38 Un freddo improvviso

Il sole rovente continuava a salire alle sue spalle e Mat era contento dell’ombra che il cappello a falde larghe gli proiettava sul viso. Quella foresta dell’Altara era brulla come in inverno e arida, con i pini, le eriche e gli altri sempreverdi che somigliavano a querce, larici e alberi della gomma spogli. Il pomeriggio era ancora lontano e, con esso, il caldo peggiore, ma la giornata era già come un forno. La giubba era appoggiata sulle bisacce da sella, eppure lui era madido di sudore. Gli zoccoli di Pips calpestavano le foglie morte e le felci che coprivano il sottobosco, mentre la Banda continuava a spostarsi rumorosamente nella foresta. Apparvero alcuni uccelli, lampi veloci fra i rami, e nemmeno uno scoiattolo. Era però pieno di mosche e di ‘mordimi’, come se si trovasse nella calura estiva invece che a meno di un mese dalla Festa delle Luci. Non era diverso da quanto aveva sperimentato sull’Erinin, ma a quella latitudine lo metteva a disagio. Che il mondo intero stesse davvero bruciando?

Aviendha camminava accanto a Pips con il fagotto dietro le spalle, senza preoccuparsi per gli alberi morenti o i morsi delle mosche e facendo molto meno rumore del cavallo, malgrado la gonna.

Controllava con attenzione la zona circostante come se non si fidasse dell’azione preventiva degli esploratori e fiancheggiatori della Banda per proteggersi da un’imboscata. Non aveva mai accettato un passaggio a cavallo, nemmeno una volta, cosa che Mat non si era comunque aspettato facesse, sapendo cosa pensavano gli Aiel a quel proposito, ma non aveva nemmeno causato problemi, se non si considerava provocatorio il fatto che affilasse il coltello ogni volta che si fermavano. C’era stato l’incidente con Olver. In sella all’alto castrone grigio che Mat gli aveva riportato tra i cavalli di riserva, il ragazzo le rivolgeva di continuo occhiate sospettose. La seconda sera aveva provato ad accoltellarla, gridando qualcosa sugli Aiel che avevano ucciso suo padre. Aviendha si era limitata a togliergli il pugnale, ma anche dopo che Mat gli ebbe dato uno schiaffo e cercato di spiegare la differenza fra Shaido e altri Aiel — qualcosa che a sua volta non era affatto sicuro di capire — Olver la guardava sempre male. Non gli piacevano gli Aiel. Aviendha invece sembrava a disagio con Olver, cosa che Mat non riusciva a capire.

Gli alberi erano abbastanza alti da consentire il passaggio d’aria fra le fronde diradate, ma la bandiera della Mano Rossa pendeva floscia, come anche le due che Mat aveva recuperato dopo che Rand li aveva fatti scivolare attraverso un passaggio per atterrare di notte su un prato: una bandiera del Drago, con la sagoma rossa e dorata nascosta fra le pieghe, e una di quelle che la Banda chiamava le bandiere di al’Thor, l’antico simbolo Aes Sedai, anch’esso nascosto, grazie al cielo. Un portabandiera brizzolato aveva quella della Mano Rossa, un tipo dagli occhi piccoli e con più cicatrici di Daerid, che insisteva nel voler portare lo stendardo per parte della marcia ogni giorno, cosa che pochi portabandiera facevano. Talmanes e Daerid avevano offerto degli uomini per le altre due bandiere, giovani sbarbati che si erano dimostrati abbastanza solidi per coprire delle piccole responsabilità.

Avevano trascorso tre giorni nell’Altara, tre giorni in una foresta senza incontrare un solo fautore del Drago — o chiunque altro — e Mat sperava di prolungare la loro solitudine, almeno per quel quarto giorno prima di raggiungere Salidar. A parte le Aes Sedai, c’era il problema di come evitare che Aviendha si scagliasse alla gola di Elayne. Non aveva dubbi sul motivo che la spingeva ad affilare il coltello: la lama brillava come una gemma. Temeva fortemente che avrebbe dovuto portare la Aiel a Caemlyn sotto scorta, con la maledetta erede al trono che avrebbe chiesto di impiccarla a ogni passo. Rand e le sue maledette donne! Per come la vedeva Mat, ogni evento che avesse rallentato la Banda e lo avesse trattenuto da quanto lo aspettava a Salidar, era il benvenuto. Fermarsi presto e partire tardi aiutava. Come anche il carro dei viveri che li seguiva, lentissimo, visto che si trovavano in una foresta. La Banda non poteva cavalcare più lentamente di così, ma Vanin era sicuro che presto avrebbero trovato qualcosa.

