Il tuono echeggiò sopra la distesa collinare coperta di erba ormai secca rimbombando di continuo, anche se in cielo non c’era una nuvola, solo il sole rovente che ancora doveva raggiungere l’apice. Mentre aspettava in cima a una collina, Rand teneva le redini e lo scettro del Drago fra le mani appoggiate al pomello della sella. Il tuono si ridusse. Era difficile per lui non guardarsi costantemente alle spalle, a sud, verso Alanna. Si era fatta male a un tallone e aveva una mano scorticata, quindi era di cattivo umore. Come e perché non lo sapeva; non sapeva nemmeno come facesse a esserne tanto sicuro. Il tuono rombò di nuovo.
I cavalieri della Saldea apparvero sulla collina seguente, tre lanciati al galoppo, in testa a un lungo serpente che gli veniva incontro, giù per il pendio nell’ampia vallata fra le colline. Novemila uomini formavano un contingente decisamente notevole. Ai piedi del pendio si divisero, la colonna centrale proseguì, smentire gli altri si diressero a destra e sinistra, ogni sezione che si divideva di volta in volta fino a cavalcare in gruppi di centinaia, passando gli uni accanto agli altri. I cavalieri cominciavano a salire sopra le selle, alcuni con i piedi, altri con le mani. Altri ciondolavano bassi per toccare il suolo, prima da un lato e poi dall’altro. Altri ancora si infilavano sotto il ventre dei cavalli al galoppo o scendevano a terra per correre accanto agli animali prima di risaltare in sella e fare la stessa acrobazia dall’altro lato.
Rand sollevò le redini e fece muovere Jeade’en. Quando il cavallo pezzato si avviò gli Aiel lo seguirono, circondandolo. Stamattina gli uomini erano Danzatori delle Montagne, Hama N’dore, più della metà aveva la fascia rossa dei siswai’aman. Caldin, che aveva i capelli grigi e la pelle avvizzita, aveva cercato di convincere Rand a portare con sé più di venti uomini, con così tanti abitanti delle terre bagnate in giro armati. Nessuno degli Aiel lanciava occhiate denigratorie alla spada di Rand. Nandera trascorreva gran parte del tempo guardando le circa duecento donne insolite che li seguivano a cavallo. Sembrava ritenesse le nobili della Saldea e le mogli degli ufficiali una minaccia maggiore dei soldati e, avendo incontrato qualche donna della Saidea, Rand non era pronto a discutere. Sulin probabilmente sarebbe stata d’accordo. Si era accorto di non aver più visto Sulin da quando... da quando erano tornati da Shadar Logoth. Otto giorni. Si chiese se l’avesse in qualche modo offesa.
Ma adesso non era il momento di preoccuparsi di Sulin e del ji’e’toh. Fece il giro della valle fino a quando raggiunse la cima della collina dov’erano apparsi per la prima volta i soldati della Saldea. Bashere era presente, stava esaminando il primo gruppo mentre procedeva, quindi passò al seguente; quasi per coincidenza, lo fece stando in piedi sulla sella.
Rand afferrò per un istante saidin e lo rilasciò un attimo dopo. Con la vista acuita non gli era stato difficile scorgere le due pietre bianche sistemate ai piedi della collina, proprio dove le aveva piazzate Bashere la notte precedente, distanti quattro passi una dall’altra. Con un po’ di fortuna nessuno avrebbe fatto domande su quella mattinata. Nella valle alcuni uomini cavalcavano due cavalli simultaneamente, un piede su ogni sella, sempre al galoppo. Altri avevano un compagno in spalla, a volte ritto in piedi.
Rand si voltò nel sentire un cavallo che gli si avvicinava. Deira ni Ghaline t’Bashere cavalcava fra gli Aiel, con evidente noncuranza; armata solo di un piccolo pugnale appeso alla cintura d’argento, con addosso un abito di seta grigia ricamato in argento sulle maniche e sul collo alto, sembrava li sfidasse ad attaccarla. Alta come tante Fanciulle, quasi un palmo più del marito, era una donna grossa. Non robusta, nemmeno paffuta; solo grossa. Aveva delle striature bianche sulle tempie e gli occhi scuri a mandorla erano fissi su Rand, il quale sospettava che fosse una donna molto bella quando la sua presenza non le trasformava il volto in granito.
