28 Lettere

Lews Therin era presente — Rand ne era sicuro — ma nella testa non sentiva nemmeno un sussurro che non fosse suo. Per il resto del giorno cercò di pensare ad altre cose, per quanto inutili. Berelain era pronta a saltare fuori dalla propria pelle per tutte le volte che era andato a chiederle come procedeva qualcosa che lei era perfettamente in grado di eseguire da sola; Rand non ne era sicuro, ma credeva che la donna avesse cominciato a evitarlo.

Anche Rhuarc sembrava perseguitato dopo la decima volta che Rand lo aveva avvicinato per parlare degli Shaido. Questi non si erano ancora mossi e la sola scelta che Rhuarc vedeva era di lasciarli stare al pugnale del Kinslayer o cacciarli via. Herid Fel era in giro, come Idrien aveva sottolineato: lo faceva spesso, e non era rintracciabile; quando Fel si perdeva nei propri pensieri, a volte perdeva anche la via del ritorno. Rand gridò contro la donna. Fel introvabile non era colpa sua, non una sua responsabilità, ma la lasciò pallida e tremante. Il malumore di Rand stava espandendosi come un temporale che si allontanava dall’orizzonte. Gridò contro Meilan e Maringil, fino a quando non furono anche loro tremanti, e li lasciò con i volti scossi, dopo aver ridotto Colavaere in lacrime e aver fatto scappare Anaiyella con la gonna sollevata.

Per la verità, quando Amys e Sorilea vennero a chiedere cosa avesse raccontato alle Aes Sedai, gridò anche con loro; a giudicare dallo sguardo di Sorilea e da come andò via di gran carriera, sospettò che fosse la prima volta che qualcuno alzava la voce con lei. Era la consapevolezza — consapevolezza — che Lews Therin fosse davvero presente; più di una voce, un uomo nascosto nella sua testa.

Quando giunse la sera, Rand aveva paura di addormentarsi. Aveva paura che Lews Therin assumesse il controllo durante il sonno e, quando riuscì a dormire, i sogni irrequieti lo fecero agitare e borbottare. Il primo raggio di luce che filtrava dalla finestra lo svegliò avvolto nelle lenzuola e madido di sudore, occhi assonnati, in bocca un sapore orrendo, simile a un cavallo morto da sei giorni e con le gambe doloranti. I sogni che rammentava erano tutti uguali: lui in fuga da qualcosa che non poteva vedere. Scese dal grande letto e si sciacquò nel lavabo dorato. Il cielo stava appena schiarendosi e il gai’shain che di solito gli portava l’acqua non era ancora arrivato, ma quella della notte precedente sarebbe andata bene lo stesso.

Aveva quasi finito di radersi quando si fermò, con il rasoio appoggiato su una guancia, mentre fissava la propria immagine nello specchio appeso al muro. Correre. Era sicuro che nel sogno stava fuggendo dai Reietti, o forse dal Tenebroso, o da Tarmon Gai’don o addirittura da Lews Therin. Così pieno di sé; sicuramente il Drago Rinato avrebbe sognato di essere perseguitato dal Tenebroso. Per quanto lui per primo protestasse di essere Rand al’Thor, sembrava se ne dimenticasse con la stessa facilità degli altri. Rand al’Thor fuggiva da Elayne, dalla paura di amarla, com’era fuggito dalla paura di amare Aviendha.

Lo specchio cadde in frantumi, con i pezzi che piovevano nel bacile dorato. Quelli rimasti incastrati nella cornice riflettevano ancora l’immagine del suo viso.

Rilasciando saidin rimosse con cautela l’ultima parte di schiuma da barba e chiuse lentamente il rasoio. Non sarebbe più fuggito. Avrebbe fatto ciò che doveva, ma non sarebbe più fuggito.

Due Fanciulle attendevano già nel corridoio quando Rand uscì dalla sua stanza. Harilin, una rossa dinoccolata più o meno della sua stessa età, andò a chiamare le altre non appena lo vide. Chiarid, una biondina dagli occhi allegri abbastanza grande da essere sua madre, lo accompagnò per i corridoi dov’erano presenti solo alcuni servitori, sorpresa di vederlo in piedi tanto presto. Di solito a Chiarid piaceva fare battute a sue spese quando erano soli — qualcuna Rand la capiva; la donna lo vedeva come un fratello minore che andava tenuto a bada, per evitare che si montasse la testa — ma quella mattina percepì il suo cattivo umore e non disse una parola. Lanciò un’occhiata di disgusto alla spada, ma solo una.

Nandera e il resto delle Fanciulle li raggiunsero prima che fossero a metà strada dalla stanza riservata ai viaggi e rimasero anch’esse in silenzio. Come del resto i soldati di Mayene e gli Occhi Neri di guardia davanti alla porta squadrata. Rand era convinto di poter lasciare Cairhien senza che nessuno dicesse una parola, fino a quando una giovane donna che aveva addosso la divisa rossa e blu dei servitori personali di Berelain giunse di corsa e gli rivolse una profonda riverenza, proprio mentre lui apriva il passaggio. «La Prima di Mayene ti invia questo» ansimò, porgendogli una lettera con un grande sigillo verde. La ragazza aveva evidentemente corso ovunque nel tentativo di trovarlo. «È da parte del Popolo del Mare, mio lord Drago.»

Rand si infilò la lettera in tasca e si incamminò verso il passaggio, ignorando la domanda silenziosa della donna, se vi fosse o meno risposta a quella lettera. Quel mattino, gradiva molto il silenzio. Con un dito seguì i contorni dello scettro del Drago. Sarebbe stato forte e duro, e si sarebbe lasciato alle spalle tutta l’autocommiserazione.

L’arrivo nella sala dei ricevimenti di Caemlyn riesumò la sensazione di Alanna annidata nella sua testa. Lì era ancora notte, ma lei era sveglia; Rand ne era sicuro, come era certo del fatto che stesse piangendo. E aveva smesso di piangere nel momento in cui si era chiuso il passaggio alle spalle dell’ultima Fanciulla. In testa provava ancora delle sensazioni confuse, ma sapeva con certezza che Alanna era al corrente del suo ritorno. Senza dubbio lei e il legame avevano avuto una parte nella sua fuga, ma adesso aveva deciso di accettarlo, anche se non lo apprezzava. Quest’ultima osservazione lo fece quasi ridere; sarebbe stato più ragionevole accettarlo, visto che non poteva cambiare la situazione. La donna aveva tentato di stringergli un filo addosso — nient’altro che un filo; Luce, che non fosse di più — e non avrebbe creato problemi, a meno che non l’avesse lasciata avvicinarsi abbastanza da mettergli un guinzaglio al collo. Avrebbe tanto voluto che Thom Merrilin fosse con lui. Probabilmente sapeva tutto sui Custodi e i legami; disponeva di una quantità sorprendente di nozioni. Be’, se avesse trovato Elayne avrebbe trovato anche Thom. Era la sola cosa che doveva fare.