Come se il solo pensarne il nome lo avesse evocato, il grosso esploratore apparve fra gli alberi con quattro cavalieri. Era uscito prima dell’alba con sei uomini.

Mat sollevò il pugno per segnalare di fermarsi e fra la colonna si diffuse un mormorio. Il suo primo ordine quando avevano lasciato il passaggio era stato: «Niente tamburi, niente trombe, flauti o maledette canzoni.» E anche se all’inizio aveva scorto qualche muso lungo, dopo il primo giorno nella foresta, dove non era mai possibile vedere con chiarezza a più di cento passi di distanza e raramente più lontano, nessuno fece obiezioni.

Dopo aver appoggiato la lancia sulla sella, Mat attese fino a quando Vanin lo affiancò, toccandosi la fronte con le nocche in segno di saluto. «Le hai trovate?»

L’uomo accaldato si sporse da un lato della sella per sputare fra una fessura dei denti. Sudava tanto che sembrava si stesse squagliando. «Le ho trovate. Otto o dieci chilometri a est. Ci sono Custodi in quella parte della foresta. Ne ho visto uno prendere Mar; è uscito fuori dal nulla, avvolto in uno di quei mantelli, e lo ha buttato giù dalla sella. Lo ha ammaccato ma non l’ha ucciso. Suppongo che Ladwin non si sia fatto vivo per lo stesso motivo.»

«Quindi sanno che siamo qui.» Mat respirò pesantemente con il naso. Non si aspettava che i due uomini avrebbero nascosto qualcosa a dei Custodi, tantomeno alle Aes Sedai. Ma in fondo quelle donne prima o poi sarebbero venute a conoscenza della loro presenza. Lui avrebbe preferito che fosse successo il più tardi possibile. Colpì una mosca azzurra, ma quella volò via lasciandogli una macchia di sangue sul polso. «Quante?»

Vanin sputò di nuovo. «Più di quante mi fossi mai immaginato d’incontrare. Sono entrato nel villaggio a piedi e c’erano Aes Sedai ovunque. Forse due o trecento. O quattrocento. Non volevo farmi vedere a contarle.» Prima che il colpo avesse il tempo di assestarsi, l’uomo ne sferrò un altro. «Hanno anche un esercito. Accampato verso nord. Più uomini di quanti ne hai tu. Forse il doppio.»

Talmanes, Nalesean e Daerid si erano avvicinati proprio a quel punto della conversazione, sudando e schiacciando mosche e ‘mordimi’. «Avete sentito?» chiese Mat, e il gruppo annuì. La sua fortuna in battaglia era un conto, ma essere in minoranza, due contro uno, con centinaia di Aes Sedai incluse nel tutto, andava oltre ogni buona sorte. «Non siamo venuti qui per combattere» rammentò loro, anche se l’osservazione non lo fece sentire meglio. Ciò che contava era per quale motivo le Aes Sedai volessero quell’esercito.

«Preparate la Banda per un eventuale attacco» ordinò Mat. «Liberate più spazio possibile e usate travi per costruire delle barricate.» Talmanes fece una smorfia brutta quasi quanto quella di Nalesean. A loro piaceva stare in sella e muoversi quando combattevano. «Cercate di ragionare. Potrebbero esserci dei Custodi che ci osservano anche ora.» Fu sorpreso nel vedere Vanin annuire e lanciare un’occhiata allusiva alla loro destra. «Se ci vedono prepararci alla difesa, sarà chiaro che non intendiamo attaccare. Potrebbero decidere di lasciarci in pace e, se non lo facessero, se non altro saremo pronti.» Talmanes capì prima di Nalesean. Daerid era d’accordo fin dall’inizio.

