18 Un assaggio di solitudine

«Ci sono altri problemi che volete esamini?» Il tono di voce di Rand rendeva chiaro che si riferiva a questioni che avrebbero già dovuto risolvere. Rhuarc scosse leggermente il capo; anche Berelain arrossì. «Bene. Stabilite una data per l’impiccagione di Mangin...» Se ti fa troppo male, rise Lews Therin rauco, riversalo su qualcun altro. Una sua responsabilità. Un suo dovere. «Impiccatelo domani. Ditegli che sono i miei ordini.» Fece una pausa guardandosi attorno furioso, quindi si accorse di aspettare un commento di Lews Therin. Aspettava di sentire la voce di un uomo morto, sì, un uomo morto. «Vado alla scuola.»

Rhuarc gli disse che probabilmente le Sapienti stavano arrivando da lui, e Berelain aggiunse che i nobili Tarenesi e Cairhienesi sicuramente stavano chiedendosi se lei tenesse nascosto Rand, ma lui rispose di dire loro la verità. E di non seguirlo. Sarebbe tornato quando ne aveva voglia. I due avevano la faccia di qualcuno che avesse inghiottito delle prugne intere, ma Rand afferrò lo scettro del Drago e andò via.

Nel corridoio, Jalani e lo Scudo Rosso biondo più grande di lei camminavano a passi leggeri, lanciandosi attorno sguardi veloci: per il resto il passaggio era vuoto se non per la presenza di alcuni camerieri. Uno per ogni gruppo, anche se Rand si chiedeva se Urien avesse dovuto lottare con Sulin per permetterlo.

Facendo loro cenno di seguirlo si recò alla stalla più vicina, rivestita dello stesso marmo verde delle colonne che sostenevano il soffitto. Il capo stalliere, un uomo nodoso dalle grandi orecchie con il sole nascente inciso sul corto grembiule di cuoio, fu talmente colpito dalla comparsa di Rand con solo due Aiel come scorta che continuò a fissare le porte della stalla in attesa di altri, inchinandosi talmente spesso fra uno sguardo e l’altro che Rand si chiese se avrebbe mai preso un cavallo. A un certo punto l’uomo gridò: «Un cavallo per il lord Drago!» Sei stallieri scattarono per preparare un alto castrone baio dagli occhi focosi con la briglia coperta di frange d’oro e la sella decorata dello stesso colore sulla gualdrappa color azzurro cielo, anche quella con le frange e il sole nascente dorati.

Per come si muoveva rapidamente, lo stalliere quasi scomparve nel momento in cui Rand salì in sella. Forse a cercare il seguito del Drago Rinato. O a riferire a qualcuno che Rand stava lasciando il palazzo praticamente da solo. I Cairhienesi erano fatti in questo modo. Il cavallo voleva scalciare, ma mentre ancora stava calmandosi, Rand lo fece uscire al trotto, sotto gli occhi stupiti dei soldati Cairhienesi. Rand non era preoccupato di incontrare assassini che potessero tendergli un’imboscata dopo l’avviso dell’uomo dalle grandi orecchie. Chiunque lo avesse attaccato si sarebbe accorto di essere andato a una tosatura senza forbici. Ma se avesse tardato si sarebbe ritrovato un codazzo di nobili attorno, talmente vicini che non avrebbe potuto andare via senza di loro. Una volta tanto, era bello essere da solo.

Lanciò un’occhiata a Jalani e al giovane Aiel che correvano al suo fianco. Gli pareva di ricordare che si chiamasse Dedric, un Codarra della Spaccatura di Jaern. Quasi solo. Poteva ancora percepire Alanna, e Lews Therin si lamentava in lontananza per la scomparsa di Ilyena. Non poteva mai essere davvero solo. Forse mai più. Ma la riservatezza che aveva ottenuto era piacevole, dopo così tanto tempo.

Cairhien era una grande città, le strade principali erano abbastanza larghe da far sembrare minuscole le persone che le affollavano. Ogni via era dritta come una freccia e attraversava le colline terrazzate, tanto da farle sembrare create dall’uomo, incrociando le altre strade ad angolo retto. Nella città sorgevano alte torri circondate da strutture di legno che nascondevano quasi i contrafforti elaborati, torri che parevano toccare il cielo, e con l’intenzione di proseguire ancor più su. Erano passati vent’anni da quando le favolose torri senza cima di Cairhien, una meraviglia del mondo, erano state incendiate come torce durante la Guerra Aiel. Ancora non avevano finito di ricostruirle.

Procedere non fu facile. Il trotto non durò a lungo. Rand si era abituato alle folle che si aprivano davanti alla scorta, ma con centinaia di Aiel con addosso il cadin’sor che procedevano fra la folla era tutta un’altra cosa, mentre ora la sua scorta era di soli due Aiel. Alcuni lo avevano riconosciuto, ma lo ignorarono, non volevano provocare situazioni imbarazzanti richiamando l’attenzione quando il Car’a’carn portava la spada e cavalcava. Per gli Aiel la vergogna e l’imbarazzo erano peggiori del dolore, anche se ji’e’toh aveva delle implicazioni complesse, a livelli che Rand comprendeva solo in parte. Aviendha avrebbe potuto spiegarli; pareva desiderasse che Rand diventasse un Aiel.

Anche altri affollavano le strade. Cairhienesi con i soliti abiti monotoni e altri che vestivano i colori sgargianti di chi aveva vissuto nel Passaggio Anteriore prima che venisse incendiato. I Tarenesi, più slanciati, spiccavano fra la folla, anche se non erano alti come gli Aiel. I carri trainati dai buoi e i cavalli arrancavano fra la massa, lasciando passare le portantine e le carrozze laccate, a volte con la bandiera di una casata. Gli ambulanti pubblicizzavano le loro merci; musicisti, giocolieri e acrobati si esibivano agli angoli delle strade. Erano cambiamenti notevoli. Una volta Cairhien era stata una città tranquilla, calma, a parte il Passaggio Anteriore. Parte di quella sobrietà era tuttora visibile. I negozi ancora avevano piccole insegne e non mettevano i beni in mostra per la strada. Mentre gli ex abitanti del Passaggio Anteriore erano più rumorosi che mai, ridendo a squarciagola e gridando o discutendo per la strada, gli altri Cairhienesi li guardavano con compassato disgusto.

