14 Sogni e incubi

Alla vista di Nynaeve ed Elayne, Egwene non uscì dal sogno; balzò. Non tornò indietro, nel corpo addormentato a Cairhien — la notte era ancora troppo giovane — ma in una vasta oscurità piena di luci splendenti, molto più numerose delle stelle nel cielo più sgombro, ognuna luminosa e netta, fino a dove riusciva a vedere. Incorporea, fluttuò nell’infinità fra il tel’aran’rhiod e il mondo reale, lo stretto spazio fra sogno e realtà.

Se avesse avuto un cuore in quel luogo, avrebbe battuto come un tamburo impazzito. Non credeva l’avessero vista, ma cosa ci facevano nella Torre, per la Luce, in una zona priva del minimo interesse? Durante quelle escursioni notturne evitava con cura lo studio dell’Amyrlin, le stanze delle novizie e anche quelle delle Ammesse. Anche se Nynaeve o Elayne non erano in uno di questi posti, c’era sempre qualcun’altra. Avrebbe potuto avvicinare le amiche — loro sapevano come mantenere un segreto — ma qualcosa le aveva detto di evitare. Aveva sognato di farlo e pareva sempre un incubo. Non del tipo che la faceva svegliare in un bagno di sudore gelato, ma uno di quelli che la facevano agitare furiosamente. Quelle altre donne. Le Aes Sedai di Salidar sapevano che delle estranee vagavano nella Torre del Mondo dei Sogni? Almeno, estranee per lei. Se non lo sapevano, non aveva modo di avvisarle. Non c’era un sistema che potesse usare. Era tutto così frustrante!

Il vasto oceano scintillante le turbinò intorno: sembrava in movimento mentre lei restava immobile. Come un pesce a proprio agio nell’acqua, nuotava sicura, senza dover davvero prestare attenzione, proprio come i pesci. Quelle luci lampeggianti erano sogni, i sogni di tutte le persone che popolavano il mondo, tutti i mondi. Luoghi che non erano il posto che conosceva, mondi totalmente differenti. La prima che ne aveva accennato l’esistenza era stata Verin Sedai, le Sapienti le avevano confermato che era esatto e lei per prima aveva visto di sfuggita cose insolite, alle quali semplicemente non poteva credere, nemmeno in un sogno. Non incubi — quelli erano sempre intrisi di rosso, blu o un grigio caliginoso come le ombre profonde — ma pieni di cose impossibili. Era più ragionevole evitarli; chiaramente lei non apparteneva a quel mondo. Scrutare in quel tipo di sogni era come trovarsi a un tratto circondata da specchi rotti: tutto roteava e non aveva modo di distinguere l’alto dal basso. Le facevano venire voglia di rigettare e, anche se in quella dimensione non aveva lo stomaco, avrebbe sempre potuto farlo quando fosse tornata nel mondo reale. Svegliarsi vomitando non era una bella esperienza.

Aveva imparato diverse cose simili a quella da sola, aggiunte a quanto le Sapienti le avevano insegnato, e si era anche spinta dove le Sapienti le avevano vietato di recarsi. Eppure... Non aveva dubbi che ne avrebbe saputo di più, molto di più, se avesse avuto una camminatrice dei sogni a vegliare su di lei. Dicendole che una cosa era ancora troppo pericolosa e un’altra vietata, certo, ma anche suggerendo cosa provare. Ben oltre le nozioni semplici, facili da indovinare — be’, non proprio facili, non lo erano mai — aveva raggiunto un punto in cui poteva ragionare da sola su cosa fare, ma erano comunque tutti passi che le Sapienti camminatrici dei sogni avevano intrapreso molto tempo prima. Le cose che impiegava un mese a imparare da sola gliele avrebbero potute insegnare in una notte, in un’ora. Quando avessero deciso che era pronta. Mai prima di allora. Le urtava i nervi, quando tutto ciò che voleva era imparare. Imparare tutto. Subito.

Ogni luce pareva identica alle altre, ma qualcuna aveva imparato a riconoscerla. Come facesse di preciso non lo sapeva, e la cosa la infastidiva infinitamente. Nemmeno le Sapienti sapevano spiegarlo. Eppure, una volta capito che un certo sogno apparteneva a una persona specifica, lo avrebbe trovato sempre, come una freccia scagliata contro un bersaglio, anche se sì fosse trovata dall’altro lato del mondo. La luce che vedeva adesso era Berelain, la Prima di Mayene, la donna che Rand aveva messo in carica a Cairhien. Osservare i sogni di Berelain metteva Egwene a disagio. Di solito non erano diversi da quelli delle altre donne — di ogni donna interessata al potere, alla politica e all’ultima moda come lei — ma a volte Berelain sognava gli uomini, anche alcuni che Egwene conosceva, in un modo che la faceva arrossire al solo pensiero.

Il bagliore offuscato invece era Rand, con i sogni protetti da uno schermo intessuto con saidin. Fu tentata di fermarsi — si innervosiva quando qualcosa che non poteva vedere o percepire la chiudeva fuori come un muro di pietra — ma poi decise di proseguire. Un’altra notte di futilità non era una prospettiva attraente.

Quel posto deformava le distanze come il tel’aran’rhiod deformava il tempo. Rand doveva dormire a Caemlyn, a meno che non fosse andato a spasso a Tear, una cosa che avrebbe voluto imparare a fare anche lei, ma non lontano dai suoi sogni Egwene vide un’altra luce che aveva riconosciuto. Bair, a Cairhien, a centinaia di chilometri da Rand; ovunque si trovasse l’amico, sapeva per certo che non era a Cairhien quella sera. Come era possibile?