Con saidin creò un globo luminoso, Fuoco e Aria, per illuminare il tragitto al di fuori della sala del trono. Le antiche regine, nascoste nell’oscurità sovrastante, non lo disturbavano affatto. Erano solo ritratti di vetro colorato.

Non poté dire la stessa cosa di Aviendha. Fuori dei suoi appartamenti, Nandera congedò tutte le Fanciulle tranne Jalani e loro due entrarono nella stanza con lui per controllare, mentre Rand accendeva con il Potere le lampade e lanciava lo scettro del Drago su un tavolino intarsiato, molto meno dorato di quello che avrebbe trovato nel palazzo del Sole. Tutti i mobili erano nello stesso stile, meno dorature e più incisioni, che di solito raffiguravano leoni o rose. Il pavimento era coperto da un grande tappeto rosso, con dei ricami d’oro che rappresentavano anch’essi rose.

Se non fosse stato legato a saidin, dubitava che avrebbe sentito i passi sommessi delle Fanciulle, ma prima che queste superassero l’anticamera, Aviendha uscì dalla stanza da letto buia, con i capelli in disordine e il pugnale in mano. Completamente nuda. Alla vista di Rand si irrigidì come un palo e tornò da dove era venuta, quasi di corsa. Dalla soglia apparve una luce soffusa, quella di una lampada. Nandera rise sommessamente e scambiò delle occhiate divertite con Jalani.

«Non capirò mai gli Aiel» mormorò Rand, respingendo la Fonte. Non era il fatto che le Fanciulle trovassero divertente la situazione; aveva rinunciato da tempo a comprendere l’umorismo Aiel. Si trattava di Aviendha. Forse trovava molto divertente spogliarsi davanti a lui per andare a letto, ma se gli capitava di vedere una caviglia senza che lei lo volesse, Aviendha si trasformava in un gatto selvatico. Per non menzionare il fatto che dava la colpa a lui.

Nandera rise di nuovo. «Non sono gli Aiel che non riesci a capire, ma le donne. Nessun uomo ha mai capito le donne.»

«Invece gli uomini» intervenne Jalani «sono molto semplici.» Rand la fissò: la ragazza aveva ancora le guance da poppante, e arrossì leggermente. Nandera adesso sembrava pronta a sbellicarsi dalle risate.

Morte, sussurrò Lews Therin.

Rand dimenticò tutto il resto. Morte? Cosa vuoi dire?

Giunge la morte.

Che tipo di morte? chiese Rand. Di cosa stai parlando?

Chi sei? Dove sono?

Rand ebbe l’impressione che qualcuno l’avesse afferrato per la gola. Ne era quasi sicuro, ma... Era la prima volta che Lews Therin si rivolgeva direttamente a lui, una frase chiaramente rivolta al suo indirizzo.

Io sono Rand al’Thor. Tu sei nella mia testa.

Dentro? No! Io sono io! Io sono Lews Therin Telamoni Io sono ioooooo! il gridò sfumò in lontananza.

Torna indietro, urlò Rand. Quale morte? Rispondimi, che tu sia folgorato! Silenzio. Rand cambiò posizione a disagio. La conoscenza era un conto, ma un uomo morto, dentro di lui, che parlava di morte, lo faceva sentire sporco, come il tocco lieve della contaminazione di saidin.

Qualcosa gli urtò un braccio e Rand quasi afferrò il Potere, prima di accorgersi che si trattava di Aviendha. Doveva essersi tuffata nei vestiti, ma sembrava che avesse trascorso un’ora a sistemarsi, fin nei minimi particolari. La gente diceva che gli Aiel non mostravano emozioni, invece erano solo più riservati di tanti altri. I loro volti erano espressivi come quelli di chiunque, se si sapeva cosa cercare. Aviendha era combattuta fra la preoccupazione e la rabbia. «Stai bene?» chiese.

«Stavo solo pensando» le rispose. Abbastanza vero. Rispondimi, Lews Therin! Torna e rispondimi! Perché aveva pensato che il silenzio fosse ideale per quella mattina?

Sfortunatamente Aviendha lo prese in parola: se non c’era nulla di cui preoccuparsi... Si portò le mani sui fianchi. Quella era una cosa che Rand capiva delle donne Aiel, dei Fiumi Gemelli o di qualsiasi altro posto: le mani sui fianchi significavano rogne. Non avrebbe dovuto prendersi il disturbo di accendere le lampade; gli occhi di Aviendha sarebbero bastati a illuminare la stanza. «Sei di nuovo andato via senza di me. Ho promesso alle Sapienti di rimanerti vicina fino a quando dovrò, ma tu rendi vana la mia promessa. Hai un toh nei miei confronti per questo, Rand al’Thor. Nandera, d’ora in avanti devo essere informata su dove va e quando. Non gli dev’essere permesso di partire senza di me.»

Nandera non esitò nemmeno un istante prima di annuire. «Faremo come desideri, Aviendha.»

Rand si avvicinò alle due donne. «Aspettate! Non dev’essere riferito a nessuno dei miei movimenti, a meno che non lo voglia io.»

«Ho dato la mia parola, Rand al’Thor» rispose Nandera atona. Lo guardò negli occhi senza la minima intenzione di cambiare idea.

«E io anche» aggiunse Jalani con lo stesso tono di voce.

Rand aprì la bocca e la richiuse immediatamente. Maledetto ji’e’toh. Non sarebbe servito a nulla dire che lui era il Car’a’carn. Aviendha sembrava addirittura sorpresa che avesse protestato; pareva che per lei fosse una conclusione scontata. Rand sollevò le spalle a disagio, ma non per via di Aviendha. La sensazione di sporco era ancora presente e anche più forte di prima. Forse Lews Therin era tornato. Rand lo chiamò mentalmente, ma non ebbe risposta.

