16 I racconti della Ruota

Rand oziava sul trono del Drago, con lo scettro del Drago in grembo. O almeno, faceva finta. I troni non erano fatti per rilassarsi, quello meno di tutti, era evidente, ma era solo una parte della difficoltà. Percepire Alanna era un’altra; era sempre vicina. Se lo avesse detto alle Fanciulle loro avrebbero potuto... No. Come poteva solo pensarci? L’aveva spaventata abbastanza da tenerla alla larga. La donna non aveva fatto alcuno sforzo di entrare nella città interna. Lo avrebbe saputo, se avesse tentato. No, per il momento Alanna non era un problema più di quanto lo fosse un cuscino scomodo.

Malgrado indossasse una giubba blu ricamata in argento abbottonata fin sotto al mento, il caldo non lo toccava — stava davvero imparando il trucco di Taim — ma se la causa del sudore fosse stata pura impazienza, avrebbe grondato come se fosse uscito da un fiume. Restare fresco non rappresentava un problema. Restare calmo sì. Voleva consegnare a Elayne un’Andor intera e illesa, e quello di stamattina sarebbe stato il primo vero passo. Se i convocati fossero venuti.

«...e in aggiunta,» l’alto uomo ossuto in piedi davanti al trono declamava con voce monotona «millequattrocentoventitré profughi dal Murandy, cinquecentosessantasette da Altara e centonove da Illian. È il computo fino a oggi.» I pochi ciuffi di capelli grigi che rimanevano in testa ad Halwin Norry stavano dritti, come penne d’oca infilate dietro le orecchie, paragone appropriato, visto che era stato il capo cancelliere di Morgase. «Ho assunto altri ventitré funzionari, ma il numero è ancora chiaramente insufficiente per...»

Rand smise di ascoltare. Per quanto fosse grato che l’uomo non avesse abbandonato la città come avevano fatto tanti altri, non era certo che qualcosa fosse vero per Norry, se non le cifre del suo libro mastro. Recitava il numero dei morti durante la settimana e il prezzo delle rape importate dalla campagna con lo stesso tono polveroso, organizzava le sepolture quotidiane dei nullatenenti, profughi senza amici con lo stesso tono neutro di quando mostrava il conto dei muratori che avevano riparato le mura della città. Per lui Illian era solo un’altra terra, non la dimora di Sammael, e Rand solo un altro governante.

Dove sono? si chiese furioso. Perché Alanna non ha almeno provato ad avvicinarsi furtivamente a me? Moiraine non si sarebbe mai lasciata spaventare tanto facilmente.

Dove sono tutti i morti? sussurrò Lews Therin. Perché non vogliono tacere?

Rand rise torvo. Doveva essere una battuta.

Sulin era seduta in terra su un lato del trono, e il rosso Urien sull’altro. Oggi venti Aethan Dor, Scudi Rossi, attendevano fra le colonne della grande sala assieme alle Fanciulle, alcuni con la banda rossa attorno al capo. Stavano in piedi, accovacciati o seduti, alcuni conversavano, ma in genere parevano pronti a scattare in un istante, compresa la Fanciulla e i due Scudi Rossi che giocavano a dadi. Un paio d’occhi pareva essere sempre puntato su Norry; pochi Aiel si fidavano nel vedere un abitante delle terre bagnate così vicino a Rand.

Bashere apparve di colpo sotto la grande porta della sala. Quando annuì, Rand si sedette. Finalmente. Maledizione. I tasselli verdi e bianchi oscillarono quando mosse il pezzo di lancia Seanchan. «Hai fatto un buon lavoro, mastro Norry. Il tuo rapporto non ha trascurato nulla. Farò in modo che ti venga consegnato l’oro di cui hai bisogno. Ma adesso devo occuparmi di altre faccende, se vuoi scusarmi.»

L’uomo non diede segno di curiosità o offesa nell’essere interrotto in quel modo. Si fermò a metà frase e si inchinò dicendo: «Come vuole il lord Drago» atono come sempre, e fece tre passi indietro prima di voltarsi e andare via. Non rivolse nemmeno un’occhiata a Bashere. Il suo unico interesse era il libro mastro.

Spazientito, Rand rivolse un cenno del capo a Bashere e si sedette meglio sul trono. Gli Aiel si zittirono. Adesso parevano doppiamente pronti a scattare.

Quando entrò, l’uomo della Saldea non era solo. Lo seguivano due uomini e due donne, non giovani, vestiti di seta e broccato. Fecero finta che Bashere non esistesse e ci riuscirono quasi, ma con gli attenti Aiel fra le colonne era tutta un’altra storia. Dyelin dai capelli biondi perse un passo, ma Abelle e Luan, entrambi con i capelli grigi e i volti duri, guardarono torvi gli Aiel con il cadin’sor e istintivamente cercarono le spade che quel giorno non indossavano, mentre Ellorien, una donna paffuta che aveva i capelli scuri e sarebbe anche stata carina se non avesse avuto un volto di pietra, si fermò di colpo e li guardò cupa prima di riprendersi, raggiungendo gli altri a passi rapidi. Quando videro bene Rand, furono presi tutti alla sprovvista. Si scambiarono occhiate interrogative. Forse pensavano che fosse più vecchio.