Il campo di luci sfilò mentre Egwene sfrecciava lontana dal sogno della Sapiente. Se avesse visto anche quelli di Amys e Melaine forse non sarebbe fuggita, ma se le altre due camminatrici dei sogni non erano addormentate e sognanti, forse stavano visitando i sogni. Una di loro avrebbe potuto trovarsi nello stesso suo posto, pronta a precipitarsi su di lei e trascinarla fuori dal sogno o, peggio ancora, Egwene avrebbe potuto essere risucchiata nel sogno della Sapiente. Dubitava di essere capace di fermarle, non ancora. Sarebbe stata alla merce dell’altra donna, solo un personaggio del suo sogno. Mantenere salda la presa su se stessi nel sogno di qualcun altro era già difficile quando il sognatore era una persona ordinaria, senza la minima idea di quanto stesse succedendo, anche se non lo era più di lasciare il sogno prima che l’altro smettesse di sognare. Cosa che probabilmente non avrebbero fatto prima di svegliarsi con la prigioniera presente nel sogno. Con una camminatrice dei sogni, consapevole dei propri sogni come del mondo reale, era impossibile. E quella sarebbe stata la parte migliore dell’incontro.

Le venne in mente che si stava comportando da sciocca. Fuggire era inutile. Se Amys o Melaine l’avevano vista, ormai si sarebbe trovata in un altro posto. Forse stava correndo proprio incontro a loro. Le luci che le sfrecciavano accanto non rallentarono, si bloccarono all’improvviso. In quel posto funzionava così.

Contrariata, si chiese cosa fare. Oltre a imparare da sola le possibilità del tel’aran’rhiod, lo scopo principale dell’evasione era di racimolare degli stralci di eventi del mondo reale. A volte le pareva che le Sapienti non le avrebbero detto dove sorgeva il sole se non l’avesse visto da sola. Le ripetevano sempre di non agitarsi. Ma come poteva evitarlo, quando si arrovellava su ciò che non sapeva? Era quello il motivo della sua presenza nella Torre Bianca; cercare di trovare delle tracce sulle intenzioni di Elaida. E di Alviarin. E poche tracce erano tutto ciò che era riuscita a trovare. Odiava non sapere. L’ignoranza era come diventare improvvisamente sordi e ciechi.

Be’, adesso aveva eliminato tutta la Torre dalla sua lista; aveva dovuto farlo, visto che non poteva più essere certa di quale parte fosse sicura. Il resto di Tar Valon l’aveva già eliminato dopo aver quasi incontrato per la quarta volta una donna dalla pelle ramata, che nell’ultima occasione aveva annuito soddisfatta guardando una stalla appena dipinta d’azzurro. Chiunque fosse, non si era sognata solo per un istante nel tel’aran’rhiod; non era svanita come accadeva ai sognatori occasionali, e appariva nebulosa. Ovviamente usava un ter’angreal, il che significava quasi sicuramente che era un’Aes Sedai. Egwene era a conoscenza di un solo ter’angreal che permettesse l’accesso nel Mondo dei Sogni senza bisogno di incanalare, e lo avevano Nynaeve ed Elayne. La donna snella però non doveva essere Aes Sedai da molto. Bella — con addosso un abito scandalosamente sottile — pareva avere gli stessi anni di Nynaeve, ma non era priva dei segni dell’età.

Egwene avrebbe potuto tentare di seguirla — dopo tutto poteva appartenere all’Ajah Nera; avevano rubato un ter’angreal per sognare — ma il rischio di essere scoperta o anche catturata, e il fatto che non poteva rivelare a nessuno quanto avesse scoperto, non fino a quando avrebbe potuto parlare di nuovo con Nynaeve ed Elayne, a meno che non scoprisse qualcosa di talmente atroce da decidere del destino di tutto... In fondo l’Ajah Nera era un affare delle Aes Sedai; per ragioni ben diverse da quelle comuni, non poteva certo dirlo a una qualsiasi. Non aveva alcuna scelta.

Con fare assente studiò la luce che le era più vicina in quell’oscurità. Erano tutte totalmente immobili attorno a lei, stelle luminose gelate in un limpido ghiaccio nero.

Di recente c’erano troppe sconosciute nel Mondo dei Sogni per farla stare tranquilla. Due, ma erano due di troppo. La donna dalla pelle ramata e l’altra, una robusta donna graziosa che si muoveva con passi decisi, occhi azzurri e volto determinato. La donna determinata, così la pensava Egwene, doveva essere in grado di accedere nel tel’aran’rhiod da sola — pareva solida, non nebulosa — e, chiunque fosse, qualunque fosse il motivo della sua presenza in quel posto, si trovava nella Torre più spesso di Nynaeve, Elayne, Sheriam o tutte le altre messe assieme. Pareva apparire ovunque. Oltre che nella Torre, aveva quasi sorpreso Egwene nel suo ultimo viaggio a Tear. Ovviamente non durante una delle notti degli incontri; la donna se ne andava in giro nel Cuore della Pietra borbottando infuriata. E si era trovata a Caemlyn durante gli ultimi due viaggi di Egwene.