Un colpetto sulla porta annunciò l’ingresso di comare Harfor, che rivolse a Rand la solita riverenza profonda. La prima cameriera non mostrava segni di stanchezza per quell’orario mattiniero; in qualunque momento del giorno sembrava sempre che Reene Harfor si fosse appena vestita. «Sono arrivate delle persone in città, mio lord Drago, e lord Bashere ritiene che dovresti incontrarle al più presto. Lady Aemlyn e lord Culhan sono giunti ieri pomeriggio e si sono fermati da lord Pelivar. Lady Arathelle è arrivata un’ora dopo, con un vasto seguito. Lord Barel e lord Macharan, lady Sergase e lady Negara sono arrivati separatamente la scorsa notte, con un seguito limitato. Nessuno è venuto a porgere i saluti a palazzo.» L’ultima frase fu pronunciata con lo stesso tono di voce, senza alcun accenno alla sua personale opinione.

«Queste sono buone notizie» le rispose lui, ed era vero, che avessero porto i loro saluti o meno. Aemlyn e suo marito Culhan erano potenti quasi quanto Pelivar. Arathelle era più importante di tutti a esclusione di Dyelin e Luan. Gli altri appartenevano a casate minori e solo Barel fra tutti loro era sommo signore della casata di appartenenza, ma i nobili che si erano opposti a ‘Gaebril’ cominciavano a riunirsi. Buone notizie, se avesse trovato Elayne prima che decidessero di togliergli Caemlyn dalle mani.

Comare Harfor lo guardò per un istante, quindi gli porse una lettera con un sigillo azzurro. «Questa ci è stata consegnata la scorsa sera, mio lord Drago. Da uno stalliere. Sporco. La Maestra delle Onde del Popolo del Mare non è molto contenta di questa tua scomparsa proprio quando era giunto il momento della sua udienza.» Stavolta la disapprovazione trapelò dalla voce della donna, anche se non si capiva se fosse per la Maestra delle Onde, per Rand che aveva ignorato l’appuntamento o per il dover consegnare la lettera.

Rand sospirò; si era totalmente dimenticato del Popolo del Mare a Caemlyn. Questo gli fece venire in mente la lettera che gli era stata consegnata a Cairhien, quindi la estrasse dalla tasca. La ceralacca verde e quella azzurra avevano impresso lo stesso sigillo, anche se non riusciva a capire cosa rappresentasse. Due oggetti che somigliavano a ciotole appiattite con una linea decorata che passava da una dentro l’altra. Entrambe le lettere erano indirizzate al ‘Coramoor’, chiunque o qualsiasi cosa fosse. Supponeva di essere lui. Forse era il modo in cui il Popolo del Mare chiamava il Drago Rinato. Ruppe per primo il sigillo azzurro. Sulla lettera non c’erano saluti ed era molto diversa da ogni scritto indirizzato al Drago Rinato che Rand avesse mai visto.

Se la Luce lo vuole, farai ritorno a Caemlyn. Ho viaggiato molto per vederti, forse riuscirò a trovare il tempo di farlo al tuo ritorno.

Zaida din Parede Alanera

Del clan Catelar, Maestra delle Onde

Sembrava che comare Harfor avesse ragione; la Maestra delle Onde non era compiaciuta. Il sigillo verde celava qualcosa di leggermente migliore.

Se la Luce lo vuole, ti riceverò sul ponte dello Spuma Bianca non appena avrai tempo.

Harine din Togara Due Venti

Del clan Shodein, Maestra delle Onde

«Cattive notizie?» chiese Aviendha.

«Non lo so.» Rand guardò torvo le lettere e fu appena consapevole di comare Harfor che lasciava entrare una donna con la livrea rossa e bianca, per scambiare alcune parole sommesse con lei. Quelle due donne del Popolo del Mare non sembravano persone con le quali sarebbe stato piacevole trascorrere anche una sola ora. Aveva letto ogni traduzione delle Profezie sul Drago, tutte quelle che era riuscito a trovare e, anche se quella più chiara era a dir poco nebulosa, non ricordava nulla che accennasse agli Atha’an Miere. Forse, sulle loro imbarcazioni in mare e nelle loro isole lontane, sarebbero stati i soli a non essere sfiorati da Tarmon Gai’don. A quella Zaida doveva delle scuse, ma forse sarebbe riuscito a sviarla con Bashere. Quell’uomo sicuramente aveva abbastanza titoli da soddisfare la vanità di chiunque. «Non credo.»

La cameriera si inginocchiò davanti a lui, con la testa bianca piegata in avanti e le mani sollevate per porgergli un’altra lettera, scritta su pergamena. Quella posizione lo incuriosì; nemmeno a Tear si era mai visto un servitore così umile, tantomeno ad Andor. Comare Harfor guardava cupa la scena e scuoteva il capo. La donna in ginocchio parlò, sempre con il capo chino. «È arrivata questa per il mio lord Drago.»

«Sulin?» si lasciò sfuggire Rand. «Cosa stai facendo? Che ci fai in quel... vestito?»

Sulin sollevò il capo; era assolutamente orribile. Ricordava un lupo che cercava con tutte le sue forze di somigliare a una colomba. «È ciò che indossano le donne che servono e obbediscono ai tuoi ordini dietro pagamento.» Sventolò la lettera ancora stretta fra le mani sollevate. «Mi è stato ordinato di riferire che questa è appena arrivata per il lord Drago, da un... un cavaliere che è andato via non appena me l’ha consegnata.» La prima cameriera fece schioccare la lingua, irritata.

«Voglio una risposta precisa» disse Rand strappandole di mano la lettera sigillata. La donna scattò in piedi non appena la lettera lasciò le sue dita. «Torna qui, Sulin. Sulin, voglio una risposta!» Ma la donna corse via rapidamente come non aveva mai fatto quando aveva addosso il cadin’sor, dritta verso la porta e poi fuori.

Per motivi non meglio identificati, comare Harfor lanciò un’occhiata torva a Nandera. «Ti ho detto che non avrebbe funzionato. Ho anche detto a tutte e due che fino a quando indosserà la livrea di palazzo, mi aspetto che lo renda fiero del suo servizio, che si tratti di una Aiel o della regina di Saldea.» Facendo l’inchino, aggiunse, «Mio lord Drago» e si allontanò a grandi passi parlando da sola delle Aiel pazze.

