Il sole era solo una sottile linea luminosa all’orizzonte quando il secondo giorno della festa delle Luci salutò le strade già piene di gente, che per la verità non era mai andata via durante la notte. C’era un’aria frenetica di celebrazione e pochi rivolgevano più di un’occhiata all’uomo con la barba e il volto torvo con un’ascia appesa al fianco, che cavalcava un alto baio lungo la strada dritta che si dirigeva verso il fiume. Alcuni guardarono i suoi compagni di viaggio; un Aiel ormai era una presenza normale, anche se avevano abbandonato le strade quando le celebrazioni erano iniziate, ma un Ogier non era qualcosa che si vedesse tutti i giorni, più alto degli uomini a cavallo, e in particolar modo uno con un’ascia sulla spalla dal manico lungo quasi quanto lui era alto. L’Ogier faceva sembrare allegro l’uomo con la barba.
Le imbarcazioni sull’Alguenya avevano tutte le lanterne accese, incluse quelle del Popolo del Mare che avevano dato il via a tutte le chiacchiere, per il fatto di essere a Cairhien, e per essere rimaste ancorate tanto a lungo avendo solo dei vaghi contatti con la terraferma. Dalle voci che aveva sentito Perrin, il Popolo del Mare disapprovava i festeggiamenti in città anche più degli Aiel, e lui pensava che Gaul sarebbe morto dallo stupore ogni volta che vedeva un uomo e una donna baciarsi. Che indossassero o meno la blusa non sembrava turbare Gaul quanto il fatto che si baciassero dove potevano essere visti da tutti.
Dal fiume spuntavano dei lunghi moli di pietra fra le alte pareti di protezione, e vi erano ancorate navi di tutte le dimensioni e tipi, inclusi i traghetti che potevano trasportare fino a cinquanta cavalli, ma Perrin non aveva visto più di un solo uomo su ogni imbarcazione. Fece fermare il baio quando giunse vicino a un battello senza pennone, lungo sei o sette spanne e con dei pali per pilotarlo. La rampa verso il molo era posizionata. Un uomo grasso che aveva i capelli grigi e non indossava la camicia era seduto su un barile capovolto, e teneva sulle ginocchia una donna dai capelli grigi e una mezza dozzina di fasce colorate davanti al petto sopra l’abito scuro.
«Vogliamo andare dall’altra parte» disse Perrin ad alta voce, cercando di guardare quanto bastava per capire se i due si fossero separati. Non lo avevano fatto. Allora lanciò una corona andorana sul battello e il suono della moneta d’oro che rimbalzava sul ponte fece voltare il tizio. «Vogliamo andare dall’altra parte» disse Perrin, porgendogli una seconda moneta d’oro. Dopo un istante, ne aggiunse un’altra.
Il battelliere si umettò le labbra. «Devo trovare dei barcaioli» mormorò fissando la mano di Perrin.
Sospirando, lui estrasse altre due monete dal sacchetto; ricordava quanto sarebbe rimasto esterrefatto in passato nel vedere tutto quel denaro nelle proprie tasche.
Il battelliere scattò, facendo cadere la nobile con un tonfo sonoro, e risalì lungo la rampa spiegando al lord che era una questione di secondi, solo secondi. La donna rivolse a Perrin uno sguardo di rimprovero e si allontanò lungo il molo con una dignità in qualche modo rovinata dal modo che aveva di massaggiarsi il fondoschiena. Prima che si fosse allontanata troppo aveva già trovato un gruppo di ballerini che piroettavano lungo la riva. Perrin la sentì ridere.
Ci volle più di qualche momento, ma la promessa dell’oro doveva essere forte, poiché in non molto tempo il battelliere aveva radunato rematori in numero sufficiente. Perrin rimase in piedi a carezzare il muso del baio mentre il battello ondeggiava. Non aveva ancora deciso come chiamarlo: l’animale apparteneva alle stalle del palazzo del Sole. Aveva dei bei ferri e le zampe erano bianche; sembrava anche molto resistente, benché non fosse al livello di Stepper. L’arco dei Fiumi Gemelli era infilato da un lato nel sottopancia, la faretra colma pendeva appesa al pomello della sella e bilanciava un fagotto lungo e sottile. La spada di Rand. L’aveva avvolta Faile e gliela aveva passata senza dire una parola. Aveva detto qualcosa dopo che Perrin si era voltato, rendendosi conto che lei non l’avrebbe baciato.
«Se fallisci,» sussurrò «prenderò la tua spada.»
Non era certo se volesse essere sentita o meno. Il suo odore era così confuso che non riusciva a dedurne nulla.
Sapeva di dover pensare a ciò che stava facendo, ma Faile gli tornava sempre in mente. A un certo punto era stato sicuro che la donna stesse per annunciare che sarebbe andata con lui e gli si strinse il cuore. Se lo avesse fatto non pensava che sarebbe riuscito a farla desistere — non dopo il dolore che le aveva causato — ma c’erano sei Aes Sedai che li aspettavano, sangue e morte. Se fosse morta Faile, Perrin sapeva che sarebbe impazzito. A quel punto Berelain aveva detto che lei avrebbe guidato le Guardie Alate di Mayene in quella caccia. Per fortuna quel momento era passato rapidamente, anche se in modo insolito.
«Se tu lasci la città che Rand al’Thor ti ha affidato,» aveva detto Rhuarc con calma «quante voci ne scaturiranno? Se invii tutte le tue lance, quante altre voci? Che cosa nascerà da tutte quelle voci?» Sembrava un consiglio, ma qualcosa nella voce del capoclan lo rendeva più incisivo.
Berelain lo guardò: emanava odore di ostinazione e stava a testa alta. Lentamente quell’odore svanì e la donna mormorò: «A volte penso che ci siano troppi uomini che possono...» Solo Perrin aveva sentito quella frase. Sorridendo, Berelain parlò ad alta voce, con un tono molto regale. «È un consiglio saggio, Rhuarc. Penso che lo seguirò.»
La cosa più stupefacente era stato il modo in cui si erano combinati gli odori, il suo e quello di Rhuarc. A Perrin erano sembrati quelli di un lupo e di una cucciola, un padre indulgente, affezionato alla figlia e ricambiato, anche se a volte doveva mordicchiarle ancora il naso per farla comportare come si doveva. Ma il fatto importante fu che Perrin vide l’intenzione di seguirlo svanire dagli occhi di Faile. Cosa avrebbe dovuto fare? Se fosse rimasto in vita per vederla ancora, cosa doveva fare?
All’inizio i rematori con le giubbe rozze o a torso nudo fecero delle battutacce, non troppo cattive, su come nessun ammontare d’oro potesse valere ciò che si stavano perdendo. Ridevano mentre andavano avanti e indietro sul ponte usando i remi, e tutti raccontavano che subito prima stavano danzando o baciando una nobile. Un tizio dinoccolato con il mento prominente aveva addirittura sostenuto di essersi trovato con una nobile tarenese sulle ginocchia prima che saltasse fuori Manal gridando, ma nessuno gli credeva. Perrin di sicuro no. Gli uomini di Tairen avevano lanciato un’occhiata alla festa e si erano tuffati nelle celebrazioni; le donne invece si erano chiuse nelle loro stanze con le guardie davanti alle porte.
