contendeva i saccheggi dei villaggi e le tenute a nord, ma avrebbe potuto arretrare di nuovo nel Ghealdan alla prossima pressione dei soldati di Ailron. Nelle prigioni era rimasto poco spazio, perché gli Amici delle Tenebre e le spie di Tar Valon venivano arrestati più rapidamente di quanto riuscissero a impiccarne. La ricerca delle streghe di Tar Valon sino ad allora aveva condotto all’arresto solo due donne, ma ne avevano interrogate oltre cento, un’indicazione di quanto fossero vigili le pattuglie. E alcuni profughi di Tarabon erano stati catturati, prova che la quarantena stava diventando efficace; quelli presi venivano inviati di nuovo a Tarabon alla massima velocità consentita per riportarli al confine. Superò in fretta quest’ultimo punto, cosa poco sorprendente vista la sua stupidità nei confronti degli Illuminatori.
Niall prestava l’attenzione sufficiente per sapere quando annuire. Omerna era un bravo comandante in campo, fino a quando qualcuno gli diceva cosa fare, ma nella posizione attuale la sua sciocca credulità era stancante. Aveva riferito della morte di Morgase, il corpo era stato visto e identificato senza alcun dubbio, lo stesso giorno che Niall le aveva parlato. Aveva sminuito le voci che la Pietra di Tear fosse caduta e negava ancora che la più potente fortezza del mondo potesse essere stata presa da una forza esterna; c’era stato un tradimento, insisteva, un sommo signore che aveva tradito la Pietra, consegnandola ad al’Thor e Tar Valon. Insisteva che il disastro a Falme, i problemi a Tarabon e nell’Arad Doman erano opera degli eserciti di Artur Hawkwing ritornati da oltre l’oceano Aryth. Era convinto che Siuan Sanche non fosse stata affatto deposta, che al’Thor fosse pazzo e moribondo, che Tar Valon aveva ucciso re Galldrian per dare intenzionalmente il via alla guerra civile a Cairhien e che questi tre ‘fatti’ erano in qualche modo legati a quelle voci ridicole, provenienti sempre da qualche luogo convenientemente lontano, di gente che esplodeva in fiamme o di incubi che saltavano fuori dall’aria e sterminavano interi villaggi. Non sapeva bene come, ma stava lavorando su una grande teoria che ogni giorno prometteva di comunicare, una teoria che avrebbe dipanato tutti gli schemi delle streghe e consegnato Tar Valon nelle mani di Niall.
Era lo stile di Omerna: o inventava motivi complessi per giustificare quanto di volta in volta accadeva, oppure si basava su pettegolezzi sentiti nelle strade e li prendeva per veri. Trascorreva molto tempo a raccogliere voci, nelle tenute e per le vie. Non solo era stato visto bere nelle taverne con i cercatori del Corno, ma era un segreto non ben conservato che avesse speso delle somme ingenti di denaro per acquistare tre presunti Corni di Valere. Ogni volta aveva portato l’oggetto fuori dalla nazione e vi aveva soffiato dentro per giorni, fino a quando anche lui aveva dovuto ammettere che nessun eroe leggendario ormai defunto sarebbe risorto dalla tomba. Eppure, quei fallimenti difficilmente lo avrebbero distolto da futuri acquisti in vicoli scuri o nel retro delle taverne. Benché il capo di un gruppo di spie avrebbe dovuto dubitare anche della propria immagine riflessa, Omerna invece credeva a tutto.
Alla fine, l’uomo rallentò e Niall disse: «Prenderò nella giusta considerazione i tuoi rapporti, Omerna. Ti sei comportato bene.» L’uomo si pavoneggiò mentre lisciava il tabarro. «Adesso lasciami da solo. Andando via, fai entrare Balwer. Devo dettare delle lettere.»
«Ma certo, mio lord capitano Comandante. Quasi dimenticavo.» Nel mezzo dell’inchino Omerna si incupì, rovistò nella tasca della giacca bianca e ne estrasse un piccolo cilindro d’osso che consegnò a Niall. «È arrivato stamattina con un piccione.» Lungo il cilindro erano visibili tre linee rosse sottili: indicavano che il plico doveva essere consegnato a Niall con il sigillo di cera intatto. E l’uomo lo aveva quasi dimenticato.
Omerna attese, sperando senza dubbio in un’indicazione sul contenuto del messaggio, ma Niall fece un cenno verso la porta. «Non dimenticare Balwer. Se c’è la possibilità che Martin Stepanoes si unisca a me, devo scrivergli e vedere se riesco ad accelerare la sua decisione.» Omerna non ebbe altra scelta che inchinarsi e andare via.
Anche quando la porta fu chiusa alle spalle di Omerna, Niall si limitò a giocare con il cilindro. Questi messaggi rari e speciali erano spesso forieri di buone notizie. Lo sollevò lentamente — negli ultimi tempi sentiva talvolta il peso degli anni nelle ossa — riempì un semplice calice d’argento con del vino speziato e lo lasciò sul tavolo per aprire invece una cartella di cuoio foderata di lino e decorata con delle spirali, contenente un solo foglio di carta pesante. Stropicciato e in parte strappato, il disegno di un artista di strada fatto con i gessetti colorati ritraeva due uomini che combattevano fra le nuvole, uno con il volto di fuoco, l’altro che aveva i capelli rosso scuro. Al’Thor.