Le possibilità che quella donna appartenesse all’Ajah Nera erano le stesse che per l’altra donna, ma in fondo, entrambe potevano trovarsi a Salidar, anche se Egwene non le aveva mai viste assieme, o con chiunque altra delle Ribelli. In realtà avrebbero potuto anche appartenere alla Torre. Le divisioni erano tali che una parte avrebbe potuto spiare l’altra e prima o poi le Aes Sedai della Torre avrebbero scoperto del tel’aran’rhiod, se non lo avevano già fatto. Le due estranee non rappresentavano altro che domande senza risposte. La sola cosa che veniva in mente a Egwene era di evitarle.

Era pur vero che di recente cercava di evitare tutte le frequentatrici del Mondo dei Sogni. Ormai si guardava sempre alle spalle, pensava che qualcuno potesse coglierla di sorpresa, che potesse vederla. Credeva di aver scorto Rand per un istante, Perrin e, con la coda dell’occhio, anche Lan. Si trattava sicuramente d’immaginazione, o forse lei aveva sfiorato i loro sogni per caso, ma in ogni caso l’avevano resa nervosa come un gatto in un cortile pieno di cani.

Aggrottò le sopracciglia — o lo avrebbe fatto se avesse avuto un volto. Una di quelle luci pareva... non familiare, non la riconosceva. Ma sembrava che... l’attirasse. Ovunque spostasse lo sguardo, ritornava sempre su quel punto luminoso.

Forse poteva tentare di nuovo di trovare Salidar. Questo significava aspettare che Nynaeve ed Elayne lasciassero il tel’aran’rhiod — avrebbe riconosciuto subito i loro sogni; il suo corpo addormentato ridacchiò al pensiero — e in passato, i numerosi tentativi di localizzare Salidar in quel modo le avevano dato gli stessi risultati di quando provava a superare la protezione dei sogni di Rand. Le distanze e le posizioni in quel luogo non erano correlate a nulla nel mondo reale. Amys le aveva spiegato che nel Mondo dei Sogni le due dimensioni non esistevano. Ma in fondo equivaleva a...

Improvvisamente la luce che attirava il suo sguardo iniziò ad andarle incontro, gonfiandosi fino a quando da stella lontana si trasformò in una luna piena. In Egwene si accese la scintilla della paura. Toccare un sogno e guardarvi dentro era facile — un dito sulla superficie dell’acqua, un tocco tanto leggero che il dito restava bagnato anche se la superficie non ne veniva turbata — ma tutto avrebbe dovuto muoversi secondo la sua volontà. Una camminatrice dei sogni cercava il sogno, non il contrario. Tentò di mandarlo via con la forza di volontà, voleva che il paesaggio stellato si muovesse, ma era una sola la luce che avanzava, espandendosi fino a colmarle la visione con un forte bagliore bianco.

Cercò di farsi indietro, in preda al panico. Luce bianca. Nient’altro che una luce bianca che l’assorbiva...

Batté le palpebre, guardandosi attorno stupita. Era circondata da una foresta di colonne bianche. Molte parevano confuse, indistinte, specialmente quelle lontane, ma una sagoma netta e reale era Gawyn, che le corse incontro sul pavimento bianco con addosso una giubba verde e sul viso ansia e sollievo. Il volto era quasi quello di Gawyn, comunque. Forse Gawyn non era bello come il fratellastro Galad, ma era comunque affascinante, quel volto però pareva... ordinario. Egwene cercò di muoversi senza riuscirvi in nessun modo. Dava le spalle a una colonna e delle catene le tenevano i polsi saldamente legati sopra la testa.

Doveva essere il sogno di Gawyn. Fra tutte quelle innumerevoli stelle, si era fermata proprio vicino a questa. E qualcosa l’aveva attirata all’interno. Adesso voleva capire perché lui sognava di tenerla prigioniera. Con fermezza, si focalizzò sulla verità. Quello era il sogno di qualcun altro. Era se stessa, non qualsiasi cosa lui voleva che fosse. Non accettò nessuna realtà. Nulla in quel luogo toccava le sue verità. Verità che ripeteva mentalmente come una cantilena. Faceva sembrare tutto il resto difficile, ma fino a quando fosse rimasta consapevole, poteva rischiare di trattenersi. Se non altro abbastanza a lungo da scoprire quali stranezze avesse per la testa quell’uomo. Tenerla prigioniera!

Di colpo sul pavimento di piastrelle esplose una fiamma e ne scaturì un acre fumo giallo. Rand spuntò fuori da quell’inferno vestito di rosso ricamato d’oro come un re, davanti a Gawyn, poi fuoco e fumo svanirono. Ma quella persona non somigliava molto a Rand, che era di statura e corporatura simili a quelle di Gawyn; questo invece era decisamente più alto. Il viso somigliava vagamente a quello di Rand, ma più grezzo e duro, il volto freddo di un assassino. L’uomo ghignava. «Non l’avrai» ringhiò.

«Tu non la terrai con te» rispose con calma Gawyn e improvvisamente entrambi gli uomini impugnarono le spade.

Egwene rimase a bocca aperta. Non era Gawyn a tenerla prigioniera. Stava sognando di liberarla! Da Rand! Era il momento di abbandonare quella follia. Si concentrò sull’idea di essere fuori da quel sogno, di nuovo nell’oscurità a osservare tutto dall’esterno. Non accadde nulla.

