Rand pensava che quella notte avrebbe dormito bene. Era talmente stanco da dimenticare quasi il tocco di Alanna e, più importante, Aviendha era rimasta nelle tende con le Sapienti, non stava svestendosi per andare a letto senza alcun riguardo per la sua presenza e non disturbava il suo riposo con il rumore del proprio respiro. Qualcos’altro però lo rese irrequieto. Sogni. Li schermava sempre, per tenere lontani i Reietti — e le Sapienti — ma gli scudi non potevano escludere quanto era già dentro al sogno. Giunsero sogni di enormi cose bianche come immense ali di uccello che volavano in cielo, grandi città con edifici impossibilmente alti che risplendevano al sole con delle sagome simili a quelle di scarafaggi, e gocce d’acqua appiattite che sfrecciavano lungo le strade. Aveva già visto tutto ciò, dentro l’enorme ter’angreal nel Rhuidean, quando aveva ottenuto i draghi sulle braccia, e sapeva che erano immagini dell’Epoca Leggendaria, ma stavolta era tutto diverso. Tutto appariva distorto, i colori erano... sbagliati, come se qualcosa non funzionasse nella sua vista. Le creature a forma d’ali vacillarono e caddero, ciascuna portando alla morte centinaia di persone. Gli edifici crollarono in frantumi come se fossero di vetro, le città sprofondarono e la terra si sollevò come un mare di pietre in tempesta. Di volta in volta si trovava di fronte una bellissima donna bionda e vedeva su quel bel viso l’amore trasformarsi in terrore. Una parte di lui sapeva di chi si trattasse. Una parte di lui voleva salvarla, dal Tenebroso, da ogni male, da quanto lui stesso stava per fare. Così tante parti di se stesso, la mente ridotta in mille frammenti e tutti che gridavano.
Si svegliò al buio, sudato e scosso. I sogni di Lews Therin. Non era mai accaduto prima, non aveva mai sognato i sogni dell’uomo. Rimase sdraiato in attesa dell’alba fissando il vuoto, spaventato di chiudere gli occhi. Si aggrappò a saidin come se potesse usarlo per combattere l’uomo morto, ma Lews Therin rimase in silenzio.
Quando dalla finestra si intravide una luce chiara, un gai’shain s’infilò silenzioso nella stanza con un vassoio coperto da un panno. Vedendo che Rand era sveglio e non parlava, si inchinò e andò via molto quieto. Con il Potere che lo colmava Rand sentì l’odore del vino speziato e del pane caldo con burro e miele e della farinata d’avena calda che gli Aiel mangiavano al mattino, come se il naso fosse appoggiato sul vassoio. Rilasciò la Fonte e si vestì, stringendosi in vita il cinturone della spada. Non toccò il panno che copriva il vassoio: non aveva voglia di mangiare. Con lo scettro del Drago sottobraccio, lasciò la camera da lètto.
Le Fanciulle erano nel corridoio con Sulin, Urien e gli Scudi Rossi, ma non da sole. La gente affollava il passaggio stringendosi spalla a spalla dietro al cordone di guardie. Qualcuno lo aveva anche superato. Aviendha stava in piedi fra una delegazione di Sapienti composta da Amys, Bair, Melaine, Sorilea e Chaelin, una Miagoma della setta Acque Fumose, con un tocco di grigio fra i capelli rossi, e Edarra, una Shiande Neder che non pareva più grande di Rand, anche se la donna mostrava già una calma imperturbabile nei suoi occhi azzurri e aveva una postura eretta che eguagliava quella delle altre. Anche Berelain era con loro, ma non Rhuarc o chiunque altro dei capiclan. Rand aveva già detto quanto doveva dire, e gli Aiel non trascinavano a lungo le discussioni. Ma perché c’erano anche le Sapienti? O Berelain? Il vestito verde e bianco che la donna indossava quella mattina mostrava una porzione generosa di pallido seno.