«Mio marito ti sta... divertendo?» Non si rivolgeva mai a Rand usando un titolo o il suo nome.
Rand guardò le altre donne della Saldea. Lo osservavano come una truppa di cavalleria pronta all’attacco, volti di granito e occhi a mandorla gelidi. Adesso credeva ai racconti su quelle donne della Saldea, che si diceva avessero raccolto le spade dei mariti caduti guidando in battaglia gli eserciti al loro posto. Essere gentile non l’aveva portato da nessuna parte, con la moglie di Bashere; Bashere stesso si stringeva nelle spalle e spiegava che talvolta era una donna difficile, mentre sorrideva con un’espressione che avrebbe potuto solo essere d’orgoglio.
«Riferisci a lord Bashere che sono compiaciuto» rispose Rand. Facendo voltare Jeade’en, s’avviò verso Caemlyn. Gli occhi di quella donna sembravano incollati alla sua schiena.
Lews Therin ridacchiò. Non c’era altra parola per definire quanto stesse facendo. Non punzecchiare mai una donna, a meno che proprio non debba. Ti ucciderà più in fretta di un uomo e per motivi meno validi, anche se dopo piangerà la tua morte.
Sei davvero lì? chiese Rand. Sei qualcosa di più di una voce? Gli rispose solo quella risata folle e sommessa.
Durante il tragitto di ritorno a Caemlyn, Rand meditò su Lews Therin, anche dopo aver oltrepassato uno dei mercati di tegole che indicava come fossero quasi giunti ai cancelli della Città Nuova.
Temeva di poter impazzire — non solo per il fatto in sé, già abbastanza spiacevole; se fosse impazzito, come avrebbe fatto ciò che doveva? — ma ancora non ne aveva avuto segni evidenti. Tuttavia, se la mente lo avesse abbandonato, come se ne sarebbe accorto? Non aveva mai visto un pazzo. Tutto ciò che aveva a disposizione era Lews Therin che vagabondava nella sua testa. Gli uomini impazzivano tutti alla stessa maniera? Lui avrebbe fatto la stessa fine, ridendo e piangendo su cose che nessun altro vedeva o capiva? Sapeva di avere una possibilità di sopravvivere, anche se sembrava impossibile. ‘Se vuoi vivere, devi morire’, era una delle tre cose che sapeva dovevano essere vere. Lo aveva sentito nel ter’angreal dove le risposte erano sempre vere, anche se non facili da capire. Ma vivere in quel modo... Non era certo che non avrebbe preferito morire.
La folla nella città interna si aprì davanti a più di quaranta Aiel, e alcune persone riconobbero anche il Drago Rinato. Forse erano di più, ma le acclamazioni furono ben misere. «Che la Luce splenda sul Drago Rinato!»
«La gloria della Luce per il Drago Rinato!»
«Il Drago Rinato, re di Andor!»
L’ultima lo faceva saltare ogni volta che la sentiva ed era accaduto più di una volta. Doveva trovare Elayne. Stava digrignando i denti. Non riusciva a guardare i passanti. Voleva sbatterli in ginocchio e gridare che era Elayne, la loro regina. Studiò il cielo cercando di non ascoltare, i tetti, tutto tranne la folla. Fu il solo motivo per cui vide l’uomo con il manto bianco salire su un tetto di tegole e sollevare la balestra.
Tutto accadde in pochi attimi. Rand afferrò saidin e incanalò mentre il dardo volava contro di lui; colpì una parete d’aria, una massa di azzurro argentato sospesa sulla strada, producendo il forte rumore tipico del metallo che cozza contro il metallo. Dalle mani di Rand partì un globo infuocato che colpì il balestriere in mezzo al petto, mentre il dardo ancora rimbalzava sullo scudo d’Aria. Le fiamme avvilupparono l’uomo, che cadde dal tetto gridando. Qualcuno balzò su Rand, facendolo cadere di sella.