Tutti i suoi piani per ostacolare il falso Drago erano falliti, tutte le speranze di rallentare la serie di conquiste, di deviarlo. Aveva forse atteso troppo a lungo, lasciando che al’Thor divenisse troppo potente? Se era così, c’era un solo modo per vedersela con lui in maniera sbrigativa: un pugnale nel buio, una freccia proveniente da un tetto. Quanto altro tempo avrebbe osato aspettare? Poteva rischiare di non attendere? La troppa fretta avrebbe potuto scatenare un disastro con la stessa certezza di un’attesa prolungata.
«Il mio signore mi ha fatto chiamare?»
Niall lanciò un’occhiata all’uomo che era entrato silenziosamente. Sembrava quasi impossibile che Balwer potesse muoversi senza un fruscio che ne annunciasse la presenza. La sua figura era magra ed emaciata, la giubba marrone pendeva da spalle nodose e pareva che le gambe potessero spezzarsi sotto il peso dello scarno corpo. Si muoveva come un uccello che saltasse da un ramo all’altro. «Credi che il Corno di Valere richiamerà gli eroi defunti per salvarci, Balwer?»
«Forse, mio signore» rispose Balwer, strofinandosi le mani. «Forse no. Io non ci conterei troppo.»
Niall annuì. «E pensi che Martin Stepanoes si unirà a me?»
«Forse. Non credo voglia morire o essere usato come una marionetta. La sua prima e unica preoccupazione è di conservare la corona d’alloro, e l’esercito che si riunisce a Tear deve spaventarlo molto.» Balwer rivolse al suo signore un accenno di sorriso, una vaga tensione delle labbra. «Ha parlato apertamente di accettare la proposta del mio signore, ma d’altro canto ho appena scoperto che ha comunicato anche con la Torre Bianca. Deve aver concesso qualcosa, anche se non so ancora cosa.»
Tutti sapevano che Omerna era il capo delle spie dei Figli. Una tale posizione doveva essere mantenuta segreta, ma gli stallieri e i mendicanti lo indicavano con cautela nelle strade, per paura che l’uomo più pericoloso di Amadicia li vedesse. In verità, quello sciocco era uno specchio per le allodole, uno stolto che non si accorgeva di essere solo una copertura dietro cui si nascondeva il vero capo delle spie nella Fortezza della Luce. Sebban Balwer. Il piccolo, compassato segretario di Niall. Un uomo che nessuno avrebbe sospettato o riconosciuto.
Mentre Omerna credeva a tutto, Balwer non credeva a nulla, forse nemmeno agli Amici delle Tenebre o al Tenebroso. L’unica cosa in cui credeva era spiare gli altri uomini, ascoltare i loro sussurri, scoprire segreti. Avrebbe servito qualsiasi padrone come faceva con Niall, ma era tutto per il meglio. Quanto scopriva Balwer non era mai contaminato da quanto l’uomo riteneva o voleva fosse vero. Non credendo a nulla, era sempre riuscito a scoprire la verità.
«Non è più di quanto mi aspettassi da Illian, Balwer, ma anche lui può essere convinto.» Doveva riuscirci. Non poteva essere troppo tardi. «Abbiamo delle notizie fresche dalle Marche di Confine?»
«Non ancora, mio signore, ma Davram Bashere si trova a Caemlyn. Con trentamila fanti leggeri, secondo le mie informazioni, anche se io ritengo non siano nemmeno la metà. Non lascerebbe troppo sguarnita la Saldea, per quanto sia calma la Macchia, anche se Tenobia glielo ordinasse.»
Niall sbuffò e l’angolo dell’occhio sinistro ebbe un tremito. L’uomo toccò il disegno nella cartella; somigliava discretamente ad al’Thor. Bashere a Caemlyn; una buona ragione per spingere Tenobia a nascondersi nelle campagne per evitare i suoi rappresentanti.
Dalle Marche di Confine non vi era alcuna buona notizia, qualunque cosa pensasse Omerna. Le ‘ribellioni minori’ che Omerna aveva riferito erano sì modeste, ma non del tipo che lui immaginava. Lungo i confini della Macchia gli uomini discutevano se al’Thor fosse un altro falso Drago o il Drago Rinato. Gli abitanti delle Marche di Confine erano quel che erano, e a volte quelle diatribe sfociavano in piccole battaglie. Le discussioni nello Shienar erano iniziate pressappoco quando la Pietra di Tear stava cadendo, a conferma del coinvolgimento delle streghe. Come la cosa potesse risolversi, secondo Balwer, era ancora in dubbio.
Il confino di al’Thor a Caemlyn era una delle poche cose che Omerna aveva riferito correttamente. Ma perché con Bashere, gli Aiel e le streghe? Nemmeno Balwer era stato in grado di rispondere a quella domanda. Qualunque fosse il motivo, solo la Luce lo sapeva! La marmaglia del Profeta saccheggiava il nord dell’Amadicia, ma stavano anche consolidando la loro posizione, uccidendo o facendo fuggire chiunque rifiutasse di dichiarare fedeltà al Profeta del Drago. I soldati di Ailron avevano smesso la ritirata perché il maledetto Profeta aveva cessato di avanzare. Alliandre e gli altri che Omerna era certo si sarebbero uniti a lui titubavano, respingendo i suoi ambasciatori con scuse inconsistenti e ritardi. Sospettava che nemmeno loro sapessero da che parte si sarebbero schierati.
In apparenza, al momento tutto pareva andare come voleva al’Thor, a esclusione di ciò che lo tratteneva a Caemlyn. Ma Niall era sempre stato estremamente pericoloso quando era schiacciato con le spalle al muro.