Solo gli Aiel riconoscevano il cavaliere che aveva addosso la giubba blu con i ricami d’argento, anche se occasionalmente qualcuno lanciava una seconda occhiata alla gualdrappa. Lo scettro del Drago non era ancora noto. Nessuno gli cedeva il passo. Rand era combattuto fra l’impazienza e il piacere di non essere al centro dell’attenzione.

La scuola occupava un edificio a un chilometro dal palazzo del Sole una volta proprietà di lord Barthanes, adesso morto e non compianto; era un ammasso di pietre squadrate con delle torri dagli angoli netti e balconi semplici. I cancelli alti che si aprivano nel cortile principale erano spalancati, e quando Rand entrò, trovò un comitato di benvenuto.

Idrien Tarsiti, a capo della scuola, si trovava in piedi sull’ampia scalinata, una donna robusta che aveva addosso un semplice abito grigio e manteneva la schiena talmente rigida da sembrare più alta di quanto non fosse. Non era sola. A dozzine affollavano le scale, uomini e donne che indossavano la lana anziché la seta, spesso consumata e quasi mai ricamata. Prevalentemente anziani. Idrien non era la sola con più grigio che nero fra i capelli, o solo grigio, anche se di tanto in tanto era visibile un volto giovane che osservava Rand con impazienza, avendo comunque di dieci o quindici anni più di lui.

Erano gli insegnanti, in un certo senso, anche se quella non era proprio una scuola. I ragazzi venivano per imparare — maschi e femmine erano affacciati a bocca aperta da tutte le finestre che si aprivano sul cortile — ma lo scopo di Rand era stato riunire la conoscenza di molti in un solo posto. Spesso aveva sentito raccontare di quanto era andato perduto durante la Guerra dei Cento anni e le Guerre Trolloc. Quanto altro era svanito con la Frattura del Mondo? Se lui doveva provocarne un’altra, voleva creare dei sepolcri nei quali sarebbe stata conservata la conoscenza. A Tear era già stata avviata un’altra scuola e Rand aveva iniziato a cercare un posto a Caemlyn.

Niente va mai come ti aspetti, mormorò Lews Therin. Non aspettarti nulla e non resterai sorpreso. Non aspettarti nulla. Non sperare in nulla. Nulla.

Dopo aver represso quella voce, Rand smontò da cavallo.

Idrien gli andò incontro rivolgendogli un inchino. Ogni volta che si tirava su, per Rand era una sorpresa vedere che gli raggiungeva solo il petto. «Benvenuto alla scuola di Cairhien, mio lord Drago.» La voce della donna era sorprendentemente giovanile e dolce, un contrasto stupefacente con la serietà del viso. Ma con gli studenti l’aveva sentita usare un tono più duro, e anche con gli insegnanti Idrien aveva una presa ferrea sulla scuola.

«Quante spie hai nel palazzo del Sole?» chiese sereno Rand. La donna sembrò stupita, forse dal fatto che lui avesse suggerito una cosa simile, ma più probabilmente perché quella domanda non era considerata educata a Cairhien.

«Abbiamo preparato una piccola dimostrazione.» Be’, non si era aspettato davvero una risposta. Idrien guardò i due Aiel come una donna che osservasse due grossi cani infangati dal carattere instabile, ma si limitò a tirare su con il naso. «Il lord Drago vuole seguirmi?»

La seguì, aggrottando le sopracciglia. Una dimostrazione di cosa?

L’ingresso della scuola era un’ampia stanza composta da colonne di pietra grigio scuro lucidato e il pavimento di mattonelle grigio chiaro, i balconi di marmo anch’esso grigio, venato di bianco. Adesso era piena di... congegni. Gli insegnanti affollati alle sue spalle corsero verso di essi. Rand osservò, ricordandosi improvvisamente di quanto Berelain avesse riferito sulla scuola. Ma cosa avevano creato?

Idrien spiegava — a modo suo — portandolo da un oggetto all’altro, mentre gli uomini e le donne illustravano in dettaglio le loro creazioni. Qualcuna la capiva.

Uno schieramento di schermi e ruspe o vasi di terracotta pieni di pezzi di lino che alla fine creavano la carta più sottile che avesse mai visto, proprio come sosteneva l’inventore. Un grosso oggetto pieno di leve e grandi piastre che rappresentava un torchio tipografico, migliore di quelli già in uso, sempre secondo l’inventore. Dedric era molto interessato a quella creazione, fino a quando Jalani decise che avrebbe dovuto cercare di vedere qualcuno che volesse attaccare il Car’a’carn; lo colpì forte sul piede e questi zoppicò seguendo Rand. Era esposto un aratro montato su delle ruote che poteva scavare sei solchi per volta — stavolta Rand lo riconobbe e pensò che potesse funzionare — e un altro oggetto con un’asta per i cavalli che doveva servire a raccogliere il fieno al posto degli uomini con i falcetti. Un nuovo tipo di telaio più facile da usare, secondo il costruttore. Vide dei modellini di legno dipinto che raffiguravano acquedotti per portare acqua in luoghi dove i pozzi si stavano asciugando, o nuovi scarichi e fogne per Cairhien. C’era anche un ripiano con degli uomini e dei carri, gru e rulli, che dovevano dimostrare come le strade potessero essere costruite e lastricate bene come era stato fatto in passato.

Rand non sapeva se avrebbero funzionato, ma sembrava che qualcuna di quelle invenzioni valesse il tentativo provarla L’aratro per esempio, poteva essere utile se Cairhien voleva riprendere a produrre cibo. Avrebbe chiesto a Idrien di costruirlo. No, avrebbe chiesto a Berelain di dirglielo. Quando sei in pubblico segui sempre l’autorità, gli aveva spiegato Moiraine, a meno che tu non intenda sminuire qualcuno.

Fra gli insegnanti che conosceva c’era Kin Tovere, un fabbricante di lenti che continuava ad asciugarsi il cranio calvo con un fazzoletto a strisce. Oltre a cannocchiali di diverse dimensioni — «Puoi contare i peli sul naso di un uomo lontano un chilometro» gli aveva detto, era questo il suo modo di parlare — aveva delle lenti enormi, pronte per un cannocchiale gigante, un oggetto lungo sei passi, e uno schema per osservare le stelle, fra le altre cose. Kin voleva sempre vedere le cose più lontane.