Colpì forte il lastricato, con il peso di un’altra persona addosso; il respiro e saidin lo abbandonarono all’unisono. Annaspando per prendere aria lottò con quel peso, si liberò e... si accorse di stringere Desora fra le mani. La donna sorrise, fu un sorriso bellissimo, quindi il capo le ricadde da un lato. Lo fissavano due occhi azzurri e vitrei. Il dardo della balestra che spuntava fra le costole della donna fece pressione sul polso di Rand. Perché aveva sempre nascosto quel sorriso bellissimo?
Qualcuno afferrò Rand aiutandolo ad alzarsi; Fanciulle e Danzatori delle Montagne lo spinsero da un lato della strada, vicino al negozio di uno stagnino, quindi formarono un circolo di Aiel velati per proteggerlo, con gli archi di corno stretti fra le mani e gli occhi che perlustravano strade e tetti. Ovunque si sentivano risuonare le grida, ma la via era già vuota per almeno cinquanta passi in ogni direzione e una massa di gente si agitava per fuggire. La strada era libera, tranne che per i corpi. Desora e altri sei, di cui tre erano Aiel. Un’altra Fanciulla. Era difficile esserne sicuro osservando da lontano qualcuno che sembrava solo un mucchio di stracci.
Rand si mosse e gli Aiel che lo circondavano si strinsero maggiormente attorno a lui per formare un muro di carne. «Questi posti sono come tane di coniglio» disse Nandera in tono spensierato, senza smettere di guardarsi intorno da sopra al velo. «Se ti unisci alla danza in quel posto, potresti ritrovarti con una lama in mezzo alla schiena prima di rendertene conto.»
Caldin annuì. «Mi ricorda di quella volta vicino a Sedar Cut, quando... be’, almeno abbiamo un prigioniero.» Alcuni dei suoi Hama N’dore erano sbucati da una taverna dall’altro lato della strada, spingendo un uomo con le braccia legate dietro la schiena. Continuò a dibattersi fino a quando non lo spinsero in ginocchio sul lastricato e gli appoggiarono una lancia alla gola. «Forse ci dirà chi ha ordinato quest’attacco.» La voce di Caldin era quella di chi non ha alcun dubbio.
Dopo un istante, alcune Fanciulle uscirono da un altro edificio con un secondo uomo legato che zoppicava; aveva il volto coperto di sangue. In poco tempo, ci furono quattro uomini inginocchiati in strada, sotto gli occhi vigili degli Aiel. Alla fine il semicerchio che proteggeva Rand si allargò.
I quattro avevano volti duri, anche se uno di loro, coperto di sangue, ondeggiò e roteò gli occhi nel vedere gli Aiel. Altri due invece erano spavaldi, il quarto ghignava.
A Rand prudevano le mani. «Siete sicuri che abbiano preso parte all’attacco?» Non riusciva a credere che il suo tono di voce fosse tanto basso e fermo. Il fuoco malefico avrebbe risolto tutto. Non il fuoco malefico, ansimò Lews Therin. Mai più. «Ne siete sicuri?»
«Sì» rispose una Fanciulla; non si riusciva a capire chi fosse, da dietro al velo. «Quelli che abbiamo ucciso indossavano tutti questo.» Prese un mantello che era appeso alle mani legate dell’uomo insanguinato. Un mantello bianco e consumato, intriso di grasso, con un sole dorato ricamato sul petto. Anche gli altri tre li avevano.
«Questi erano di vedetta,» aggiunse un grosso Danzatore delle Montagne «per fare rapporto qualora l’attacco fosse andato male.» Rise brevemente. «Chiunque li abbia inviati, non aveva idea di quanto sarebbe andata male per gli altri.»
«Nessuno di questi uomini ha usato la balestra?» chiese Rand. Fuoco malefico. No, gridò Lews Therin in lontananza. Gli Aiel si scambiarono alcune occhiate, quindi scossero i capi avvolti negli shoufa. «Impiccateli» rispose Rand. L’uomo con il volto insanguinato quasi svenne. Rand lo sostenne con un flusso d’Aria, sollevandolo in piedi. Fu la prima volta in cui si accorse di avere afferrato di nuovo saidin. Diede il benvenuto alla lotta per la sopravvivenza. Anche la contaminazione fu benvenuta, mentre gli escoriava le ossa come fosse una melma acida. Lo rendeva meno consapevole di cose che non voleva ricordare, emozioni che non voleva provare. «Come ti chiami?»