Battute e risate non durarono a lungo. Gaul stava quasi al centro del battello, con gli occhi leggermente sgranati e fissi sulla riva lontana, in punta di piedi, come se fosse pronto a balzare. Era tutta quell’acqua, ma i rematori non potevano saperlo. Loial era appoggiato all’ascia dalla lunga impugnatura che aveva trovato nel palazzo del Sole, con la lama decorata simile a quella di un’enorme scure per il legno, immobile come una statua e con il volto enorme che sembrava davvero scolpito nel granito. I rematori chiusero le bocche e lavorarono sodo, cercando di non guardare i passeggeri. Quando il battello alla fine giunse a un molo di pietra sulla riva opposta dell’Alguenya, Perrin diede al proprietario — sperava che l’uomo fosse il proprietario — il resto dell’oro e una manciata d’argento da passare in giro, come ricompensa per la paura causata da Loial e Gaul. L’uomo grasso si fece indietro prendendo le monete e si inchinò profondamente, malgrado la corporatura, fino a toccarsi quasi le ginocchia con la testa. Forse Gaul e Loial non erano i soli a spaventare la gente.
Perrin vide dei grossi edifici senza finestre circondati da impalcature di legno: la pietra era annerita e mancante in molti punti. I granai erano stati bruciati durante le sommosse tempo addietro e le riparazioni erano partite solo ora, ma non c’era nessuno in vista nelle strade che costeggiavano granai e stalle, magazzini e aree di sosta per i carri. Tutti gli uomini erano in città. Non vi fu nessuno in vista fino a quando due uomini emersero a cavallo da una strada.
«Siamo pronti, lord Aybara» disse impaziente Havien Nurelle. Il giovane dalle guance rosate, molto più alto del suo compagno, sembrava sgargiante con il pettorale e l’elmetto laccati di rosso e una sola lunga piuma. Aveva un odore smanioso e quasi da adolescente.
«Incominciavo a pensare che non sareste venuti» mormorò Dobraine. Senza elmetto, portava dei guanti di maglia d’acciaio e un pettorale ammaccato che mostrava tracce di una vecchia doratura. Lanciò un’occhiata a Perrin e aggiunse: «Per la Luce, non intendevo mancarti di rispetto, lord Aybara.»
«Dobbiamo viaggiare molto» rispose lui, facendo girare il cavallo.
L’avrebbe chiamato Resistenza? Cosa doveva fare con Faile? Il bisogno di trovare Rand gli bruciava la schiena. «Hanno quattro giorni di vantaggio su di noi.» Spronò il cavallo con delicatezza e Resistenza si mosse al passo. Il lungo inseguimento non sarebbe stato piacevole per i cavalli. Né Loial né Gaul avevano problemi a mantenere l’andatura.
La più ampia delle strade rettilinee divenne di colpo la Via di Tar Valon — la Via di Tar Valon di Cairhien; ne esistevano altre — un’ampia banda di terra battuta che si dirigeva a nordest fra foreste e colline, più basse di quelle sulle quali sorgeva la città. Un chilometro nella foresta e vennero raggiunti da centinaia di Guardie Alate di Mayene e cinquecento uomini armati della casata Taborwin, tutti in groppa agli animali migliori che avessero trovato.
Gli uomini di Mayene indossavano tutti il pettorale laccato rosso e elmetti simili a vasi che arrivavano fino alla nuca, e alle lance erano attaccati dei guidoni rossi. Molti sembravano impazienti quanto Nurelle. I Cairhienesi, più bassi, indossavano dei pettorali semplici ed elmetti che assomigliavano a delle campane, tagliati in modo da esporre i volti duri: molti pettorali ed elmi erano sbeccati. Le lance erano disadorne anche se di tanto in tanto si vedeva il ‘con’ di Dobraine, un piccolo quadrato appeso a un’asta corta, blu con due diamanti bianchi, che segnalava un ufficiale o un nobile minore. Nessuno di loro sembrava impaziente, erano solo torvi. Avevano visto altre battaglie. A Cairhien lo definivano ‘vedere il lupo’.
A Perrin venne quasi da ridere. Non era ancora il momento dei lupi.
Circa a mezzogiorno, un gruppetto di Aiel spuntò fra gli alberi e discese i pendii per raggiungere la strada. Due Fanciulle spalleggiavano Rhuarc: Nandera e, Perrin si accorse dopo un istante, Sulin. Adesso sembrava molto diversa, con il cadin’sor e i capelli bianchi tagliati corti, tranne il codino dietro la nuca. Sembrava... naturale... come non era mai parsa in livrea. Amys e Sorilea erano con loro, lo scialle sottobraccio; piene di bracciali e collane che ticchettavano, oro e avorio, mentre tenevano sollevate le gonne per discendere il pendio, ma erano veloci quanto gli altri.
Perrin smontò da cavallo per camminare con loro, davanti a tutti gli altri. «Quanti?» fu la sola cosa che disse.
Rhuarc guardò indietro, nel punto in cui Gaul e Loial procedevano con Dobraine e Nurelle davanti alla colonna. Troppo lontani forse anche perché Perrin potesse sentire qualcosa, con tutto l’acciottolio di zoccoli, briglie e selle, ma Rhuarc tenne comunque la voce bassa. «Cinquemila uomini di diverse società, o poco più. Non potevo portarne troppi. Timolan era sospettoso, come se non volessi andare con lui contro gli Shaido. Se diventasse noto che le Aes Sedai hanno fatto prigioniero il Car’a’carn, temo che la tetraggine prenderebbe tutti.» Nandera e Sulin tossirono forte e nello stesso momento; le due donne si guardarono male e Sulin distolse lo sguardo arrossendo. Rhuarc lanciò loro un’occhiata — odorava di esasperazione — e mormorò: «Ho anche mille Fanciulle. Se non avessi serrato i pugni le avrei avute tutte, con una torcia per dire al mondo intero che Rand al’Thor è in pericolo.» La voce di Rhuarc divenne dura di colpo. «Qualsiasi Fanciulla che scoprirò a seguirci, imparerà che le mie minacce non sono mai vane.»
Sulin e Nandera arrossirono, una cosa stupefacente su volti tanto abbronzati.
«Io...» dissero entrambe nello stesso momento. Si scambiarono di nuovo delle occhiatacce e di nuovo Sulin distolse lo sguardo, con il volto ancora più rosso. Perrin non ricordava di aver mai visto arrossire tanto Bain e Chiad, le sole due Fanciulle che conoscesse. «Ho promesso,» disse Nandera rigida «e ogni Fanciulla ha promesso. Sarà come ha ordinato il capo.»
Perrin temeva di chiedere cosa fosse la tetraggine, o per lo stesso motivo non aveva chiesto come avesse fatto Rhuarc a oltrepassare il fiume senza battelli, quando l’acqua era la sola cosa che fermasse gli Aiel. Gli sarebbe piaciuto sapere, ma le risposte adesso non erano importanti. Seimila Aiel, cinquecento uomini di Dobraine e duecento Guardie Alate. Contro sei Aes Sedai e i loro Custodi e circa cinquecento soldati, sarebbe dovuto bastare. Solo che le Aes Sedai avevano Rand. Se gli avessero puntato un pugnale alla gola, chi avrebbe osato alzare un dito?