Le spade si incrociarono fragorosamente, i due uomini ballavano una danza mortale. Se non fosse stato un sogno? Non aveva senso. Sognare, fra tutte le cose, un duello. E non era un incubo. Tutto appariva normale, anche se nebuloso, non bagnato di colori. «I sogni di un uomo sono un labirinto che nemmeno lui conosce» le aveva spiegato una volta Bair.

Egwene chiuse gli occhi e si concentrò. Fuori. Era fuori e osservava da lontano. Non aveva lasciato spazio a nient’altro nella sua testa. Fuori, a osservare. Fuori a osservare. Fuori!

Aprì di nuovo gli occhi. Il duello era all’apice. La lama di Gawyn affondò nel petto di Rand, e mentre questi cadeva in ginocchio l’acciaio si liberò dal suo corpo roteando in un arco brillante. La testa di Rand rotolò in terra arrivandole quasi sotto ai piedi e si fermò con gli occhi fissi su di lei. Senza riuscire a trattenersi, Egwene urlò. Un sogno. Era solo un sogno. Ma quegli occhi vitrei che la fissavano parevano reali.

All’improvviso Gawyn fu di fronte a lei, con la spada di nuovo nel fodero. La testa e il corpo di Rand erano scomparsi. Gawyn si protese verso le manette e sparirono anche quelle.

«Sapevo che saresti venuto» sospirò Egwene, sobbalzando. Era se stessa! Non poteva cedere a tutto ciò, nemmeno per un istante, o sarebbe rimasta in trappola.

Gawyn sorrise e la strinse fra le braccia «Sono contento di sentirlo» rispose. «Sarei venuto prima, se avessi potuto. Non avrei mai dovuto lasciarti in pericolo così a lungo. Potrai mai perdonarmi?»

«Posso perdonarti tutto.» Adesso c’erano due Egwene, una che si crogiolava contenta fra le braccia di Gawyn, mentre la portava lungo il corridoio del palazzo coperto di arazzi colorati e grandi specchi con belle cornici dorate, l’altra che si agitava nella testa della prima.

La situazione stava diventando grave. Per quanto si concentrasse sul trovarsi fuori, Egwene rimaneva nel sogno e osservava la scena con agli occhi di un’altra se stessa. Cercò di trattenere la curiosità su ciò che Gawyn sognava su di lei. Quel tipo di interesse era pericoloso. Non accettava nulla di tutto questo! Ma niente cambiava.

Il corridoio nella direzione in cui guardava sembrava reale, anche se il resto, che vedeva con la coda dell’occhio appariva invece indistinto. La propria immagine riflessa in uno specchio attirò la sua attenzione. Se avesse potuto si sarebbe girata per fissarla, ma lei era solo una passeggera nella mente della donna che Gawyn stava sognando. La donna che aveva visto riflessa per un istante era lei — non vedeva dei lineamenti che potesse identificare come diversi dai suoi — ma in qualche modo tutto era... meraviglioso. Era la sola parola. Fantastico. Era come la vedeva Gawyn?

No! Niente curiosità! Fuori!

Da un passo all’altro il corridoio divenne il fianco di una collina coperto di fiori selvatici il cui profumo ricco era trasportato da una brezza soave. La vera Egwene trasalì. Lo aveva fatto lei? La barriera fra sé e l’altra stava diminuendo. Si concentrò furiosamente. Non era reale; non poteva accettarlo; era se stessa. Fuori. Voleva uscire e guardare da fuori.

Gawyn la depose gentilmente su un mantello già disteso sull’erba, come succedeva nei sogni. Inginocchiandosi vicino a lei le rimosse una ciocca di capelli dalla guancia, lasciando che le dita scivolassero sugli angoli della bocca. Concentrarsi su altro adesso era molto difficile. Non aveva controllo sul corpo che la conteneva, ma ne provava le sensazioni, e le dita di Gawyn parevano accendere mille scintille.

«Il mio cuore è tuo» le disse lui sommessamente. «La mia anima, tutto.» Il mantello adesso era diventato rosso, con dei ricami d’oro elaborati che rappresentavano foglie e leoni. Gawyn fece un gesto solenne, toccandosi la testa e il cuore. «Quando ti penso, non c’è spazio per nessun altro pensiero. Il tuo profumo mi offusca la mente e mi incendia il sangue. Il cuore mi batte talmente forte da non farmi sentire il mondo. Sei il mio sole, la mia luna e le mie stelle, il mio cielo e la mia terra, più preziosa della vita, del respiro o...» si fermò di colpo, facendo una smorfia. «Parlo come uno sciocco» si rimproverò.

Egwene avrebbe dissentito se avesse avuto il controllo delle proprie corde vocali. Era molto piacevole sentire quelle cose, anche se erano un po’ esagerate, solo un po’.

Quando Gawyn fece la smorfia Egwene sentì qualcosa allentarsi, ma...

Scatto.

Gawyn la depose gentilmente su un mantello già disteso sull’erba, come succedeva nei sogni.

Inginocchiandosi vicino a lei le rimosse una ciocca di capelli dalla guancia, lasciando che le dita scivolassero sugli angoli della bocca. Concentrarsi su altro adesso era molto difficile. Non aveva controllo sul corpo che la conteneva, ma ne provava le sensazioni, e le dita di Gawyn parevano accendere mille scintille.

No! Non poteva permettersi di accettare qualsiasi parte di quel sogno!