Mentre giocava con la barba oleata, Nalesean mormorò: «Allora cosa intendi fare? Restartene qui ad aspettare?»

«È esattamente ciò che farai tu» rispose Mat. Che Rand sia folgorato, lui e il suo ‘forse cinquanta Aes Sedai’! Che siano folgorati lui e siate impuniti, intimoritele un po’ pensò. Aspettare lì fino a quando non fosse giunto qualcuno dal villaggio per chiedere chi fossero e cosa volessero sembrava un’idea molto buona. Nessun intervento del ta’veren, stavolta. Tutte le battaglie avrebbero dovuto cercarlo, certamente non vi sarebbe andato incontro di sua spontanea volontà.

«Si trovano da quella parte?» chiese Aviendha indicando. Senza attendere la risposta si piazzò il fagotto in spalla e cominciò ad avviarsi verso ovest.

Mat la seguì. Maledetti Aiel! Probabilmente l’avrebbe presa qualche Custode e si sarebbe ritrovato senza testa. O forse no. Data la natura dei Custodi, se Aviendha avesse provato a pugnalarli, forse le avrebbero fatto del male. Inoltre, se stava andando da Elayne per accapigliarsi su Rand, o peggio, accoltellarla... Aviendha era veloce, stava quasi correndo, era impaziente di raggiungere Salidar. Sangue e maledette ceneri!

«Talmanes, devi comandare il gruppo! Tornerò, ma tu non muoverti a meno che qualcuno non assalti la Banda. Questi quattro ti diranno cosa potresti trovarti ad affrontare. Vanin, tu vieni con me. Olver, rimani con Daerid nel caso abbia bisogno di inviare dei messaggi. Puoi insegnargli a giocare a serpenti e volpi» aggiunse sorridendo.

«Mi ha detto che gli piacerebbe imparare.» Daerid rimase a bocca aperta, ma Mat era già andato via. Sarebbe stato un bell’affare se si fosse ritrovato a Salidar con un Custode con la testa ammaccata. Come poteva fare per eliminare quella possibilità? Le bandiere attirarono la sua attenzione. «Resta qui» disse al portabandiera brizzolato. «Voi due, venite con me. E tenete quelle due cose ripiegate.»

Lo strano gruppetto raggiunse Aviendha rapidamente. Se c’era qualcosa che potesse convincere i Custodi a lasciarli passare incolumi, sarebbe stata un’occhiata al gruppo. Una donna con quattro uomini non rappresentava una minaccia, tanto più se non facevano alcuno sforzo per nascondersi e portavano due bandiere. Mat controllò il secondo capo squadriglia. Non c’era ancora un cenno di brezza, ma tenevano comunque le bandiere attaccate all’asta e avevano i volti tesi. Solo uno sciocco sarebbe voluto andare dalle Aes Sedai con quelle bandiere spiegate da un refolo improvviso.

Aviendha lo guardò in tralice, poi cercò di sfilargli il piede dalla staffa. «Fammi salire» ordinò brusca.

Perché, per la Luce, voleva cavalcare proprio adesso? Be’, non l’avrebbe lasciata arrampicarsi per conto suo, probabilmente disarcionandolo nel tentativo. Mat aveva visto gli Aiel salire a cavallo una volta o due.

Schiacciando un’altra mosca, si sporse in avanti e la prese per mano. «Tieniti forte» le disse, sollevandola e facendola accomodare alle sue spalle, sbuffando. Era alta quasi quanto lui e molto forte. «Mettimi un braccio attorno alla vita.» La donna lo guardò e si girò goffamente fino a quando non fu cavalcioni, con le gambe nude fin sopra al ginocchio, per niente preoccupata di quel fatto. Belle gambe, ma lui non si sarebbe impelagato con un’altra Aiel, anche se non fosse stata innamorata di Rand.

Dopo un breve periodo, la donna parlò. «Il ragazzo, Olver. Gli Shaido hanno ucciso suo padre?»

