47 La donna errante

Mat voleva una cavalcata serena fino a e Ebou Dar e in qualche modo la ottenne. Ma viaggiare con sei donne, delle quali quattro erano Aes Sedai, era motivo di molte irritazioni.

Raggiunsero quella foresta lontana durante il primo giorno, con il sole ancora alto, e cavalcarono qualche ora sotto l’intrico di alberi prevalentemente spogli, con le foglie morte e i rami secchi che si spezzavano sotto gli zoccoli dei cavalli, fino a quando montarono l’accampamento vicino a un ruscello, proprio prima del tramonto.

Harnan, il capofila con un becco di falco tatuato su una guancia, si occupò della sistemazione della Banda, fece accudire e impastoiare i cavalli, disporre le sentinelle e accendere i fuochi. Nerim e Lopin si davano da fare, lamentandosi del fatto di non aver portato le tende per poi chiedersi come un uomo potesse sapere che avrebbe trascorso la notte all’addiaccio se il suo capo non diceva nulla, aggiungendo che se il loro capo fosse morto per caso, non sarebbe stata colpa loro. Uno magro e l’altro grosso, sembravano farsi eco a vicenda. Vanin si prese cura di se stesso anche se teneva d’occhio Olver e strigliò Vento, visto che il ragazzo non era abbastanza alto, neppure usando la sella come sgabello. Tutti si occupavano di Olver.

Le donne condividevano l’accampamento, ma in un certo modo la loro area era isolata come se si trovassero a cinquanta passi di distanza. Una linea invisibile sembrava separare il campo in due parti, con dei segnali aleatori che avvisavano i soldati di non valicarne i limiti. Nynaeve, Elayne e le altre due donne che avevano i capelli bianchi si erano riunite attorno al loro fuoco, mentre Aviendha e la cercatrice dai capelli biondo oro non guardavano quasi mai nella direzione in cui Mat e i suoi uomini stavano disponendo le coperte per la notte. La conversazione sommessa che Mat aveva sentito, o quanto riuscì a decifrarne, doveva riguardare la preoccupazione di Vandene e Adeleas su Aviendha che voleva guidare a piedi il cavallo fino a Ebou Dar invece che cavalcare. Thom cercò di scambiare qualche parola con Elayne ricevendo un colpetto sulla guancia, prima di essere rimandato indietro da Juilin e Jaem, il vecchio Custode nodoso che apparteneva a Vandene, il quale sembrava trascorrere tutto il suo tempo affilando la spada.

Mat non ebbe obiezioni nel vedere che le donne si tenevano da parte. Fra loro aleggiava una tensione che non capiva. La percepiva di sicuro intorno a Nynaeve ed Elayne e anche la cercatrice ne sembrava affetta. A volte fissavano le Aes Sedai — le altre Aes Sedai; non era certo che si sarebbe mai abituato a pensare a Nynaeve ed Elayne in quella maniera — con un po’ troppa intensità, anche se Vandene e Adeleas ne sembravano inconsapevoli, come Aviendha. Quale che fosse la ragione, Mat non voleva averci nulla a che fare. Puzzava di una lite pronta a esplodere. Che fosse finita in fiamme o si fosse consumata nel sottosuolo, un uomo saggio si teneva sempre alla larga dalle discussioni tra donne. Medaglione o no, un uomo saggio si teneva ancor più alla larga se le donne erano Aes Sedai.

Era un pensiero vagamente irritante, come anche l’altro che gli sovvenne, ma in questo caso era colpa sua. Il cibo. L’odore di arrosto e zuppa si sollevò rapidamente dal fuoco delle Aes Sedai. Aspettandosi di giungere rapidamente a Ebou Dar Mat non aveva dato ordini particolari a Vanin e gli altri in merito alle provvigioni, e questo significava che avevano solo delle porzioni di carne essiccata e gallette nelle bisacce da sella. Mat non era riuscito a vedere un uccello o uno scoiattolo, tantomeno un cerbiatto, quindi la caccia era fuori questione. Quando Nerim dispose un tavolino pieghevole e uno sgabello per lui — Lopin stava facendo lo stesso per Nalesean — Mat gli disse di mostrargli ciò che aveva riposto nei cesti di vimini da trasporto legati ai cavalli da soma. Il risultato non fu buono come sperava.