Poi c’erano i Cairhienesi, dietro il cerchio di Aiel. Colavaere, bellissima anche se di mezza età, capelli scuri acconciali in un’elaborata torre di ricci e delle strisce di colore orizzontali che scendevano sulla gonna partendo dal colletto fino a sotto le ginocchia, più numerose di quelle sfoggiate da tutti gli altri presenti. Dobraine dal viso squadrato e solido, con la parte frontale del cranio rasata alla moda dei soldati e la giubba consumata dalle cinghie del pettorale. Maringil, dritto come una lama, con i capelli bianchi che sfioravano le spalle; non si era rasato il cranio e la giubba era di seta nera, con le strisce che arrivavano quasi fino alle ginocchia come quelle di Dobraine, consona per un ballo. Altre venti persone erano ammucchiate alle spalle di Dobraine, per lo più ragazzi e ragazze, alcuni dei quali avevano le righe colorate orizzontali, fino alla vita. «La grazia favorisca il Lord Drago» mormorarono, inchinandosi con la mano sul cuore o facendo la riverenza, o «La grazia ci onora con la presenza del Drago.»
Anche i Tarenesi avevano il loro contingente, sommi signori e signore senza nobili di casate minori, con cappelli di velluto a punta e giubbe di seta con le maniche a sbuffo, o maniche con le strisce di raso, gonne dai colori brillanti con ampi collarini di merletto e cuffiette di perle o gemme, e lo accolsero con frasi come: «La Luce illumini il lord Drago.» Meilan era davanti a tutti, magro, duro e inespressivo, con la barba grigia a punta. Vicino a lui c’era Fionnda, la cui bellezza non era sminuita dall’espressione severa o dagli occhi impassibili, mentre i sorrisi affettati riducevano il fascino di Anaiyella. Non c’era sorriso sul volto di Maraconn, che aveva gli occhi azzurri, una rarità per i Tarenesi, o su quello del calvo Gueyam, o di Aracome, che pareva ancor più magro vicino al grosso Gueyam. Loro — e Meilan — erano stati molto legati a Hearne e Simaan. Rand non aveva parlato di questi due il giorno precedente, o del loro tradimento, ma era sicuro che lì la notizia si fosse diffusa, e altrettanto certo che il suo silenzio avesse assunto significati diversi a seconda della mente di ogni uomo. Si erano abituati a certi comportamenti da quando erano arrivati a Cairhien e adesso osservavano Rand come se avrebbe potuto estrarre gli ordini d’arresto da un istante all’altro.
Per la verità quasi tutti guardavano qualcun altro. Molti osservavano nervosi gli Aiel, nascondendo più o meno con successo la loro rabbia. Altri guardavano Berelain con quasi altrettanta attenzione; Rand fu sorpreso di vedere che anche gli uomini, persino tra i Tarenesi, avevano più preoccupazione che lascivia dipinti in volto. Molti ovviamente guardavano lui; era chi era e quel che era. Lo sguardo freddo di Colavaere passava da lui ad Aviendha, e a quel punto si accendeva. Fra le due c’era cattivo sangue, anche se la Aiel pareva averlo scordato. Ma Colavaere non avrebbe dimenticato le percosse ricevute da Aviendha dopo essere stata scoperta nella camera di Rand e non le avrebbe perdonato il fatto che adesso tutti lo sapevano. Meilan e Maringil manifestavano la consapevolezza delle reciproche presenze evitando di guardarsi. Entrambe volevano il trono di Cairhien ed entrambe pensavano che l’altra fosse la maggior rivale. Dobraine guardava Meilan e Maringil, ma nessuno ne sapeva il motivo. Melaine studiava Rand mentre Sorilea studiava lei e Aviendha fissava il suolo. Una giovane donna con gli occhi grandi che stava fra i Cairhienesi aveva i capelli sciolti e tagliati all’altezza delle spalle invece che acconciati nella torre di ricci, e sul vestito da cavallo scuro con solo sei strisce colorate portava la spada. Molti dei presenti non si prendevano il disturbo di nascondere le risate quando la guardavano; la ragazza non pareva prestarvi attenzione, spostava lo sguardo fra le Fanciulle, piena di ammirazione, e Rand, piena di paura. Lui se la ricordava. Selande, una delle tante belle ragazze che Colavaere pensava avrebbero legato il Drago Rinato ai suoi schemi, fino a quando Rand non l’aveva convinta che non avrebbe funzionato. Sfortunatamente con l’aiuto non richiesto di Aviendha. Sperava che Colavaere lo temesse abbastanza da dimenticare la vendetta contro Aviendha, ma avrebbe voluto anche far capire a Selande che non aveva nulla da temere. Non puoi accontentare tutti, gli aveva detto Moiraine. Non puoi mettere tutti a proprio agio. Una donna dura.