Mat annuì senza voltarsi. Sarebbe mai riuscito a vedere un Custode prima che fosse troppo tardi? Vanin faceva strada e cavalcava floscio come un sacco vuoto, alla sua maniera, ma aveva un occhio attento. «Sua madre è morta di fame?» chiese Aviendha.

«Di quello o di malattia.» I Custodi indossavano quei mantelli che si mimetizzavano su tutto. Sarebbe stato facile oltrepassarne uno senza vederlo. «Olver non è stato troppo chiaro e io non ho insistito. L’ha seppellita lui. Perché? Credi di dovergli qualcosa visto che sono stati gli Aiel a sterminare la sua famiglia?»

«Dovergli qualcosa?» Sembrava stupita. «Non li ho uccisi io, e anche se lo avessi fatto, erano assassini dell’albero. Come potrei avere un toh?» Rispose senza fare una pausa, quindi proseguì continuando sulla stessa linea. «Non ti prendi cura di lui come si deve, Mat Cauthon. Capisco che voi uomini non sapete nulla su come si crescono i bambini, ma lui è troppo piccolo per trascorrere tutto quel tempo con gli adulti.»

A quel punto Mat la guardò e batté le palpebre. Aveva tolto la fascia che aveva in testa e si stava facendo scorrere un pettine di pietra verde fra i capelli rosso scuro. La cosa sembrava prendere tutta la sua concentrazione. Quello, e lo sforzo di non cadere da cavallo. Portava una collana d’argento dalla lavorazione complessa e un grosso bracciale d’avorio intagliato.

Scuotendo il capo, Mat riprese a osservare la foresta. Aiel o no, erano tutte simili. Se il mondo stesse finendo, una donna vorrebbe comunque avere il tempo di sistemarsi i capelli. Se fosse la fine del mondo, una donna troverebbe il tempo di dire a un uomo che sta facendo qualcosa di sbagliato, pensò. Avrebbe riso, se non fosse stato impegnato a chiedersi se i Custodi li stavano spiando proprio in quel momento.

Il sole era giunto al suo picco e aveva anche cominciato a ridiscendere quando la foresta cessò d’improvviso.

Il villaggio era separato dalla foresta da meno di cento passi di radura, e sembrava che fosse stato ripulito di recente. Salidar era un centro di considerevoli dimensioni, composto da edifici di pietra grigia e strade piene di gente indaffarata. Mat si infilò la sua giubba della migliore lana verde, ricamata in oro sui polsini e sul colletto, abbastanza elegante per incontrare delle Aes Sedai. Però la lasciò sbottonata. Non sarebbe morto di caldo nemmeno per loro.

Nessuno cercò di bloccarlo mentre entrava nel villaggio, ma la gente si fermò per guardare lui e la strana compagnia. Sapevano. Tutti sapevano. Smise di contare le Aes Sedai dopo aver raggiunto cinquanta; ci era arrivato troppo in fretta per restare sereno. Fra la folla non aveva visto soldati, a meno che non considerasse i Custodi, alcuni con addosso quei mantelli cangianti, altri che toccavano le else delle spade mentre li oltrepassavano. Non c’erano soldati in città. Dovevano essere tutti nell’accampamento di cui gli aveva parlato Vanin. E questo significava che erano pronti per qualcosa. Mat sperava che Talmanes stesse seguendo le sue istruzioni. L’uomo aveva buon senso, ma a volte era impaziente quanto Nalesean di sfidare qualcuno. Mat avrebbe preferito lasciare anche Daerid al comando — Daerid aveva visto fin troppe battaglie per essere impaziente — ma i nobili non lo avrebbero mai accettato. A Salidar non sembrava vi fossero mosche. Forse sanno qualcosa che io ignoro, si disse Mat.

Una donna colse la sua attenzione; molto graziosa, con addosso abiti insoliti, i capelli biondo oro acconciati in un’elaborata treccia che le arrivava fino alla vita, e aveva anche un arco. Non erano molte le donne che lo adottavano come arma. Si accorse che lui la guardava e s’infilò in un vicolo. Qualcosa nell’aspetto della donna gli sfiorò la memoria, ma non avrebbe saputo dire di cosa si trattasse. Era uno dei tanti problemi con tutti quei ricordi; vedeva sempre persone che gli rammentavano qualcuno che poi, quando alla fine riusciva a capire, scopriva essere morto da migliaia di anni. Forse ne aveva davvero vista una che le somigliava, in passato. I buchi nella memoria erano nebulosi. Probabilmente era un’altra Cercatrice del Corno, pensò, togliendosela di mente.