«Mio lord Drago,» intonò Bashere ad alta voce, fermandosi davanti al palco sul quale si trovava il trono «Signore del Mattino, Principe dell’Alba, vero Difensore della Luce, davanti al quale il mondo intero si inginocchia, ti presento lady Dyelin della casata Taravin, lord Abelle della casata Pendar, lady Ellorien della casata Traemane e lord Pelivar della casata Coelan.»

I quattro Andorani guardarono Bashere, con labbra tese e occhiate oblique. Dal tono di voce dell’uomo pareva che avesse portato a Rand quattro cavalli. Dire che irrigidirono le schiene mentre fissavano Rand sarebbe equivalso a dire che l’acqua era diventata più umida, ma così era sembrato. Non potevano fare a meno di spostare lo sguardo sul trono del Leone che splendeva e luccicava sul piedistallo dietro la testa di Rand, il quale aveva voglia di ridere davanti ai loro volti oltraggiati. Oltraggio, ma anche prudenza, e forse un po’ di soggezione malgrado ciò che volevano dare a credere. Lui e Bashere avevano inventato quella lista di titoli, ma la parte sul mondo in ginocchio era nuova, un’aggiunta personale dell’ufficiale. Il consiglio però era stato di Moiraine. Gli era quasi sembrato di sentire di nuovo la sua voce argentina. Il modo in cui le persone vedono qualcuno per la prima volta è quanto rimane loro impresso. Così funziona il mondo. Se scendi da un trono, anche se ti comporti come un contadino in un porcile, tutti coloro che ti osservano ricorderanno da dove vieni. Ma se per prima cosa vedranno solo un giovane di campagna, si risentiranno nel vederlo salire su un trono, qualunque sia il suo diritto o potere. Be’, se un titolo o due potevano essere d’aiuto, tutto sarebbe stato più facile.

Ero io il Signore del Mattino, mormorò Lews Therin. Io sono il Principe dell’Alba.

Rand rimase impassibile. «Non vi darò il benvenuto — questa è la vostra terra e il palazzo della vostra regina — ma sono contento che abbiate accettato il mio invito.» Dopo cinque giorni e con solo poche ore di preavviso, ma di questo non fece cenno. Si alzò e appoggiò lo scettro del Drago sul trono, quindi scese dal palco. Con un sorriso riservato — non essere mai ostile a meno che tu proprio non debba, gli aveva detto Moiraine, ma soprattutto non essere mai troppo amichevole. Mai spazientito — fece un cenno verso cinque sedie con i cuscini e gli schienali imbottiti, piazzate in circolo fra le colonne. «Unitevi a me. Parleremo davanti a del vino fresco.»

I nobili naturalmente lo seguirono, guardando gli Aiel con altrettanta curiosità e forse animosità. Quando si furono seduti, arrivarono i gai’shain, silenziosi sotto i loro cappucci bianchi, portando vino e boccali d’oro già bagnati di condensa. Un altro stava in piedi dietro ogni sedia con un ventaglio di piume, muovendo gentilmente l’aria. Dietro ogni sedia tranne quella di Rand. I quattro lo notarono, come si accorsero della mancanza di sudore sul suo volto. Ma nemmeno i gai’shain sudavano, anche con quei vestiti, e neppure gli altri Aiel.

Rand guardò i nobili.

Gli Andorani erano fieri di essere più diretti di tanti altri e non mancavano di vantarsi che il Gioco delle Casate era molto più intricato in altre terre che nella loro, ma credevano comunque di poter giocare il Daes Dae’mar quando volevano. A modo loro potevano farlo, ma la verità era che i Cairhienesi e i Tarenesi li consideravano dei sempliciotti quando si trattava di essere subdoli nelle mosse e contromosse del Grande Gioco. I quattro rimasero quasi sempre composti, ma per chi era stato addestrato da Moiraine e ancor più da Tear e Cairhien, rivelavano molto anche solo muovendo un occhio, a ogni minimo cambio di espressione.

Si accorsero per prima cosa che non c’era una sedia per Bashere. Si scambiarono rapide occhiate, accendendosi leggermente in volto, in special modo quando si avvidero che Bashere si stava allontanando dalla sala del trono. Lo guardarono tutti e quattro con dei sorrisi soddisfatti. Probabilmente non tolleravano un esercito della Saldea ad Andor, proprio come Nalesean e il suo gruppo. Adesso i loro pensieri erano evidenti. Forse l’influenza dello straniero era meno rilevante di quanto avessero temuto. Bashere era stato trattato come un maggiordomo.