Gli Aiel, infine, guardavano tutti tranne le Sapienti. E Berelain, per motivi poco chiari. Scrutavano sempre gli abitanti delle terre bagnate con sospetto, ma la donna pareva quasi fosse una Sapiente, ai loro occhi.
«Voi mi onorate.» Rand sperava di non avere un tono troppo arido. Di nuovo una parata. Si chiese d’ove fosse Egwene. Probabilmente stava oziando a letto. Considerò rapidamente l’idea di trovarla e fare un ultimo sforzo per... No, se non voleva dirglielo, non aveva idea di come indurla a farlo. Era un peccato che essere ta’veren non funzionasse quando gli serviva. «Purtroppo stamane non posso parlare con voi. Sto tornando a Caemlyn.» Adesso era Andor il suo problema più urgente. Andor e Sammael.
«I tuoi ordini sono stati eseguiti, mio lord Drago» disse Berelain. «Stamattina, come puoi testimoniare.»
«I miei ordini?»
«Mangin» rispose Berelain. «Gli è stato ordinato stamattina.» La maggior parte delle Sapienti adesso era priva di espressione, ma Bair e Sorilea avevano dipinta in volto aperta disapprovazione. Sorprendentemente, diretta a Berelain.
«Non intendo essere al corrente di ogni assassino che viene impiccato» rispose Rand con freddezza. Per la verità se l’era dimenticato, o meglio, lo aveva rimosso. L’impiccagione di un uomo che gli piaceva non era qualcosa che volesse ricordare. Rhuarc e gli altri capi non vi avevano nemmeno accennato quando aveva parlato con loro. Facendolo, avrebbe reso speciale quell’esecuzione. Gli Aiel dovevano seguire la legge come tutti gli altri; Cairhienesi e Tarenesi dovevano vederlo e sapere che se non dimostrava favoritismi con gli Aiel, sicuramente non lo avrebbe quello fatto con loro. Usi tutti e tutto, si disse disgustato. Se non altro sperava che fosse un suo pensiero. E poi non voleva vedere nessuna impiccagione, tantomeno quella di Mangin.
Meilan appariva pensierosa, e sulla fronte di Aracome scivolò il sudore, ma forse era colpa del caldo. Colavaere, dal viso ormai pallido, pareva cominciasse a vederlo solo adesso per la prima volta. Berelain scambiò un’occhiata addolorata con Bair e Sorilea, che annuì; le avevano forse già detto che avrebbe risposto a quel modo? Non pareva possibile. La reazione degli altri variava dalla sorpresa alla soddisfazione, ma notò in particolare Selande. Con gli occhi sgranati, aveva dimenticato le Fanciulle; se prima aveva guardato Rand piena di paura, adesso era terrorizzata. Be’, pazienza.
«Andrò a Caemlyn immediatamente» disse Rand. Un rumore sommesso si diffuse fra Cairhienesi e Tarenesi, molto simile a un insieme di sospiri di sollievo.
Non fu una sorpresa quando lo accompagnarono tutti fino alla stanza riservata per i suoi viaggi. A parte Berelain, le Fanciulle e gli Scudi Rossi tennero indietro gli abitanti delle terre bagnate; agli Aiel non piaceva che i Cairhienesi gli si avvicinassero e Rand fu contento che quel giorno trattassero allo stesso modo anche i Tarenesi. Gli sguardi torvi erano molti, ma nessuno diceva nulla; non a lui. Nemmeno Berelain, che si trovava indietro con le Sapienti e Aviendha. Parlavano con calma e a volte ridevano sommessamente. Questo fatto gli fece rizzare i capelli dietro la nuca. Berelain e Aviendha che parlavano. E ridevano?
Una volta davanti alla porta squadrata della ‘stanza da viaggio’, Rand guardò con attenzione sopra la testa di Berelain mentre gli rivolgeva un profondo inchino. «Mi prenderò cura di Cairhien senza paure e favoritismi fino al tuo ritorno, mio lord Drago.» Forse, malgrado Mangin, era davvero venuta solo per pronunciare quella frase ed essere certa che i nobili la sentissero. In cambio ottenne un sorriso indulgente da Sorilea. Doveva scoprire cosa stesse succedendo; non avrebbe lasciato che le Sapienti interferissero con Berelain. Il resto delle Sapienti aveva preso da parte Aviendha; a quanto pareva le parlavano a turno, con fermezza, ma Rand non riusciva a capire di cosa. «La prossima volta che vedrai Perrin Aybara,» aggiunse Berelain «porgigli i miei sentiti saluti. Anche a Mat Cauthon.»