«F... Farai, m... mio signore. D... Dimir Faral.» Con gli occhi quasi fuori dalle orbite fissava Rand da dietro una maschera di sangue. «Ti p... prego, non i... impiccarmi, m... mio signore. Ca... cammino nella Luce, lo g... giuro!»
«Sei molto fortunato, Dimir Faral.» A Rand la propria voce sembrava distante come le grida di Lews Therin. «Assisterai all’impiccagione dei tuoi amici.» Farai singhiozzava. «Poi ti daremo un cavallo e andrai a riferire a Pedron Niall che un giorno impiccherò anche lui per quanto è accaduto qui.» Quando rilasciò i flussi d’aria, Farai ricadde in un mucchio pietoso, mugolando che avrebbe galoppato fino ad Amador senza fermarsi. I tre destinati a morire lo guardarono con disprezzo. Uno di loro gli sputò addosso.
Rand se li tolse di mente. Doveva ricordarsi solo di Niall e c’era qualcos’altro che doveva fare. Spinse via saidin, affrontò la lotta per sfuggire senza essere annientato e la fatica di costringersi a rilasciare il Potere. Per ciò che doveva fare non voleva nulla tra sé e le proprie emozioni.
Una Fanciulla stava componendo il corpo di Desora e le aveva rimesso il velo. La donna bloccò Rand quando vide che stava toccando il pezzo di algode nero, quindi esitò dopo averlo guardato in viso, tornando ad accovacciarsi.
Dopo aver sollevato il velo, Rand memorizzò il volto di Desora. Adesso sembrava addormentata. Desora, della setta Musara degli Aiel Reyn. Così tanti nomi. Liah, dei Chareen Cosaida, Dailin della setta Montagne di Ferro dei Taardad. Lamelle, Acque Fumanti dei Miagoma e... così tanti. A volte ripassava tutta la lista nome per nome. Ma ne comparve anche uno che non vi aveva aggiunto lui. Ilyena Therin Morelle. Non sapeva come avesse fatto Lews Therin a inserirlo, ma non l’avrebbe rimosso nemmeno se avesse saputo come farlo.
Fu sia uno sforzo che un sollievo allontanarsi da Desora, mentre provò solo sollievo nello scoprire che quella che credeva una seconda Fanciulla morta era invece un uomo, basso per essere un Aiel. Era addolorato anche per la morte degli uomini, ma per loro aveva in mente un vecchio proverbio: ‘Lascia riposare i defunti e prenditi cura dei viventi.’ Non era facile, ma ci provava. Quando invece era una donna a morire, non riusciva a pensare a quelle parole.
Una gonna aperta sul lastricato attirò la sua attenzione. Non erano morti solo gli Aiel. Quella donna era stata trafitta dal dardo proprio in mezzo alle scapole. Il vestito era appena macchiato di sangue. Si era trattato di una morte rapida, una piccola grazia. Inginocchiandosi la voltò con la massima gentilezza; il dardo spuntava dal petto. Era una donna con il volto squadrato, di mezza età, con un po’ di grigio fra i capelli. Gli occhi scuri erano spalancati; sembrava sorpresa. Rand non sapeva come si chiamasse, ma ne memorizzò il volto. Era morta perché si trovava nella stessa strada con lui.
Afferrò per un braccio Nandera, la quale si liberò poiché non voleva impedimenti nell’usare l’arco, ma lo guardò. «Trova la famiglia di quella donna e fai in modo che ricevano ciò di cui hanno bisogno. Oro...» ma non sarebbe stato abbastanza. Avrebbero dovuto riavere indietro una moglie, una madre. Ma lui non gliela poteva restituire. «Occupati di loro» disse «e scopri il nome.»
Nandera protese una mano verso di lui, quindi la rimise sull’arco. Quando Rand si alzò, le Fanciulle lo stavano osservando. Guardavano tutto, come sempre, ma i volti velati ritornavano su di lui un po’ più spesso. Sulin sapeva come si sentiva Rand. Era al corrente della lista, ma lui non sapeva se lo avesse riferito alle altre. Se l’aveva fatto, Rand non sapeva cosa provassero le altre donne.