Dyelin sgranò leggermente gli occhi quasi all’unisono con Luan e solo un istante prima degli altri due. Per un attimo fissarono Rand con tale attenzione che era chiaro come stessero evitando di guardarsi fra loro. Bashere era uno straniero, ma anche il maresciallo generale della Saldea, tre volte lord, e zio della regina Tenobia. Se Rand lo usava come maggiordomo...

«Vino eccellente.» Fissando la coppa, Luan esitò prima di aggiungere: «Mio lord Drago.» Fu uno sforzo.

«Dal Sud» osservò Ellorien dopo un sorso. «Un vino delle colline di Tunaighan. È stupefacente che quest’anno tu sia riuscito a trovare del ghiaccio a Caemlyn. Ho già sentito qualcuno chiamarlo ‘l’anno senza inverno’.»

«Pensate che sprecherei tempo a cercare il ghiaccio,» rispose Rand «quando ci sono così tanti problemi al mondo?»

Abelle impallidì e sembrò fare fatica a bere un altro sorso. D’altro canto Luan svuotò la coppa e la protese per farla riempire di nuovo da un gai’shain, i cui occhi verdi lampeggiavano furiosi in contrasto con la remissività dell’espressione. Servire gli abitanti delle terre bagnate era come essere un cameriere e gli Aiel disprezzavano la sola idea. Come potesse quel disgusto accompagnarsi al concetto di gai’shain, Rand non era mai riuscito a capirlo, ma era così.

Dyelin tenne la coppa sulle ginocchia e da quel momento in poi la ignorò. Da vicino, Rand riusciva a vederle delle tracce di grigio fra i capelli biondi; era ancora graziosa, anche se solo il colore della chioma la faceva somigliare a Morgase o Elayne. Era la seconda candidata per la successione al trono, forse una cugina stretta. Dopo averlo osservato per un istante parve sul punto di scuotere il capo, invece disse: «Siamo preoccupati dai problemi del mondo, ma soprattutto da quelli che affliggono Andor. Ci hai fatti venire qui per trovare una cura?»

«Se ne conoscete una» rispose semplicemente Rand. «In caso contrario, devo cercare altrove. Molti pensano di avere la risposta giusta. Se non posso trovare quella che voglio, dovrò accettare la migliore che si presenterà.» L’ultima frase creò tensione tra gli astanti. Mentre li portava al suo cospetto Bashere li aveva fatti passare per un cortile Arymilla, Lir e il resto dove erano stati lasciati a rinfrescarsi. A quanto pareva si riposavano a palazzo. «Suppongo che vogliate aiutarmi a rimettere insieme Andor. Avete sentito il mio bando?» Non doveva specificare quale; nel contesto del suo discorso poteva essere solo uno.

«Una ricompensa offerta per ogni notizia su Elayne» rispose atona Ellorien, con il volto che divenne anche più marmoreo. «Perché dev’essere eletta regina adesso che Morgase è morta.»

Dyelin annuì. «Mi sembra ben fatto.»

«Non a me!» scattò Ellorien. «Morgase ha tradito i suoi amici e respinto i seguaci più fedeli. Voglio vedere la fine della casata Trakand sul trono del Leone.» Pareva avesse dimenticato Rand. Tutti parevano averlo fatto.

«Dyelin» disse Luan risoluto. La donna scosse il capo come se avesse sentito tutto già altre volte. «È lei la migliore pretendente al trono. Io sono a favore di Dyelin.»

«Elayne è l’erede al trono» rispose la donna dai capelli biondo oro. «Io sono a favore di Elayne.»

«Cosa importa chi sosteniamo?» chiese Abelle. «Se ha ucciso Morgase lui...» Abelle si interruppe di colpo facendo una smorfia, quindi guardò Rand, non proprio con aria di sfida, ma incitandolo a fare del suo peggio. Aspettandosi che lo facesse.

«Lo credete veramente?» Rand guardò con tristezza il trono del Leone sul suo piedistallo. «Perché, per la Luce, avrei ucciso Morgase per poi passare il trono a Elayne?»

«Pochi sanno cosa credere» rispose rigida Ellorien. Aveva ancora le guance arrossate. «La gente dice molte cose, per la maggior parte sciocchezze.»

«Per esempio?» rivolse la domanda a lei, ma fu Dyelin a rispondere, guardandolo dritto negli occhi.