«Aspetteremo con impazienza il ritorno del lord Drago» mentì Colavaere, mantenendo un’espressione neutrale.
Meilan la guardò, furiosa per non essere riuscita a parlare per prima, e fece un discorso fiorito, non dicendo molto più di quanto avesse fatto Colavaere, e Maringil naturalmente dovette eguagliarne il discorso. Fionnda e Anaiyella si spinsero ancora oltre, aggiungendo così tanti complimenti che Rand guardò Aviendha preoccupato, ma le Sapienti ancora la tenevano occupata. Dobraine si limitò a un semplice: «Fino al ritorno del lord Drago» mentre Maraconn, Gueyam e Aracome mormorarono qualcosa di indistinto con espressione guardinga.
Fu un sollievo entrare nella stanza, lontano da tutti. La sorpresa giunse quando Melaine lo seguì all’interno, insieme ad Aviendha. Rand sollevò un sopracciglio con fare interrogativo.
«Devo consultarmi con Bael su affari delle Sapienti» gli disse Melaine con voce seccata, quindi Rand lanciò un’occhiata severa ad Aviendha, che aveva un’espressione innocente, e capì che stava nascondendo qualcosa. Aviendha poteva sembrare molte cose con la massima naturalezza, ma mai innocente; mai così innocente.
«Come desideri» disse infine Rand. Sospettava che le Sapienti avessero cercato uno spunto per mandarla a Caemlyn. Chi poteva essere più adatta della moglie di Bael per accertarsi che Rand non lo influenzasse? Come Rhuarc, l’uomo aveva due mogli, cosa che Mat sosteneva potesse essere sia un sogno che un incubo.
Aviendha guardò da vicino mentre Rand apriva il passaggio verso Caemlyn, nella grande sala. Lo faceva sempre, anche se non poteva vedere i flussi. Una volta aveva aperto anche lei un passaggio, ma era accaduto in un raro momento di panico e non era mai stata capace di ricordare come avesse fatto. Adesso la lama di luce rotante le fece ricordare cosa era successo quel giorno nel passato; le guance arrossirono e improvvisamente rifiutò di guardarlo. Rand, saturo di Potere, ne percepiva il profumo, odore di sapone alle erbe, un aroma dolce che non ricordava avesse mai usato prima. Per una volta fu davvero impaziente di liberarsi di saidin ed entrò per primo nella sala vuota del trono. A quel punto sembrò che Alanna gli esplodesse in testa la presenza della donna era palpabile proprio come se l’avesse avuta di fronte. Sembrava avesse pianto. Forse perché lui era andato via? Be’, che piangesse pure. Doveva trovare il modo di liberarsi di lei.
Il suo avviarsi per primo non fu gradito alle Fanciulle o agli Scudi Rossi. Urien sbuffò e scosse il capo in segno di disapprovazione. Sulin si alzò in punta dei piedi per mettersi faccia a faccia con Rand. «Il grande e potente Car’a’carn ha incaricato le Far Dareis Mai di portare il suo onore» sibilò sommessamente. «Se il potente Car’a’carn dovesse morire in un’imboscata mentre le Fanciulle lo proteggono, alle Far Dareis Mai non rimarrebbe onore. Se al grande conquistatore Car’a’carn non importa, forse Enaila ha ragione. Forse l’onnipotente Car’a’carn è un ragazzino testardo che dev’essere preso per mano, per evitare che cada dalla scogliera poiché non guarda dove mette i piedi.»
Rand serrò i denti. In privato li digrignava e sopportava per il debito che aveva con le Fanciulle, ma nemmeno Enaila o Somara lo avevano mai attaccato in pubblico. Melaine era già a metà strada lungo il corridoio, stava quasi correndo e teneva sollevata la gonna. Era evidentemente ansiosa di ristabilire l’influenza delle Sapienti su Bael. Rand non sapeva se Urien avesse sentito il commento di Sulin, ma l’uomo pareva molto concentrato nell’inviare i suoi Aethan Dor velati fra le colonne assieme alle Fanciulle, qualcosa per cui non avevano affatto bisogno di direttive. Aviendha invece, in piedi a braccia conserte, aveva un’espressione fra il severo e il soddisfatto che non lasciava alcun dubbio.