Il volto di Gawyn era colmo di dolore, la giubba era grigia. Aveva appoggiato i pugni chiusi sulle ginocchia. «Non ho diritto di parlarti come vorrei» disse rigido. «Mio fratello ti ama. Lo so che Galad è preoccupatissimo per te. È diventato un Manto Bianco almeno in parte perché pensa che le Aes Sedai hanno abusato di te. So che lui...» Gawyn strinse gli occhi. «Oh Luce, aiutami!» gemette.

Scatto.

Gawyn la depose gentilmente su un mantello già disteso sull’erba, come succedeva nei sogni.

Inginocchiandosi vicino a lei le rimosse una ciocca di capelli dalla guancia, lasciando che le dita scivolassero sugli angoli della bocca.

No! Stava perdendo il poco controllo che aveva! Doveva uscire! Di cosa hai paura? si chiese, non essendo certa se fosse un pensiero suo o dell’altra Egwene.

«Ti amo» disse con esitazione Gawyn. Di nuovo con la giubba verde, meno attraente di quanto fosse in realtà, giocherellò con un bottone prima di far ricadere la mano. La guardò come se avesse paura di ciò che avrebbe potuto vederle in volto, cercando a fatica di nasconderlo. «Non l’ho mai detto a nessun’altra donna, non ho mai voluto dire una cosa simile. Non hai idea di quanto sia difficile dirlo a te. Non che non voglia,» aggiunse in fretta, protendendo una mano verso di lei «ma dirlo senza alcun incoraggiamento è come buttare la spada e snudare il petto alla lama nemica. Non che io pensi che tu... Luce! Non riesco a esprimermi bene. C’è qualche possibilità che tu... possa... con il tempo... provare qualcosa... per... me? qualcosa più che... amicizia?»

«Oh, dolce idiota» rise sommessamente Egwene. «Ti amo.» Ti amo, sentì echeggiare in quella parte di lei che era veramente lei. Sentì che la barriera stava svanendo, ebbe un istante per accorgersi che non le importava e vi fu di nuovo una sola Egwene, che avvolgeva felice le braccia attorno al collo di Gawyn.

Seduta sullo sgabello nella luce fioca, Nynaeve trattenne uno sbadiglio con il dorso della mano e batté le palpebre pesanti. Doveva funzionare; oh, sì, doveva. Si sarebbe addormentata dicendo buongiorno a Theodrin, se non prima! Il mento le ricadde sul petto e Nynaeve balzò in piedi. Lo sgabello adesso pareva di pietra — aveva il posteriore indolenzito — ma quella scomodità non era sufficiente. Forse una passeggiata avrebbe aiutato. Stirandosi, si avviò a tentoni verso la porta.

Di colpo un grido lontano frantumò il silenzio della notte e in quel mentre uno sgabello la colpì forte in mezzo alla schiena, facendola sbattere contro la porta. Nynaeve gridò a sua volta. Stordita guardò lo sgabello, adesso in terra con una zampa spezzata.

«Cosa succede?» gridò Elayne, alzandosi di colpo sul letto. Altre urla risuonarono in tutta Salidar, qualcuna proveniente dalla loro casa, mentre un vago rombo e uno sferragliare giungevano da ogni dove. Il letto vuoto di Nynaeve tremò, quindi scivolò sul pavimento. Quello di Elayne si sollevò scagliandola quasi in terra.

«Una bolla di male.» Nynaeve era stupita di quanto fosse fredda la sua voce. Non aveva senso saltare da tutte le parti agitandosi, ma interiormente era proprio ciò che stava facendo. «Dobbiamo svegliare tutte quelle che sono ancora addormentate.» Non sapeva come potesse essere possibile, ma quelle che ancora dormivano avrebbero potuto morire prima di accorgersene.

Senza aspettare la risposta uscì di corsa e aprì la porta accanto, in fondo al corridoio — chinandosi mentre un catino bianco passava nel punto dove si era trovata la sua testa per poi spaccarsi contro la parete alle sue spalle. Quella stanza era condivisa da quattro donne, sistemate in due letti poco più larghi del suo. Adesso uno dei letti era capovolto e due donne cercavano di strisciarne fuori. Sull’altro Emara e Ronelle, un’altra Ammessa, erano in preda alle convulsioni ed emettevano versi soffocati, avvolte nelle proprie lenzuola.

Nynaeve afferrò la prima donna tirandola fuori da sotto al letto capovolto, una cameriera di nome Mulinda, magra ed esterrefatta, e la spinse verso la porta. «Vai! Sveglia chiunque stia ancora dormendo e aiuta tutte quelle che puoi! Vai!» Mulinda andò via incespicando e Nynaeve tirò fuori la sua tremante compagna di letto. «Aiutami, Satina. Aiutami con Emara e Ronelle.»

Benché tremante, la donna paffuta annuì e si diede subito da fare. Il lenzuolo pareva vivo, come un viticcio che avrebbe stretto fino a stritolare le sue prigioniere. Nynaeve e Satina assieme riuscirono appena a rimuoverlo dalle gole delle due donne; a quel punto la brocca volò dal lavabo e il lenzuolo con uno strattone si liberò della presa di Nynaeve per ritornare nella posizione iniziale. Gli sforzi delle due donne stavano indebolendosi. Una gorgogliava e l’altra non emetteva alcun verso. Anche alla debole luce della luna che filtrava dalla finestra, i loro volti parevano gonfi e scuri.