«Che combatterai l’Ultima Battaglia e ucciderai il Tenebroso. Che sei un falso Drago, o un fantoccio delle Aes Sedai o forse entrambe le cose. Che sei il figlio illegittimo di Morgase, o un sommo signore tarenese, o forse un Aiel.» Aggrottò di nuovo le sopracciglia per un istante, ma non si fermò. «Che sei il figlio di un’Aes Sedai e del Tenebroso. Che sei il Tenebroso, o il Creatore in carne e ossa. Che distruggerai il mondo, lo salverai e lo soggiogherai, portando una nuova Epoca. Tanti racconti quante sono le bocche. La maggior parte sostiene che hai ucciso Morgase. Molti aggiungono il nome di Elayne. Si dice che il bando è solo una copertura per nascondere i tuoi crimini.»

Rand sospirò. Qualcuna di quelle dicerie era peggiore di quante ne avesse sentite fino ad allora. «Non vi chiederò a quali credete.» Perché la donna lo guardava torva? Non era la sola. Anche Luan lo faceva, mentre Abelle ed Ellorien gli lanciavano quel tipo di occhiate che ormai si aspettava da Arymilla e il suo gruppo quando pensavano che non li stesse guardando. Guardando. Guardando. Era la voce di Lews Therin, un sussurro rauco e folle. Ti vedo. Chi mi vede? «Invece vi chiedo se mi aiuterete a rinsaldare di nuovo Andor. Non voglio che diventi una nuova Cairhien o, peggio, un’altra Tarabon o l’Arad Doman.»

«So qualcosa del Ciclo Karaethon» disse Abell. «Credo che tu sia il Drago Rinato, ma nulla parla di te che governi, solo della battaglia contro il Tenebroso a Tarmon Gai’don.»

Rand strinse la coppa con tale forza che la superficie scura del vino tremò. Sarebbe stato molto più facile se questi quattro fossero stati come la maggior parte dei sommi signori tarenesi, ma nessuno di loro voleva rinunciare al potere più di quanto avesse già fatto. Per quanto il vino fosse stato rinfrescato, dubitava che l’Unico Potere potesse intimidire quel gruppo. Molto probabilmente mi diranno di ucciderli e di bruciare all’inferno! pensò.

Bruciare all’inferno. Era l’eco di Lews Therin.

«Quante volte devo dire che non voglio governare Andor? Lascerò Andor quando Elayne sarà sul trono del Leone. Per non tornare mai più, se riesco a fare le cose a modo mio.»

«Se il trono appartiene a qualcuno,» intervenne tesa Ellorien «questa è Dyelin. Se è vero ciò che dici, falla incoronare e vai via. Allora Andor sarà unita e non dubito che i soldati andorani ti seguiranno nell’Ultima Battaglia, se dovesse servire.»

«Mi rifiuto» rispose Dyelin con voce forte, rivolgendosi poi a Rand. «Aspetterò e rifletterò, mio lord Drago. Una volta che vedrò Elayne viva e incoronata e te fuori da Andor, invierò i miei seguaci ad aiutarti, anche se nessun altro in Andor lo farà. Ma se dovesse passare il tempo e tu dovessi rimanere qui, o se i tuoi selvaggi Aiel faranno qui le stesse cose che ho sentito dire hanno fatto a Cairhien e Tear...» lanciò un’occhiata torva alle Fanciulle e agli Scudi Rossi, anche ai gai’shain, come se li avesse visti saccheggiare e incendiare «...o se liberi quegli... uomini che hai radunato con la tua amnistia, allora mi rivolterò contro di te, che gli altri ad Andor lo facciano o meno.»

«E io cavalcherò al tuo fianco» aggiunse Luan con fermezza.

«E io» aggiunse Ellorien, seguita da Abelle.

Rand lanciò indietro la testa e rise pur non volendo, in parte per il divertimento, in parte per la frustrazione. Luce! E io che pensavo che un’onesta opposizione fosse meglio che strisciare alle spalle o leccarmi i piedi! si disse.

Il gruppo lo guardava a disagio, senza dubbio pensando che il suo atteggiamento fosse opera della follia. Forse lo era. Nemmeno lui ne era sicuro.

«Ponderate su quanto dovete» disse loro, alzandosi per concludere la riunione. «Io sono stato sincero. Ma riflettete anche su questo. Tarmon Gai’don si sta avvicinando. Non so quanto tempo vi rimane per pensare.»

Il gruppo lo salutò — cenni del capo, cauti inchini, come fra pari, era più di quanto avessero fatto all’arrivo — ma non appena si voltarono per andare via, Rand afferrò Dyelin per una manica. «Devo farti una domanda.» Gli altri si fermarono e stavano per tornare indietro. «Una domanda privata.» Dopo un istante la donna annuì e i compagni si spostarono in fondo alla sala del trono. Guardavano con attenzione, ma non erano abbastanza vicini per sentire. «Mi hai guardato in modo... bizzarro» le disse. Tu e tutti gli altri nobili che ho incontrato a Caemlyn, pensò. Se non altro quelli andorani. «Perché?»