Idrien assunse un’espressione soddisfatta quando Rand studiò il progetto di mastro Tovere. Apprezzava molto le cose pratiche. Durante l’assedio di Cairhien lei aveva costruito una grande balestra, tutta leve e pulegge, in grado di scagliare una piccola lancia a un chilometro di distanza, con una forza sufficiente a trapassare un uomo. Se avesse potuto fare a modo suo, non avrebbe permesso sprechi di tempo nel creare qualcosa che non fosse solido.

«Costruiscilo» disse Rand a Kin. Forse non era davvero utile, non come l’aratro, ma gli piaceva Tovere. Idrien sospirò e scosse il capo. Tovere irradiò gioia. «Ti voglio anche dare cento corone d’oro, mi sembra interessante.» La frase diede il via a un brusio e sia Idrien che Tovere rimasero a bocca aperta. Altri oggetti presenti nella sala non parevano allo stesso livello di quello di Tovere. Un tizio dal viso rotondo aveva costruito qualcosa che funzionava con lo sterco di vacca; alla fine si trasformava in una fiamma azzurra che bruciava all’estremità di un tubo di ottone; neppure lui pareva capire a cosa servisse. Una donna magra aveva creato un guscio di carta ormeggiato con dei cordoncini e mantenuto in aria dal vento caldo che saliva da un braciere d’ottone. Borbottava qualcosa sul poter volare — era certo che si trattasse di quello — ali di uccello ricurve — aveva dei disegni di uccelli e di ciò che ricordava un uccello di legno — ma era talmente imbarazzata dall’incontro con il Drago Rinato che Rand non riuscì a capire una parola e Idrien non fu in grado di spiegare il tutto.

Quindi fu il turno di un uomo calvo con una serie di tubi di ottone e cilindri, bacchette e ruote, tutte sopra un tavolo di legno scanalato e scorticato di fresco, alcuni dei solchi talmente profondi da passare quasi da parte a parte il piano del tavolo. Una porzione del viso e le mani dell’uomo erano coperte da bende. Non appena Rand era apparso all’entrata, aveva acceso il fuoco sotto a uno dei cilindri. Quando Rand e Idrien si fermarono davanti a lui, mosse una leva e sorrise fiero.

Il marchingegno cominciò a tremare, con il vapore che soffiava in due o tre punti diversi. Il sibilo divenne acuto e l’oggetto tremò forte. Cigolava in maniera spaventosa. Adesso il sibilo si era trasformato in un fischio penetrante e il marchingegno tremava talmente forte che il tavolo si muoveva. L’uomo calvo si lanciò sul tavolo liberando un tappo dal cilindro più grande. Il vapore uscì in una nuvola e l’oggetto si immobilizzò. L’uomo sorrise succhiandosi le dita bruciate.

«Un bel lavoro» disse Rand prima di lasciare che Idrien lo portasse via. «Che cos’era?» chiese sottovoce quando furono lontani.

La donna si strinse nelle spalle. «Mervin non lo vuole rivelare a nessuno. A volte dalla sua camera si sentono delle esplosioni che fanno tremare le porte e si è ustionato sei volte sino a ora, ma sostiene che quando riuscirà a farlo funzionare, darà il via a una nuova Epoca.» Idrien guardò Rand a disagio.

«Mervin è il benvenuto, se ci riesce» le rispose secco. Forse quella cosa doveva produrre musica? Con tutti quei fischi? «Non vedo Herid. Ha dimenticato di scendere?»

Idrien sospirò di nuovo. Herid Pel era un Andorano che faceva il lettore nella biblioteca reale — uno studente di storia e filosofia, come si definiva — sicuramente non il tipo al quale la donna potesse affezionarsi. «Mio lord Drago, non esce mai dallo studio se non per andare alla biblioteca.»

Andare via richiese un breve discorso, in piedi su uno sgabello con lo scettro del Drago sottobraccio, per dire loro che le invenzioni erano meravigliose. Qualcuna poteva esserlo davvero, per quanto ne sapeva. A quel punto fu in grado di andar via, con Jalani e Dedric. E Lews Therin, e Alanna. Se ne andarono lungo una scia di sussurri compiaciuti. Si chiese se uno qualunque di loro oltre Idrien avesse mai pensato di inventare un’arma.

Lo studio di Herid Fel si trovava al piano superiore, e affacciava sulle tegole scure della scuola e una torre squadrata che bloccava la visuale. Herid sosteneva di non guardare mai fuori dalla finestra.

«Potete aspettare qui» disse Rand mentre si avviava verso la porta angusta — anche la stanza era piccola —, e fu sorpreso quando Jalani e Dedric acconsentirono.

Diversi piccoli fatti combaciarono all’improvviso. Jalani non aveva mai rivolto alla spada uno sguardo di disapprovazione, cosa di cui era fiera, da quando era uscito dall’incontro con Rhuarc e Berelain. Né lei né Dedric avevano guardato il cavallo nella stalla, o fatto osservazioni su come le sue gambe potevano funzionare altrettanto bene, un’altra cosa che facevano regolarmente.

A conferma dei suoi dubbi, mentre Rand si voltava verso la porta, Jalani lanciò un’occhiata a Dedric. Breve, ma con palese interesse e un sorriso. Dedric la ignorò con tale intenzione che se l’avesse fissata sarebbe stato lo stesso. Era la maniera Aiel, fare finta di non capire fino a quando la donna non si fosse comportata con chiarezza. Lei avrebbe fatto lo stesso se Dedric avesse cominciato a guardarla.

«Divertitevi» disse Rand parlandosi alle spalle e ottenendo due sguardi stupiti, quindi entrò nella stanza.

La cameretta era piena di libri, pergamene e fasci di carte. Le pareti erano coperte da scaffali tutti occupati, alti fino al soffitto; solo la porta e le finestre erano sgombri. Libri e carte coprivano il tavolo che occupava quasi tutta la stanza, erano appoggiati su una sedia e in parte anche sul pavimento. Herid Fel era un uomo grosso e pareva che quella mattina avesse dimenticato di pettinarsi i radi capelli grigi. La pipa che teneva fra i denti era spenta e sulla giubba aveva delle macchie di cenere. Batté le palpebre per un istante, quindi disse: «Ah, sì. Ma certo. Stavo per...» guardò il libro che teneva fra le mani, quindi si sedette dietro al tavolo e controllò mormorando alcuni fogli sparsi davanti a lui. Voltò pagina per vedere il titolo del libro e si grattò la testa. Alla fine guardò Rand e batté di nuovo le palpebre. «Sì. Di cosa volevi parlare?»