Afferrando di nuovo il lenzuolo con entrambe le mani, Nynaeve si aprì a saidar, non trovando nulla. Mi sto arrendendo, che tu sia folgorato! Mi sto arrendendo! Ho bisogno del Potere! pensava. Nulla. Il letto la colpì alle ginocchia, e Satina gridò. «Non startene lì impalata!» scattò Nynaeve. «Aiutami!»

Di colpo il lenzuolo le sfuggì di nuovo di mano, ma invece di avvolgersi attorno a Emara e Ronelle scattò indietro con tale forza che Nynaeve e Satina caddero una sull’altra, e si mosse a una velocità tale da sembrare sfocato. Nynaeve notò Elayne sulla soglia e chiuse la bocca con uno scatto. Il lenzuolo pendeva dal soffitto. Ma certo. Il Potere.

«Sono tutti svegli» disse Elayne passandole il vestito. Lei lo aveva già addosso. «Alcuni lividi e qualche graffio, un paio di brutti tagli da curare appena avremo tempo e credo che chiunque farà brutti sogni per diversi giorni, ma è tutto.» Strilli e grida risuonavano ancora nella notte. Satina sobbalzò di nuovo quando Elayne fece cadere il lenzuolo, che rimase in terra. Il letto capovolto però si mosse scricchiolando. Elayne si piegò sulle donne che si lamentavano nel letto. «Credo che siano stordite. Satina, aiutami a farle alzare.»

Nynaeve guardò furiosa l’abito che teneva fra le mani. Certo che erano stordite, dopo essere state sballottate in quel modo. Luce, come si sentiva inutile. Era entrata di corsa nella stanza per assumere il comando, ma senza il Potere non era stata in grado di fare nulla.

«Nynaeve, puoi aiutarmi?» Elayne teneva in piedi un’ondeggiante Emara, mentre Satina stava quasi trasportando di peso Ronelle verso la porta. «Penso che Emara stia per vomitare e sarebbe meglio che lo facesse fuori. Immagino che i vasi da notte siano rotti.» Dall’odore, pareva avesse ragione. Dei pezzi di coccio grattarono in terra, cercando di scivolare fuori da sotto al letto.

Nynaeve infilò infuriata un braccio nel vestito. Adesso percepiva la Fonte, un bagliore caldo appena fuori dalla sua portata, ma la ignorò deliberatamente. Se l’era cavata per anni senza il Potere. Poteva farne a meno anche adesso. Sollevò il braccio libero di Emara per passarselo dietro al collo e aiutò a portarla in strada. Fecero appena in tempo.

Quando uscirono dopo aver pulito la bocca di Emara, tutte le altre erano già riunite davanti alla casa, con addosso le vestaglie o qualsiasi altro indumento usassero per dormire. La luna piena e immobile si stagliava in un cielo sgombro, diffondendo una gradevole luce chiara. Le persone uscivano dalle altre case in un pandemonio di strilli e grida. Uno dei paletti di recinzione di un cortile tremò, quindi un altro fece altrettanto. Un secchio cominciò improvvisamente a rotolare per la strada. Un carretto carico di legna da ardere partì in avanti, i manici che scavavano dei solchi in terra. Da una casa prese a salire del fumo e delle voci iniziarono a chiedere acqua.

La sagoma scura di qualcuno che giaceva in strada attirò l’attenzione di Nynaeve. Una delle guardie notturne, visto che aveva una lanterna vicino alla mano adesso aperta. Vedeva gli occhi brillanti fissi nella notte e il sangue che gli copriva il volto, la crepa che aveva su un lato del capo somigliava al taglio di un’ascia. Nynaeve si sentì mancare il cuore. Avrebbe voluto ululare per la rabbia. Le persone dovevano morire nei loro letti, dopo aver trascorso una lunga vita, circondate dalla famiglia e gli amici. Ogni altra cosa era uno spreco. Un vero e proprio spreco!

«Allora stanotte hai trovato la Fonte, Nynaeve. Bene.»

Lei sobbalzò e si ritrovò a fissare Anaiya. Si accorse di mantenere ancora saidar. E di essere inutile anche con esso. Si alzò e si puh stancamente le ginocchia, cercando di non guardare l’uomo morto. Se fosse stata più veloce, sarebbe riuscita a cambiare la situazione?

Il bagliore del Potere circondava Anaiya e non solo. La stessa luce circondava altre due Aes Sedai, un’Ammessa con la vestaglia e tre novizie, due in camicia da notte. Una di queste era Nicola. Nynaeve poteva vedere altri bagliori, dozzine su dozzine, che procedevano per strada. Alcune parevano Aes Sedai, ma la maggior parte non lo era.

«Apriti al legame» proseguì Anaiya. «Anche tu, Elayne, e... cosa c’è che non va con Emara e Ronelle?» Scoprendo che erano solo stordite la donna borbottò, quindi disse loro di trovare un circolo e legarsi con esso non appena avessero recuperato l’equilibrio. Scelse subito altre quattro Ammesse dal gruppo che circondava Elayne. «Sammael — se si tratta di lui anziché di uno degli altri Reietti — imparerà che non siamo certo indifese. Svelte, adesso. Abbracciate la Fonte ma non andate oltre. Dovete aprirvi e abbandonarvi.»

«Non è opera di uno dei Reietti» iniziò a rispondere Nynaeve, ma l’Aes Sedai dal volto materno la bloccò.