Dyelin lo scrutò, quindi alla fine annuì. «Come si chiama tua madre?»

Rand batté le palpebre. «Mia madre?» Kari al’Thor era sua madre: Era il solo nome che gli veniva in mente; l’aveva cresciuto fino a quando era morta. Ma decise di dirle la verità che aveva scoperto nel deserto Aiel. «Mia madre si chiamava Shaiel. Era una Fanciulla della Lancia. Mio padre si chiamava Janduin, un capoclan degli Aiel Taardad.» La donna sollevò le sopracciglia dubbiosa. «Lo giurerei su un qualsiasi pegno di tua scelta. Ma cosa ha a che fare con ciò che voglio sapere? Sono morti entrambi da molto tempo.»

La donna sembrò sollevata. «Allora sì tratta di una somiglianza casuale e nient’altro. Non voglio dire che tu non sappia chi sono i tuoi genitori, ma hai l’accento di Andor.»

«Una somiglianza? Sono cresciuto nei Fiumi Gemelli, ma i miei genitori erano chi ti ho detto. A chi somiglio, perché mi fissiate tutti in questo modo?»

La donna esitò, quindi sospirò. «Suppongo che non importi. Un giorno dovrai spiegarmi come fai ad avere genitori aiel pur essendo stato cresciuto ad Andor. Venticinque anni fa, o forse più, l’erede al trono di Andor scomparve durante la notte. Si chiamava Tigraine. Si lasciò alle spalle un marito, Taringail, e un figlio, Galad. So che è una pura coincidenza, ma rivedo Tigraine nel tuo volto. È stato un duro colpo.»

Adesso anche Rand era colpito. Sentiva freddo. Parti del racconto che gli avevano fatto le Sapienti gli turbinavano in testa... una giovane abitante delle terre bagnate dai capelli biondo oro, vestita di seta... un figlio che amava, un marito che non amava... Shaiel era il nome che aveva scelto. Non ne aveva mai dato un altro. Le assomigli. «In quali circostanze è svanita Tigraine? Mi interessa la storia di Andor.»

«Ti sarei grata se non la chiamassi storia, mio lord Drago. Ero una ragazza quando accadde, ma già più di una bambina, e trascorrevo molto tempo a palazzo. Una mattina Tigraine scomparve e non l’abbiamo mai più rivista. Alcuni sostenevano che vi fosse lo zampino di Taringail, ma l’uomo era mezzo impazzito per il dolore. Taringail Damodred voleva più di ogni altra cosa al mondo vedere la propria figlia erede al trono di Andor e il figlio re di Cairhien. Taringail era Cairhienese. Quel matrimonio era servito per mettere fine alle guerre tra i due regni, ma la scomparsa di Tigraine fece pensare che Andor volesse interrompere la tregua, e questo li portò a tramare in quel modo tipico dei Cairhienesi e il tutto portò all’orgoglio di Laman. Naturalmente sai in cosa sia sfociato» aggiunse asciutta. «Mio padre dice che fu tutta colpa di Gitara Sedai.»

«Gitara?» C’era da stupirsi che non avesse la voce strozzata. Aveva sentito quel nome più di una volta. Era stata un’Aes Sedai di nome Gitara Moroso, una donna con il dono della predizione, che aveva annunciato la rinascita del Drago sulle pendici di Montedrago, dando il via alla ricerca di Siuan e Moiraine. Era stata Gitara Moroso a dire anni prima a ‘Shaiel’ che se non fosse fuggita nel deserto, senza farne parola con nessuno, e non fosse divenuta una Fanciulla della Lancia, sarebbe accaduto un disastro ad Andor e nel mondo.

Dyelin annuì, vagamente spazientita. «Gitara era consigliera della regina Modrellein,» disse in tono vivace «ma trascorreva più tempo con Tigraine e Luc, il fratello di lei, che con la regina. Dopo che Luc si diresse a nord, per non fare mai più ritorno, si mormorò che Gitara lo avesse convinto che la sua fama o forse il suo destino si celasse nella Macchia. Altri dicevano invece che il vero motivo era che vi avrebbe trovato il Drago Rinato, o che l’Ultima Battaglia dipendeva dalla sua partenza. Fu circa un anno prima della scomparsa di Tigraine. Io personalmente dubito che Gitara avesse avuto a che fare con quegli eventi. Rimase consigliera della regina fino alla morte di Modrellein. Di crepacuore, per la scomparsa di Luc e Tigraine, come si racconta. Il tutto diede il via alla successione.» Osservò gli altri, che cambiavano posizione e si guardavano intorno con sospetto e impazienza, ma non poté fare a meno di aggiungere un’altra cosa. «Avresti trovato un’Andor diversa senza questi eventi. Tigraine regina, Morgase solo somma signora della casata Trakand, Elayne mai nata. Morgase sposò Taringail dopo aver ottenuto il trono. Chi può dire quali altri cambiamenti ci sarebbero stati?»