Se potevano credere alle voci, Carridin se la cavava bene in Altara e nel Murandy, anche se non procedeva veloce come sarebbe piaciuto a Niall. Il tempo era un nemico come al’Thor e la Torre. Anche se quelli su Carridin erano pettegolezzi, doveva farselo bastare. Forse era giunto il momento di allargare la cerchia dei ‘fautori del Drago’ ad Andor. Magari anche a Illian, benché se l’esercito che si riuniva a Tear non era abbastanza per mostrare la via a Martin Stepanoes, alcune fattorie e villaggi rasi al suolo non avrebbero fatto la differenza. Le dimensioni di quell’esercito terrorizzavano Niall. Anche se fosse stato la metà di quanto aveva riferito Balwer, un quarto, lo spaventava comunque. Non si era visto nulla di simile dai giorni di Artur Hawkwing. Anziché impaurire gli uomini per indurli a unirsi a Niall, un esercito di quelle dimensioni poteva essere intimidatorio e indurre le persone ad assoggettarsi alla bandiera del Drago. Se avesse avuto un anno a disposizione, o sei mesi, sarebbe valso la pena tollerare tutta l’armata di furfanti sciocchi di al’Thor e i selvaggi Aiel.
Ma non tutto era ancora perduto. Non lo era mai fino a quando si restava in vita. Tarabon e l’Arad Doman era inutili per al’Thor e le streghe come lo erano per lui, due fosse piene di scorpioni. Solo uno sciocco vi avrebbe infilato dentro la mano, a meno che gli scorpioni non si fossero uccisi a vicenda. Se la Saldea era perduta, cosa che non avrebbe permesso, Shienar, Arafel e Kandor facevano da contrappeso e gli equilibri potevano essere capovolti. Se Martin Stepanoes voleva cavalcare due cavalli allo stesso tempo — gli era sempre piaciuto tentare una cosa simile — poteva comunque essere indotto a scegliere quello giusto. L’Altara e il Murandy sarebbero stati spronati nella giusta direzione e Andor sarebbe caduta nelle sue mani, che decidesse o meno sulla necessità di un piccolo colpo di frusta di Carridin. A Tear gli agenti di Balwer avevano convinto Tedosian ed Estanda a unirsi a Darlin, trasformando la provocazione in una vera e propria ribellione, e l’uomo era certo che la stessa cosa potesse essere fatta a Cairhien e ad Andor. Un mese, ufficialmente due, ed Eamon Valda sarebbe giunto da Tar Valon. Niall poteva fare a meno dell’uomo, ma alla fine gran parte delle forze dei Figli si sarebbero trovate in un solo punto, pronte a essere usate dove serviva maggiormente.
Sì, aveva ancora molte buone carte. Nulla si era consolidato ma tutto si preparava. Aveva solo bisogno di tempo. Accorgendosi che stringeva ancora in mano il cilindro d’osso, spezzò il sigillo di cera con il pollice ed estrasse con cura la carta sottile arrotolata all’interno.
Balwer non disse nulla, ma strinse di nuovo le labbra, stavolta però non in un sorriso. Tollerava Omerna perché sapeva che era uno sciocco e preferiva rimanere nascosto, ma non gli piaceva che Niall ricevesse delle relazioni che lui non poteva studiare, da uomini che non conosceva.
Una grafia filiforme copriva il foglietto in un codice cifrato che pochi oltre Niall conoscevano, e nessuna di quelle persone si trovava ad Amador. Per lui leggerlo era facile come guardarsi la mano. La firma in calce gli fece battere le palpebre, come anche il contenuto del messaggio. Si trattava, o forse si era trattato, di Varadin, uno dei suoi migliori agenti personali, un venditore di tappeti che aveva prestato un ottimo servizio durate le Preoccupazioni mentre svolgeva la funzione di ambulante nell’Altara, il Murandy e Man. Il guadagno di quel periodo gli aveva consentito di diventare un commerciante di Tanchico in discrete condizioni, fornitore abituale di tappeti e vino al palazzo del re e della Panarca, come anche di molti dei nobili delle varie corti, e andava sempre via con gli occhi e le orecchie piene di informazioni. Niall pensava che fosse morto da molto tempo in seguito alle sommosse, ed era la prima volta da un anno che riceveva sue notizie. Da quanto aveva scritto Varadin, sarebbe stato meglio se fosse davvero morto. Con la grafia a scatti di un uomo sull’orlo della follia, riferiva una serie di insensatezze su uomini che cavalcavano strani animali e creature voltanti, Aes Sedai al guinzaglio e gli Hailene. Significava ‘predecessori’ nella lingua antica, ma non vi era alcun tentativo di spiegare perché Varadin fosse terrorizzato da loro o chi fossero. Chiaramente l’uomo aveva contratto una febbre cerebrale a furia di vedere la sua nazione disintegrarsi intorno a lui.
Annoiato, Niall accartocciò il foglio e lo lanciò in terra. «Prima devo sopportare le idiozie di Omerna, adesso questo. Cos’altro hai per me, Balwer?» Bashere. Le cose potevano diventare spiacevoli con Bashere come generale dell’esercito di al’Thor. L’uomo aveva una certa reputazione. Un pugnale nel buio, per lui?
Gli occhi di Balwer non avevano mai lasciato il volto di Niall, ma quest’ultimo sapeva che la pallina di carta sul pavimento sarebbe finita fra le mani di Balwer a meno che non l’avesse bruciata. «Quattro cose che potrebbero essere interessanti, mio signore. Inizio da quelle meno importanti. Le voci sugli incontri fra gli stedding ogier sono vere. Per essere degli Ogier sembra che stiano muovendosi in fretta.» Non riferì di cosa discutessero; infilare il naso in un Comizio ogier era impossibile come convincere un Ogier a spiare. Sarebbe stato più facile far sorgere il sole di notte. «C’è anche un insolito numero di vascelli del Popolo del Mare nei porti meridionali, che non imbarcano alcun carico e non navigano.»