«Non discutere, bambina, apriti alla Fonte. Ci aspettavamo un attacco, anche se non proprio di questo tipo, e abbiamo un piano. Veloce, bambina. Non abbiamo tempo da perdere in una conversazione oziosa.»

Nynaeve chiuse la bocca di scatto e provò a raggiungere la sponda dalla quale si abbracciava saidar, il momento della resa. Non era facile. Per due volte sentì il Potere fluire e non solo in lei, ma attraverso di lei, attraverso Anaiya, e per due volte lo perse. L’Aes Sedai tese le labbra e fissò Nynaeve come se pensasse che lo aveva fatto di proposito. La terza volta fu come essere presa per la collottola. Saidar passò da Nynaeve ad Anaiya e quando cercò di riprenderlo, il flusso venne trattenuto e fuso in uno più vasto.

Fu travolta dallo sgomento. Si accorse di osservare le altre chiedendosi se provassero le stesse sensazioni. Adesso era parte di qualcosa che la superava, più grande. Non solo l’Unico Potere. Aveva la testa piena di emozioni, paura, speranza, sollievo e... sì, sgomento al di sopra di tutto, una sensazione di calma che proveniva dall’Aes Sedai, e Nynaeve non riusciva a capire quali emozioni fossero le sue. Avrebbe dovuto essere agghiacciante, ma si sentiva più vicina a quelle donne di quanto lo sarebbe stata a qualsiasi sorella, come se fossero tutte un solo corpo. Una Grigia allampanata di nome Ashmanaille le sorrise con calore, come se avesse riconosciuto i suoi pensieri.

Nynaeve rimase senza fiato quando si accorse di non essere più arrabbiata. La rabbia era svanita, assorbita dalla meraviglia. Eppure, in qualche modo, anche adesso che il controllo era passato alla Sorella Azzurra, il flusso di saidar continuava a scorrere. Gli occhi le ricaddero su Nicola e non vide nessun sorriso amichevole, solo quello sguardo di valutazione. Istintivamente, Nynaeve cercò di sganciarsi dal legame e non accadde nulla. Fino a quando Anaiya non avesse rotto il circolo lei ne sarebbe stata una parte.

Elayne si unì con maggiore facilità, ma prima si infilò il bracciale d’argento in tasca. Nynaeve sudava freddo. Cosa sarebbe accaduto se Elayne si fosse inserita nel circolo già legata a Moghedien tramite l’a’dam? Non riusciva a immaginarlo, il che rendeva ancora peggiore l’interrogativo. Lo sguardo di Nicola passava da Nynaeve a Elayne. Sicuramente non riusciva a capire a chi appartenessero le varie emozioni, visto che Nynaeve per prima non era in grado di riconoscere le proprie.

Le ultime due si aggiunsero al circolo con la stessa facilità. Shimoku, una graziosa donna kandori dagli occhi scuri che era diventata Ammessa proprio prima che la Torre si spezzasse e Calindin, una Tarabonese che aveva i capelli neri acconciati in una moltitudine di treccine, Ammessa da almeno dieci anni. Una era poco più di una novizia e l’altra aveva faticato in ogni minima parte dell’apprendimento, ma non avevano avuto problemi a legarsi.

Di colpo Nicola parlò e parve delirare. «La spada del leone, la lancia votata, colei che vede oltre. Tre sulla nave e colui che è morto eppure vive. La grande battaglia conclusa, ma il mondo non ha finito con la guerra. La terra separata dal ritorno e i guardiani che compensano i servitori. Il futuro procede con passo malfermo, sulla lama di un rasoio.»

Anaiya la fissò. «Che cos’era, bambina?»

Nicola batté le palpebre. «Ho detto qualcosa, Aes Sedai?» chiese debolmente. «Mi sento... strana.»

«Be’, se ti stai ammalando,» disse energica Anaiya «desisti. Il legame le prime volte può fare uno strano effetto ad alcune donne. Adesso non abbiamo tempo di coccolarti.» Come se volesse provarlo raccolse la gonna e si incamminò. «Restate vicine ora, tutte voi. E parlate se vedete qualcosa di strano.»

Quello non era davvero un problema. La gente affollava le strade, gridando di non capire cosa stesse accadendo oppure solo gridando, e gli oggetti si muovevano. Le porte sbattevano, le finestre si spalancavano senza che nessuno le toccasse. Da dentro le case proveniva il fragore di oggetti che si rompevano. Pentole, utensili, pietre, tutto ciò che era libero poteva saltare o sfrecciare in ogni momento. Una cuoca corpulenta in camicia da notte afferrò un secchio che rotolava ridendo istericamente, ma quando un tizio magro con solo la biancheria intima addosso cercò di prendere un tronco di legna da ardere, il risultato fu un braccio rotto. Le corde si avvolgevano attorno a braccia e gambe e anche gli abiti delle persone cominciarono a strisciare. Trovarono un uomo villoso con la camicia avvolta attorno al capo che agitava le braccia con tale energia da tenere lontani quelli che tentavano d’aiutarlo prima che soffocasse. Una donna che era riuscita a indossare un abito, anche se sbottonato, era appesa alla paglia del tetto e gridava come un’ossessa mentre il vestito tentava di trascinarla di nuovo in casa, o forse di lanciarla in cielo.