«Ieri è andato tutto molto bene» disse Rand a Sulin con fermezza. «Da adesso in poi penso che basteranno due sole guardie del corpo.» La donna quasi strabuzzò gli occhi. Non pareva trovare fiato a sufficienza per respirare.
Adesso che aveva preso, era tempo di dare, prima che la donna esplodesse come un fuoco d’artificio degli Illuminatori. «Quando esco da palazzo è diverso. Le guardie che mi hai assegnato in quel caso servono, ma qui, o nel palazzo del Sole o alla Pietra di Tear, due sono sufficienti.» Si voltò mentre la donna ancora muoveva la bocca.
Aviendha lo seguì e camminò attorno al palco sul quale si trovava il trono, dirigendosi verso la piccola porta dietro di esso. Rand era andato lì invece che direttamente nelle sue stanze perché sperava di poterla seminare. Anche senza l’aiuto di saidin sentiva il suo profumo nell’aria, o forse era un ricordo. In ogni caso, avrebbe preferito avere il naso otturato dal raffreddore; gli piaceva molto quel profumo.
Aviendha fissava dritta davanti a sé stringendo lo scialle come se fosse preoccupata e non notò che Rand le teneva la porta aperta, cosa che di solito la faceva leggermente adirare. A volte ne scaturiva una battuta acida con la quale chiedeva a Rand quale delle due braccia si fosse rotta, secondo lui. Quando lui le domandò cosa c’era che non andava, Aviendha sobbalzò. «Nulla. Sulin aveva ragione. Ma...» Di colpo sorrise con riluttanza. «Hai visto la sua faccia? Nessuno l’ha mai messa al posto suo da quando... mai. Nemmeno Rhuarc ha mai ottenuto quel risultato.»
«Sono leggermente sorpreso di vedere che sei dalla mia parte.»
Aviendha lo fissò con i grandi occhi chiari. Rand avrebbe potuto trascorrere l’intera giornata a decidere se fossero verdi o azzurri. No. Non ne aveva il diritto. Ciò che era accaduto dopo che Aviendha aveva creato il passaggio — per fuggire da lui — non faceva differenza. Lui non aveva alcun diritto di pensare certe cose.
«Mi preoccupi molto, Rand al’Thor» rispose la ragazza senza alcuna rabbia. «Luce, a volte penso che il Creatore ti abbia generato solo per farmi preoccupare.»
Voleva risponderle che era tutta colpa sua — le aveva offerto più di una volta di ritornare dalle Sapienti, anche se avrebbe solo significato avere qualcun’altra al suo posto — ma prima che potesse aprire bocca, Jalani e Liah li raggiunsero, seguite quasi immediatamente da due Scudi Rossi, uno con i capelli grigi e una quantità di cicatrici tre volte superiore a quelle di Liah. Rand indirizzò Jalani e l’uomo sfregiato nella stanza del trono, il che scatenò quasi un putiferio. Non da parte dello Scudo Rosso, che si limitò a guardare il compagno, sollevò le spalle e se ne andò, ma di Jalani, che si ribellò.
Rand indicò la porta che conduceva alla grande sala. «Il Car’a’carn si aspetta che le Far Dareis Mai vadano dove ordina.»
«Forse sei un re fra gli abitanti delle terre bagnate, Rand al’Thor, ma non fra gli Aiel.» La dignità di Jalani era leggermente disturbata da una vaga astiosità, che gli rammentò di quanto fosse giovane. «Le Fanciulle non ti deluderanno mai quando giungerà il momento di danzare le lance, ma questa non è la danza.» In ogni caso andò via, dopo un rapido scambio di battute con Liah usando il linguaggio delle mani.
Insieme a quest’ultima e all’altro Scudo Rosso, un uomo magro e biondo di nome Cassin, più alto di Rand, il Drago si diresse in fretta verso la sua stanza, attraversando tutto il palazzo. Ovviamente con Aviendha. Se pensava che quella gonna ingombrante l’avrebbe fatta rimanere indietro, si sbagliava. Liah e Cassin rimasero nel corridoio fuori dalla sala delle udienze, una camera larga con dei fregi di marmo che rappresentavano leoni a ridosso del soffitto e gli arazzi con scene di caccia o montagne nebbiose, ma Aviendha lo seguì all’interno.