Rand liberò la sedia dalle carte, appoggiandole assieme ai libri sul pavimento, depose lo scettro del Drago sulla pila a terra e si sedette. Aveva provato a parlare con gli altri filosofi e storici, aveva discusso con scolari e donne colte ed era stato come cercare di inchiodare un’Aes Sedai. Erano sicuri delle loro certezze e per tutto il resto lo avevano sommerso di parole che potevano significare tutto e niente. O si arrabbiavano quando insisteva — parevano convinti che dubitasse delle loro conoscenze, un grave peccato — oppure incrementavano il torrente di parole fino a quando non capiva più nulla, diventavano ossequiosi, cercando di capire cosa volesse sentirsi dire per poterglielo riferire. Herid era diverso. Una delle cose che pareva sfuggirgli sempre di mente era che Rand fosse il Drago Rinato, cosa che a lui faceva comodo. «Cosa mi sai dire di Aes Sedai e Custodi, Herid? Del legame?»

«Custodi? Legame? Le stesse cose di chiunque non sia Aes Sedai, suppongo. Il che non è molto.» Herid succhiò dalla pipa, senza nemmeno accorgersi che era spenta. «Cosa vuoi sapere?»

«Può essere spezzato?»

«Spezzato? Oh, no. Non credo. A meno che non ti riferisca alla morte dell’Aes Sedai o del Custode. La morte lo spezza. Credo. Ricordo che una volta ho sentito dire qualcosa sul legame, ma non ricordo...» Vedendo un fascicolo di appunti sul tavolo Herid lo tirò a sé con la punta delle dita e cominciò a leggere, aggrottando le sopracciglia e scuotendo il capo. Sembravano redatti con la sua calligrafia, ma adesso non pareva concordare con quanto aveva scritto.

Rand sospirò. Aveva la sensazione che se si fosse voltato in fretta avrebbe visto le mani di Alanna sopra di sé. «Che mi dici della domanda che ti ho rivolto l’ultima volta? Herid? Herid?»

L’uomo sobbalzò. «Oh, sì. Una domanda. La scorsa volta. Tarmon gai’don. Be’, non ho idea di come sarà. Trolloc, immagino? Signori del Terrore? Sì. Signori del Terrore. Ma ci ho pensato. Non può essere l’Ultima Battaglia. Non credo possa essere così. Forse in ogni Epoca c’è un’Ultima Battaglia. O in molte.» Di colpo aggrottò le sopracciglia e guardò la pipa che aveva fra i denti, iniziando a frugare sul tavolo. «Dev’esserci una scatola con l’acciarino da qualche parte.»

«Cosa vuol dire che non può essere l’Ultima Battaglia?» Rand cercò di rimanere calmo. Herid arrivava sempre al punto, doveva solo essere guidato.

«Cosa? Sì, è esattamente il punto. Non può essere l’Ultima Battaglia. Anche se il Drago Rinato sigillasse di nuovo la prigione del Tenebroso come l’aveva fatta il Creatore. Cosa che non credo si possa realizzare.» Si protese in avanti e abbassò la voce come un cospiratore. «Non è il Creatore, qualsiasi cosa dicano per le strade. Eppure qualcuno deve pur rinnovare il sigillo. La Ruota, vedi.»

«Non capisco...» Rand si interruppe.

«Sì, invece. Sei un buono studente.» Herid afferrò la pipa e disegnò un circolo in aria con il cannello. «La Ruota del Tempo. Le Epoche vengono, vanno e ritornano mentre la Ruota gira. Tutto il catechismo.» Di colpo puntò la pipa sulla ruota immaginaria. «Qui la prigione del Tenebroso è integra. Qui vi hanno scavato un buco e lo hanno sigillato di nuovo.» Fece scorrere la pipa lungo l’arco che aveva disegnato. «Noi siamo qui. I sigilli si stanno indebolendo. Ma non ha alcuna importanza.» Il cannello della pipa completò il giro. «Quando la Ruota ritornerà in questo punto, dove fu scavato il buco la prima volta, la prigione del Tenebroso dovrà essere di nuovo intera.»

«Perché? Forse la prossima volta riusciranno a completare il buco. Forse è ciò che avrebbero potuto fare la volta precedente — forare l’opera del Creatore — forse hanno scavato il Foro sul rattoppo e non ce siamo accorti.»

Herid scosse il capo. Per un istante fissò la pipa, accorgendosi di nuovo che era spenta, e Rand pensò che avrebbe dovuto richiamare la sua attenzione ancora una volta, invece l’uomo batté le palpebre e proseguì. «Qualcuno dovrà farlo, prima o poi. Per la prima volta, ecco. A meno che tu non ritenga che il Creatore abbia costruito la prigione del Tenebroso con un buco e un rattoppo fin dal principio.» L’uomo si agitò al pensiero. «No, era intera all’inizio e penso che sarà di nuovo intera quando si ripresenterà la Terza Epoca. Hmmm. Mi chiedo se la chiameranno così.» Intinse rapidamente la penna nell’inchiostro e scrisse una nota ai margini di un libro aperto. «Adesso non ha importanza. Non dico che sarà il Drago Rinato a renderla di nuovo integra, non necessariamente in quest’Epoca, ma dev’essere così prima che si ripresenti la Terza Epoca, ed è trascorso abbastanza tempo da quando è stata riparata — almeno un’Epoca — tanto che nessuno si ricorda più del Tenebroso e della sua prigione. Hmmm. Mi chiedo...» Guardò gli appunti e si grattò la testa, quindi sembrò stupito di avere una penna in mano. Adesso aveva una macchia d’inchiostro fra i capelli. «Ogni Epoca in cui si indeboliscono i sigilli deve prima o poi ricordarsi del Tenebroso, perché bisognerà affrontarlo e rinchiuderlo di nuovo.» Infilandosi ancora una volta la pipa fra i denti, cercò di prendere un appunto senza intingere la penna nell’inchiostro.

«A meno che il Tenebroso non si liberi» rispose con calma Rand. «Per spezzare la Ruota del Tempo e ricostruire il tempo e il mondo a propria immagine e somiglianza.»

«Ecco, esatto.» Herid sollevò le spalle guardando serio la penna. Alla fine, rammentò l’inchiostro. «Non credo ci sia molto che tu o io possiamo fare. Perché non vieni a studiare con me? Immagino che Tarmon Gai’don non scoppierà domani e sarebbe un bene se usassi il tuo tempo...»