Guardandola unirsi agli altri e andare via, pensò a un’altra cosa che sarebbe stata diversa. Lui non si sarebbe trovato ad Andor, perché non sarebbe nato. Tutto si ripiegava su se stesso in circoli infiniti. Tigraine si recò nel deserto in segreto, la cosa indusse Laman ad abbattere Avendoraldera, un dono degli Aiel, per costruire un trono, atto che fece valicare la Dorsale del Mondo agli Aiel per ucciderlo — era il loro unico scopo, anche se le nazioni la chiamarono la Guerra Aiel — e con gli Aiel giunse una Fanciulla di nome Shaiel, morta durante il parto. Così tante vite erano cambiate, finite, perché la donna potesse partorirlo al momento e nel posto giusti, morendo nel farlo. Kari al’Thor era la madre che lui ricordava, anche se vagamente, ma avrebbe tanto voluto conoscere Tigraine o Shaiel o comunque volesse farsi chiamare, anche se solo per un breve periodo. Solo per vederla.

Sogni inutili. Era morta da molto tempo. Era tutto passato. Allora perché il pensiero ancora lo infastidiva?

La Ruota del Tempo e la ruota della vita di un uomo girano allo stesso modo, senza pietà o compassione, mormorò Lews Therin.

Sei davvero lì? si chiese Rand. Se sei qualcosa di più di una voce e vecchi ricordi, rispondimi! Sei lì? Silenzio. Adesso gli avrebbe fatto comodo seguire i consigli di Moiraine o di chiunque altra.

Di colpo si accorse di fissare il marmo bianco della parete della grande sala, verso nordovest. Verso Alanna. Era lontana da Il Segugio di Culain. No! Che fosse folgorata! Non avrebbe rimpiazzato Moiraine con una donna che gli aveva teso un tranello in quel modo. Non poteva fidarsi di nessuna in grado di toccare il Potere. Solo tre. Elayne, Nynaeve ed Egwene. Sperava di potersi fidare di loro. Almeno in parte. Per qualche motivo guardò il soffitto a volta con le finestre colorate che rappresentavano battaglie e regine, alternate con i leoni bianchi. Pareva che quelle donne lo fissassero con disapprovazione, chiedendosi cosa ci facesse in quel luogo. Immaginazione. Ma perché? Perché era venuto al corrente di Tigraine? Immaginazione o follia?

«È arrivato qualcuno che penso dovresti vedere» disse Bashere al suo fianco, e Rand distolse lo sguardo dalle immagini delle donne. Aveva davvero iniziato a ricambiare le occhiate? Bashere era accompagnato da uno dei suoi cavalieri, un tizio alto — non era difficile, vicino a Bashere — con la barba e i baffi scuri, occhi verdi a mandorla.

«No, a meno che non sia Elayne» rispose Rand, più duro di quanto volesse «o qualcuno con le prove che il Tenebroso è morto. Ho deciso di andare a Cairhien in mattinata.» Non aveva avuto quell’intenzione fino a quando non aveva pronunciato le parole. Egwene era lì. E non c’erano regine, sul soffitto. «Sono passate settimane dall’ultima visita. Se non li tengo d’occhio, qualche lord o lady reclamerà il trono del sole alle mie spalle.» Bashere lo guardò incuriosito. Stava fornendo troppe spiegazioni.

«Come preferisci. Ma io penso che prima tu voglia vedere quest’uomo. Sostiene di essere stato inviato da lord Brend e credo dica il vero.» Gli Aiel si alzarono in un istante. Sapevano chi usava quel nome.

Rand invece fissò Bashere stupito. L’ultima cosa che si aspettava era un emissario di Sammael. «Fallo entrare.»

«Hamad» disse Bashere facendo un cenno del capo, e il giovane della Saldea si voltò andando via.

Pochi minuti dopo, Hamad fece ritorno con un gruppo di soldati della Saldea che osservavano diffidenti l’emissario in piedi fra loro. A prima vista le loro cautele non erano giustificate. Senza armi visibili, aveva addosso una lunga giubba grigia con il bavero alzato, barba riccia e senza baffi. Alla moda di Illian. Aveva un mozzicone di naso e un ampio sorriso. Quando si avvicinò, Rand si accorse che quel sorriso rimaneva sempre immutato. Il volto dell’uomo pareva paralizzato in quell’espressione. In contrasto, gli occhi scuri emergevano da quella maschera ed erano saturi di paura.

A dieci passi di distanza Bashere sollevò la mano e le guardie si fermarono. L’Illianese che fissava Rand non sembrò accorgersene fino a quando Hamad gli appoggiò sul petto la punta della spada per farlo fermare. L’uomo lanciò un’occhiata alla lama leggermente ricurva, quindi si voltò a fissare Rand con gli occhi pieni di terrore sul volto sorridente. Le mani erano distese lungo i fianchi e tremavano, in contrasto con il volto immoto.