«Ci sono anche novantaquattro Sapienti» aggiunse Amys. «Sono fra le più forti con l’Unico Potere.» L’ultima osservazione la fece con riluttanza — Perrin aveva idea che le donne Aiel non amassero ammettere di poter incanalare — ma la voce della donna prese forza. «Non ne avremmo portate così tante, ma volevano venire tutte.» Sorilea si schiarì la gola e stavolta Amys arrossì. Perrin avrebbe dovuto chiedere informazioni a Gaul. Gli Aiel erano totalmente diversi dalle altre persone che aveva incontrato in vita sua; forse iniziavano ad arrossire quando invecchiavano. «Sorilea è il nostro capo» concluse Amys, e la donna più anziana sbuffò in modo decisamente soddisfatto. Anche l’odore era quello della soddisfazione.
Perrin si sforzò di non scuotere il capo. Quanto sapeva dell’Unico Potere avrebbe potuto essere infilato in un ditale lasciando spazio anche per il dito, ma aveva visto cosa potevano fare Verin e Alanna e anche la fiamma che aveva creato Sorilea. Se lei era una delle più forti nel Potere fra le Sapienti, forse sei Aes Sedai potevano avvolgere novantaquattro Sapienti in una matassa, ma a quel punto lui non avrebbe mandato via nemmeno un topolino.
«Credo siano un centinaio di chilometri avanti a noi» disse Perrin. «Forse anche di più, se stanno facendo pressione ai carrettieri. Dovremo procedere a tappe forzate.»
Mentre montava in sella, Rhuarc e gli altri Aiel stavano già risalendo la collina. Perrin alzò una mano e Dobraine fece segno ai cavalieri di avanzare. Perrin non si era chiesto perché lo seguissero un uomo abbastanza grande da essere suo padre, donne che potevano essere sua madre, persone abituate a comandare.
Ciò che invece si chiese, e che lo fece preoccupare, era quanto avrebbero potuto procedere veloci. Gli Aiel con il cadin’sor potevano tenere il passo con i cavalli, lo sapeva, eppure all’inizio era impensierito dalle Sapienti, con quelle gonne ingombranti e in taluni casi vecchie come Sorilea. Ma gonne o no, canute o meno, le Sapienti erano veloci come gli altri e andavano a passo con i cavalli mentre conversavano serenamente.
La strada davanti a loro era sgombra; nessuno si metteva in viaggio durante la festa delle Luci e pochi nei giorni precedenti, a meno che non avessero commissioni urgenti come la sua. Il sole divenne alto e le colline si abbassarono, e quando giunse il momento di accamparsi, al tramonto, dedusse che avevano percorso almeno cinquanta chilometri. Una buona giornata di viaggio; eccellente, per un gruppo tanto grande. Il doppio di quanto potevano permettersi le Aes Sedai, a meno che non cercassero di uccidere i tiri di cavalli attaccati ai carri. Adesso non si preoccupava più di riuscire a prenderle prima che arrivassero a Tar Valon, solo di cosa avrebbe fatto una volta raggiuntele.
Disteso sulla coperta con la testa appoggiata alla sella, Perrin sorrise alla falce della luna. Con la presenza delle nuvole la notte non sarebbe stata tanto luminosa. Era una buona serata per cacciare. Una buona serata per i lupi.
Formò un’immagine mentale. Un giovane toro selvatico dal pelo riccio; fiero, con le corna che risplendevano come metallo alla luce del mattino. Fece scivolare il pollice sull’ascia che giaceva al suo fianco, con la malvagia lama ricurva e lo sperone acuminato. Le corna d’acciaio di Giovane Toro, il nome che gli avevano dato i lupi.
Lasciò che la mente vagasse, inviando le immagini nella notte. C’erano di sicuro dei lupi e certamente conoscevano Giovane Toro. La notizia di un umano in grado di parlare con i lupi avrebbe attraversato la nazione come il vento di maestrale. Perrin ne aveva incontrati solo due come lui. Uno era un amico, l’altro un poveraccio che non era riuscito a rimanere attaccato alla realtà. Aveva sentito le storie dai profughi che si erano rifugiati nei Fiumi Gemelli. Vecchi racconti di uomini che si trasformavano in lupi, favole alle quali credevano in pochi, raccontate solo per distrarre i bambini. Tre di loro sostenevano di aver conosciuto quel tipo di uomini, che si trasformavano in lupi e correvano selvaggi e, anche se a Perrin i dettagli erano sembrati sbagliati, il disagio con cui due di loro evitavano di guardarlo negli occhi gialli confermava in qualche modo il racconto. Quei due, una donna di Tarabon e un uomo della piana di Almoth, non uscivano di sera. Continuavano anche a regalargli, non sapeva bene perché, aglio e composti di aglio che Perrin mangiava con gran piacere. Adesso non cercava più di trovare altri come lui.
Sentì la presenza dei lupi e incominciò a riceverne i nomi. Due Lune e Fuoco Selvatico, Vecchio Cervo e un’altra dozzina che gli riempirono la testa. Non erano proprio nomi, ma sensazioni. Giovane Toro era un’immagine molto semplice per definire un lupo. Due Lune era un lago avvolto dalla notte, piatto come il ghiaccio, un istante prima che si levasse il vento, con l’odore dell’autunno nell’aria e la luna nel cielo terso, e una sua copia riflessa perfettamente nell’acqua, tanto che era difficile dire quale fosse quella vera. Questa era una descrizione sintetica.
Per un certo periodo si scambiarono solo nomi e odori. Poi Perrin pensò: cerco delle persone che mi precedono. Aes Sedai e uomini, con cavalli e carri. Non era proprio ciò che aveva pensato, come Due Lune non era solo due lune. Gli uomini erano due gambe, i cavalli quattro zampe con lo zoccolo duro. Le Aes Sedai erano due gambe, che toccano il vento che fa muovere il sole ed evoca il fuoco. Ai lupi non piaceva il fuoco ed erano ancor più sospettosi nei confronti delle Aes Sedai che degli altri umani; trovavano curioso che Giovane Toro non sapesse riconoscere le Aes Sedai. Loro lo davano per scontato, come sarebbe stato per Perrin vedere un cavallo bianco fra una mandria di cavalli neri, nulla da dire o da spiegare.
Il cielo della notte sembrò turbinare nei suoi pensieri, coprendo improvvisamente un accampamento con carri, tende e fuochi. Non sembravano realistici — i lupi avevano poco interesse per tutto ciò che era umano, quindi i carri e le tende apparivano vaghi, i fuochi dell’accampamento molto grandi e pericolosi, i cavalli saporiti — il tutto passato di lupo in lupo prima di raggiungerlo. L’accampamento era più grande di quanto si aspettasse Perrin, ma Fuoco Selvatico non aveva dubbi. Il suo branco stava costeggiando proprio in quel momento l’area dove si trovavano le due gambe che toccano il vento che fa muovere il sole ed evoca il fuoco; Perrin cercò di chiedere quante fossero, ma i lupi non avevano il concetto di numero; dicevano quante cose c’erano mostrando quante ne avevano viste e, una volta che Fuoco Selvatico e il suo branco avevano percepito le Aes Sedai, non avevano voluto avvicinarsi.