«Ci sono motivi particolari che ti vengono in mente per voler spezzare i sigilli?»

Herid sollevò le sopracciglia. «Spezzare i sigilli? Spezzare i sigilli? Perché chiunque, se non un pazzo, vorrebbe farlo? Possono essere spezzati? Mi sembra di ricordare di aver letto che non è possibile, ma non ne ricordo il motivo. Come mai ti è venuta in mente una cosa simile?»

«Non lo so» sospirò Rand. In fondo alla testa, Lews Therin recitò una cantilena. Spezza i sigilli. Spezza i sigilli e falla finita. Fammi morire per sempre.

Egwene si sventolò con lo scialle e guardò su ambo i lati del corridoio, sperando di non essersi persa di nuovo. Aveva paura che invece fosse così, e non ne era affatto contenta. Il palazzo del Sole aveva chilometri di corridoi, non molto più freschi dell’esterno, e lei non vi aveva trascorso abbastanza tempo per imparare le varie direzioni.

C’erano Fanciulle ovunque, divise in gruppi di due e tre — molte più di quante di solito seguissero Rand; sicuramente più di quando non c’era. Pareva che passeggiassero, ma agli occhi di Egwene qualcosa sembrava... furtivo. Qualcuna di loro la conosceva di vista e si aspettava una parola amichevole — le Fanciulle parevano aver deciso che essere alunna delle Sapienti superava l’essere Aes Sedai, come riteneva lei stessa, tanto da non voler essere più considerata Aes Sedai — ma ogni volta che la vedevano sembravano stupite, secondo i canoni Aiel. I cenni del capo che le rivolgevano arrivavano in ritardo e le ragazze andavano via di corsa senza dire una parola. Non era un comportamento che incoraggiasse a chiedere informazioni.

Egwene rivolse quindi le sue attenzioni su un inserviente dal viso sudato, con delle sottili righe oro e blu sui polsini, chiedendosi se l’uomo potesse darle indicazioni per il luogo dove voleva dirigersi. Il problema era che non sapeva con certezza quale fosse questo luogo. Purtroppo il poveraccio era chiaramente sull’orlo di una crisi di nervi, con tutte quelle Aiel in giro. Vedendo una donna Aiel che lo fissava — non parevano mai notare gli occhi scuri che sicuramente nessun Aiel avrebbe avuto — e con la testa piena di favole sulle Fanciulle, si voltò e corse via alla massima velocità.

Egwene, irritata, tirò su con il naso. In fondo non aveva davvero bisogno di indicazioni. Prima o poi avrebbe trovato un luogo che riconosceva. Certo non aveva senso ritornare da dove era venuta, ma quale delle tre direzioni avrebbe dovuto prendere? Scegliendone una a caso, s’incamminò con fermezza e anche qualcuna delle Fanciulle si fece da parte.

Egwene si sentiva scontrosa. Incontrare di nuovo Aviendha dopo tutto quel tempo sarebbe stato meraviglioso, se la donna non le avesse semplicemente rivolto un freddo cenno del capo e si fosse infilata in una tenda con Amys per una conferenza privata. Privata davvero, aveva scoperto a sue spese quando aveva cercato di seguirla.

Non sei stata convocata, le aveva detto dura Amys, mentre Aviendha sedeva a gambe incrociate su uno dei cuscini, fissando demoralizzata i tappeti davanti a sé. Vai a fare una passeggiata. Mangia qualcosa. Una donna non deve somigliare a uno stelo di canna.

Bair e Melaine erano arrivate di corsa, convocate dai gai’shain, ma Egwene era stata esclusa. Le aveva fatto piacere vedere che anche una serie di Sapienti erano state respinte come lei. Dopotutto lei era amica di Aviendha, e se questa era nei guai, Egwene voleva aiutarla.

«Perché sei qui?» le chiese la voce di Sorilea, alle sue spalle.

Egwene fu fiera di se stessa. Si voltò lentamente per fronteggiare la Sapiente della fortezza Shende. Una Chareen dei Jarra, Sorilea aveva dei fini capelli bianchi e il volto rugoso e teso. Era una donna ossuta, e anche se poteva incanalare aveva meno forza nel Potere di tante novizie che Egwene aveva incontrato. Se si fosse trovata alla Torre non sarebbe mai andata oltre il grado di novizia prima di essere mandata via. Ma incanalare non aveva molto peso fra le Sapienti. Quali che fossero le regole misteriose che governavano le Sapienti, quando Sorilea circolava era sempre al comando. Egwene pensava che si trattasse della sola forza di volontà.

Ben più alta di Egwene, come quasi tutte le donne Aiel, Sorilea la fissò con occhi verdi che avrebbero potuto abbattere un toro. Ma fu un sollievo; era il modo in cui la donna guardava tutti. Se avesse avuto qualcosa da ridire, le pareti si sarebbero sgretolate sotto il suo sguardo e gli arazzi si sarebbero incendiati. Be’, a lei pareva così.

«Sono venuta per vedere Rand» rispose Egwene. «E allontanarmi dalle tende mi pareva comunque un buon esercizio.» Sicuramente meglio che camminare veloce cinque o sei volte intorno alle mura, l’idea aiel dell’esercizio leggero. Sperava che Sorilea non le avrebbe chiesto perché. Non le piaceva mentire alle Sapienti.

La donna la fissò per un istante come se avesse fiutato qualcosa di losco, poi sollevò lo scialle sulle piccole spalle e disse: «Non si trova qui. È andato alla sua scuola. Berelain Patron riteneva che non fosse saggio seguirlo e io sono d’accordo.»

Adesso rimanere impassibile per Egwene fu uno sforzo. Che le Sapienti dessero retta a Berelain era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata. La trattavano come una donna sensata e rispettata, cosa che per Egwene non aveva alcun senso, e non lo facevano perché Rand le aveva affidato il potere. Gli Aiel non erano interessati all’autorità degli abitanti delle terre bagnate. Le pareva ridicolo. La donna di Mayene si pavoneggiava indossando abiti scandalosi e amoreggiando con tutti in maniera oltraggiosa — quando non faceva addirittura più che amoreggiare, com’era convinta Egwene. Non il tipo di donna alla quale Amys avrebbe sorriso come se fosse la figlia preferita. O Sorilea.

Le vennero in mente pensieri su Gawyn. Era stato solo un sogno; quello di lui. Ma nulla di simile a ciò che faceva Berelain.