Nerim stava in piedi accanto al tavolo di Mat e versava dell’acqua da una caraffa d’argento come se fosse vino, guardando con aria sofferente le prelibatezze che svanivano nelle gole degli uomini. «Uova di quaglia in salamoia, mio signore» annunciò in tono funereo. «Sarebbero state perfette per il pasto del mio signore a Ebou Dar, e la migliore lingua affumicata, mio signore. Se il mio signore solo sapesse cos’ho dovuto passare per trovare della lingua affumicata intrisa nel miele in quel terribile villaggio, senza tempo a disposizione per cercare altro e con le cose migliori prese dalle Aes Sedai...» Il suo maggior dolore sembrava derivare dal fatto che Lopin avesse scovato delle allodole in terrina per Nalesean. Ogni volta che Nalesean ne addentava una, il sorriso compiaciuto di Lopin si ampliava e Nerim diventava ancora più tetro. Era chiaro, dal modo in cui alcuni uomini fiutavano l’aria, che avrebbero preferito avere una fetta d’agnello e una scodella di zuppa che qualsiasi quantità di lingua affumicata o paté di fegato d’oca. Olver fissava il fuoco delle donne con aperto desiderio.

«Vuoi mangiare con loro?» gli chiese Mat. «Per me va bene, se lo vuoi fare.»

«Mi piace l’anguilla affumicata» rispose Olver risoluto. Con un tono più tetro aggiunse: «E poi quella potrebbe metterci dentro qualcosa.» Seguiva con lo sguardo Aviendha ogni volta che si muoveva e sembrava che adesso ce l’avesse anche con la cercatrice, forse perché trascorreva molto tempo parlando in maniera amichevole con la donna aiel. Aviendha doveva aver percepito lo sguardo del ragazzo perché lo guardò e aggrottò le sopracciglia.

Pulendosi il mento mentre guardava il fuoco delle Aes Sedai — a pensarci bene anche lui avrebbe preferito agnello e zuppa — Mat notò che non c’era Jaem. Vanin disse che forse era stato mandato di nuovo in avanscoperta, ma Mat lo inviò ugualmente a fare la stessa cosa, come aveva sempre disposto pur sapendo che Jaem era fuori. Non voleva basarsi solo su ciò che le Aes Sedai avessero scelto di rivelargli. Forse avrebbe potuto fidarsi di Nynaeve — non pensava che gli avrebbe mentito; come Sapiente aveva sempre punito severamente tutti quelli che lo facevano — ma la donna continuava a guardarlo di sottecchi da dietro le spalle di Adeleas, in maniera molto sospettosa.

Con sua sorpresa Elayne si alzò non appena finito il pasto e si diresse con eleganza oltre quella linea invisibile. Alcune donne sembravano sfiorassero il suolo. «Ti va di passeggiare con me, mastro Cauthon?» chiese con freddezza. Non fu proprio educata, ma nemmeno scortese.

Mat le fece cenno di fare strada e la donna fluttuò verso gli alberi che proiettavano ombre alla luce della luna, oltre le sentinelle. I capelli color oro le scendevano sulle spalle, incorniciando un volto che qualsiasi uomo avrebbe fissato, e la luna ne aveva ammorbidito l’arroganza. Se fosse stata qualcos’altro... e non si riferiva al fatto di essere Aes Sedai o di appartenere a Rand. L’amico sembrava impelagarsi con il peggior tipo di donna, per essere un uomo che aveva sempre saputo come trattarle. Poi Elayne iniziò a parlare e Mat dimenticò tutto il resto.