Quanto lontano? Ottenne una risposta migliore, sempre di lupo in lupo, anche se aveva dovuto dedurla. Fuoco Selvaggio aveva detto che lei avrebbe potuto camminare fino alla collina dove un lupo maschio e inacidito di nome Mezza Coda stava mangiando un cervo con il suo branco, mentre la luna si muoveva a una certa velocità nel cielo e con un certo angolo. Mezza Coda poteva raggiungere Naso di Coniglio — un maschio giovane e fiero — mentre la luna si muoveva a una certa velocità e con un diverso angolo. Il passaggio proseguì fino a quando fu raggiunto Due Lune, che mantenne un dignitoso silenzio, consono a un vecchio maschio con la pelliccia canuta; lui e il suo branco si trovavano a non più di un chilometro da Perrin e sarebbe stato un insulto pensare che lui non lo sapesse con esattezza.
Cercando di elaborare la distanza meglio che poteva, Perrin dedusse che dovevano essere circa novanta chilometri. Il giorno seguente sarebbe stato in grado di dire a quale velocità stavano avvicinandosi.
Perché? fu la domanda di Mezza Coda, passata di lupo in lupo e marchiata con il suo odore. Perrin esitò prima di rispondere. Aveva temuto quella domanda. Nei confronti dei lupi provava gli stessi sentimenti che per la gente dei Fiumi Gemelli. Hanno imprigionato Ammazza Ombra, pensò alla fine. Era il modo in cui i lupi chiamavano Rand, ma non sapeva se lo considerassero importante.
Lo stupore che gli riempì la mente fu sufficiente: gli ululati echeggiarono nella notte, vicino e lontano, guaiti pieni di rabbia e paura. I cavalli nell’accampamento nitrirono spaventati, scalciando mentre si avvicinavano ai picchetti. Gli uomini corsero a tranquillizzarli e altri a scrutare nella notte come se si aspettassero che un enorme branco di lupi discendesse dalle montagne.
Stiamo arrivando, rispose Mezza Coda alla fine. Solo quello, e giunsero le risposte degli altri, branchi con i quali Perrin aveva parlato e branchi che avevano ascoltato in silenzio il due gambe che poteva parlare con i lupi.
Stiamo arrivando. Niente altro.
Girandosi su un fianco, Perrin si mise a dormire e sognò di essere un lupo che correva su colline infinite. La mattina seguente non videro alcun segno di lupi — nemmeno gli Aiel ne avevano avvistato uno — ma Perrin li sentiva, diverse centinaia e altri ancora che stavano arrivando.
La terra si trasformò in pianura durante i quattro giorni di viaggio successivi: la salita più ardita non meritava il nome di collina, a confronto con quanto li aveva circondati vicino all’Alguenya. La foresta si era diradata dando spazio alle praterie, marroni e aride, e i boschetti erano sempre più lontani fra loro. I fiumi e i ruscelli che attraversavano non bagnavano nemmeno gli zoccoli dei cavalli e non avrebbero fatto molto altro, prima di rimpicciolirsi fra le rive inaridite di fango indurito dal sole che ormai ricordava la pietra. Ogni notte i lupi dicevano a Perrin ciò che potevano delle Aes Sedai davanti a loro, che non era molto. Il branco di Fuoco Selvaggio era vicino, ma ancora lontano. Una cosa divenne chiara. Perrin copriva ogni giorno la stessa distanza e ogni giorno guadagnava una decina di chilometri sulle Aes Sedai. Ma una volta che le avesse raggiunte, cosa avrebbe fatto?
Prima di contattare i lupi, si sedeva tutte le sere a parlare tranquillo con Loial, fumando la pipa insieme. Discutevano di ciò che avrebbero fatto una volta raggiunte le Aes Sedai. Dobraine era convinto che dovessero attaccare e morire facendo del loro meglio. Rhuarc aveva solo detto che dovevano aspettare per vedere su cosa avrebbe brillato il sole il giorno dopo e che tutti gli uomini dovevano destarsi dal sogno, cosa non molto diversa dalla proposta di Dobraine. Loial era un giovane Ogier, ma aveva comunque novant’anni. Perrin sospettava che avesse letto più libri di quanti lui stesso ne avesse mai visti e spesso rivelava una conoscenza sorprendente delle Aes Sedai.
«Ci sono diversi libri sulle Aes Sedai e gli uomini che possono incanalare.» Loial aggrottò le sopracciglia con la pipa fra i denti; il fornello intagliato con delle foglie era grande come i due pugni di Perrin. «Elora, figlia di Amar figlia di Coura, ha scritto Uomini di Fuoco e donne d’Aria durante i primi anni del regno di Artur Hawkwing e Ledar, figlio di Shandin figlio di Koimal ha scritto Uno studio su uomini, donne e l’Unico Potere fra gli umani solo trecento anni fa. Sono i due testi migliori, a mio parere. In particolare quello di Elora, scriveva nello stile di... no, sarò breve.» Perrin ne dubitava; la sintesi non era una delle virtù di Loial quando parlava di libri. L’Ogier si schiarì la gola. «Secondo le leggi di Tar Valon, l’uomo dev’essere portato alla Torre per un processo prima di essere domato.» Per un istante Loial agitò le orecchie con violenza e le lunghe sopracciglia si incurvarono cupe, ma diede delle pacche sulla schiena di Perrin per confortarlo. «Non posso credere che sia quanto vogliono fare, Perrin. Ho sentito che parlavano di onorarlo e lui è il Drago Rinato. Lo sanno.»
«Onorarlo?» chiese Perrin quieto. «Forse lo fanno dormire sulla seta, ma un prigioniero è un prigioniero.»
«Sono sicuro che lo stanno trattando bene, Perrin. Ne sono sicuro.» La voce dell’Ogier non sembrava affatto sicura e il sospiro che fece fu come un vento lieve. «Ed è al sicuro fino a quando non raggiungono Tar Valon. Elora e Ledar — e anche altri scrittori — concordano nel dire che servono tredici Aes Sedai per domare un uomo. Quello che non capisco è come abbiano fatto a catturarlo.» Scosse il capo enorme, immerso nella perplessità. «Perrin, sia Elora che Ledar dicono che quando le Aes Sedai trovano un uomo di grande potere, riuniscono sempre tredici elementi per catturarlo. Raccontano anche storie di quattro o cinque Aes Sedai ed entrambi citano Caraighan — aveva portato un uomo per quasi duemila chilometri fino alla Torre tutto da sola dopo che lui aveva ucciso entrambi i suoi Custodi — ma... Perrin, hanno scritto anche di Yurian Stonebow e Guaire Amalasan. Di Raolin Darksbane e Davian, ma sono gli altri che mi preoccupano.» Quelli menzionati erano quattro fra gli uomini più potenti tra quelli che si erano definiti Drago Rinato, molto tempo prima, ancor prima di Artur Hawkwing. «Sei Aes Sedai cercarono di catturare Stonebow e lui ne uccise tre e catturò le altre tutto da solo. Sei hanno provato a prendere Amalasan; ne uccise una e ne quietò due. Sicuramente Rand è forte come Stonebow o Amalasan. Sono davvero solo sei le Aes Sedai davanti a noi? La risposta chiarirebbe molte cose.» Forse era vero che avrebbe chiarito molto, ma non era di conforto. Tredici Aes Sedai potevano parare ogni tipo di attacco che Perrin fosse riuscito a organizzare, tutto da sole, senza l’aiuto dei soldati o dei Custodi. Tredici Aes Sedai avrebbero potuto minacciare di domare Rand se Perrin avesse attaccato. Sicuramente non l’avrebbero fatto — sapevano che Rand era il Drago Rinato; sapevano che doveva essere presente all’Ultima Battaglia — ma Perrin poteva correre quel rischio? Chi sapeva quali fossero i motivi che spingevano le Aes Sedai? Lui non era mai riuscito a fidarsi di loro, nemmeno di quelle che avevano provato a mostrarsi sue amiche. Mantenevano sempre dei segreti, e come faceva un uomo a essere sicuro quando le sentiva muoversi alle sue spalle, per quanto gli sorridessero? Chi poteva dire cosa avrebbero fatto le Aes Sedai?