Rand si incamminò verso l’uomo, ma d’improvviso Sulin e Urien si frapposero fra loro, non proprio bloccandogli il cammino, ma proteggendolo.

«Mi chiedo cosa gli abbiano fatto» disse Sulin studiando il tipo. Diverse altre Fanciulle e Scudi Rossi erano usciti da dietro le colonne, alcuni addirittura velati. «Se non è progenie dell’Ombra, sicuramente è toccato dall’Ombra.»

«Uno di quella risma potrebbe fare cose a noi sconosciute» disse Urien. Era fra coloro che indossavano la fascia scarlatta attorno alle tempie. «Forse può uccidere con un tocco. Un bel messaggio da inviare a un nemico.»

Nessuno guardò direttamente Rand, ma questi annuì. Forse avevano ragione. «Come ti chiami?» chiese. Sulin e Urien fecero un passo di lato quando videro che si era fermato.

«Vengo per conto di... Sammael» disse l’uomo impacciato, sempre con il sorriso. «Ho un messaggio per... per il Drago Rinato, per te.»

Be’, di sicuro era diretto. Era un Amico delle Tenebre, o solo un poveraccio che Sammael aveva intrappolato in una di quelle odiose reti che Asmodean gli aveva illustrato? «Quale messaggio?» chiese Rand.

L’Illianese mosse le labbra, combattuto. Quanto ne uscì non aveva alcun legame con la voce che aveva usato prima. Era più profonda e molto sicura, con un accento diverso. «Ci troveremo su fronti diversi, tu e io, quando giungerà il giorno del ritorno del Sommo Signore, ma perché dovremmo ucciderci adesso e lasciare che Demandred e Graendal litighino per il dominio del mondo sulle nostre ossa?» Rand conosceva quella voce, grazie a uno degli stralci di memoria di Lews Therin che adesso gli appartenevano. La voce di Sammael. Lews Therin ringhiò senza parlare. «Hai già molto da digerire» proseguì l’Illianese, o Sammael. «Perché aggiungere altro? E devi masticare bene, anche se non dovessi trovarti con Semirhage o Asmodean alle spalle mentre sei impegnato. Propongo una tregua fra di noi, fino al Giorno del Ritorno. Se non mi attaccherai, io non ti attaccherò. Mi impegnerò a non spingermi oltre le Piane di Maredo, o a nord oltre Lugard, a est o a ovest, a Jehannah. Ti sto lasciando la fetta più grande. Non parlo per gli altri Prescelti, ma almeno saprai di non avere nulla da temere da me, o dalle terre che controllo. Mi impegnerò a non aiutarli in nessun modo se andassero contro di te, o se dovessero difendersi da te. Finora te la sei cavata bene nel togliere di mezzo i Prescelti. Non dubito che continuerai altrettanto bene, meglio di prima, sapendo che a sud sei al sicuro e che gli altri combattono senza il mio aiuto. Sospetto che nel Giorno del Ritorno saremo solo tu e io, come dovrebbe essere. Come doveva essere.» L’uomo chiuse la bocca di scatto, nascondendo i denti dietro quel sorriso paralizzato. Gli occhi parevano sull’orlo della follia.

Rand lo fissò. Una tregua con Sammael? Anche se avesse potuto fidarsi che l’uomo mantenesse la parola, anche se significava accantonare un pericolo, almeno fino a quando non se la fosse vista con gli altri, comportava anche lasciare migliaia di persone innocenti nelle mani di Sammael, un uomo senza compassione. Rand percepì la rabbia che scivolava sulla superficie del vuoto e si accorse di aver afferrato saidin. Il torrente di dolcezza infuocata e lordura gelida pareva fare eco alla sua rabbia. Lews Therin. Era pazzo, dentro la sua follia. Quell’eco risuonava di entrambe le furie, al punto che non poteva più distinguere l’una dall’altra.

«Riferisci questo messaggio a Sammael» rispose Rand con freddezza. «Ogni morte che ha provocato da quando si è risvegliato la ritengo sua responsabilità, e voglio che paghi per ognuna di esse. Ogni omicidio che ha commesso o provocato, lo ritengo sua responsabilità e voglio che paghi per ciascuno di essi. È sfuggito alla giustizia a Rorn M’doi e a Nol Caimaine, a Sohadra...» Affiorarono altri ricordi di Lews Therin: il dolore per quanto era stato commesso, l’agonia per ciò che avevano visto gli occhi di Lews Therin bruciavano attraverso il vuoto come se appartenessero a Rand. «...ma adesso farò giustizia. Riferisci che non ci sarà nessuna tregua con i Reietti. Nessuna tregua con l’Ombra.»