«Che cosa aspettano?»
Per un istante Balwer tese le labbra come se fossero mosse da degli elastici. «Non lo so ancora, mio signore.» A quell’uomo non piaceva mai dover ammettere che c’erano dei segreti umani che non riusciva a svelare. Cercare di scoprire più delle cose ovvie su quanto stesse accadendo fra gli Atha’an Miere era come tentare di carpire alla Gilda degli Illuminatori il segreto dei fuochi d’artificio, una fatica inutile. Gli Ogier almeno prima o poi avrebbero reso nota la decisione raggiunta durante i loro incontri.
«Continua.»
«La notizia abbastanza interessante è... insolita, mio signore. Al’Thor è stato visto a Caemlyn, Tear e Cairhien da fonti attendibili, a volte lo stesso giorno.»
«Attendibili? Follia attendibile. Le streghe probabilmente hanno piazzato due o tre uomini che assomigliano ad al’Thor, abbastanza per imbrogliare chiunque non lo conosca. Spiegherebbe molte cose.»
«Forse, mio signore. Ma i miei informatori sono attendibili.»
Niall chiuse con forza la cartella, nascondendo il volto di al’Thor. «E la novità di grande interesse?»
«L’ho ricevuta da due fonti in Altara — fonti attendibili, mio signore. Le streghe a Salidar sostengono che l’Ajah Rossa abbia incoraggiato Logain a diventare falso Drago. In effetti lo hanno praticamente creato. Adesso ospitano Logain a Salidar — o un uomo che sostengono sia Logain — e lo stanno mostrando ai nobili che riescono a portare da loro. Ne ho le prove, ma sospetto che raccontino la stessa storia a ogni governante che raggiungono.»
Aggrottando le sopracciglia, Niall studiò le bandiere appese in alto. Rappresentavano nemici di quasi tutte le terre; nessuno lo aveva mai sconfitto due volte, e pochi vi erano riusciti anche solo una volta. Le bandiere si erano scolorite con il passare degli anni. Come lui. Eppure non era ancora logoro al punto di vedere una fine a quanto aveva iniziato. Ogni bandiera era stata conquistata a seguito di battaglie sanguinose, dove nessuno sapeva mai cosa stesse accadendo oltre la portata dello sguardo, dove la vittoria e la sconfitta sicure potevano entrambe essere eteree illusioni., La peggiore battaglia che avesse combattuto, con gli eserciti che annaspavano nella notte uno contro l’altro vicino Moisen, durante le Preoccupazioni, era stata luminosa come una mattina d’estate a confronto di quella che lo impegnava adesso.
Che si fosse sbagliato? Che la Torre fosse davvero spezzata? Una sorta di lotta fra le Ajah? Su cosa? Al’Thor? Se le streghe combattevano fra loro ci sarebbero stati molti dei Figli pronti a sostenere la soluzione di Carridin, un’incursione per distruggere Salidar e uccidere il maggior numero possibile di streghe. Uomini per i quali pensare al domani era come guardare troppo avanti e che non consideravano mai la settimana o il mese seguenti, meno ancora l’anno a venire. Valda, per fare un esempio; forse era un bene che non avesse ancora raggiunto Amador. O Rhadam Asunawa, l’Alto Inquirente degli Inquisitori. Valda preferiva sempre usare un’ascia, anche quando sarebbe stato più indicato un pugnale. Asunawa voleva impiccare senza indugi ogni donna che avesse trascorso anche una sola notte nella Torre, bruciare ogni libro che parlava delle Aes Sedai o dell’Unico Potere, e censurare e bandire le parole stesse. Asunawa non aveva mai altri pensieri all’infuori di questi scopi, e nemmeno gli importava di quanto gli sarebbe costato. Niall aveva lavorato troppo duramente, rischiato troppo per permettere che tutto ciò diventasse agli occhi del mondo una lotta fra i Figli e la Torre.
Non importava che avesse torto. Avrebbe anche potuto essere, ma rimaneva comunque un vantaggio per lui. Forse più che se avesse avuto ragione. Con un po’ di fortuna, poteva disintegrare la Torre Bianca una volta per tutte, ridurre in briciole le streghe. A quel punto al’Thor avrebbe certamente vacillato, rimanendo comunque una minaccia da poter usare come pungolo. E lui avrebbe potuto quasi attenersi alla verità. Quasi.
Senza distogliere gli occhi dalle bandiere, disse: «La divisione nella Torre è reale. L’Ajah Nera sta venendo allo scoperto, le vincitrici hanno preso la Torre e le sconfitte sono state spinte a fuggire a Salidar per leccarsi le ferite.» Guardò Balwer e quasi sorrise. Uno dei Figli avrebbe protestato, sostenendo che l’Ajah Nera non esisteva o che tutte le streghe fossero Amiche delle Tenebre; le reclute più giovani lo avrebbero fatto. Balwer si limitò a guardarlo, ma non come se avesse bestemmiato contro ciò che i Figli proteggevano. «La sola decisione da prendere è se l’Ajah Nera ha vinto o perso. Io penso che abbiano vinto. La maggior parte della gente penserà che quelle rimaste alla Torre siano le vere Aes Sedai. Che associno pure le vere Aes Sedai con l’Ajah Nera. Al’Thor è una creatura della Torre, un vassallo dell’Ajah Nera.» Sollevò la coppa dal tavolo e sorseggiò il vino. Non aiutava a eliminare il caldo. «Forse con questo posso giustificare il fatto di non aver ancora attaccato Salidar.» Tramite gli emissari, aveva usato il mancato attacco come prova di quanto fosse atroce per lui la minaccia di al’Thor. Era disposto a lasciar riunire le streghe alle soglie dell’Amadicia anziché essere distratto dal pericolo del falso Drago. «Le donne a Salidar erano spaventate di quanto fosse dilagata l’Ajah Nera, rifiutate alla fine dal male in cui erano rimaste immerse per anni...» La sua creatività stava esaurendosi — erano tutte servitrici del Tenebroso, quale male avrebbe potuto respingerle? — ma dopo un istante fu Balwer a proseguire.