«Non dovresti essere con Melaine?» le chiese. «Affari delle Sapienti e tutto il resto?»
«No» rispose brusca la ragazza. «Melaine non sarebbe contenta se in questo momento interferissi con lei.»
Luce, non doveva gioire per il fatto che Aviendha non sarebbe andata via.
Lanciò lo scettro del Drago sul tavolo con le zampe dorate e intagliate con motivi di viticci e slegò il cinturone, aggiungendolo al resto. «Amys e le altre ti hanno detto dove si trova Elayne?»
Per un lungo istante, Aviendha rimase in piedi in mezzo al corridoio coperto di mattonelle blu e lo guardò totalmente inespressiva. «Non lo sanno» rispose alla fine. «L’ho chiesto.» Rand l’aveva previsto. Non lo faceva da mesi, ma prima di recarsi a Caemlyn con lui per la prima volta, una parola su due era servito a rammentargli che apparteneva a Elayne. Secondo il modo di vedere di Aviendha era così, e la giovane Aiel aveva anche chiarito che quanto era accaduto fra loro oltre il passaggio non alterava la situazione e non si sarebbe ripetuto. Un altro punto che aveva chiarito bene. Proprio come voleva lui; si sentiva peggio di un maiale all’idea di provare rimpianto. Ignorando tutte le belle sedie dorate, Aviendha si accomodò a gambe incrociate sul pavimento, sistemandosi la gonna con grazia. «Però hanno parlato di te.»
«Perché non mi sorprende?» le rispose lui asciutto e, con sua sorpresa, l’Aiel arrossì. Aviendha non era il tipo da arrossire e quella era già la seconda volta.
«Hanno condiviso dei sogni e alcuni riguardavano te.» Pareva avesse la gola secca fino a quando si fermò per schiarirsi la voce, quindi lo fissò con espressione ferma e determinata. «Melaine e Bair ti hanno sognato su una nave,» raccontò, e quella parola era ancora difficile per lei, anche dopo tutti i mesi trascorsi con gli abitanti delle terre bagnate «con tre donne dal viso non distinguibile e una scala di corda che ondeggiava da una parte all’altra. Melaine e Amys hanno sognato un uomo in piedi al tuo fianco che ti appoggiava una spada contro la gola, ma tu non potevi vederlo. Bair e Amys ti hanno sognato mentre con la spada tagliavi in due gli abitanti delle terre bagnate.» Per un istante gli occhi di Aviendha guizzarono colmi di disgusto verso il fodero dell’arma appoggiata sopra lo scettro del Drago. Disgustata e leggermente colpevole. Gliela aveva regalata lei. Quella era stata la spada di re Laman; l’aveva avvolta con cura in una coperta per poter dire di non avere, di fatto, mai toccato una spada. «Non possono interpretare i sogni, ma hanno pensato che dovevi essere informato.»
Il primo sogno era oscuro per lui quanto per le Sapienti, ma il secondo pareva chiaro. Un tizio che lui non poteva vedere, con una spada in mano: doveva trattarsi di un Uomo Grigio, creature che avevano regalato l’anima all’Ombra — non l’avevano impegnata, l’avevano letteralmente ceduta —, potevano passare inosservate anche se una persona avesse guardato proprio nella loro direzione e avevano come unico proposito l’assassinio. Perché le Sapienti non avevano compreso una verità tanto ovvia? E Rand temeva che purtroppo anche il resto fosse abbastanza chiaro. Stava già tagliando in due le terre bagnate. Tarabon e l’Arad Doman erano in rovina, le ribellioni a Tear e Cairhien avrebbero potuto diventare furtive da un istante all’altro ben più di chiacchiere e Illian avrebbe sicuramente sentito il peso della sua spada. Il tutto in aggiunta al Profeta e ai fautori del Drago, ad Altara e nel Murandy.
«Nel secondo sogno non vedo alcun mistero, Aviendha.» Ma dopo che lui si fu spiegato la donna lo guardò dubbiosa. Ma certo. Se una Sapiente camminatrice dei sogni non era in grado di interpretarne uno, non avrebbe potuto farlo nessun essere vivente. Rand sbuffò annoiato e si accasciò su una sedia per starle di fronte. «Che cos’altro hanno sognato?»