Rand era pronto a concordare. Guardò da Nandera ad Aviendha e poi Jalani. Nessuna di loro pareva sorpresa. Non sembrava avessero visto nulla fuori dall’ordinario. «Volete dirmi, per la Luce, cosa sta succedendo? Quella era Sulin!»

«Prima» rispose Nandera «io e Sulin siamo andate nelle cucine. Pensavamo che strofinare pentole e cose simili fosse il lavoro giusto. Ma il tizio delle cucine ci ha risposto che aveva già tutti gli sguatteri che gli servivano. Sembrava convinto che Sulin avrebbe spaventato tutti gli altri. Non era molto alto.» Lei arrivava sotto al mento di Rand. «Era grasso, però, e credo che si sarebbe offerto di danzare le lance con noi se non fossimo andate via. Poi siamo andate dalla donna di nome Reene Harfor, visto che sembra sia la padrona di casa in questo posto.» Sul volto dell’Aiel apparve una lieve smorfia; una donna doveva essere padrona di casa oppure no, ma con chiarezza. Nel modo di pensare degli Aiel non c’era posto per una prima cameriera. «Non ha capito, ma almeno ha acconsentito. Credevo quasi che Sulin avrebbe cambiato idea una volta appreso che Reene Harfor l’avrebbe fatta infilare in un vestito, ma non è stato così. Sulin ha più coraggio di me. Io preferirei essere fatta gai’shain da un Seia Doon nuovo.»

«Io» aggiunse Jalani fiera «preferirei essere picchiata dal fratello primo del mio peggior nemico davanti a mia madre ogni giorno per un anno.»

Nandera socchiuse gli occhi in segno di disapprovazione e mosse le dita, ma invece di usare il linguaggio delle mani, disse: «Ti vanti come una Shaido, ragazza.» Se Jalani fosse stata più grande i tre insulti ben calcolati avrebbero potuto provocare qualche problema a Nandera, invece la giovane aiel chiuse gli occhi per non vedere le persone che avevano ascoltato quella battuta fatta apposta per svergognarla.

Rand si passò le mani fra i capelli. «Reene non ha capito? Sono io che non capisco, Nandera. Perché lo sta facendo? Ha rinunciato alla lancia? Ha sposato un Andorano?» Attorno a lui accadevano strane cose. «Le darò abbastanza oro per comperarsi una fattoria dove preferisce, non ha bisogno di fare la serva.» Jalani sgranò gli occhi e tutte e tre lo guardarono come se fosse pazzo.

«Sulin sta assolvendo al suo toh, Rand al’Thor» rispose Aviendha con fermezza. Stava dritta e sosteneva lo sguardo di Rand. Una bella imitazione di Amys. Solo che ogni giorno la imitava sempre meno ed era sempre più se stessa. «Non ti riguarda.»

Jalani annuì in segno di consenso. Nandera rimase in piedi, esaminando pigramente la punta della lancia.

«Sulin mi riguarda» rispose Rand. «Se le accade qualcosa...» Di colpo gli venne in mente lo scambio di parole che aveva sentito prima di recarsi a Shadar Logoth. Nandera aveva accusato Sulin di rivolgersi a una gai’shain come se fosse una Far Dareis Mai, e lei lo aveva ammesso dicendo che avrebbero regolato i conti in un altro momento. Non aveva più visto Sulin da quando erano ritornati da Shadar Logoth, ma Rand aveva supposto che fosse molto arrabbiata con lui e avesse lasciato alle altre il compito di fargli la guardia. Avrebbe dovuto capire. Stare a lungo con gli Aiel insegnava a capire il ji’e’toh e le Fanciulle erano le più permalose, con la possibile eccezione dei Cani di Pietra e gli Occhi Neri. Poi c’era Aviendha, con i suoi tentativi di trasformarlo in un Aiel.

Quella situazione era semplice, almeno per quanto potesse essere semplice qualcosa che includeva il ji’e’toh. Se non fosse stato tanto preso dai suoi problemi personali se ne sarebbe accorto subito. Era permesso rammentare tutti i giorni a una padrona di casa chi fosse stata prima di indossare il bianco da gai’shain — era una gran vergogna, ma autorizzata e, a volte, incoraggiata — eppure per i membri di nove società su tredici quell’osservazione era un disonore tremendo, se non per qualche circostanza che lui non riusciva a ricordare. Le Far Dareis Mai erano una delle nove. Quello era uno dei pochi modi di incorrere in un toh nei confronti di un gai’shain, ma era considerato l’obbligo più severo di tutti. Apparentemente Sulin aveva deciso di assolverlo accettando agli occhi degli Aiel una vergogna più grande di quella che aveva inferto. Era il suo toh, quindi era sua la scelta su come assolverlo, su quanto far durare la penitenza. Chi avrebbe potuto conoscere il peso del suo onore e la profondità dei suoi obblighi meglio di lei? Eppure l’aveva fatto perché lui non le aveva concesso abbastanza tempo. «È colpa mia» osservò Rand.

Era la cosa sbagliata da dire. Jalani lo guardò esterrefatta. Aviendha arrossì per l’imbarazzo; non c’erano scuse quando si incorreva nel ji’e’toh. Se salvare tuo figlio ti aveva messo in una posizione di obbligo nei confronti di un acerrimo nemico, dovevi pagarne il prezzo, senza battere ciglio.

Lo sguardo che Nandera lanciò ad Aviendha avrebbe potuto caritatevolmente essere definito denigratorio. «Se la smettessi di sognare a occhi aperti le sue sopracciglia, forse saresti un insegnante migliore.»

Aviendha era nera dall’indignazione, ma Nandera fece scattare le mani nel linguaggio muto delle Fanciulle rivolgendosi a Jalani, cosa che fece ridere di cuore lei e arrossire Aviendha, ora molto imbarazzata. Adesso Rand si aspettava la proposta di danzare le lance. Be’, non proprio quello. Aviendha gli aveva insegnato che le Sapienti e le loro apprendiste non lo facevano. Ma non si sarebbe sorpreso se avesse tirato Nandera per le orecchie.

Rand parlò rapidamente, per prevenire la situazione. «Visto che sono io il motivo per cui Sulin ha fatto quel che ha fatto, non ho forse un toh nei suoi confronti?»