«Quando le guance di una ragazza arrossiscono senza alcun motivo apparente,» disse Sorilea «di solito è coinvolto un uomo. Chi è che ha attirato la tua attenzione? Possiamo aspettarci di vederti depositare la corona nuziale di fiori ai suoi piedi?»

«È raro che le Aes Sedai si sposino» rispose Egwene fredda.

La donna dal viso rugoso sbuffò, emettendo un suono simile alla stoffa strappata. Le Fanciulle, le Sapienti e tutti gli Aiel potevano aver deciso che non era Aes Sedai fino a quando avesse studiato con Amys e le altre, ma Sorilea esagerava. Pareva credere che Egwene fosse diventata Aiel. In aggiunta, non c’era argomento in cui la donna pensasse di non poter ficcare il naso. «Tu lo farai, ragazza. Non sei una di quelle che diventa Far Dareis Mai e pensa che gli uomini siano uno sport, come andare a caccia. Quei fianchi sono stati fatti per mettere al mondo bambini e tu ne avrai.»

«Vuoi dirmi dove posso aspettare Rand?» chiese Egwene, più flebilmente di quanto avrebbe voluto. Sorilea non era una camminatrice dei sogni, capace di interpretare i sogni, e certo non aveva il dono della predizione, ma poteva essere talmente risolata da far sembrare quanto diceva inevitabile. I figli di Gawyn. Luce, come avrebbe fatto ad avere i figli di Gawyn? Era vero che le Aes Sedai non si sposavano quasi mai. Di rado un uomo voleva sposare una donna che, se avesse voluto, avrebbe potuto maneggiarlo con il Potere come fosse un bambino.

«Da questa parte» rispose Sorilea. «Si tratta di Janduin, quel robusto Vero Sangue che ho visto ieri intorno alla tenda di Amys? Quella cicatrice lo rende anche più attraente...»

Sorilea continuò a proporre nomi mentre guidava Egwene per il palazzo, sempre osservandola con la coda dell’occhio per controllarne le reazioni. Fece anche del suo meglio per elencare gli aspetti positivi di ogni uomo e, visto che includeva la descrizione di quale aspetto avesse quell’uomo nudo — uomini e donne aiel condividevano la sauna — Egwene arrossiva spesso.

Quando raggiunsero le stanze dove Rand avrebbe trascorso la notte, Egwene fu più che contenta di ringraziarla e chiudersi subito la porta alle spalle. Fortunatamente per lei la Sapiente aveva da fare, dirimenti l’avrebbe seguita.

Inspirando a fondo Egwene si lisciò il vestito e sistemò lo scialle. Non ne aveva bisogno, ma si sentiva come se fosse rotolata giù da una collina. Alla donna piaceva molto fare la paraninfa. Sarebbe stata capace di intrecciare lei la corona di fiori nuziale per un’altra donna, trascinandola a deporla ai piedi del malcapitato che aveva scelto per lei, torcendo il braccio dell’uomo fino a quando non l’avesse raccolta. Be’, non esattamente, ma otteneva lo stesso risultato. Con lei Sorilea non si sarebbe spinta tanto lontano. Il pensiero la fece ridere. Dopotutto Sorilea non pensava davvero che fosse diventata Aiel; sapeva che Egwene era un’Aes Sedai, o meglio, lo credeva. No, non aveva motivo di preoccuparsi.

Con le mani appoggiate sulla fascia grigia ripiegata che usava per tenere fermi i capelli, si immobilizzò nel sentire un leggero rumore di passi nella camera da letto. Se Rand poteva saltare da Caemlyn a Cairhien, forse era apparso direttamente in quella stanza. O forse qualcuno — o qualcosa — lo aspettava. Abbracciò saidar e lavorò diversi flussi pericolosi, pronti all’uso. Dalla stanza uscì invece una donna gai’shain, con le braccia piene di lenzuola, che sobbalzò alla vista di Egwene, la quale rilasciò saidar sperando di non essere arrossita di nuovo.

Niella assomigliava talmente ad Aviendha da stupirla, a prima vista, nascosta sotto quel cappuccio bianco. Fino a quando non ci si rendeva conto di dover aggiungere sei o sette anni a un volto forse non altrettanto abbronzato e forse anche leggermente più paffuto. La sorella di Aviendha non era mai stata una Fanciulla della Lancia. Era una tessitrice e aveva appena superato sei mesi del suo anno e un giorno di servizio.

Egwene non la salutò: avrebbe solo imbarazzato Niella.

«Pensi che Rand tornerà presto?» chiese.

«Il Car’a’carn arriverà quando arriverà» rispose Niella, con gli occhi miti abbassati. Era una scena davvero insolita. Un volto simile a quello di Aviendha, anche se paffuto, non andava d’accordo con la remissività. «Siamo noi che dobbiamo essere pronte.»

«Niella, hai idea del perché Aviendha abbia bisogno di parlare da sola con Amys, Bair e Melaine?» Non aveva sicuramente a che fare con il camminare nei sogni. Sorilea aveva le stesse capacità di Aviendha, in quell’arte.

«È qui? No, non ne ho idea.» Ma Niella socchiuse gli occhi verdi mentre parlava.

«Sai qualcosa» insisté Egwene. Tanto valeva che approfittasse dell’obbedienza dei gai’shain. «Dimmi di cosa si tratta, Niella.»

«So che Aviendha mi spellerà fino al punto di non farmi più sedere se il Car’a’carn mi trova qui in piedi con le lenzuola sporche» rispose seria la ragazza. Egwene non sapeva se fosse coinvolto il ji’e’toh, ma quando erano insieme, Aviendha era doppiamente severa con la sorella rispetto a ogni altro gai’shain. Niella stava dirigendosi rapidamente verso la porta, ma Egwene l’afferrò per una manica. «Quando il termine del tuo servizio scadrà, ti toglierai il bianco di dosso?»

Non era una domanda appropriata e la remissività scomparve dal volto dell’altra donna, tramutandosi in un orgoglio degno di qualsiasi Fanciulla. «Fare qualcosa di diverso sarebbe una presa in giro del ji’e’toh» rispose rigida Niella. Di colpo sul viso le apparve un sorrisetto. «E poi mio marito mi verrebbe a cercare e non ne sarebbe contento.» Quindi assunse di nuovo la maschera servile e gli occhi bassi. «Posso andare adesso? Se Aviendha si trova qui, preferirei non incontrarla, e lei verrà in queste stanze.»