Vedersela con questi eventi si rivelò facile come osservarli. Il flusso di Potere intessuto da Anaiya attraverso il legame — e quello degli altri circoli — non avrebbe avuto problemi a bloccare un branco di tori in carica, figurarsi un bollitore che voleva volare. Una volta fermato un oggetto, con il Potere manualmente, non si muoveva più. Solo che ce n’erano tanti. Non avevano nemmeno il tempo di fermarsi per guarire qualcuno, a meno che non fosse in pericolo di vita; lividi, tagli e ossa rotte avrebbero dovuto aspettare, mentre un altro asse della palizzata cadeva a terra, per fortuna prima di poter spaccare qualche testa; un altro barile si era fermato dopo una corsa selvaggia prima di spezzare una gamba.

La frustrazione di Nynaeve aumentava. Così tante cose da risolvere, tutte piccole, ma un uomo con il cranio spaccato da una padella volante o una donna strangolata dal proprio lenzuolo erano morti come fossero stati colpiti dal Potere. Non era solo sua la frustrazione; le pareva provenisse da ogni donna appartenente al circolo, anche l’Aes Sedai, ma tutto quello che poteva fare era marciare con le altre e guardare Anaiya intessere le combinazioni di flussi per combattere migliaia di piccoli pericoli. Nynaeve si era persa nella sensazione di essere condotta, di far parte di un gruppo di una dozzina di donne.

Alla fine Anaiya si bloccò aggrottando le sopracciglia. Lo sciogliersi del legame colse Nynaeve alla sprovvista. Per un istante si accasciò sul posto, fissando confusa il vuoto. I lamenti e i pianti avevano rimpiazzato le urla e le grida. Le strade illuminate debolmente erano immobili se non per le persone che cercavano di aiutare i feriti. Vedendo la luna aveva capito che era trascorsa meno di un’ora, ma a lei parevano dieci. La schiena le faceva male nel punto in cui lo sgabello l’aveva colpita, le ginocchia le cedevano e gli occhi bruciavano.

Sbadigliò talmente tanto che per un istante pensò che gli occhi le sarebbero usciti dalle orbite.

«Non quanto mi sarei aspettata da uno dei Reietti» mormorò Anaiya a mezza bocca. Anche lei pareva stanca, ma si gettò a capofitto nella cosa che adesso andava fatta, afferrando Nicola per le spalle. «Non riesci a tenerti in piedi. A letto. Vai, bambina. Domattina voglio parlarti, prima di colazione. Angla, tu rimani; puoi legarti di nuovo e prestare un po’ di forza per la guarigione. Lanita, a letto.»

«Non è stato un Reietto» ripeté Nynaeve. Lo borbottò, per la verità. «È stata una bolla di male.» Le tre Aes Sedai la fissarono come anche le altre Ammesse, tranne Elayne e le novizie. Anche Nicola, che non era ancora andata via, ma in quel momento a Nynaeve non interessava con quanta attenzione la donna la valutasse: era troppo assonnata per curarsene.

«Ne abbiamo vista una a Tear» intervenne Elayne. «Nella Pietra.» Non avevano osservato tutto il fenomeno ma solo la parte finale, ma in ogni caso era ben più di quanto ciascuna avrebbe voluto sperimentare. Ashmanaille si scambiò delle occhiate con Baratine, una Verde magra e aggraziata con il naso aquilino.

Anaiya non batté ciglio. «Elayne, sembra che ti sia rimasta molta energia. Anche tu puoi aiutare con la guarigione. E tu, Nynaeve... l’hai perso di nuovo, vero? Be’, hai l’aspetto di una che dovrebbe essere portata a letto in braccio, ma dovrai trovare la strada da sola. Shimoku, alzati e vai a letto, bambina. Calindin, tu vieni con me.»

«Anaiya Sedai,» disse con cautela Nynaeve «Elayne e io abbiamo trovato qualcosa stanotte. Se potessimo parlarti da sol...»

«Domani, bambina. Adesso vai a letto. Subito, prima di cadere per terra.» Anaiya non attese per vedere se le ragazze obbedissero. Trascinandosi appresso Calindin, si diresse verso un uomo che si lamentava con la testa appoggiata in grembo a una donna e si chinò sopra di lui. Ashmanaille tirò Elayne dall’altra parte e Bharatine prese Angla. Prima di svanire fra la folla, Elayne lanciò uno sguardo a Nynaeve e scosse il capo.

Be’, forse quello non era il posto migliore per parlare della scodella di Ebou Dar. C’era stato qualcosa di strano nella reazione di Anaiya, come se le fosse dispiaciuto scoprire che non era davvero stato un attacco dei Reietti. Perché? Era troppo stanca per pensare con chiarezza. Anaiya aveva controllato i flussi, ma saidar l’aveva attraversata per almeno un’ora, abbastanza da stancare una donna che aveva avuto una buona nottata di sonno.

Barcollando, Nynaeve vide Theodrin. La donna domanese zoppicava accompagnata da una coppia di novizie vestite di bianco, fermandosi quando le sembrava che qualcuno dei feriti potesse essere curato con le sue conoscenze della guarigione. La donna non la notò.

Andrò a letto, si disse Nynaeve. Anaiya Sedai me lo ha ordinato. Perché Anaiya era sembrata scontenta? Le bussarono alla mente alcuni pensieri, ma era troppo assonnata per coglierli. Trascinò i piedi, quasi inciampando. Sarebbe andata a dormire, e Theodrin avrebbe potuto farle ciò che voleva.

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