Per la verità Loial non sapeva molte cose che sarebbero state d’aiuto quando fosse giunto il loro momento, e poi era molto più interessato a parlare di Erith. Perrin sapeva che aveva lasciato due lettere a Faile, una indirizzata a sua madre e una per Erith, perché fossero consegnate quando Faile avesse potuto, se fosse accaduto qualcosa di sgradevole, cosa che Loial si preoccupò di garantire non sarebbe successa; si preoccupava sempre terribilmente di non far preoccupare gli altri. Anche Perrin aveva lasciato la sua lettera per Faile; Amys l’aveva affidata alle Sapienti che erano rimaste nell’accampamento.
«Lei è così bella» mormorò Loial scrutando nella notte come se la vedesse. «Il volto è così delicato eppure forte allo stesso tempo. Quando la guardo negli occhi mi sembra di non vedere nient’altro. E le sue orecchie!» Di colpo le orecchie di Loial cominciarono a vibrare e l’Ogier si mise a tossire. «Ti prego,» rantolò «dimentica che abbia parlato... sai che non sono grossolano, Perrin.»
«Ho già dimenticato» rispose lui sottovoce. Le orecchie?
Loial voleva sapere cosa si provasse a essere sposati. Non che avesse intenzione di sposarla, aggiunse subito; era troppo giovane e doveva finire di scrivere il suo libro e poi non era pronto a sistemarsi per una vita che non gli avrebbe mai permesso di lasciare lo stedding se non per visitarne un altro, cosa sulla quale una moglie avrebbe sicuramente insistito. Era solo curioso. Nient’altro.
Fu il motivo per cui Perrin parlò della vita con Faile, di come avesse trapiantato le sue radici prima che lui se ne rendesse conto. Una volta la sua casa erano i Fiumi Gemelli, adesso era ovunque si trovasse Faile. Il pensiero che lo stesse aspettando gli fece allungare il passo. La sua presenza illuminava le stanze e davanti al suo sorriso svanivano tutti i problemi. Certo non poteva confessare come pensare a lei gli facesse bollire il sangue, o come gli battesse il cuore quando la guardava — sarebbe stato indecente — e di sicuro non aveva intenzione di parlare dei problemi che gli aveva scatenato. Cosa doveva fare? Era davvero pronto a inginocchiarsi davanti a lei, ma un seme profondo di ostinazione che albergava in Perrin richiedeva prima una parola da Faile. Se solo gli avesse detto di volere che tutto tornasse come prima.
«Cosa mi dici della sua gelosia?» chiese Loial, e stavolta fu Perrin a tossire. «Le mogli sono tutte così?»
«Gelosia?» chiese Perrin innocente. «Faile non è gelosa. Da dove hai preso quell’idea? Lei è perfetta.»
«Certo che lo è» rispose Loial sottovoce, scrutando nel fornello della pipa. «Hai altro tabacco dei Fiumi Gemelli? Tutto ciò che mi è rimasto una volta finito questo è del forte tabacco cairhienese.»
Se fosse stato sempre così, il viaggio sarebbe stato pacifico, per quanto potesse esserlo un inseguimento. Il paesaggio si stendeva a perdita d’occhio senza anima viva in vista. Il sole era oro ardente e trasformava l’aria in un forno, i falchi planavano nel cielo terso. I lupi, non volendo che gli umani si avvicinassero a loro, facevano scappare i cervi verso la strada in modo tale che fossero sempre più del necessario, e non era insolito vedere un cervo fiero con le sue femmine e le corna ramificate che se ne stavano in piena vista mentre il gruppo passava, ma c’era un antico proverbio: «Un uomo completamente in pace è come un uomo senza ombelico.»
I Cairhienesi non erano gentili con gli Aiel, li guardavano male molto spesso o si facevano apertamente beffe di loro. Più di una volta Dobraine si era lamentato di essere superato in numero di dodici a uno. Rispettava le loro capacità in combattimento, ma nel modo in cui avrebbe rispettato la pericolosità di un branco di leopardi rabbiosi. Gli Aiel invece non guardavano male e non si beffavano di nessuno; rendevano ben chiaro che i Cairhienesi non meritavano alcuna attenzione. Perrin non sarebbe rimasto sorpreso se uno di loro avesse cercato di travolgere un Cairhienese rifiutandosi di ammettere che fosse presente. Rhuarc aveva detto che non ci sarebbero stati problemi, fino a quando gli assassini dell’albero non ne avessero causati. Dobraine aveva detto che non ci sarebbero stati problemi, fino a quando i selvaggi si fossero tenuti lontano da lui. Perrin sperava di poter essere certo che non avrebbero iniziato ad ammazzarsi a vicenda ancora prima di avvistare le Aes Sedai che tenevano prigioniero Rand.
Aveva qualche speranza che l’esercito di Mayene potesse essere un ponte fra i due gruppi, anche se a volte se ne pentiva. Gli uomini con i pettorali rossi andavano d’accordo con quelli bassi e dall’armatura semplice — non c’era mai stata guerra fra Mayene e Cairhien — e gli uomini di Mayene andavano d’accordo anche con gli Aiel. Fatta eccezione per la guerra Aiel, Mayene non aveva mai combattuto contro di loro. Dobraine era abbastanza amichevole con Nurelle, spesso cenavano insieme, e Nurelle aveva preso l’abitudine di fumare con alcuni degli Aiel. In particolare Gaul. Era quello il motivo di rimpianto.
«Ho parlato con Gaul» disse Nurelle con diffidenza. Era il quarto giorno di viaggio e aveva abbandonato il gruppo degli uomini di Mayene per affiancarsi a Perrin in fondo alla colonna. Perrin lo ascoltava solo in parte. Fuoco Selvatico aveva permesso a uno dei giovani maschi del suo branco di avvicinarsi alle Aes Sedai quando avevano iniziato a muoversi quella mattina e non aveva visto Rand. Tutti i lupi sapevano che aspetto avesse Ammazza Ombra. Eppure, malgrado la descrizione frammentata di Nuvole del Mattino, tutti i carri tranne uno sembravano essere protetti dai teloni. Rand probabilmente era dentro uno di quelli, in una condizione decisamente migliore della loro, sotto il sole cocente, con il sudore che colava nella camicia. «Mi stava raccontando della battaglia a Emond’s Field» proseguì Nurelle «e della tua campagna dei Fiumi Gemelli. Lord Aybara, sarei molto onorato di sentire il racconto delle tue battaglie dalle tue labbra.»