A quanto pareva, era possibile rendersi anche più ridicolo di quanto non avesse già fatto fino a quel momento. Il volto di Aviendha divenne ancora più rosso e Jalani prese a esaminare con estremo interesse il tappeto. Anche Nandera sembrava leggermente mortificata dalla sua ignoranza. Era possibile far notare a qualcuno di avere un toh, ma sarebbe stato un insulto, oppure si poteva ricordarlo a qualcuno, ma chiedere significava non sapere. Be’, Rand sapeva di averlo. Avrebbe potuto cominciare con l’ordinare a Sulin di uscire da quel ridicolo abito da inserviente e indossare di nuovo il cadin’sor, avrebbe potuto... impedirle di osservare il suo toh. Qualunque cosa avesse fatto per alleviarle la pena avrebbe interferito con l’onore di Sulin. Il suo toh, una libera scelta. C’era qualcosa, ma non riusciva a identificarla. Forse avrebbe potuto chiedere ad Aviendha. Più tardi, quando non sarebbe stramazzata per la mortificazione. I volti delle tre donne rendevano esplicito che l’aveva imbarazzata fin troppo per il momento. Luce, che disastro. Chiedendosi come avrebbe potuto trovare una via d’uscita, si accorse di avere ancora la lettera fra le mani. La mise in tasca per slacciare il cinturone e appoggiare la spada e lo scettro del Drago, quindi la riprese. Chi avrebbe potuto inviare un messaggio per mezzo di un cavaliere che non si era nemmeno fermato per mangiare? Sul foglio non vi era nulla, nemmeno un nome; solo il corriere che ora era svanito avrebbe potuto dire da parte di chi fosse. Il sigillo non era riconoscibile, una specie di fiore stampato su cera viola, ma la lettera era pesante, segno che era stata usata una carta del tipo più costoso. Il contenuto, scritto in bella grafia, gli evocò un sorriso pensieroso.

Cugino,

i tempi sono delicati, ma sento di doverti scrivere per assicurarti la mia buona fede ed esprimerti le mie speranze nel tuo ritorno. Non temere: ti conosco e ti riconosco, ma esistono quelli che non sorriderebbero a nessuno che si avvicinasse a te, se non tramite loro stessi. Non chiedo nulla se non che tu mantenga segrete le mie confidenze nel fuoco del tuo cuore.

Alliandre Maritha

«Cos’hai da sorridere?» chiese Aviendha, osservando la lettera incuriosita. Era ancora arrabbiata per tutto ciò che le aveva fatto passare.

«È piacevole leggere qualcosa di semplice» le rispose. Il Gioco delle Casate era semplice a confronto del ji’e’toh. Il nome era sufficiente per capire chi aveva inviato la lettera, ma se quella lettera fosse caduta nelle mani sbagliate sarebbe sembrata un messaggio per un amico, o forse una sentita risposta a un supplicante.

Alliandre Maritha Kigarin, Benedetta dalla Luce, regina del Ghealdan, non avrebbe mai firmato una lettera tanto intima per qualcuno che non aveva mai visto, tantomeno il Drago Rinato. Ovviamente era preoccupata dei Manti Bianchi in Amadicia e del Profeta, Masema. Rand doveva fare qualcosa per quest’ultimo. Alliandre era cauta e non voleva rischiare di mettere nero su bianco più del necessario. E gli aveva anche ricordato di bruciare il messaggio. Il fuoco del suo cuore. Era comunque la prima volta che una governante lo avvicinava senza che la spada di Rand fosse puntata alla gola della sua nazione. Adesso sarebbe dovuto riuscire a trovare Elayne e consegnarle Andor prima che si scatenasse un’altra battaglia.

La porta si aprì con delicatezza e Rand sollevò il capo, ma non vide nulla e tornò alla lettera, chiedendosi se avesse dedotto tutto ciò che vi era celato. Leggendo si strofinò il naso. Lews Therin e il suo parlare di morte. Rand non riusciva a liberarsi da quella sensazione di sporco.

«Io e Jalani andiamo fuori» disse Nandera.

Rand annuì con fare assente mentre osservava la lettera. Thom probabilmente avrebbe scorto a prima vista sei messaggi che a lui erano sfuggiti.

Aviendha gli appoggiò un mano su un braccio e poi la rimosse in modo brusco. «Rand al’Thor, devo parlarti seriamente.»

A Rand venne tutto in mente d’improvviso. La porta si era aperta. Sentiva odore di sporcizia, non era solo una sensazione, anche se non era esattamente un odore. Lasciando cadere la lettera, spinse via Aviendha con tale forza che la donna cadde gridando — lontana da lui, lontana dal pericolo; tutto sembrava rallentato — quindi afferrò saidin e si voltò di scatto.

Nandera e Jalani si erano girate per vedere cos’avesse fatto urlare Aviendha. Rand dovette guardare con estrema attenzione per individuare l’uomo con la giubba grigia che nemmeno le Fanciulle vedevano, benché stesse passando loro accanto, con gli occhi scuri e senza vita fissi su Rand. Pur concentrandosi, lui aveva voglia di distogliere lo sguardo dall’Uomo Grigio. Ecco cos’era. Uno degli assassini dell’Ombra. Mentre la lettera cadeva in terra l’Uomo Grigio si accorse che Rand lo aveva visto. Il grido di Aviendha ancora echeggiava e non aveva ancora toccato terra; fra le mani dell’Uomo Grigio apparve un pugnale, e si fece avanti. Rand lo avvolse in flussi di Aria quasi con sdegno. Una barra di fuoco spessa come un polso gli passò dietro la spalla, perforando il torace dell’Uomo Grigio. L’assassino morì prima di muovere un dito; la testa ricadde e quegli occhi, non più vitrei di prima, fissarono Rand.

Ora che era morto, qualsiasi cosa gli fosse stata fatta per renderlo difficile da vedere non era più efficace. Era morto e, improvvisamente, visibile a tutti. Aviendha, che cominciava solo ora a rialzarsi, gridò stupita e Rand sentì la pelle d’oca, una sensazione tipica di quando una donna incanalava nelle sue vicinanze. Le mani di Nandera scattarono verso il velo con un’esclamazione amareggiata e Jalani stava per sollevare le proprie.

Rand lasciò cadere il cadavere ma rimase in contatto con saidin mentre si voltava per trovarsi di fronte Taim, in piedi sulla soglia della camera da letto.