Ritornò nel punto in cui era caduto e raccolse lo scettro del Drago. Inchinarsi fu faticoso e la corta lancia sembrò pesante. Jeade’en non si era allontanato troppo, una volta perso il cavaliere; era un cavallo ben addestrato. Rand montò in sella. «Qui ho fatto tutto ciò che potevo» disse — pensassero ciò che volevano — quindi spronò il cavallo.
Se non poteva eliminare i ricordi, poteva almeno allontanarsi dagli Aiel. Se non altro per un breve periodo. Consegnò Jeade’en a uno stalliere ed entrò nel palazzo prima che Nandera e Caldin lo raggiungessero, con almeno due terzi delle Fanciulle e i Danzatori delle Montagne. Alcuni erano stati lasciati indietro per provvedere ai morti. Caldin sembrava arrabbiato. Dall’espressione di Nandera, Rand pensò che doveva essere contento se non era velata.
Prima che l’Aiel potesse dire una parola, comare Harfor si avvicinò a Rand rivolgendogli una profonda riverenza. «Mio lord Drago,» disse con voce forte e profonda «abbiamo ricevuto una richiesta per un’udienza da parte della Maestra delle Onde del clan Catelar, degli Atha’an Miere.»
Se il taglio elegante del vestito rosso e bianco di Reene non era sufficiente a rendere chiaro che ‘prima cameriera’ era una designazione erronea, lo erano sicuramente i modi. Leggermente rotonda, con i capelli grigi e il mento lungo, guardò Rand dritto negli occhi, piegando indietro il capo per poterlo fare, e riuscì in qualche modo a combinare un giusto tono di deferenza senza però ossequio a un distacco che molte nobili non riuscivano a ottenere. Come Halwin Norry, era rimasta mentre la maggior parte degli altri era fuggita, anche se Rand sospettava che il suo intento fosse difendere e preservare il palazzo dagli invasori. Non sarebbe rimasto sorpreso di scoprire che perquisiva la sua camera sistematicamente, alla ricerca di tesori rubati. Non sarebbe rimasto sorpreso di scoprire che aveva perquisito anche gli Aiel.
«Popolo del Mare?» chiese. «Cosa vogliono?»
La donna gli rivolse un’occhiata paziente, cercando di essere tollerante. Provando. «La richiesta non lo spiega, mio lord Drago.»
Se Moiraine aveva saputo qualcosa sul Popolo del Mare non l’aveva inclusa nella sua educazione, ma, a giudicare dal comportamento di Reene, quella donna era importante. Il titolo Maestra delle Onde suonava notevole. Avrebbe dovuto usare la grande sala. Non vi si era recato fin dal ritorno da Cairhien. Non aveva alcun motivo per evitare la sala del trono; semplicemente non c’era stato bisogno di andarci.
«Questo pomeriggio» rispose lentamente Rand. «Dille che la vedrò a metà pomeriggio. Le hai assegnato dei buoni appartamenti? E al suo seguito?» Dubitava che qualcuna con un titolo tanto sontuoso viaggiasse da sola.
«Li ha rifiutati. Hanno preso delle stanze a La palla e il cerchio.»Serrò leggermente le labbra: per quanto Maestra delle Onde fosse un titolo elevato, non era stata una scelta appropriata secondo il parere di Reene Harfor. «Erano impolverati e affaticati dal viaggio, quasi incapaci di rimanere in piedi. Sono venuti a cavallo, non in carrozza, e non credo che vi siano abituati.» La donna batté le palpebre come se fosse stupita di aver parlato troppo e recuperò la riservatezza, indossandola come un manto. «Anche qualcun altro vuole vederti, mio lord Drago.» Il tono di voce assunse una sfumatura di leggero disgusto. «Lady Elenia.»
Rand fece quasi una smorfia. Senza dubbio Elenia aveva un’altra lezione pronta riguardo i suoi diritti al trono del Leone; fino ad allora Rand era riuscito a non ascoltare almeno una parola su tre. Sarebbe stato facile rifiutare quell’incontro. Eppure lui doveva scoprire dell’altro sulla storia di Andor e nessuno da quelle parti ne sapeva più di Elenia Sarand. «Falla accomodare nelle mie stanze, per favore.»