«Forse hanno deciso di rimettersi alla misericordia del mio signore, forse addirittura di chiedere protezione. Sconfitte in una ribellione, più deboli delle loro nemiche e con la paura di essere schiacciate; un uomo che precipita da una rupe verso morte sicura tenderebbe la mano anche al peggior nemico. Forse...» Balwer tamburellò pensieroso sulle labbra con le dita nodose. «Forse sono pronte a pentirsi dei loro peccati e rinunciare a essere Aes Sedai?»
Niall lo fissò. Sospettava che i peccati delle streghe di Tar Valon fossero fra le cose in cui Balwer non credeva. «È assurdo» rispose atono. «È il tipo di proposta che potrei aspettarmi da Omerna.»
Il volto del suo segretario rimase compassato come sempre, ma l’uomo iniziò a fregarsi le mani come faceva quando si sentiva insultato. «Quanto il mio signore può aspettarsi di sentire da lui, ma proprio il tipo di cosa che verrebbe ripetuta nella maggior parte dei posti dove si reca a spiare, nelle strade e nei locali dove i nobili spettegolano bevendo in compagnia. Non si ride mai delle assurdità, si ascoltano e basta. Cos’è troppo assurdo da credere, quando ci si convince che sia troppo assurdo per essere una menzogna?»
«Come faresti a diffondere questa versione? Io non darò il via a nessuna voce su un legame fra i Figli e le streghe.»
«Si tratterebbe solo di una voce, mio signore.» Lo sguardo di Niall si indurì e Balwer allargò le braccia. «Come desidera il mio signore. Tutti i racconti vengono sempre abbelliti, quindi una storia semplice ha le migliori possibilità di sopravvivere. Suggerisco di diffonderne quattro, mio signore, non una. Prima, quella della divisione della Torre causata dall’ascesa dell’Ajah Nera. Come seconda, la vittoria dell’Ajah Nera che controlla la Torre. Terza, le Aes Sedai a Salidar, cacciate e terrorizzate, che stanno rinunciando a essere Aes Sedai. Come quarta, quelle donne che si avvicinano a te, alla ricerca di pietà e protezione. Per la maggioranza della gente, l’ultima sarebbe la conferma di tutte le altre voci.» Sistemandosi i polsini Balwer sorrise soddisfatto.
«Molto bene, Balwer. Facciamolo.» Niall sorseggiò a lungo. Il caldo gli faceva sentire il peso degli anni. Le ossa parevano fragili. Ma sarebbe vissuto abbastanza a lungo da vedere il falso Drago distrutto e il mondo unito per affrontare Tarmon Gai’don. Anche se lui non fosse sopravvissuto per guidare i suoi nell’Ultima Battaglia, la Luce gli avrebbe concesso sicuramente almeno quello. «E voglio che troviate Elayne Trakand e suo fratello Gawyn, Balwer, e che vengano portati ad Amador. Occupatene tu. Adesso puoi andare.»
Invece di obbedire, Balwer esitò. «Il mio signore sa che non suggerisco mai le azioni da intraprendere.»
«Intendi farlo adesso? Di che si tratta?»
«Fai pressione su Morgase, mio signore. È trascorso più di un mese e sta ancora considerando la proposta del mio signore. Lei...»
«Basta, Balwer.» Niall sospirò. A volte avrebbe voluto che Balwer non fosse originario dell’Amadicia ma un Cairhienese che aveva bevuto il Gioco delle Casate con il latte materno. «L’impegno di Morgase nei miei confronti cresce di giorno in giorno, qualunque cosa lei creda. Avrei preferito che avesse accettato subito — adesso avrei Andor sollevata contro al’Thor, con una forte schiera di Figli a rinforzarla — ma ogni giorno che rimane mia ospite la lega strettamente a me. Alla fine scoprirà di essere mia alleata perché il mondo lo crede, legata così strettamente da non poter fuggire. E nessuno potrà mai dire che l’ho costretta, Balwer. È molto importante. È sempre più difficile abbandonare un’alleanza che il mondo pensa tu abbia avviato liberamente, che non una che puoi dimostrare di aver subito con la forza.»
«Come dice il mio signore.»
Niall fece un cenno di congedo e l’uomo si inchinò uscendo. Balwer non capiva. Morgase era un’avversaria dura. Se avesse subito troppa pressione si sarebbe ribellata e avrebbe combattuto, quali che fossero state le sue possibilità. Ma con la dovuta pressione avrebbe affrontato il nemico che credeva di vedere senza mai scorgere la trappola che le cresceva intorno, fino a quando non sarebbe stato troppo tardi. Niall subiva la pressione del tempo, di tutti gli anni che aveva vissuto, tutti i mesi di cui aveva disperatamente bisogno, ma non avrebbe lasciato che la fretta rovinasse i suoi piani.