Perrin si eresse improvvisamente sulla sella fissando il ragazzo. No, non era un ragazzo, malgrado le guance rosa e il viso aperto. Nurelle doveva avere la sua stessa età, ma l’odore dell’uomo, tutto fervente e tremante... Perrin avrebbe voluto. Aveva percepito lo stesso odore provenire dai giovani nei Fiumi Gemelli, ma l’adorazione proveniente da un uomo della sua stessa età era troppo da sopportare.
Se questo fosse stato il peggio, non vi avrebbe badato. Si aspettava che gli Aiel e i Cairhienesi non si piacessero. Doveva aspettarsi che un giovane ragazzo che non aveva mai visto una battaglia ne ammirasse uno che aveva combattuto contro i Trolloc. Erano le cose che non aveva previsto a preoccuparlo. L’imprevisto poteva morderti su una caviglia quando meno te l’aspettavi e quando davvero non potevi permetterti di essere distratto.
A parte Gaul e Rhuarc, tutti gli Aiel avevano una fascia rossa attorno al capo, con il disco nero e bianco al centro della fronte. Perrin li aveva visti a Cairhien e Caemlyn, ma quando aveva chiesto a Gaul e poi a Rhuarc se era ciò che li rendeva siswai’aman, entrambi avevano fatto finta di non sapere di cosa stesse parlando, come se non vedessero quelle bande rosse sulle tempie di cinquemila uomini. Perrin si rivolse anche all’uomo che sembrava essere al comando dopo Rhuarc, Urien, un Reyn Due Spire che aveva già incontrato molto tempo prima, ma nemmeno Urien sembrava capire. Be’, Rhuarc aveva detto di poter portare solo siswai’aman, quindi Perrin li aveva identificati come tali, anche se non sapeva cosa significasse.
Quanto invece sapeva era che avrebbero potuto esserci problemi fra i siswai’aman e le Fanciulle. Quando alcuni di questi uomini guardavano le Fanciulle, Perrin coglieva una traccia di gelosia. Quando qualcuna delle Fanciulle guardava i siswai’aman, il loro odore gli faceva venire in mente un lupo che sbranasse una carcassa di un cervo e che non intendeva lasciar avvicinare nessun componente del branco, anche se fosse morto per mangiarlo tutto. Non riusciva a capire perché, ma l’odore c’era, ed era forte.
Quello era uno dei potenziali imprevisti futuri. Altre cose non lo erano. Per i primi due giorni dopo aver lasciato la città, Sulin e Nandera si erano trovate in prima linea ogni volta che Rhuarc diceva qualcosa che riguardasse Fanciulle; ogni volta Sulin faceva retromarcia arrossendo, ma era sempre presente la volta dopo, sempre. La seconda notte, dopo aver allestito l’accampamento, le due avevano tentato di uccidersi a mani nude.
Almeno quella era l’impressione che aveva avuto Perrin: si erano prese a calci e pugni e si erano scagliate al suolo piegando le braccia l’una dell’altra fino quasi a spezzarle — fino a quando chiunque fosse in svantaggio riusciva a liberarsi divincolandosi e colpendo a sua volta. Rhuarc l’aveva fermato quando aveva cercato di interferire, sembrando sorpreso del fatto stesso che Perrin volesse provarci. Molti Cairhienesi e uomini di Mayene si erano riuniti per assistere all’incontro e scommettere, ma nessun Aiel le aveva guardate, nemmeno le Sapienti.
Alla fine Sulin era riuscita a mettere Nandera faccia a terra con un braccio ripiegato dietro la schiena e, dopo averla afferrata per i capelli, aveva sbattuto al suolo la testa dell’altra donna fino a quando non aveva perso i sensi. Sulin era rimasta a lungo a fissare la sua avversaria, quindi aveva sollevato Nandera, ancora svenuta, se l’era messa sulle spalle e si era allontanata con lei.
Perrin suppose che da quel momento in poi sarebbe stata Sulin la portavoce, ma non fu così. Era sempre presente, ma era Nandera, coperta di lividi, che rispondeva alle domande di Rhuarc e prendeva i suoi ordini mentre Sulin, anche lei coperta di lividi, rimaneva in silenzio e, quando Nandera chiedeva a Sulin di fare qualcosa, lei eseguiva senza esitazione. Perrin poteva solo grattarsi il capo e chiedersi se avesse davvero visto il combattimento finire in quel modo.
Le Sapienti camminavano sempre lungo la strada a gruppi di dimensioni variabili che sembravano scambiarsi di continuo i componenti. Alla fine del primo giorno Perrin si accorse che tutti i cambiamenti si concentravano attorno a due donne, Sorilea e Amys. Alla fine del secondo era sicuro che le due sostenessero due punti di vista molto diversi. C’erano troppe occhiatacce e volti torvi. Amys cominciò a cambiare meno spesso idea e arrossiva di meno. A volte Rhuarc odorava di leggera ansia quando guardava sua moglie, ma era il solo segno che percepisse qualcosa. Il terzo giorno Perrin si sarebbe aspettato di vedere la lotta di Sulin e Nandera ripetersi fra le Sapienti.
Le due donne al contrario presero delle borracce d’acqua, si diressero in disparte e si sedettero a terra rimuovendo le fasce dai capelli. Le guardò nella notte illuminata dalla luna, tenendosi abbastanza lontano per non sentire nemmeno per sbaglio cosa dicessero, fino a quando non se ne andò a letto, ma tutto ciò che fecero fu bere e parlare. La mattina seguente, il resto delle Sapienti ancora si muoveva di gruppo in gruppo, ma prima che la lunga colonna avesse coperto tre chilometri, Perrin si accorse che adesso si concentravano tutte su Sorilea. Di tanto in tanto lei e Amys si appartavano e parlavano, ma le occhiatacce erano svanite. Se fossero state delle lupe, Perrin avrebbe detto che la sfida al capo branco era stata fallimentare ma, secondo" gli odori, Sorilea accettava Amys quasi come sua pari, cosa che non andava d’accordo con la gerarchia dei lupi.
Il settimo giorno dopo aver lasciato Cairhien, mentre cavalcavano sotto il sole rovente, Perrin si preoccupava ancora di quale altro tipo di sorpresa avrebbe ricevuto dagli Aiel, e si chiedeva se gli Aiel e i Cairhienesi sarebbe stati alla larga uno dall’altro almeno per un altro giorno e cosa avrebbe fatto una volta raggiunto le Aes Sedai fra tre giorni.
Tutti i pensieri svanirono quando arrivò un messaggio di Mezza Coda. C’era un grande gruppo di uomini — e forse donne; i lupi a volte avevano problemi a distinguere i maschi umani dalle femmine — a pochi chilometri a ovest, e cavalcavano sodo nella stessa direzione di Perrin. Fu l’immagine delle due bandiere che si portavano appresso a risollevare Perrin.