«Te ne posso raccontare un altro, anche se non ti riguarda.» Questo significava che ce ne erano altri che non gli avrebbe raccontato, e così Rand si chiese perché le Sapienti li avessero discussi con lei, visto che non era una camminatrice dei sogni. «Un sogno che hanno fatto tutte e tre, cosa che lo rende particolarmente significativo. Pioggia,» anche quella era una parola goffa nella sua bocca «che proveniva da una scodella. Hanno anche visto trappole e trabocchetti attorno a quella scodella. Se la raccoglie la mano giusta, forse troveranno un tesoro immenso. Se dovesse cadere nelle mani sbagliate, il mondo sarà condannato. La chiave per il ritrovamento della scodella è trovare colui che non è più.»
«Non è più cosa?» Quel sogno pareva decisamente più importante degli altri. «Intendi dire qualcuno che è morto?»
I capelli rosso scuro di Aviendha le ondeggiarono sopra le spalle mentre scuoteva il capo. «Non ne sanno più di quanto ti ho raccontato.» Con sua sorpresa la Aiel si alzò, aggiustandosi automaticamente il vestito come facevano sempre le donne.
«Devi...» Rand tossì. Devi andare via? stava per dire. Luce, voleva che andasse via. Ogni minuto vicino a lei era una tortura. Ma in fondo lo era anche ogni minuto senza di lei. Be’, poteva fare ciò che era giusto, il meglio per sé e per lei. «Vuoi tornare dalle Sapienti, Aviendha? Per riprendere i tuoi studi? Ormai per te non c’è alcun motivo di rimanere. Mi hai insegnato molto, tanto che adesso potrei essere un Aiel.»
Lo sbuffo di Aviendha fu molto eloquente, ma naturalmente la ragazza non si limitò a quello. «Ne sai meno di un bambino di sei anni. Perché un uomo dà ascolto alla madre seconda prima di sentire la propria e una donna al padre secondo prima di quello naturale? Quando una donna può sposare un uomo senza preparare la corona di fiori nuziale? Quand’è che una padrona di casa deve obbedire a un fabbro? Se catturi un’argentiera come gai’shain, perché devi lasciarla lavorare ogni giorno per sé oltre a quelli che lavorerà per te? Perché lo stesso non vale per una tessitrice?» Rand pensò alle possibili risposte, ammettendo quasi di non conoscerle, ma Aviendha si mise a giocare con lo scialle come se si fosse dimenticata di lui. «A volte il ji’e’toh si presta a scherzi fantastici. Riderei a crepapelle, se non ne fossi alla base.» La voce le si ridusse a un sussurro. «Rispetterò il mio toh.»
Rand pensava che stesse parlando di se stessa, ma le rispose. Con cautela. «Se ti riferisci a Lanfear, non sono stato io a salvarti. Ma Moiraine. È morta per salvarci entrambi.» La spada di Laman l’aveva liberata del solo toh che avesse nei suoi confronti, anche se Rand non aveva mai capito quale fosse. Il solo obbligo che Aviendha conosceva. Pregava che non scoprisse mai l’altro; l’avrebbe visto come un toh anche se per lui era tutt’altro.
Aviendha lo guardò, con il capo reclinato e un sorrisetto sulle labbra Aveva recuperato il controllo tanto da rendere fiera Sorilea. «Grazie, Rand al’Thor. Bair dice che è un bene ricordare di tanto in tanto che un uomo non sa tutto. Accertati di farmi sapere quando andrai a dormire. Non voglio arrivare in ritardo e svegliarti.»
Rand rimase seduto a fissare la porta dopo che lei se ne fu andata. Un Cairhienese che giocava il Gioco delle Casate era più facile da capire di qualsiasi donna che non facesse alcuno sforzo per essere enigmatica. Sospettava che i sentimenti che provava per Aviendha, quali che fossero, complicassero maggiormente la situazione. Ciò che amo, distruggo, rise Lews Therin. Ciò che distruggo, lo amo.
Silenzio! pensò Rand furioso, e la risata sommessa scomparve. Non sapeva chi amasse, ma sapeva chi avrebbe salvato. Da qualunque cosa potesse, ma prima di tutto da se stesso.