Il falco in picchiata colpì la grande anatra in un’esplosione di piume, poi i due uccelli si separarono e l’anatra cadde verso il suolo. Volando dritto nel cielo senza nuvole, il falco si avventò sulla preda che precipitava, artigliandola con le zampe. Il peso dell’anatra lo zavorrava, ma fece ritorno verso le persone che lo aspettavano.
Morgase si chiese se lei non fosse come il falco, troppo orgogliosa e determinata per accorgersi che aveva stretto gli artigli su una preda troppo pesante perché le sue ali la sostenessero. Cercò di allentare la presa sulle redini. Il cappello bianco a falde larghe con le lunghe piume dello stesso colore le procurava una scarsa protezione contro il sole inesorabile, e aveva il viso imperlato di sudore. Con l’abito da cavallerizza di seta verde ricamata in oro, non pareva una prigioniera.
Delle figure a cavallo e a piedi punteggiavano il pascolo d’erba secca, anche se non lo affollavano. Un gruppo di musicisti con dei tabarri bianchi ricamati in azzurro, con flauti, tarabusi e tamburi, creavano un motivo di sottofondo ottimo per un pomeriggio da trascorrere davanti a del vino ghiacciato. Una dozzina di addestratori con addosso delle vesti di cuoio lunghe ed elaborate indossate su camicie bianche carezzavano dei falchi appollaiati sulle braccia guantate, o fumavano le loro corte pipe facendo salire dei pennacchi di fumo azzurro verso gli uccelli. I servitori con le livree di colori vivaci andavano in giro con la frutta e il vino nelle coppe dorate appoggiate su vassoi d’oro, e un gruppo di uomini con lucenti cotte di maglia circondava il pascolo non lontano dagli alberi spogli. Tutto per aiutare Morgase e il suo seguito, per accertarsi che la caccia con i falchi fosse sicura.
Be’, quella era la ragione ufficiale, anche se gli uomini del Profeta si trovavano ad almeno duecento chilometri a nord ed era improbabile che ci fossero briganti tanto vicino ad Amador. Malgrado le donne raggruppate attorno a lei sulle loro giumente e i castroni, con abiti da cavallo di seta brillante e cappelli a falde larghe coperti di splendide piume colorate, e i capelli acconciati con i riccioli di moda nella corte di Amadicia, il vero seguito di Morgase era composto da Basel Gill, goffo, sul cavallo sistemato su un lato, con il giustacuore di cuoio coperto di dischi di metallo stretto al giro vita indossato sopra la giubba di seta rossa che Morgase gli aveva procurato per non essere sminuito dai servitori, e Paitr Conel, anche più impacciato, con la giubba rossa e bianca da paggio, che mostrava un nervosismo palese, emerso da quando era stato aggiunto al suo seguito. Le donne erano nobili della corte di Ailron e si erano offerte ‘volontarie’ per fare le dame di compagnia a Morgase durante la sua attesa. Il povero mastro Gill toccava la spada e guardava i Manti Bianchi sconsolato. Questi erano esattamente quel che erano, anche se la scortavano come al solito fuori dalla Fortezza della Luce senza indossare i mantelli bianchi. Ed erano i suoi carcerieri. Se Morgase avesse tentato di cavalcare troppo lontano o rimanere fuori troppo a lungo, il loro comandante, un giovane dallo sguardo duro di nome Norowhin che odiava fare finta di essere altro che un Manto Bianco, avrebbe ‘suggerito’ che facesse ritorno ad Amador perché faceva troppo caldo, o per via di una voce improvvisa sulla presenza di banditi nell’area. Morgase non avrebbe potuto discutere con cinquanta uomini armati senza perdere la dignità. Norowhin le aveva quasi tolto le redini di mano, la prima volta. Era il motivo per cui non rinunciava mai alla compagnia di Tallanvor durante le cavalcate. Quel giovane stolto avrebbe insistito nel tenere alti i suoi onori e diritti anche se fossero stati in cento contro di lui. Trascorreva il tempo libero a esercitarsi con la spada come se si aspettasse di poterla aiutare a fuggire.
Morgase fu sorpresa da una brezza fresca che le sfiorò il viso e si accorse che Laurain si era sporta dalla sella per farle vento con un ventaglio di merletto bianco. Giovane, snella e con gli occhi scuri leggermente ravvicinati, Laurain aveva in volto un sorriso perpetuo. «Dev’essere così gratificante per Sua maestà sapere che suo figlio si è unito ai Figli della Luce e ha ottenuto i gradi di ufficiale con tale velocità.»
«Non dovrebbe essere una sorpresa» intervenne Altalin, sventolandosi il viso paffuto. «È normale che il figlio di Sua maestà si elevi rapidamente, come fa il sole al massimo splendore.» Si crogiolò negli apprezzamenti delle altre donne per il suo pietoso gioco di parole.
Morgase aveva seri problemi a rimanere inespressiva. La notizia ricevuta da Niall la sera precedente, durante una delle sue visite a sorpresa, era stata un fulmine a ciel sereno. Galad un Manto Bianco! Almeno era salvo, come diceva Niall, ma non poteva farle visita: i doveri di un Figlio della Luce lo tenevano altrove. In ogni caso, avrebbe sicuramente fatto parte della sua scorta una volta che avesse fatto ritorno ad Andor a capo di un esercito di Figli.
No, Galad non era più al sicuro di Elayne o Gawyn. Forse anche meno. Che la Luce voglia che Elayne sia al sicuro nella Torre Bianca e Gawyn ancora vivo. Niall sosteneva di non sapere dove si trovasse quest’ultimo, solo che non stava a Tar Valon. Galad era un pugnale puntato alla gola. Niall non lo avrebbe mai suggerito, ma un suo semplice ordine poteva spedire Galad in un luogo dove gli sarebbe stata garantita la morte. La sola protezione che aveva era far credere a Niall che quel figlio non le interessasse quanto Elayne e Gawyn.