«Perché l’hai ucciso?» chiese Rand. Solo una parte della durezza della voce era dovuta al vuoto. «L’avevo catturato; forse mi avrebbe detto qualcosa, magari chi lo aveva inviato. Che cosa ci fai qui, in ogni caso? Sgattaiolare in questo modo nella mia camera da letto!»

Taim si fece avanti totalmente a suo agio, con addosso la giubba nera con i draghi azzurro e oro ricamati sulle maniche. Aviendha si alzò in piedi e, malgrado saidar, l’espressione diceva che era pronta a usare contro Taim il pugnale che aveva appeso al cinturone. Nandera e Jalani si erano velate e stavano in punta dei piedi. Taim le ignorò; Rand sentì il Potere abbandonare l’altro uomo, per mente preoccupato di quello che ancora colmava Rand. Un mezzo sorriso distorse l’espressione delle labbra di Taim mentre fissava il corpo dell’Uomo Grigio.

«Brutto affare i Senzanima.» Chiunque altro avrebbe rabbrividito, ma non Taim. «Sono arrivato sul tuo balcone usando i passaggi perché supponevo volessi sentire subito le novità.»

«Qualcuno sta imparando troppo in fretta?» lo interruppe Rand, e Taim gli rivolse di nuovo quel sorriso contorto.

No, non uno dei Reietti camuffati, a meno che non sia riuscito a mascherarsi da ragazzino di vent’anni. Si chiama Jahar Narishma e ha la scintilla innata, anche se non l’ha ancora manifestata. Con gli uomini di solito accade più tardi che con le donne. Dovresti ritornare alla scuola, resteresti sorpreso dei cambiamenti.»

Rand non ne dubitava. Jahar Narishma non era un nome andorano. Il talento del viaggiare non aveva limiti e lui lo sapeva bene, ma sembrava che Taim si fosse avventurato molto lontano per reclutare nuovi elementi. Non disse nulla ma guardò il corpo disteso sul tappeto.

Taim fece una smorfia, ma non aveva perso il controllo, era solo irritato. «Credimi, vorrei almeno quanto te che fosse ancora vivo. L’ho visto e ho agito senza pensare; l’ultima cosa che voglio è vederti morto. Lo hai imprigionato nel momento in cui ho incanalato, ma era troppo tardi per fermarmi.»

Devo ucciderlo, mormorò Lews Therin, e il Potere si gonfiò in Rand. Immobile, lui cercò di rilasciare saidin e fu una lotta estenuante. Lews Therin stava tentando di mantenere la presa, di incanalare. Alla fine, lentamente, l’Unico Potere svanì come acqua che cola dal buco di un secchio.

Perché? chiese Rand. Perché vuoi ucciderlo? Non vi fu risposta, solo una risata folle e un pianto in lontananza.

Aviendha lo guardava molto preoccupata. Aveva riposto il pugnale, ma il prurito che provava Rand indicava che la donna ancora non aveva rilasciato saidar. Le due Fanciulle avevano calato il velo adesso che pareva chiaro che la comparsa di Taim non era un attacco; riuscirono a tenere un occhio sull’uomo e uno sul resto della stanza lanciandosi al tempo stesso sguardi sconcertati.

Rand prese la sedia accanto al tavolo dov’erano appoggiate la spada e lo scettro del Drago. La lotta era durata un solo istante, ma aveva le ginocchia indebolite. Lews Therin era quasi riuscito a prendere il controllo, almeno su saidin. Alla scuola si era preso in giro da solo, ma adesso non poteva.

Se Taim aveva notato qualcosa, non ne aveva dato segno. Si piegò per raccogliere la lettera e la guardò prima di passarla a Rand, rivolgendogli un accenno d’inchino.

Rand si infilò il foglio in tasca. Nulla scuoteva Taim; nulla ne disturbava l’equilibrio. Perché Lews Therin voleva ucciderlo? «Da come eri deciso a inseguire le Aes Sedai, sono sorpreso che tu non mi abbia suggerito di attaccare Sammael. Noi due insieme, forse con alcuni degli studenti più forti, potremmo spuntare di sorpresa proprio davanti a lui, a Man, usando un passaggio. Quello doveva essere un inviato del Reietto.»

«Forse» rispose Taim, lanciando un’occhiata all’Uomo Grigio. «Pagherei oro per esserne sicuro.» Sembrava la semplice verità. «Per quanto riguarda Illian, non credo che sarebbe semplice come liberarsi di due ordinarie Aes Sedai. Continuo a chiedermi cosa farei al posto di Sammael. Proteggerei Illian con una serie di schermi, di modo che se anche un uomo solo pensasse di incanalare, saprei immediatamente dove si trova e ridurrei la terra in cenere prima che avesse il tempo di respirare.»

Rand la vedeva allo stesso modo; nessuno sapeva meglio di Sammael come difendere un posto. Forse Lews Therin era pazzo. Magari anche geloso. Rand cercò di convincersi di non aver evitato la scuola perché era geloso anche lui, ma vicino a Taim provava sempre una sorta di fastidio. «Mi hai informato. Adesso ti suggerisco di andare ad addestrare quel Jahar Narishma. Fallo bene. Forse dovrà usare presto la sua capacità.»

Gli occhi scuri di Taim lampeggiarono per un istante, quindi gli rivolse un leggero inchino. Afferrò saidin senza dire una parola e aprì un passaggio di fronte a sé. Rand si sedette senza afferrare il Potere, fino a quando l’uomo non se ne fu andato e il passaggio non si fu ridotto a una sottile lama di luce; non poteva correre il rischio di un’altra lotta con Lews Therin, non quando avrebbe potuto perdere e ritrovarsi a lottare contro saidin. Perché Lews Therin voleva vedere quell’uomo morto? Luce, Lews Therin sembrava volere tutti morti, lui incluso.

Era stata una mattinata piena di eventi, specialmente considerando che il sole non era ancora sorto. Le buone notizie erano più delle cattive. Guardò l’Uomo Grigio disteso sul tappeto; quella ferita probabilmente si era cicatrizzata subito, ma comare Harfor si sarebbe accertata di informarlo, senza dire una parola, se avesse scorto anche una sola macchia di sangue. Per quanto riguardava quella Maestra delle Onde del Popolo del Mare, poteva anche cuocere nel suo brodo d’insolenza, per quanto lo riguardava: aveva già abbastanza grane da gestire senza aggiungere un’altra donna alla lista.