Una volta nel corridoio, Aviendha si appoggiò alla porta, inspirando a fondo per calmarsi. Voleva calmarsi. Il cuore ancora cercava di saltarle fuori dalla cassa toracica. Essere vicina a Rand al’Thor era come stare distesa sui carboni ardenti, stirata fino al punto di pensare che le ossa si sarebbero separate fra loro. La faceva vergognare a un punto che non avrebbe mai immaginato di raggiungere. Gli aveva raccontato una fandonia incredibile, e una parte di lei voleva ridere. Aveva un toh nei suoi confronti, ma uno maggiore nei confronti di Elayne. Tutto ciò che Rand aveva fatto era stato salvarle la vita. Lanfear l’avrebbe uccisa senza di lui. Lanfear voleva uccidere proprio lei, per quanto fosse doloroso ammetterlo. Lanfear sapeva. In confronto a quello che aveva con Elayne, il suo toh con Rand era una tana di termiti accanto alla Dorsale del Mondo.
Cassin — il taglio della giubba le diceva che era Goshien come anche Aethan Dor, ma non riconosceva la setta — la guardò dal punto in cui era accovacciato con la lancia sulle ginocchia; lui naturalmente non sapeva nulla. Ma Liah le sorrise, troppo incoraggiante per essere una donna che non sapeva, troppo consapevole. Aviendha fu sorpresa di se stessa quando si scoprì a pensare che i Chareen — lo vedeva dalla giubba di Liah — si comportavano come gatti curiosi; non aveva mai pensato a nessuna Fanciulla come altro che una Far Dareis Mai. Rand al’Thor le aveva scombussolato il cervello.
Le mani scattarono furiose. Perché sorridi, ragazza? Non hai niente di meglio da fare?
Liah sollevò leggermente le sopracciglia e il sorriso divenne divertito. Le mani si mossero in risposta. Perché mi chiami ragazza, ragazza? Non sei ancora una Sapiente, ma nemmeno una Fanciulla. Penso che ci metterai l’anima nel preparare la corona di fiori nuziale per un uomo.
Aviendha fece un passo in avanti totalmente infuriata — c’erano pochi insulti peggiori di quello, fra le Far Dareis Mai — quindi si fermò. Se avesse indossato il cadin’sor non pensava che Liah avrebbe potuto eguagliarla, ma con quella gonna sarebbe stata sconfitta. Peggio, Liah probabilmente avrebbe rifiutato di farla gai’shain; poteva, se fosse stata attaccata da una donna che non era Fanciulla e nemmeno Sapiente, e avrebbe potuto anche chiedere il diritto di picchiare Aviendha davanti a ogni Taardad che potesse essere trovato. Una vergogna minore del rifiuto, ma solo di poco. Cosa ancor peggiore, che avesse vinto o perduto, Melaine avrebbe sicuramente scelto un metodo per ricordarle che si era lasciata la lancia alle spalle, e le avrebbe fatto desiderare che Liah l’avesse bastonata dieci volte, davanti a tutti i clan. Nelle mani di una Sapiente, la vergogna era più affilata di una lama per lo scalpo. Liah non mosse un muscolo: sapeva bene come stessero le cose.
«Adesso vi guardate in cagnesco» disse oziosamente Cassin. «Un giorno dovrò imparare quel vostro linguaggio delle mani.»
Liah lo guardò torva e rise soave. «Sarai carino con la gonna, Scudo Rosso, il giorno che verrai a chiedere di diventare una Fanciulla.»
Aviendha sospirò sollevata nel vedere che l’attenzione di Liah si era spostata altrove; in quelle circostanze non avrebbe potuto distogliere lo sguardo per prima e mantenere l’onore. Mosse le mani in segno di riconoscimento, la prima ‘frase’ che una Fanciulla imparava, visto che all’inizio si trovava a usarla spesso. Ho un toh.
Liah fece un cenno di risposta senza fare pause. Molto piccolo, sorella di lancia.
Aviendha sorrise, grata per l’esclusione del mignolo flesso. Sarebbe stata una presa in giro, veniva usato con le donne che rinunciavano alla lancia e poi cercavano di comportarsi come se non lo avessero fatto.
Il domestico di un abitante delle terre bagnate corse nel corridoio. Tenendo lontana dal viso l’espressione di disgusto che provava nei confronti delle persone che passavano la vita a servire gli altri, Aviendha si incamminò nella direzione opposta, per non dover incrociare quel tizio. Uccidere Rand al’Thor avrebbe assolto un toh, suicidarsi avrebbe assolto al secondo toh, ma ciascun toh impediva di assolvere l’altro. Qualsiasi cosa sostenessero le Sapienti, doveva trovare il modo di soddisfare entrambi i toh.