Non aveva senso continuare ad addentrarsi nel villaggio fino a quando qualcuno non gli avesse parlato, anche perché sembrava che nessuno lo avrebbe fatto. Mat tirò le redini e annuì, rivolto a una donna magra con i capelli neri che lo stava guardando, fredda e interrogativa. Graziosa, ma troppo scarna per i suoi gusti, anche senza quel viso privo dei segni dell’età. Chi poteva avere voglia di essere pungolato da delle ossa ogni volta che abbracciava una donna? «Mi chiamo Mat Cauthon» disse atono. Se la donna si aspettava inchini e riverenze, tanto valeva che andasse via, ma inimicarsela sarebbe stato sciocco. «Sto cercando Elayne Trakand, Egwene al’Vere e anche Nynaeve al’Meara.» Rand non l’aveva menzionata, ma lui sapeva che era partita insieme a Elayne.

L’Aes Sedai batté le palpebre sorpresa, ma la serenità le tornò in volto in un istante. Studiò lui e poi gli altri due, si soffermò su Aviendha, quindi guardò il capo squadriglia così a lungo che Mat si chiese se riuscisse a vedere il Drago e il disco bianco e nero attraverso il tessuto ripiegato delle bandiere. «Seguitemi» rispose alla fine. «Controllerò se l’Amyrlin Seat può ricevervi.» Quindi alzò leggermente la gonna e si incamminò lungo la strada.

Mentre Mat spronava Pips per seguirla, Vanin lo attese con il suo cavallo e mormorò: «Chiedere una qualsiasi cosa alle Aes Sedai non è mai una buona idea. Avrei potuto mostrarti io dove andare.» Detto questo fece un cenno del capo indicando un palazzo di pietra a tre piani. «La chiamano la Piccola Torre.»

Mat sollevò le spalle. La Piccola Torre? E c’era pure una donna che chiamavano Amyrlin Seat? Dubitava che quella particolare donna avesse incontrato Elaida. Rand aveva avuto di nuovo torto. Quel gruppo non era affatto spaventato. Erano troppo esaltate per avere paura.

L’Aes Sedai magra si fermò perentoria davanti al cubo di pietra. «Aspettate qui» disse, quindi svanì all’interno.

Aviendha smontò da cavallo e Mat la imitò, pronto ad afferrarla se avesse cercato di allontanarsi. Anche se gli fosse costato un po’ di sangue, non le avrebbe permesso di correre via per avventarsi contro la gola di Elayne ancor prima che lui avesse l’opportunità di parlare con quella cosiddetta Amyrlin. La donna invece rimase lì in piedi, con lo sguardo fisso, le mani giunte davanti alla vita e lo scialle adagiato morbidamente sui gomiti. Sembrava del tutto a suo agio, ma Mat pensava che potesse anche essere in preda al terrore. Se aveva del buon senso, di sicuro lo era. Adesso attorno a loro si era raccolta una folla.

Le Aes Sedai avevano cominciato a radunarsi, chiudendosi davanti alla facciata della Piccola Torre mentre li osservavano in silenzio. L’arco di donne aumentava di dimensione man mano che si prolungava l’attesa. Per la verità sembrava che studiassero Aviendha quanto lui, e Mat percepiva tutta la freddezza di quegli sguardi illeggibili. Si trattenne a stento dal toccare il medaglione d’argento con la testa di volpe che pendeva sotto la camicia.

Un’Aes Sedai dal volto liscio si fece largo tra la folla guidando una giovane ragazza snella vestita di bianco e con dei grandi occhi. Mat ricordava vagamente Anaiya, ma la donna non sembrava interessata a lui. «Ne sei sicura, bambina?» chiese l’Aes Sedai alla novizia.

Le labbra della donna si tesero leggermente, ma dalla voce non trapelò irritazione. «Sembra ancora circondato da un bagliore, brilla. Lo vedo davvero, ma non so perché.»