Il messaggero sollevò una mano contorta dagli spasmi per detergersi la fronte dal sudore. No, non era sudore. La mano era rossa. Dai pori spillavano delle gocce rosse e l’uomo tremava dalla testa ai piedi. Hamad sussultò e si fece indietro; non fu il solo. Bashere si tirò i baffi facendo una smorfia e anche gli Aiel lo fissavano. Tutto rosso, l’Illianese collassò in preda alle convulsioni, con il sangue che si allargava intorno a lui creando una pozza scura e brillante agitata dal proprio stesso tremito.

Rand lo guardò morire, immerso nel vuoto; non provò nulla. Il vuoto teneva le emozioni lontano da lui e non c’era comunque nulla che avrebbe potuto fare. Anche se avesse conosciuto l’arte della guarigione, non pensava che avrebbe potuto fermare quanto era appena accaduto.

«Penso» disse lentamente Bashere «che forse Sammael avrà la sua risposta quando vedrà che quest’uomo non fa ritorno. Ho sentito dire che sono stati uccisi dei messaggeri che hanno riferito cattive notizie, ma mai in questo modo.»

Rand fece un cenno con il capo. La morte non cambiava nulla; come non era servito a niente scoprire di Tigraine. «Fallo seppellire. Un preghiera non guasterà, anche se non sarà neppure d’aiuto.» Perché quelle regine dalle finestre colorate parevano ancora accusarlo? Sicuramente avevano assistito a brutti eventi ai loro tempi, forse proprio in quella stanza. Rand era ancora in grado d’indicare la posizione esatta di Alanna, di percepirla. Il vuoto non funzionava da schermo protettivo con lei. Avrebbe potuto fidarsi di Egwene? Aveva dei segreti. «Forse trascorrerò la notte a Cairhien.»

«Una strana fine per uno strano uomo» disse Aviendha, uscendo da dietro il palco. Alcune piccole porte di servizio davano accesso a uno spogliatoio e da lì agli altri corridoi.

Rand cercò di mettersi fra leie quanto era disteso a terra sulle mattonelle rosse e bianche, quindi si fermò. Dopo un’occhiata incuriosita, Aviendha ignorò il corpo. Quando era stata Fanciulla della Lancia doveva aver visto tanti uomini morire quanti ne aveva visti lui. Quando aveva rinunciato alla lancia probabilmente ne aveva ormai uccisi altrettanti.

Aviendha si concentrò su di lui, facendogli scorrere addosso gli occhi per essere sicura che non fosse stato ferito. Alcune delle Fanciulle le sorrisero e aprirono un varco per Rand, spingendo di lato gli Scudi Rossi quando serviva, ma la donna rimase dov’era, sistemandosi lo scialle e studiandolo. Era un bene che, qualunque cosa pensassero le Fanciulle, Aviendha rimanesse con lui solo perché glielo avevano ordinato le Sapienti, per spiarlo, perché lui avrebbe voluto stringerla fra le braccia proprio in quel momento. Era un bene che la donna non lo volesse. Le aveva regalato lui il braccialetto d’avorio che portava, rose fra le spine, per assecondare la natura della donna. Era il solo gioiello che usasse a parte una collana d’argento, lavorata con quel motivo intricato che a Kandor chiamavano fiocchi di neve. Non sapeva chi gliela avesse donata.

Luce! pensò disgustato. Voleva sia Aviendha che Elayne, sapendo che non poteva averne nessuna. Sei peggio di quanto Mat abbia mai pensato di essere, si disse. Anche Mat aveva il buon senso di restare lontano da una donna se pensava che potesse farle del male.

«Anch’io devo andare a Cairhien» disse Aviendha.

Rand fece una smorfia. Una delle attrazioni di una notte a Cairhien era che sarebbe trascorsa senza la donna nella sua stanza.

«Non ha nulla a che vedere con...» iniziò a spiegare la donna, quindi si morse il labbro inferiore, facendo saettare gli occhi azzurri in tutte le direzioni. «Devo parlare con le Sapienti, con Amys.»

«Ma certo» le rispose Rand. «Non c’è motivo per cui non dovresti.» C’era sempre la possibilità di riuscire a lasciarla indietro.

Bashere gli toccò il braccio. «Dovevi osservare i miei cavalieri mentre provavano i passi questo pomeriggio.» Il tono di voce era disinvolto, eppure gli occhi a mandorla davano peso alle parole.

Era importante, ma Rand aveva bisogno di lasciare Caemlyn, di lasciare Andor. «Domani. O forse il giorno dopo ancora.» Doveva allontanarsi dagli occhi di quelle regine, che si chiedevano se uno del loro sangue — Luce! lo era — avrebbe divelto la loro terra come aveva fatto con tante altre. Lontano da Alanna. Doveva andare via, anche se solo per una notte.

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