Egwene la lasciò andare. Non aveva comunque alcun diritto di fare domande. Parlare della vita di un gai’shain prima o dopo il bianco era una vergogna. Anche lei si sentiva vagamente imbarazzata, benché non seguisse il ji’e’toh. Solo abbastanza da essere educata.

Una volta sola, si accomodò su una sedia intagliata e dorata ma dalla linea severa, trovandola insolitamente scomoda dopo aver trascorso tanto tempo seduta in terra su un cuscino, a gambe incrociate. Assumendo la stessa posizione, si chiese di cosa stesse discutendo Aviendha con Amys e le altre due. Sicuramente parlavano di Rand. Dava sempre da pensare alle Sapienti. A loro non importava delle Profezie del Drago degli abitanti delle terre bagnate, ma conoscevano le Profezie del Rhuidean in tutti i loro segreti. Una volta che avesse distrutto gli Aiel, come era scritto nelle Profezie, i superstiti dei superstiti sarebbero stati salvati e le Sapienti stavano facendo in modo che fossero quanti più possibile.

Era il motivo per cui gli avevano messo addosso Aviendha. Troppo addosso, per un comportamento decente. Se fosse entrata nella camera da letto era sicura che avrebbe visto il pagliericcio di Aviendha sul pavimento. Ma gli Aiel vedevano le cose in maniera diversa. Volevano che la ragazza gli insegnasse le usanze aiel, per ricordargli che aveva sangue aiel anche se non era stato cresciuto fra loro. Le Sapienti pensavano di avere bisogno di ogni ora di veglia e, considerando cosa stavano affrontando, non poteva incolparle del tutto. Ma non era comunque decente far dormire una donna nella stessa stanza di un uomo.

Ora non poteva fare nulla per aiutare Aviendha con il suo problema, specialmente considerando che la donna non sembrava vederlo. Appoggiandosi su un gomito Egwene cercò di pensare a come avrebbe affrontato Rand. Quando lui arrivò, ancora pensava senza aver deciso nulla. Rand mormorò qualcosa a due Aiel nel corridoio prima di chiudere la porta.

Egwene scattò in piedi. «Rand, devi aiutarmi con le Sapienti, ti ascolteranno» esordì prima di riuscire a fermarsi. Ma non era quanto voleva dirgli.

«È bello vederti di nuovo» le rispose lui sorridendo. Dall’ultima volta che l’aveva incontrato aveva in mano il pezzo di lancia seanchan, con dei Draghi intagliati. Avrebbe tanto voluto sapere dove aveva trovato quell’oggetto; ogni manufatto di fabbricazione Seanchan le faceva accapponare la pelle. «Sto bene, grazie, grazie Egwene. E tu? Sembri di nuovo te stessa, piena di energia come sempre.» Rand pareva molto stanco. E duro, talmente duro da far sembrare strano il suo sorriso. Le pareva sempre più duro ogni volta che lo vedeva.

«Non credere di essere divertente» disse guardandolo in cagnesco. Era meglio che proseguisse, una volta iniziato a parlare. Meglio che farsi indietro per pensare e dargli altre opportunità di ridere. «Mi aiuterai?»

«Come?» Mettendosi a suo agio — be’, in fondo era la sua camera — lanciò lo scettro su un tavolino con le zampe scolpite a foggia di leopardo e si tolse il cinturone con la spada e la giubba. Adesso Rand non sudava più, proprio come gli Aiel. «Le Sapienti mi ascoltano, ma sentono solo ciò che vogliono. Adesso comincio a riconoscere le occhiate che mi lanciano quando decidono che dico cose insensate e, invece di mettermi in imbarazzo facendomelo notare, mi ignorano.» Prese una delle sedie dorate per sederle di fronte e vi si sistemò, allungando le gambe davanti a sé. Anche in quello aveva l’espressione arrogante. Troppa gente si inginocchiava al suo cospetto.

«A volte dici davvero delle cose insensate» mormorò lei. Per qualche motivo, non avere tempo per pensare l’aiutava a concentrarsi. Sistemandosi lo scialle con attenzione, si piazzò davanti a lui. «So che vorresti parlare di nuovo con Elayne.» Perché adesso era diventato triste e allo stesso tempo freddo come l’inverno? Forse proprio perché era da tanto che non aveva notizie di Elayne. «Dubito che Sheriam abbia riferito alle Sapienti la maggior parte dei messaggi di Elayne per te.» Per quanto ne sapeva, nessuno fino ad allora, ma era anche vero che Rand si era recato raramente a Cairhien per ricevere i messaggi. «Io sono quella di cui Elayne si fida per quel tipo di comunicazioni. Posso riferirtele, se convinci Amys che sono abbastanza forte da... ritornare ai miei studi.»

Avrebbe preferito non esitare: Rand ne sapeva già troppo del camminare nei sogni, anche se non lo chiamava tel’aran’rhiod. Quasi tatto riguardo al Mondo dei Sogni, nome a parte, era un segreto fra le Sapienti che potevano visitarlo. Lei non aveva il diritto di rivelare i loro segreti.

«Mi dirai dove si trova Elayne?» Pareva stesse chiedendo una tazza di tè.

Egwene esitò, ma l’accordo che c’era fra lei, Nynaeve ed Elayne — Luce, da quanto tempo lo avevano stretto? — valeva ancora. Adesso non era più il ragazzo con il quale era cresciuta. Era un uomo borioso e, qualunque fosse il tono di voce, quegli occhi sicuri sul suo viso richiedevano una risposta. Se fra le Aes Sedai e le Sapienti scaturivano scintille, fra le Aes Sedai e lui ci sarebbe stata un’esplosione. Doveva esserci qualcuno che facesse da tampone e il solo disponibile erano loro tre. Doveva essere fatto, ma Egwene sperava che non venissero colte in castagna. «Non posso dirtelo, Rand. Non ne ho alcun diritto. Non è un mio segreto.» Anche quella era la verità. Per quanto riguardava quell’argomento, non poteva dirgli dove si trovasse Salidar, oltre Altara, da qualche parte lungo il fiume Eldar.

Rand si protese in avanti con attenzione. «So che si trova con le Aes Sedai. Mi hai detto che quelle Aes Sedai sono dalla mia parte, o che potrebbero esserlo. Hanno paura di me? Se hanno paura giurerò di stare lontano da loro. Egwene, voglio consegnare il trono del Leone e quello del Sole a Elayne. Ha diritto a entrambi; Cairhien l’accetterà rapidamente come Andor. Ho bisogno di lei.»