Anaiya le rivolse un sorriso deliziato. «Lui è un ta’veren, Nicola. Hai scoperto il tuo primo Talento. Puoi vedere i ta’veren. Adesso torna alle tue lezioni. Veloce, se non vuoi rimanere indietro.» Nicola fece la riverenza e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo a Mat, se ne andò attraversando il circolo di Aes Sedai.

A quel punto Anaiya spostò la sua attenzione su di lui, uno di quegli sguardi da Aes Sedai che servivano a mettere gli uomini a disagio. Era ovvio che qualche Sorella fosse al corrente di lui — qualcuna sapeva molto più di quanto Mat desiderasse e, a pensarci bene, gli sembrava di ricordare che Anaiya fosse una di queste — ma sentirlo annunciare in quel modo, davanti alla Luce sola sapeva quante donne con quei freddi occhi da Aes Sedai... Mat accarezzò la parte incisa della sua lancia. Testa di volpe o no, ce n’erano troppe che avrebbero potuto mettergli le mani addosso e portarlo via. Maledette Aes Sedai! Maledetto Rand! pensò.

L’interesse di Anaiya rimase fisso su di lui solo per un istante. Avvicinandosi ad Aviendha, la donna disse: «Come ti chiami, bambina?» Il tono di voce era piacevole, ma la donna si aspettava una risposta e senza indugi.

La Aiel la guardò determinata, sfruttando al massimo la sua altezza superiore. «Mi chiamo Aviendha, delle Nove Valli, setta degli Aiel Taardad.» La bocca di Anaiya assunse quasi un sorriso misto a diffidenza.

Mat si chiese chi avrebbe vinto quello scontro di sguardi, ma prima che riuscisse a scommettere con se stesso, un’altra Aes Sedai si unì a loro, una donna dal volto spigoloso che sembrava vecchia malgrado l’assenza dei segni dell’età e i capelli castani e luminosi. «Sai di poter incanalare, bambina?»

«Sì» rispose secca Aviendha, chiudendo la bocca di scatto come se non intendesse aggiungere altro. Si concentrò nell’aggiustare lo scialle, ma ormai aveva già rivelato abbastanza. Le Aes Sedai si riunirono intorno a lei, allontanando Mat.

«Quanti anni hai, bambina?»

«Hai già sviluppato un potenziale elevato, ma come novizia potresti imparare molto.»

«Sai se le ragazze aiel muoiono di una malattia che le consuma quando hanno qualche anno meno di te?»

«Da quanto tempo hai...»

«Potresti...»

«Dovresti davvero...»

«Devi...»

Nynaeve apparve sulla soglia improvvisamente, tanto che sembrò saltare fuori dall’aria. Fissò Mat con le mani sui fianchi. «Che cosa ci fai qui, Matrim Cauthon? Come hai fatto ad arrivare fin qui? Suppongo sia troppo sperare che tu non abbia nulla a che fare con quest’esercito di fautori del Drago che sta per calare su di noi.»

«In effetti,» rispose Mat acido «ne sono al comando.»

«Tu!» Nynaeve rimase impalata a bocca spalancata, quindi si riscosse, sistemandosi l’abito di seta blu come se fosse stato in disordine. Aveva la scollatura più profonda che Mat le avesse mai visto, abbastanza da mostrare una porzione di seno e ricamata con dei motivi a spirale di colore giallo.

Decisamente diversa dalla donna che si ricordava ai tempi di casa. «Be’, vieni con me» disse secca Nynaeve. «Ti accompagno dall’Amyrlin.»

«Mat Cauthon» chiamò Aviendha, leggermente ansiosa. Stava guardando oltre le Aes Sedai per cercarlo. «Mat Cauthon.» Solo il suo nome, ma provenendo da un’Aiel, sembrava un richiamo frenetico.

Le Aes Sedai che la circondavano proseguirono, con le voci calme, ragionevoli e inesorabili.

«Per te la cosa migliore da fare sarebbe...»

«Dovresti considerare...»

«Molto meglio se...»

«Non puoi nemmeno pensare di...»