Fu presto avvicinato da Dobraine e Nurelle, Rhuarc e Urien, Nandera e Sulin, Sorilea e Amys. «Proseguite» disse loro facendo voltare Resistenza verso ovest. «Forse alcuni amici si aggiungeranno a noi, ma non voglio perdere tempo.»
Mantennero il passo mentre si allontanavano, ma non lasciarono che se ne andasse da solo. Prima che avesse coperto un quarto di chilometro fu raggiunto da una dozzina di uomini delle Guardie Alate e da altrettanti Cairhienesi, almeno venti Fanciulle guidate da Sulin e un numero eguale di siswai’aman dietro un uomo dai capelli grigi e gli occhi verdi, con il volto che sembrava essere stato usato per spaccare le pietre. Perrin era sorpreso di non vedere nemmeno una Sapiente.
«Amici» mormorò Sulin, avvicinandosi alla staffa. «Amici che appaiono d’improvviso, senza preavviso, e tu scopri a un tratto che ci sono.» Guardandolo, alzò la voce. «Non mi piacerebbe vederti inciampare su un cuscino e cadere di nuovo faccia avanti.»
Perrin scosse il capo, chiedendosi quali altre armi le avesse fornito durante quella sua mascherata da domestica. Gli Aiel erano strani.
A giudicare dalla posizione del sole sapeva di aver cavalcato circa un’ora, guidato dai lupi, con la stessa certezza di una freccia che punta un bersaglio e, quando oltrepassò una bassa collina, non fu sorpreso da ciò che vide forse due chilometri davanti a sé, uomini a cavallo in fila per due, uomini dei Fiumi Gemelli con la sua bandiera, la testa rossa di lupo, che procedevano come un vento lieve. Ciò che lo sorprese fu la presenza effettiva di donne — ne aveva contate nove — e un numero di uomini che era certo non fossero dei Fiumi Gemelli. La cosa che lo fece innervosire fu la seconda bandiera. L’Aquila Rossa del Manetheren. Non riusciva più a ricordare quante volte avesse detto loro di non portare quei vessilli fuori dai Fiumi Gemelli. Una delle poche cose che non era stato in grado di impedire quando era a casa era l’uso di quella bandiera. Eppure i messaggi imperfetti dei lupi sulle bandiere lo avevano preparato. I nuovi arrivati videro lui e i suoi compagni quasi subito. Nella banda c’erano elementi con la vista acuta. Gli uomini si prepararono, alcuni di loro misero in posizione i mitici archi lunghi dei Fiumi Gemelli, che avrebbero potuto uccidere un uomo a trecento passi di distanza e anche più.
«Che nessuno si metta davanti a me» disse Perrin. «Non scaglieranno alcuna freccia quando mi riconosceranno.»
«A quanto pare gli occhi gialli vedono lontano» disse Sulin atona. Alcuni degli altri lo guardavano incuriositi.
«Limitatevi a rimanere dietro di me» sospirò Perrin.
Mentre si avvicinava alla testa di quello strano gruppo, gli archi che erano stati sollevati furono abbassati e le frecce non incoccate. Vide compiaciuto che avevano Stepper con loro, e la cosa gli fece meno piacere, Rondine. Faile non lo avrebbe mai perdonato se fosse accaduto qualcosa alla sua giumenta nera. Sarebbe stato bello ritornare in groppa al suo cavallo, ma forse avrebbe tenuto anche Resistenza. Un lord poteva avere due cavalli. Anche un lord al quale potevano essere rimasti solo quattro giorni di vita.
Dannil cavalcava in testa alla colonna degli uomini dei Fiumi Gemelli insieme ad Aram, carezzandosi i baffi folti, e le donne cavalcavano con loro. Perrin notò i volti privi dei segni dell’età ancor prima di riconoscere Verin e Alanna, entrambe in fondo alla fila di donne. Non conosceva nessuna delle altre, ma era certo di cosa fossero, anche se non sapeva come avessero fatto ad arrivare fin lì. Nove. Nove Aes Sedai avrebbero potuto essere utili fra tre o quattro giorni, ma quanto poteva fidarsi di loro? Erano nove e Rand aveva detto loro che potevano seguirlo solo in sei. Si chiese quale fosse Merana, la donna al comando.
Un’Aes Sedai con il volto squadrato che somigliava a una contadina parlò prima che riuscisse a farlo Dannil. Montava una robusta giumenta marrone. «Bene, così tu sei Perrin Aybara. O dovrei dire lord Perrin. Abbiamo sentito molto parlare di te.»
«È una sorpresa incontrarti qui» aggiunse una donna bella e arrogante. «Con una simile compagnia.» Cavalcava un castrone scuro con gli occhi fieri; Perrin avrebbe scommesso che l’animale era addestrato per la guerra. «Eravamo sicure che fossi ben avanti a noi.» Ignorandole, Perrin guardò Dannil. «Non che sia dispiaciuto, ma come avete fatto a trovarmi?»
L’uomo lanciò un’occhiata alle Aes Sedai e si carezzò i baffi frenetico. «Ci siamo messi in marcia come avevi detto tu, lord Perrin, il più veloce possibile. Intendo dire che abbiamo lasciato indietro carri e tutto, visto che sembrava esserci qualche motivo urgente per spingerti ad andare via tanto in fretta. Poi Kiruna Sedai e Bera Sedai con le altre ci hanno raggiunti e hanno detto che Alanna era in grado di trovare Rand — voglio dire, il lord Drago — e visto che eri con lui, ho pensato che ovunque lui fosse sicuramente ci saresti stato anche tu e non c’era modo di sapere che avevi lasciato Cairhien e...» sospirò profondamente «...in ogni caso sembra che avessero ragione, non ti pare, lord Perrin?»
Perrin fece una smorfia chiedendosi come potesse Alanna trovare Rand. Ma doveva essere in grado di farlo, o Dannil e gli alta non sarebbero arrivati da lui. Lei e Verin continuavano a rimanere indietro, insieme a una donna snella con gli occhi color nocciola che sembrava sospirasse spesso.
«Io sono Bera Harkin,» disse quella con il volto squadrato «e questa è Kiruna Nachiman» continuò indicando la sua arrogante compagna. Evidentemente non riteneva necessario presentare le altre. «Vuoi dirci perché ti trovi qui quando il giovane al’Thor — il lord Drago — è a diversi giorni di distanza a nord?»
Non ebbe bisogno di pensare a lungo. Se quelle nove volevano unirsi alle altre Aes Sedai c’era poco che potesse fare per fermarle. Nove Aes Sedai dalla sua parte, invece... «È stato fatto prigioniero. Un’Aes Sedai di nome Coiren e almeno altre cinque lo stanno portando a Tar Valon. È ciò che intendono fare. Io invece le voglio fermare.» La spiegazione provocò stupore: Dannil aveva sgranato gli occhi e le Aes Sedai si erano messe a parlare all’unisono. Aram era il solo che non sembrasse sconvolto, ma in fondo non sembrava che gli importasse molto di nulla, se non di Perrin e della sua spada. L’odore che emanava dalle Aes Sedai era di oltraggio e paura, anche se tutte avevano il volto sereno.
«Dobbiamo fermarle, Bera» disse una donna che aveva i capelli acconciati in treccine nello stile di Tarabon, proprio mentre una pallida Cairhienese su una giumenta dinoccolata aggiunse: «Non possiamo permettere a Elaida di averlo, Bera.»