«Intendi davvero consegnare lo scanno all’erede al trono?» Il tono di voce di Reene non era duro, ma la deferenza era sparita. L’espressione non era cambiata, ma Rand era certo che se avesse risposto nel modo sbagliato, la donna avrebbe gridato e avrebbe cercato di spaccargli il cranio, Aiel o meno.
«Sì» sospirò. «Il trono del Leone è di Elayne. Per la Luce e la mia speranza di rinascita e salvezza, lo è.»
Reene lo studiò per un istante, quindi allargò la gonna per rivolgergli una seconda, profonda riverenza. «La manderò subito da te, mio lord Drago.» Aveva la schiena rigida, ma era la sua posizione naturale. Non c’era modo di capire se credesse a una sola parola di quanto aveva detto Rand.
«Una nemica astuta» osservò Caldin prima che Reene si fosse allontanata cinque passi «preparerà un’imboscata fallimentare con l’intenzione di fartela superare. Sicuro di te perché sei stato capace di gestire la sua minaccia, abbasserai la guardia e cadrai nella seconda.»
Subito dopo Caldin, Nandera aggiunse con voce fredda: «I giovani possono essere impetuosi, frettolosi e sciocchi, ma il Car’a’carn non può comportarsi come un giovane.»
Rand si guardò alle spalle prima di allontanarsi, solo quanto bastò per dire: «Adesso siamo nel palazzo. Scegliete i due rappresentanti.» Non fu una sorpresa quando Caldin e Nandera scelsero se stessi e lo seguirono in un profondo silenzio.
Davanti alla porta dei suoi appartamenti, disse loro di far entrare Elenia quando fosse arrivata e li lasciò nel corridoio. In un boccale d’argento c’era una bevanda rinfrescante alla susina, ma Rand non la toccò. Rimase invece in piedi e la fissò, cercando di pensare a quanto avrebbe detto, finché si rese conto di ciò che stava facendo e sbuffò sorpreso. Cosa c’era da pensare?
Qualcuno bussò alla porta. Elenia dai capelli colore del miele, che gli rivolse una riverenza, aveva addosso un abito decorato con delle rose d’oro. Su una qualsiasi altra donna Rand avrebbe pensato che fossero solo rose; su Elenia rappresentavano la Corona di Rose. «Il mio lord Drago è molto gentile a ricevermi.»
«Voglio chiederti qualcosa sulla storia di Andor» rispose Rand. «Gradisci qualcosa da bere?»
Elenia sgranò gli occhi deliziata prima di riuscire a trattenersi. Senza dubbio aveva studiato come lavorarsi Rand per lanciare le sue pretese al trono e adesso lui le porgeva un’occasione su un piatto d’argento. Sul viso volpino della donna sbocciò un sorriso. «Posso avere l’onore di versare da bere al lord Drago?» chiese, senza attendere che Rand le facesse cenno di andare avanti. Era talmente compiaciuta dal volgere degli eventi che Rand si aspettava quasi di essere spinto sulla sedia e invitato ad appoggiare i piedi sul tavolo. «Su quale parte della nostra storia vuoi che ti illumini?»
«In generale una...» Rand aggrottò le sopracciglia. Così facendo le avrebbe fornito la scusa di elencare la sua stirpe in dettaglio ogni due frasi. «O meglio, come Souran Maravaile ha portato qui sua moglie. Era di Caemlyn?»
«Ishara ha portato Souran, mio lord Drago.» Il sorriso divenne indulgente. «La madre di Ishara era Endara Casalain, la sovrintendente di Artur Hawkwing in quel periodo — la provincia si chiamava Andor — e anche la figlia di Joal Ramedar, l’ultimo re di Aldeshar. Souran era solo... solo un generale...» Rand avrebbe scommesso che Elenia stesse per dire ‘un uomo comune’ «anche se il migliore al servizio di Hawkwing. Endara rinunciò al suo diritto e si sottomise a Ishara come regina.» Rand non era convinto che i fatti si fossero svolti in questo modo o con tale facilità. «Quelli furono i tempi peggiori, brutti quasi quanto le Guerre Trolloc, ne sono sicura. Con Hawkwing morto ogni nobile pensava di diventare re. O regina. Ishara sapeva che nessuno sarebbe stato in grado di rilevare tutti i territori, c’erano troppe fazioni e alleanze che venivano spezzate non appena stipulate. Convinse Souran a sospendere l’assedio di Tar Valon e lo portò qui con tutte le truppe che riuscì a mettere insieme.»