Mat sorrise. La donna avrebbe potuto estrarre il pugnale in ogni momento, ma tra quella folla dubitava che le sarebbe servito a qualcosa. Non sarebbe andata a caccia di Elayne nei prossimi minuti, quello era certo. Chiedendosi se al suo ritorno l’avrebbe trovata con un abito bianco, passò la lancia a Vanin. «Fai strada, Nynaeve. Andiamo a vedere questa tua Amyrlin.»

La donna gli rivolse un’occhiataccia e lo guidò all’interno tirandosi la treccia e mormorando, solo in parte a se stessa: «Quella è opera di Rand al’Thor, vero? So che in qualche modo è coinvolto. Spaventare tutti in questo modo. Tu stai attento a come ti muovi, ‘lord Generale Cauthon’, o giuro che ti farò desiderare che di averti di nuovo scoperto a rubare i mirtilli. Spaventare le persone! Anche un uomo dovrebbe avere maggior buon senso! Smettila di sorridere, Mat Cauthon. Non so cosa deciderà l’Amyrlin riguardo a tutto ciò.»

Sedute davanti ai tavoli all’interno dell’edificio c’erano delle Aes Sedai — a lui sembrava una sala comune, anche con quelle donne che scrivevano e davano ordini — ma le donne gli lanciarono appena un’occhiata mentre lui e Nynaeve attraversavano la stanza. Serviva solo a dimostrare quale comportamento insolito avessero in quel posto. Un’Ammessa che camminava a grandi passi borbottando e nessuna di quelle Aes Sedai che dicesse una parola. Mat era rimasto nella Torre per un breve periodo, ma sapeva che quello non era un comportamento tipico da Aes Sedai.

Nel retro della stanza, Nynaeve aprì una porta che aveva visto giorni migliori. In quel posto tutto sembrava aver visto giorni migliori. Mat la seguì all’interno e... si fermò di colpo. C’era Elayne, bella come sempre con i suoi capelli color oro, solo che giocava alla gran dama dandosi quelle sue arie, con addosso un abito di seta verde a collo alto e uno di quei sorrisi accondiscendenti. Aveva sollevato un sopracciglio. Poi vide Egwene, seduta dietro un tavolo con un sorriso interrogativo e una stola con sette strisce colorate sul vestito giallo chiaro. Dopo aver lanciato un’occhiata all’esterno sbatté la porta prima che una qualsiasi delle Aes Sedai potesse guardare dentro.

«Forse pensi che sia divertente,» gridò Mat, superando la breve distanza che li separava «ma se lo scoprono ti spelleranno. Non ti lasceranno mai andare, maledizione, nessuna di voi, se loro...» Strappò via la stola dalle spalle di Egwene e la fece alzare di corsa da quella sedia ma... Il medaglione d’argento con la testa di volpe divenne freddo.

Mat spinse Egwene lontana dal tavolo e lanciò loro un’occhiataccia. Egwene sembrava solo confusa, ma Nynaeve era rimasta a bocca spalancata e i grandi occhi di Elayne sembravano pronti a saltare fuori dalle orbite e cadere in terra. Una di loro aveva provato a usare il Potere su di lui. La sola cosa buona che avesse ottenuto da quel viaggio nel ter’angreal era il medaglione con la testa di volpe. Supponeva che anche quello dovesse essere un ter’angreal, ma ne era comunque felice. Fino a quando fosse rimasto in contatto con la pelle, l’Unico Potere non avrebbe potuto raggiungerlo. Se non altro, non saldar; ne aveva più prove di quante ne volesse. Quando qualcuno provava a incanalare contro di lui, il medaglione diventava freddo.

Mat lanciò la stola e il suo cappello sul tavolo, quindi si sedette e si rialzò dalla sedia per rimuovere diversi cuscini lanciandoli a terra. Appoggiò un piede sul tavolo e guardò le donne. «Avrete bisogno di quei cuscini se la cosiddetta Amyrlin scoprirà il vostro scherzetto.»

«Mat» disse Egwene con voce ferma, ma lui la interruppe.