«Sei?» chiese la donna con gli occhi color nocciola, incredula. «Sei non avrebbero potuto prenderlo, ne sono certa.»
«Ve l’avevo detto che era ferito» disse Alanna quasi piangendo. Perrin conosceva il suo odore abbastanza bene da isolarlo: era dolore puro. «Ve l’avevo detto.» Verin rimase in silenzio, ma l’odore era furioso e... spaventato.
Kiruna guardò con disgusto il gruppo di Perrin. «Intendi fermare le Aes Sedai con questi, giovanotto? Verin non ci aveva detto che eri uno sciocco.»
«Ho qualche altro elemento sulla strada di Tar Valon» rispose lui secco.
«Allora potete unirvi a noi» gli disse Kiruna come se gli stesse facendo una concessione. «Va bene, Bera, no?» Bera annuì.
Perrin non riusciva a capire perché il comportamento di Kiruna lo irritasse tanto, ma adesso non era il momento di capire. «Ho anche trecento arcieri dei Fiumi Gemelli che intendo riportare con me sulla strada di Tar Valon.» Come faceva Alanna a sapere che Rand era ferito? «Voi Aes Sedai sarete le benvenute, se vorrete seguirci.»
Sicuramente le donne non avevano apprezzato. Si allontanarono di una dozzina di passi per parlarne — nemmeno le sue orecchie percepirono nulla; probabilmente stavano usando il Potere — e per qualche minuto Perrin fu convinto che se ne sarebbero andate per proprio conto.
Alla fine ritornarono, ma Bera e Kiruna lo affiancarono, una per parte, lungo tutto il percorso, facendo a turno nello spiegare quanto fosse pericolosa e delicata la situazione e raccomandandogli che non doveva fare nulla per mettere in pericolo il giovane al’Thor. Almeno Bera a volte si ricordava di chiamarlo Drago Rinato. Una cosa che resero ben chiara era che Perrin non avrebbe dovuto mettere un piede davanti all’altro senza prima chiedere a loro. Bera stava iniziando a sembrare irritata dal fatto che Perrin non volesse prometterlo; Kiruna le disse di fare conto che avesse pronunciato quelle parole. Perrin cominciò a chiedersi se avesse fatto un errore a chieder loro di seguirlo.
Se le Aes Sedai rimasero impressionate dal numero di Aiel, uomini di Mayene e Cairhienesi che li precedevano, non ne diedero segno. La loro presenza invece aggiunse un leggero trambusto. Gli uomini di Mayene e i Cairhienesi sembravano non gradire la comparsa di nove Aes Sedai e sedici Custodi ed erano sempre sull’orlo di inchinarsi o strisciare ogni volta che una delle donne si avvicinava. Le Fanciulle e i siswai’aman le fissavano malvagi, quando non avevano l’aspetto di chi temesse di essere calpestato e schiacciato. Le Sapienti rimasero impassibili come le Aes Sedai, ma Perrin fiutava ondate di furia pura provenire dalle Aiel. A parte una Marrone di nome Masuri, all’inizio le Aes Sedai ignorarono le Sapienti, ma dopo che Masuri fu rifiutata almeno venti volte nei giorni seguenti — era insistente, ma le Sapienti evitavano le Aes Sedai con tale grazia che Perrin pensava dovessero farlo d’istinto — Bera, Kiruna e tutte le altre cominciarono a guardare le Sapienti e parlare fra loro dietro una barriera invisibile che impediva a Perrin di sentire cosa dicessero.
Se avesse potuto, avrebbe spiato; nascondevano ben altro che le discussioni sulle Aiel. Alanna rifiutava di dirgli come facesse a sapere dov’era Rand — ‘Ci sono cose che farebbero esplodere la mente di chiunque non sia un’Aes Sedai’, gli aveva risposto, fredda e misteriosa, ma odorava di ansia e dolore — e non voleva nemmeno ammettere di aver detto che era ferito in qualche modo. Verin gli rivolgeva a stento la parola, osservava tutto con quegli occhi scuri da uccello e il sorrisetto misterioso, ma da lei emanavano folate di frustrazione e rabbia. Se avesse dovuto decidere dall’odore avrebbe detto che Bera o Kiruna erano a capo della spedizione; forse Bera, anche se a volte il comando sembrava passare all’altra. Era difficile giudicare diversamente: una o l’altra cavalcavano accanto a lui almeno un’ora al giorno, ripetendo delle varianti del consiglio originale, dando per scontato che avessero loro il comando. Nurelle sembrava convinto che fosse così, ed eseguiva i loro ordini senza nemmeno dare un’occhiata a Perrin, cosa che Dobraine almeno faceva, prima di obbedire a sua volta. Per un giorno e mezzo Perrin pensò che Merana fosse rimasta a Caemlyn e fu per lui una sorpresa scoprire che la donna magra con gli occhi color nocciola rispondesse a quel nome. Rand aveva detto che era a capo della spedizione di Salidar, ma anche se tutte le Aes Sedai sembravano uguali, Perrin l’aveva identificata come una lupa debole nel branco; da lei emanavano rassegnazione e ansia. Non lo sorprendeva che le Aes Sedai avessero dei segreti, ma lui voleva salvare Rand da Coiren e le altre e gli sarebbe piaciuto avere un appiglio per scoprire se avrebbero poi dovuto salvarlo anche da Kiruna e le sue amiche.
Era bello essersi riunito con Dannil e gli altri, anche se erano impotenti con le Aes Sedai quanto i Cairhienesi e gli uomini di Mayene. Gli uomini dei Fiumi Gemelli erano così contenti di averlo ritrovato che in pochi si erano lamentati quando aveva detto loro di mettere via la bandiera con l’aquila rossa. Perrin era sicuro che prima o poi l’avrebbero ripresa, ma Ban, il cugino di Dannil, che gli assomigliava molto a parte il naso adunco e i lunghi baffi nello stile domanese, la ripose con cautela nella bisaccia da sella. Adesso c’era solo la testa di lupo rossa. Probabilmente lo avrebbero ignorato se avesse chiesto loro di metterla via e, per qualche motivo, lo sguardo freddo e sdegnoso di Kiruna gli faceva venire voglia di tenerla bene in mostra. Oltre a quella, anche Dobraine e Nurelle avevano esposto delle bandiere, visto che ce n’era già una. Non il sole nascente di Cairhien o il falco d’oro di Mayene. Entrambi avevano portato un paio degli stendardi di Rand, il Drago rosso e oro in campo bianco e il disco bianco e nero su fondo rosso. Agli Aiel non sembrava importare molto e le Aes Sedai erano ancora più fredde; a lui parevano invece adeguati a quell’inseguimento.
Giunto il decimo giorno, con il sole quasi a picco, Perrin si sentiva cupo malgrado le bandiere e gli uomini dei Fiumi Gemelli o Stepper. Avrebbero raggiunto i carri delle Aes Sedai nel pomeriggio, ma ancora non sapeva cosa avrebbero fatto. Fu allora che il messaggio dei lupi lo raggiunse. Arrivano ora. Molti due gambe. Molti, molti, molti! Arrivano ora!