Nandera e Jalani ancora oscillavano da un piede all’altro vicino alla porta. Avrebbero dovuto recarsi alle loro postazioni non appena Taim era andato via.

«Se voi due siete seccate per l’Uomo Grigio,» disse Rand «dimenticatelo. Solo uno sciocco si aspetta di vedere uno dei Senzanima se non per caso, e nessuna di voi due è una sciocca.»

«Non si tratta di quello» rispose Nandera, ferma. La mascella di Jalani era talmente rigida che si capiva bene quanto facesse fatica a non parlare.

Rand capì subito. Non pensavano che avrebbero dovuto vedere l’Uomo Grigio, ma si vergognavano di non averlo fatto. Se ne vergognavano e temevano che si sarebbero diffuse voci sul loro ‘fallimento’. «Nessuno deve sapere che Taim è stato qui, né cos’ha detto. La gente è abbastanza ansiosa già solo sapendo che la fattoria è da qualche parte nelle vicinanze, non c’è bisogno che si spaventino nello scoprire che Taim o uno degli studenti è venuto in città. Credo che sia il modo migliore di mantenere la calma su quanto è accaduto stamattina. Non possiamo tenere segreto un corpo, ma voglio che mi promettiate di non dire una parola: solo che un uomo ha tentato di uccidermi ed è morto per averci provato. È quanto intendo raccontare a tutti e non mi piacerebbe affatto se mi faceste passare per bugiardo.»

La gratitudine sui loro volti fu palese. «Ho un toh» mormorarono le due all’unisono.

Rand si schiarì la gola; non era per quello che l’aveva detto, ma almeno le aveva fatte rilassare. Di colpo gli venne in mente un sistema per gestire il problema Sulin. Non le sarebbe piaciuto, ma avrebbe soddisfatto il suo toh, forse anche di più proprio perché non le sarebbe piaciuto, e avrebbe alleviato la coscienza di Rand, facendo sì che anche parte del suo toh nei confronti della donna venisse soddisfatto.

«Adesso tornate alle vostre postazioni di guardia, o comincerò a pensare che siete voi a voler ammirare le mie sopracciglia.» Era la stessa cosa che aveva detto Nandera. Aviendha affascinata dalle sue sopracciglia? «Andate e trovate qualcuno che porti via quel tizio.» Le due donne si incamminarono parlando con il linguaggio delle mani, mentre Rand si alzò e prese Aviendha per un braccio. «Hai detto che dobbiamo parlare. Vieni in camera da letto fino a quando non puliranno questa stanza.» Se c’era una macchia, forse avrebbe potuto incanalare per eliminarla.

Aviendha si liberò dalla presa. «No! Non lì!» Sospirò profondamente e moderò il tono di voce, ma appariva ancora sospettosa e più che arrabbiata. «Perché non possiamo parlare qui?» Non vi era motivo, a parte un cadavere sul pavimento, ma per lei non contava. Lo spinse di nuovo sulla sedia quasi con violenza, quindi lo studiò e sospirò ancora una volta prima di parlare.

«Ji’e’toh è il fulcro vitale degli Aiel. Noi siamo ji’e’toh. Questa mattina mi hai umiliata.» A braccia conserte e fissandolo negli occhi, gli diede una lezione sulla sua ignoranza e l’importanza di nasconderla fino a quando non avesse corretto quel difetto, quindi proseguì spiegando che un toh andava assolto a tutti i costi. Su quello investì molto tempo.

Rand era certo che non fosse ciò che aveva inteso quando aveva detto che doveva parlargli, ma gli piaceva troppo guardarla negli occhi per chiedersi di cosa avesse voluto parlare realmente. Gli piaceva. Un poco alla volta diede una caccia spietata al suo piacere nel guardarla negli occhi e lo schiacciò, fino a ridurlo a un lieve dolore.

Credeva di averlo nascosto, ma doveva aver cambiato espressione. Aviendha si interruppe e rimase a fissarlo, respirando affannata. Distolse lo sguardo a fatica. «Almeno adesso capisci» mormorò. «Devo... ho bisogno di... fintanto che capisci.» Sollevò la gonna e attraversò la stanza — quel corpo avrebbe potuto essere un cespuglio per il modo in cui lo aveva scavalcato — e uscì.

Lo lasciò da solo con un cadavere in una stanza che ora, per ragioni ignote, si era fatta più scura. Era perfetto. Quando vennero i gai’shain per portare via il corpo dell’Uomo Grigio, trovarono Rand che rideva sommessamente.

Padan Fain era seduto appoggiato su un poggiapiedi e studiava la bellezza della luce del sole mattutino riflessa sulla lama ricurva del pugnale che si passava da una mano all’altra. Portarlo appeso al cinturone non era abbastanza; di tanto in tanto aveva bisogno di toccarlo. Il grosso rubino incastonato sull’impugnatura risplendeva malevolo. Quel pugnale era parte di lui, o forse il contrario. Il pugnale faceva parte di Aridhol, la città che gli uomini chiamavano Shadar Logoth, ma in fondo anche lui apparteneva alla città. O forse ne era parte integrante. Era un’idea folle e lui lo sapeva bene, ma, essendo pazzo, non gli importava. La luce del sole risplendeva sull’acciaio, un metallo adesso più mortale di quando era stato forgiato a Thakan’dar.

Un fruscio colse la sua attenzione e Fain si voltò verso il Myrddraal seduto comodamente dall’altro lato della stanza. La creatura non provò a sostenerne il suo sguardo; aveva spezzato da tempo la sua volontà.

Fain tentò di ritornare alla contemplazione della lama, alla bellezza soave della morte perfetta, la bellezza di ciò che Aridhol era stata e sarebbe stata di nuovo, ma il Myrddraal aveva interrotto la sua concentrazione. L’aveva rovinata. Fain avrebbe quasi voluto ucciderlo. I Mezzi Uomini impiegavano molto a morire; quanto sarebbe durato se avesse usato il pugnale? Come se percepisse i suoi pensieri, il Myrddraal si mosse di nuovo. No, avrebbe potuto ancora essergli utile.

Per lui era comunque difficile concentrarsi a lungo su qualcosa. Tranne Rand al’Thor. Poteva percepire Rand al’Thor, poteva quasi indicarlo, così vicino. Al’Thor lo attirava, fino a fargli male. Di recente vi era qualcosa di diverso, una differenza che era apparsa all’improvviso, quasi come se qualcuno si fosse impossessato parzialmente di Rand al’Thor e nel farlo avesse respinto una parte della possessione di Fain. Non importava. Al’Thor gli apparteneva.