«Sono contenta per lui, se è ciò che vuole» rispose indifferente alle donne. «Ma è il figlio di Taringail, non il mio. Quello con Taringail fu un matrimonio di stato. È strano, ma quell’uomo è morto da così tanto tempo che quasi non ricordo più il suo volto. Galad è libero di fare quello che vuole. Gawyn invece sarà il primo principe della spada una volta che Elayne mi succederà sul trono del Leone.» Mandò via con un cenno un cameriere che le stava porgendo una coppa di vino. «Niall avrebbe almeno potuto procurarci un vino decente.» La sua uscita provocò un’ondata di risatine ansiose. Era stata brava a farle avvicinare a lei, ma nessuna si sentiva a proprio agio nell’offendere Pedron Niall, non quando poteva essergli riferito. Morgase invece approfittava di ogni opportunità per farlo proprio quando poteva essere sentita. Convinceva gli altri del suo coraggio, un fattore importante se voleva ottenere qualche alleanza, anche solo parziale. Forse, cosa più importante almeno per il suo stato emotivo, l’aiutava a mantenere l’illusione di non essere prigioniera di Pedron Niall.
«Ho sentito dire che Rand al’Thor fa mostra del trono del Leone come se fosse un trofeo di caccia.» Era la voce di Marande, una donna graziosa con il viso a forma di cuore, più vecchia delle altre. Sorella del sommo signore della casata Algoran, aveva un discreto potere, forse sufficiente per resistere ad Ailron, ma non a Niall. Le altre fecero spostare i cavalli da un lato per darle modo di avvicinarsi a Morgase. Ottenere una qualsiasi forma di alleanza o amicizia da Marande era fuori discussione.
«Ho sentito le stesse cose» rispose Morgase gioiosa. «Il leone è un animale pericoloso da cacciare e il trono del Leone anche di più. Specialmente per un uomo. Alla fine si resta sempre uccisi.»
Marande sorrise. «Ho anche sentito dire che assegna posizioni di potere a uomini che possono incanalare.»
Stavolta ottenne degli sguardi imbarazzati dalle altre donne, e un brusio di preoccupazione. Una delle più giovani, Marewin, magra e poco più che una bambina, ondeggiò sulla sella dall’alto pomello come se stesse per svenire. Le notizie dell’amnistia di al’Thor avevano generato dei racconti spaventosi; Morgase sperava ardentemente che si trattasse solo di voci. La Luce volesse che fossero solo delle voci: uomini che potevano incanalare riuniti a Caemlyn che se ne andavano in giro nel palazzo reale e terrorizzavano la città.
«Hai sentito molte cose» osservò Morgase. «Trascorri tutto il tuo tempo a origliare?»
Il sorriso di Marande divenne anche più intenso. Non aveva potuto dire di no alle pressioni per diventare una delle seguaci di Morgase, ma era abbastanza potente da mostrarne lo scontento senza alcun timore. Era come una spina nel piede impossibile da rimuovere, e procurava un dolore intenso a ogni passo. «Per il piacere di servirvi mi rimane poco tempo da dedicare allo spionaggio, Vostra maestà, ma cerco di cogliere il più possibile ad Andor. Per poter poi conversare con voi, maestà. Ho sentito dire che il falso Drago si incontra quotidianamente con i nobili andorani. Lady Arymilla e lady Naean, lord Jarin e lord Lir. E altri amici loro.»
Uno dei falconieri rimosse il cappuccio da un uccello grigio e splendente, con le ali nere, mostrandolo a Morgase. I campanelli d’argento legati alla zampa del falco tintinnarono mentre camminava sul braccio dell’uomo, protetto dal guanto di cuoio.
«Grazie, ma ne ho avuto abbastanza per oggi» rispose Morgase, quindi alzando la voce aggiunse: «Mastro Gill, riunisci la scorta. Torno in città.»
Gill sobbalzò. Sapeva bene che era suo compito solo seguirla, ma iniziò a gesticolare e gridare ordini ai Manti Bianchi come se fosse convinto che avrebbero obbedito. Dal canto suo, Morgase fece voltare immediatamente la giumenta nera. La fece andare al passo. Norowhin le sarebbe stato addosso in un lampo se avesse intuito che la donna pensava alla fuga.
I Manti Bianchi senza mantello galopparono per formare la scorta prima che la giumenta avesse fatto dieci passi, e prima che Morgase raggiungesse il limite del prato Norowhin fu al suo fianco, mentre una dozzina di uomini la precedeva e il resto chiudeva la fila. I servitori, i musicisti e i falconieri rimasero indietro per organizzarsi e accordarsi come meglio potevano.
Gill e Paitr assunsero le loro posizioni alle spalle di Morgase, e dietro di loro si posizionarono le dame di compagnia. Il sorriso di Marande pareva un segno di trionfo, anche se alcune delle altre la guardarono con disapprovazione. Non troppo apertamente — anche se si era sottomessa a Niall, la donna in Amadicia era potente — ma le altre facevano del loro meglio per eseguire bene quell’incarico che non avevano voluto. La maggior parte avrebbe servito Morgase spontaneamente; era risiedere nella Fortezza della Luce che non gradivano.