Egwene aprì la bocca e si accorse che stava per rivelargli dell’esistenza di Salidar. La chiuse appena in tempo, con tale forza che le fecero male le mandibole, e si aprì a saidar. La dolce sensazione della vita, così forte da sopraffare tutto il resto, pareva essere d’aiuto. Il bisogno di parlare cominciò a diminuire.

Rand sospirò ed Egwene lo fissò con gli occhi sgranati. Un conto era sapere che fosse il ta’veren più forte dopo Artur Hawkwing, altro era rimanere intrappolata di persona. Tutto quello che poté fare fu evitare di tremare.

«Non me lo dirai» osservò Rand. Non era una domanda. Si sfregò le braccia, facendole ricordare che ancora abbracciava saidar; da così vicino lo percepiva come un prurito. «Pensi che voglia estorcerti la confidenza?» scattò lui, improvvisamente arrabbiato. «Sono diventato un tale mostro adesso che hai bisogno di usare il Potere per proteggerti da me?»

«Non ho bisogno di nulla per proteggermi da te» rispose Egwene con la massima calma che riuscì a trovare. Aveva ancora il voltastomaco. Davanti a lei c’erano Rand e un uomo che poteva incanalare. Una parte di lei voleva farfugliare e gemere. Se ne vergognava, ma ciò non rendeva le cose più facili. Rimpianse di dover rilasciare saidar, e lo fece con riluttanza. Ma non importava: se fosse giunta a quel punto, a meno che non fosse riuscita a schermare Rand in fretta, lui l’avrebbe maneggiata con grande facilità. «Rand, mi dispiace non poterti aiutare, ma proprio non posso. Però ti ho chiesto di aiutarmi. Sai che sarebbe come aiutare te stesso.»

La rabbia di Rand fu sopraffatta da un sorriso folle; era spaventoso vedere a quale velocità accadesse in lui. «Un cammello per cappello o un cappello per il cammello.»

‘Ma niente per niente’, aggiunse mentalmente Egwene. Aveva sentito quel proverbio dalla gente di Taren Ferry quando era bambina. «Per quanto mi riguarda puoi mettere il tuo cammello nel cappello e infilarteli tutti e due nei pantaloni, Rand al’Thor» rispose fredda. Riuscì a non sbattere la porta mentre usciva, ma vi andò molto vicina.

Mentre se ne andava si chiese cos’avrebbe fatto Rand. Doveva riuscire a convincere le Sapienti a lasciarla tornare nel tel’aran’rhiod, in modo legittimo. Prima o poi Rand avrebbe incontrato le Aes Sedai di Salidar e sarebbe stato di grande aiuto se avesse potuto parlare con Elayne o Nynaeve prima che succedesse. Era leggermente sorpresa che Salidar non l’avesse ancora avvicinato. Che cosa tratteneva Sheriam e le altre? Non poteva farci nulla, e loro probabilmente sapevano meglio di lei come agire.

Era in particolare impaziente di dire una cosa a Elayne. Rand aveva bisogno di lei. Pareva fosse la cosa più seria che avesse mai detto in vita sua. Questo avrebbe dovuto eliminare tutte le sue preoccupazioni sul fatto se la amasse o meno. Nessun uomo poteva dire di avere bisogno di una donna, a meno che non l’amasse.

Rand rimase a fissare la porta per alcuni momenti dopo che si chiuse alle spalle di Egwene. Era cambiata così tanto dalla ragazza che era cresciuta con lui. Con quegli abiti aiel somigliava parecchio alle Sapienti — tranne l’altezza; una Sapiente bassa, con grandi occhi scuri — ma faceva tutto con grande passione. Era rimasta fredda come una qualsiasi Aes Sedai, abbracciando saidar quando aveva pensato che Rand la minacciasse. Di quello avrebbe dovuto ricordarsene. Qualunque indumento indossasse, voleva essere Aes Sedai e aveva mantenuto i segreti delle Sorelle anche dopo aver saputo che Rand aveva bisogno di Elayne per garantire la pace in due nazioni. D’ora in poi avrebbe dovuto pensare a lei come a un’Aes Sedai. Era triste.

Benché stanco, si alzò e indossò di nuovo la giubba. Doveva ancora incontrare i nobili cairhienesi, Colavaere e Maringil, Dobraine e il resto. Poi i Tarenesi, Meilan, Aracome, che sarebbero andati in fibrillazione se avesse concesso ai Cairhienesi un momento in più del tempo che avrebbe concesso loro. Anche le Sapienti avrebbero voluto avere un incontro, e non aveva ancora visto Timolan e il resto dei capiclan. Perché aveva voluto lasciare Caemlyn? Be’, parlare con Herid era stato piacevole, gli argomenti che aveva sollevato o meno, ma era bello confrontarsi con qualcuno che non si ricordava mai che lui era il Drago Rinato. Ed era riuscito ad avere un po’ di tempo senza essere circondato da Aiel; lo avrebbe fatto più spesso. Vide la propria immagine riflessa in uno specchio con la cornice dorata. «Almeno non le hai fatto vedere che eri stanco» disse. Era stato uno dei suggerimenti più diretti di Moiraine. Non farti mai vedere stanco. Doveva solo abituarsi a pensare a Egwene come a una di loro.

Evidentemente a suo agio in uno dei giardini sotto le stanze di Rand al’Thor, Sulin conficcò un piccolo pugnale in terra; pareva divertirsi a giocare al tiro a segno. Il verso di un gufo delle rocce proveniente da una delle finestre la fece alzare imprecando, e la donna si infilò il pugnale dietro la cintura. Rand al’Thor aveva di nuovo lasciato la stanza. Controllarlo in questo modo non avrebbe funzionato. Se avesse avuto Enaila e Somara con sé, gliele avrebbe incollate alle costole. Di solito avrebbe provato a proteggerlo da quel tipo di insensatezze come avrebbe fatto con un fratello primo.

Avviandosi alla porta più vicina si unì ad altre tre Fanciulle — con lei non ne era venuta nessuna — e cominciò a cercare nel labirinto di corridoi facendo finta di vagare casualmente. Quale che fosse lo scopo del Car’a’carn, non doveva accadere nulla all’unico figlio di una Fanciulla che fosse mai tornato da loro.

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