Avrebbe tanto voluto sentire il dolore di al’Thor; sicuramente gli aveva provocato del dolore. Per ora solo delle punture ma che, quando fossero state in numero sufficiente, lo avrebbero prosciugato. I Manti Bianchi si erano accaniti contro il Drago Rinato. Le labbra di Fain si ritrassero in un ghigno. Niall avrebbe supportato al’Thor quanto Elaida, ma era più ragionevole non dare nulla per scontato con quel maledetto Rand al’Thor. Be’, Fain li aveva carezzati entrambi con quanto portava con sé da Aridhol; si sarebbero fidati di chiunque, ma mai di Rand al’Thor.

La porta si spalancò e il giovane Perwyn Belman apparve nella stanza inseguito dalla madre. Nan Belman era una bella donna, anche se ormai Fain non prestava più attenzione alla bellezza femminile. Era un’Amica delle Tenebre che aveva pensato ai propri giuramenti solo come alla possibilità di sguazzare nella malevolenza, fino a quando Padan Fain era apparso sulla soglia di casa sua. Credeva che anche lui fosse un Amico delle Tenebre, con una posizione di rilevo, ma Fain era andato ben oltre; sarebbe morto nel momento in cui uno dei Prescelti gli avesse messo le mani addosso. Quel pensiero lo fece ridere.

Perwyn e la madre si ritrassero alla vista del Myrddraal, ma il ragazzo si riprese subito e raggiunse Fain, mentre la donna stava ancora tentando di recuperare il fiato.

«Mastro Mordeth, mastro Mordeth» disse il ragazzino saltando da un piede all’altro, con addosso la giubba rossa e bianca. «Ho delle notizie che ti interessano.»

Mordeth. Aveva usato quel nome? A volte non ricordava quale sceglieva. Infilò il pugnale sotto la giubba e rivolse loro un sorriso caloroso. «E di quali notizie può mai trattarsi, ragazzo?»

«Qualcuno stamattina ha provato a uccidere il Drago Rinato. Un uomo. Adesso è morto. Aveva superato gli Aiel e ogni ostacolo, entrando proprio nella stanza del Drago.»

Il sorriso di Fain divenne un ringhio. Cercare di uccidere al’Thor? Al’Thor era suo! Al’Thor sarebbe morto per mano sua e di nessun altro! Un momento. L’assassino aveva oltrepassato gli Aiel ed era entrato in camera di al’Thor? «Un Uomo Grigio!» Fain non riconobbe il suono della propria voce. Gli Uomini Grigi significavano i Prescelti. Si sarebbe mai liberato delle loro interferenze?

Doveva scaricare tutta quella rabbia prima che esplodesse. Quasi con indifferenza fece scorrere una mano vicino al viso del ragazzo, che sgranò gli occhi; incominciò a tremare talmente forte che gli battevano i denti.

Fain non capiva bene come funzionassero le sue capacità. Qualcosa dal Tenebroso e qualcosa da Aridhol. Dopo quel momento era stato libero, dopo che aveva cessato di essere Padan Fain e l’abilità aveva incominciato a manifestarsi. Tutto quello che sapeva era che adesso poteva fare diverse cose, se riusciva a toccare ciò con cui lavorava.

Nan si inginocchiò accanto alla sedia di Fain e lo afferrò per la giubba. «Ti prego, abbi pietà, è solo un bambino. Solo un bambino!»

Per un istante la studiò con cautela, con il capo reclinato. Era una donna graziosa. Le piantò un piede contro il petto e la scagliò a terra da un lato, per potersi alzare. Il Myrddraal, che osservava furtivo, voltò il viso privo di occhi da un lato quando si accorse che Fain lo guardava. Ricordava molto bene il suo... trucchetto.

Fain camminava avanti e indietro: doveva muoversi. La caduta di al’Thor doveva essere opera sua! Sua! Non dei Prescelti. Come avrebbe potuto colpire di nuovo quell’uomo? Colpirlo al cuore? C’erano quelle ragazzine ciarlanti a Il segugio di Culain, ma se al’Thor non si era fatto vivo quando i Fiumi Gemelli erano stati straziati, cosa gli sarebbe importato se Fain avesse incendiato la locanda e le smorfiose? Con cosa avrebbe dovuto lavorare? Erano rimasti pochi dei suoi originali Figli della Luce. Si era trattato solo di una prova — avrebbe costretto qualsiasi uomo che avesse ucciso al’Thor a pregarlo di essere scuoiato vivo! — ma gli era costato caro. Aveva il Myrddraal, una manciata di Trolloc nascosti fuori dalla città e alcuni Amici delle Tenebre riuniti a Caemlyn, ora in viaggio verso Tar Valon. Il magnetismo di al’Thor lo attirava. Era la caratteristica più peculiare degli Amici delle Tenebre. Non avrebbe dovuto esserci nulla a differenziare un Amico delle Tenebre da chiunque altro, ma di recente si era accorto di riconoscerli a prima vista, anche quelli che avevano solo pensato di prestare giuramento all’Ombra. Come se avessero un marchio fuligginoso sulla fronte.

No! Doveva concentrarsi. Concentrarsi! Schiarirsi la mente. Gli occhi ricaddero sulla donna che si lamentava e carezzava il figlio tremante, parlandogli sottovoce come se potesse essere d’aiuto. Fain non sapeva come fermare uno dei suoi trucchi una volta che li aveva avviati; il ragazzo sarebbe sopravvissuto, anche se malconcio, una volta che quella cosa fosse terminata. Fain non ci aveva messo il cuore. Schiarirsi la mente. Pensare a qualcos’altro. Una donna graziosa. Quanto tempo era trascorso da quando aveva avuto una donna?

Sorridendo, la prese per un braccio. Doveva allontanarla da quello stupido ragazzino. «Vieni con me.» La sua voce adesso era diversa, grandiosa, priva dell’accento del Lugard, ma lui non se n’era accorto, non lo faceva mai. «Sono certo che almeno tu sappia come mostrare il dovuto rispetto. Se mi compiaci, non ti farò alcun male.» Perché la donna si agitava? Sapeva di essere affascinante in quel momento. Sarebbe stato costretto a farle del male. Era tutta colpa di al’Thor.

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