Anche Morgase avrebbe sorriso, se fosse stata certa che Marande non l’avesse vista. Il solo motivo per cui settimane prima non aveva insistito perché la donna fosse mandata via era proprio la sua parlantina. Marande si divertiva a punzecchiarla raccontandole di quanto era caduta in basso Andor dopo la sua fuga, ma i nomi che usava erano un balsamo per le orecchie di Morgase. Tutti, uomini e donne che si erano opposti alla sua successione, adulatori di Gaebril. Da loro non si aspettava nulla di più, o di meno. Se Marande avesse nominato qualcun altro, il risultato sarebbe, stato diverso. Lord Pelivar, Abelle o Luan, lady Arathelle, Ellorien o Aemlyn. Altri. Non avevano mai fatto parte delle frecciate di Marande e vi sarebbero stati inclusi anche solo per un sussurro proveniente da Andor. Fino a quando Marande non pronunciava quei nomi c’era speranza che non si fossero inginocchiati al servizio di al’Thor. Avevano sostenuto la prima pretesa al trono di Morgase, e forse lo avrebbero fatto ancora, se la Luce voleva.
La foresta quasi spoglia cedette il posto a una strada di terra battuta e il gruppo si diresse a sud verso Amador. File di alberi si alternavano alla macchia e a muretti di pietra adesso crollati, case in pietra con i tetti di paglia e fienili, lontano dalla strada. C’erano molte persone sulla via che alzavano polvere e avevano indotto Morgase a portarsi il fazzoletto di seta davanti alla bocca, anche se tutti si spostavano ai margini della strada nel vedere un tale gruppo di uomini armati e bardati. Alcuni si nascondevano fra gli alberi o saltavano oltre i muretti per scappare nei campi. I Manti Bianchi li ignoravano, e non apparve nessun contadino ad agitare i pugni o gridare contro gli intrusi. Molte delle fattorie parevano abbandonate, senza galline o altri animali in vista.
Fra la gente in strada c’era un carro trainato da buoi, un uomo con qualche pecora, da un’altra parte una giovane che guidava un branco di oche: chiaramente, erano tutti del posto. Alcuni avevano un fagotto in spalla o grandi borse, ma la maggior parte aveva le mani vuote e camminava come se non avesse idea di dove stesse andando. La quantità di quel tipo di persone aumentava ogni volta che Morgase aveva il permesso di lasciare Amador, non importava in quale direzione.
Sistemandosi il fazzoletto davanti al naso, Morgase guardò in tralice Norowhin. Aveva circa la stessa età e statura di Tallanvor, ma la somiglianza finiva lì. Aveva il viso rosso sotto l’elmetto conico ed era spellato dal sole, ma non sarebbe mai stato comunque attraente. Era un tipo smilzo con il naso lungo che le rammentava un piccone. Ogni volta che lasciavano la Fortezza della Luce era a capo della sua ‘scorta’, e ogni volta che lei tentava di avviare una conversazione, ogni minimo cambiamento che lo distogliesse almeno in parte dal ruolo di carceriere era una vittoria. «Quelle persone sono in fuga dal Profeta, Norowhin?» Non potevano esserlo tutti; molti si dirigevano a nord come a sud.
«No» le rispose lui brusco, senza nemmeno guardarla. Osservò invece i margini della strada come se si aspettasse che da un istante all’altro apparisse qualcuno a liberarla.
Sfortunatamente quello era sempre stato il tipo di risposta che aveva ottenuto sino ad allora, ma insisté. «Chi sono allora? Sicuramente non giungono da Tarabon. Stai facendo davvero un buon lavoro con loro.» Aveva visto un gruppo di Tarabonesi, circa cinquanta tra uomini, donne e bambini, sporchi e quasi sfiniti, radunati come vacche da un gruppo di Manti Bianchi a cavallo. Solo l’amara consapevolezza di non poter intervenire le aveva consentito di trattenere la lingua. «L’Amadicia è una terra ricca. Questa siccità non può aver cacciato tante persone dalle fattorie in solo pochi mesi.»
Norowhin cambiò espressione. «No» rispose alla fine. «Scappano dal falso Drago.»
«Ma com’è possibile? Si trova a centinaia di chilometri dall’Amadicia.»
Sul volto dell’uomo bruciato dal sole il conflitto era palese, forse perché era alla ricerca delle parole o forse perché non voleva parlare. «Credono sia il vero Drago Rinato» rispose alla fine, sembrando disgustato. «Dicono che abbia rotto tutti i legami, proprio secondo le Profezie. Gli uomini abbandonano i loro signori, gli apprendisti lasciano i maestri. I mariti abbandonano le famiglie e le mogli i mariti. È una piaga che viaggia con il vento, un vento che soffia dal falso Drago.»
Gli occhi di Morgase ricaddero su una coppia di giovani che si abbracciavano mentre li guardavano passare. Il sudore striava i loro volti e la polvere ricopriva le semplici giubbe. Sembravano affamati e avevano le guance infossate e gli occhi troppo grandi. Che tutto questo stesse accadendo anche laggiù? Rand al’Thor aveva portato quello sfacelo anche laggiù? Se lo ha fatto, ne risponderà a me, si disse. Il problema era accertarsi che la cura non fosse peggiore del male.
Salvare Andor da tutto quello per farla finire nelle mani dei Manti Bianchi...
Morgase cercò di mantenere viva la conversazione, ma dopo averle rivolto più parole di quanto non avesse fatto mai, Norowhin era tornato ai suoi monosillabi. Non importava; se era riuscita a superare le sue resistenze una volta sarebbe accaduto ancora.
Cambiando posizione sulla sella cercò di osservare la coppia di giovani, ma erano nascosti dal gruppo di soldati. Anche quello era irrilevante. Le sarebbero rimasti impressi nella memoria, con le promesse che si era appena fatta.