«No! Se volevi parlare, avresti dovuto farlo invece che scagliarmi contro il maledetto Potere. Adesso puoi solo ascoltare.» «Come hai fatto?» chiese Elayne meravigliata. «I flussi sono... svaniti.»

Quasi nello stesso istante, Nynaeve disse con voce minatoria: «Mat Cauthon, stai commettendo il più grande...»

«Vi ho detto di ascoltare!» esclamò Mat puntando un dito contro Elayne. «A te, ti riporto a Caemlyn, se riesco a evitare che Aviendha ti uccida. Se non vuoi che quella tua bella gola venga squarciata, restami vicino e fai ciò che ti dico senza domande!» Il dito passò quindi su Egwene. «Rand ha detto che può rimandarti dalle Sapienti quando vuoi e se ciò che ho visto finora è un segno di quanto stai combinando, il mio consiglio è di approfittarne subito! Sembra che tu sappia come viaggiare,» Egwene sussultò a quell’osservazione «quindi puoi aprire un passaggio su Caemlyn per la Banda. Non voglio discussioni, Egwene! E nemmeno da te, Nynaeve! Pensavo di lasciarti qui, ma se vuoi venire con noi, puoi farlo; però ti avviso, tira quella treccia contro di me solo una volta e giuro che ti sculaccio!»

Le ragazze lo fissavano come se gli fossero spuntate le corna, proprio come a un Trolloc, ma almeno stavano zitte. Forse era riuscito a mettere un po’ di buon senso in quelle zucche. Non che lo avrebbero mai ringraziato per essere state salvate. Oh, no. Non loro. Come sempre gli avrebbero detto che con un po’ più di tempo avrebbero trovato una soluzione da sole. Se una donna era in grado di dirti che stavi interferendo con i suoi affari mentre cercavi di salvarla da una prigione sotterranea, cosa sarebbe riuscita a tirare fuori in altre situazioni?

Mat sospirò. «Adesso, quando quella povera cieca che hanno scelto come Amyrlin arriverà, lasciatemi parlare. Non dev’essere molto intelligente, altrimenti non sarebbero mai riuscite ad assegnarle questa posizione. Amyrlin Seat in un maledetto villaggio nel mezzo del maledetto nulla. Tenete le bocche chiuse e fate la riverenza al meglio delle vostre capacità. Ci penserò io a togliervi di nuovo le castagne dal fuoco.» Le donne lo fissavano. Bene. «So tutto sull’esercito, ma anche io ne ho uno. Se la donna è pazza al punto tale da credere di riuscire a riprendere la Torre a Elaida... Be’, probabilmente non rischierà perdite inutili per trattenervi qui. Tu, Egwene, creerai un passaggio e io vi porterò a Caemlyn entro domani o al massimo in due giorni. Per quanto mi riguarda, quelle pazze possono pure correre in giro e farsi ammazzare da Elaida. Forse avrete compagnia. Non possono essere tutte pazze. Rand è disposto a offrire l’immunità. Un inchino, un giuramento veloce di fedeltà e lui farà in modo che Elaida non vi impali le teste per metterle in mostra a Tar Valon. Non possono chiedere di meglio. Be’? Non avete nulla da dire?» Le donne non battevano nemmeno ciglio, per quanto lui riuscisse a vedere. «Un semplice ‘Grazie, Mat’ può andare bene.» Nemmeno una parola. Nemmeno un piccolo cenno.

Dopo una timida bussata di porta, nella stanza entrò una novizia, un ragazza graziosa con gli occhi verdi che fece una profonda riverenza, sempre con gli occhi sgranati pieni di riverenza. «Mi hanno inviata per controllare se hai bisogno di qualcosa, Madre. Voglio dire, per il... generale. Vino, o... o...»

«No, Tabitha.» Egwene raccolse la stola a strisce da sotto il cappello di Mat e se la mise sulle spalle. «Voglio parlare con il ‘generale’ Cauthon da sola ancora un istante. Riferisci a Sheriam che presto la manderò a chiamare, per consultarmi con lei.»

«Chiudi la bocca prima di prendere qualche mosca, Mat» osservò Nynaeve con un tono di voce che esprimeva la più profonda soddisfazione.

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