«Fu Souran Maravaile ad assediare Tar Valon?» chiese Rand stupito. Artur Hawkwing aveva tenuto sotto assedio Tar Valon per almeno vent’anni e aveva anche messo una taglia sulla testa di ogni Aes Sedai.
«Fu durante l’ultimo anno,» continuò la donna con una vaga impazienza «per quanto riportano le storie.» Era chiaro che Elenia non avesse grande interesse per Souran, se non per il fatto che era il marito di Ishara. «Ishara era saggia. Promise alle Aes Sedai che avrebbe inviato la figlia maggiore alla Torre Bianca per l’addestramento e così facendo riconquistò la Torre e ottenne un’Aes Sedai di nome Ballair come consigliera. Fu la prima regina a fare una cosa simile. Naturalmente altre seguirono il suo esempio e tutti volevano il trono di Hawkwing.» Adesso il tono di voce era amaro, il volto animato, la bevanda dimenticata, e la donna gesticolava con la mano libera. Le parole fluivano come un torrente in piena. «Dovette passare un’intera generazione prima che quell’idea svanisse, anche se Narasim Bhuran, più o meno nell’ultimo decennio della Guerra dei Cento Anni, fece un tentativo — un fallimento deprimente che si concluse dopo un anno con la sua testa in cima a una picca — ed Esmara Getares, trent’anni prima, ottenne molto terreno prima che cercasse di conquistare Andor, trascorrendo gli ultimi dieci anni come ‘ospite’ della regina Telaisien. Esmara alla fine venne assassinata, anche se nessuno sa perché qualcuno la volesse morta una volta che Telaisien le aveva tolto il potere. Le regine che sono succedute a Ishara, da Alesinde a Lyndelle, proseguirono quanto lei aveva iniziato, non solo inviando una figlia alla Torre. Ishara aveva fatto in modo che Souran rendesse sicure le terre che circondavano Caemlyn: all’inizio solo alcuni villaggi, quindi lentamente espanse il controllo. Impiegò cinque anni a raggiungere il Fiume Erinin. Ma la regione governata dalla regina di Andor era sotto il suo totale controllo, mentre molti altri che si definivano re o regine erano più interessati alla presa di nuove terre che a rafforzare quanto avevano già conquistato.»
Fece una pausa per riprendere fiato e Rand ne approfittò. Elenia parlava di quegli uomini e quelle donne come se li conoscesse personalmente, ma a lui girava la testa, con tutti quei nomi che non aveva mai sentito prima. «Perché non esiste una casata Maravaile?»
«Nessuno dei figli di Ishara ha superato i vent’anni.» Elenia si strinse nelle spalle e sorseggiò la bevanda; l’argomento non la interessava. Ma le dava l’appiglio per introdurne uno nuovo. «Durante la Guerra dei Cento Anni hanno regnato nove regine e nessuna ha avuto un figlio che abbia superato i ventitré anni. Le battaglie erano costanti e Andor era sotto pressione su tutti i fronti. Durante il regno di Maragaine quattro re l’attaccarono con i loro eserciti — c’è una città battezzata con il nome della battaglia. I re erano...»
«Ma tutte le regine erano discendenti di Souran e Ishara?» intervenne lesto Rand. La donna gli avrebbe fatto le cronache giornaliere se le avesse dato spago. Restando seduto, le fece cenno di accomodarsi.
«Sì» rispose Elenia riluttante, probabilmente all’idea di dover includere Souran. Ma si illuminò subito. «Si tratta della quantità di sangue di Ishara che una ha nelle vene. Quante linee ti collegano a lei e con quale grado. Nel mio caso...»
«Non è facile per me capire. Per esempio, Tigraine e Morgase. Morgase aveva i migliori titoli per succedere a Tigraine. Suppongo significhi che Morgase e Tigraine fossero strettamente imparentate.»
«Erano cugine.» Elenia fece uno sforzo per nascondere la propria irritazione nell’essere interrotta così spesso, specialmente adesso che era tanto vicina a quanto voleva dirgli, ma serrò le labbra. Somigliava a una volpe che avesse voglia di mordere, ma la gallina continuava a svicolare.
«Vedo.» Cugine. Rand bevve copiosamente, quasi svuotando la coppa.
«Siamo tutti cugini. Tutte le casate.» Il silenzio di Rand sembrò rinvigorirla e le ritornò il sorriso. «Dopo una serie di matrimoni durata mille anni, non esiste una casata che non abbia una goccia del sangue di Ishara. È il grado di parentela a essere importante, quello e il numero di linee di connessione. Nel mio caso...»
Rand batté le palpebre. «Siete tutti cugini? Tutti quanti? Non sembra poss...» Rand si protese in avanti, molto concentrato. «Elenia, se Morgase e Tigraine fossero state... mercanti o contadine... quale sarebbe stato il grado di parentela?»
«Contadine?» chiese lei perplessa, fissandolo. «Mio lord Drago, quale curiosa...» Il sangue defluì lentamente dal viso della donna; lui era stato un contadino. Si umettò le labbra con uno scatto nervoso della lingua. «Immagino... devo pensarci. Contadine. Suppongo significhi immaginare tutte le casate composte da contadini.» Un risolino isterico eruppe dalla donna, prima che lo soffocasse bevendo. «Se fossero state delle contadine, non credo che qualcuno le potrebbe considerare parenti in alcun modo. Tutte le connessioni risalgono a tempi molto antichi. Ma non lo erano, mio lord Drago...»
Rand smise di ascoltare e sprofondò nella sedia. Non imparentate.
«...ha trentuno linee di connessione con Ishara, mentre Dyelin ne ha solo trenta e...»
Perché di colpo provava così tanto sollievo? I muscoli adesso erano distesi, privi di quei nodi che non si era accorto di avere fino a quando non erano spariti.
«...se posso dirlo, mio lord Drago.»
«Cosa? Perdonami. Mi sono distratto per un istante e... i problemi di... ho perso l’ultima parte di quanto hai detto.» Ma c’era qualcosa che aveva attirato l’attenzione di Rand.
Elenia aveva in volto un sorriso ossequioso e lusinghiero che su di lei sembrava molto strano. «Stavo solo dicendo che somigli a Tigraine, mio lord Drago. Forse potresti addirittura avere una goccia del sangue di Ishara...» La donna si interruppe con un gridolino e Rand si accorse di essere in piedi.
«Mi sento... stanco.» Rand cercò di rendere la voce normale, ma suonava lontana, come se fosse immerso nel vuoto. «Ti prego di lasciarmi.»
Non sapeva che espressione avesse, ma Elenia scattò in piedi e si affrettò ad appoggiare la coppa sul tavolo. Tremava, e se prima il volto era sembrato esangue, adesso era candido come la neve. Rivolgendogli una profonda riverenza, come ci si sarebbe aspettati da una sguattera, si avvicinò rapida alla porta, ogni passo più veloce del precedente, continuando a osservarlo da dietro le spalle, fino a quando il rumore di passi si allontanò nel corridoio. Nandera infilò la testa nella stanza per controllare Rand prima di chiudere la porta.
Rand rimase a lungo a fissare nel vuoto. Non c’era da meravigliarsi se quelle regine antiche lo fissavano; sapevano meglio di Rand stesso cosa pensasse. Il tarlo improvviso della preoccupazione che l’aveva roso invisibile da quando aveva scoperto il nome della sua vera madre. Ma Tigraine non era imparentata con Morgase. Sua madre non era parente della madre di Elayne. Lui non era imparentato con...
«Sei peggio di un satiro» disse amareggiato ad alta voce. «Sei uno sciocco e un...» sperava che Lews Therin parlasse, per potersi dire, ‘è lui il folle; io sono sano’. Era lo sguardo delle regine morte di Andor che sentiva dietro la nuca, o quello di Alanna? Si diresse verso la porta a grandi passi e la spalancò. Nandera e Caldin erano accovacciati vicino a un arazzo che rappresentava uccelli variopinti. «Riunite la vostra gente» disse loro. «Vado a Cairhien. Per favore, non ditelo ad Aviendha.»