«Tu hai un ter’angreal» disse senza preamboli e senza guardarlo. Gli camminava a fianco, facendo scricchiolare le foglie per terra, come se si aspettasse che la seguisse come un cagnolino. «Alcuni sostengono che i ter’angreal appartengano di diritto alle Aes Sedai, ma non ti chiederò di consegnarmelo. Nessuno te lo toglierà. Alcune cose però devono essere studiate. Per questo motivo, voglio che tu mi consegni il ter’angreal ogni sera quando ci fermiamo e io te lo restituirò la mattina prima di partire.»

Mat la guardò in tralice. Era seria, non aveva dubbi. «È molto gentile da parte tua lasciarmi tenere ciò che mi appartiene. Ma cosa ti fa pensare che io abbia uno di quei... come l’hai chiamato? Un ter-qualcosa?»

A quella risposta la donna si irrigidì e lo guardò. Fu sorpreso nel non vedere il fuoco dardeggiare dagli occhi fino a illuminare la notte. La voce, invece, era fredda. «Sai molto bene cosa sia un ter’angreal, mastro Cauthon. Ho sentito Moiraine che ne parlava nella Pietra di Tear.»

«La Pietra?» rispose calmo. «Sì, mi ricordo della Pietra. Abbiamo trascorso dei bei giorni lì. Ti ricordi un fatto accaduto nella Pietra che ti dà il diritto di chiedermi qualcosa? Io no. Sono qui solo per evitare che tu e Nynaeve vi ritroviate con un coltello fra le costole a Ebou Dar. Puoi chiedere i ter’angreal a Rand una volta che ti avrò consegnata a lui.»

Elayne lo fissò per un lungo momento, come se intendesse percuoterlo con la sola forza di volontà, quindi si voltò e andò via senza aggiungere una parola. Mat la seguì per fare ritorno all’accampamento e rimase sorpreso nel vederla camminare lungo le file dei cavalli impastoiati. Esaminò i fuochi e com’erano disposte le sistemazioni per la notte, scuotendo il capo nel vedere i resti del pasto della truppa. Mat non aveva idea di cosa avesse in mente Elayne fino a quando non tornò da lui a mento alto.

«I tuoi uomini hanno fatto un buon lavoro, mastro Cauthon» disse, a voce abbastanza alta perché la sentissero tutti. «In generale sono più che soddisfatta, ma se tu avessi programmato tutto in anticipo e come si deve, non avrebbero dovuto nutrirsi con del cibo che, nella migliore delle ipotesi, probabilmente li terrà svegli tutta la notte. Comunque nel complesso hai fatto un buon lavoro. Sono sicura che in futuro sarai più previdente.» Fredda come non mai, fece ritorno al suo fuoco prima che Mat potesse dire una parola, lasciandolo a fissarla.

Se fosse stato tutto lì, la maledetta erede al trono convinta che lui fosse uno dei suoi sudditi e lei e Nynaeve silenziose su Vandene e Adeleas, avrebbe danzato una giga. Subito dopo ‘l’ispezione’ di Elayne, prima che potesse raggiungere il suo giaciglio, il medaglione con la testa di volpe divenne freddo.

Mat ne fu talmente colpito che rimase in piedi fissandosi il petto prima di guardare verso il fuoco delle Aes Sedai. Erano tutte disposte in fila lungo quel confine invisibile, anche Aviendha. Elayne mormorò qualcosa che non riuscì a sentire e le due Aes Sedai dai capelli bianchi annuirono, mentre Adeleas continuava a intingere una penna nella boccetta dell’inchiostro, inserita in una specie di custodia appesa alla cintura, e prendeva appunti su un libretto. Nynaeve si tirava la treccia e borbottava.

Durò solo pochi momenti, poi il freddo svanì e le donne ritornarono alla loro conversazione sommessa. Di tanto in tanto una di loro gli lanciava un’occhiata, fino a quando Mat non se ne andò a dormire.

Il secondo giorno di viaggio raggiunsero la strada e Jaem ripose il mantello cangiante. Era un’ampia via di terra battuta, dove a volte era visibile un tratto di lastricato, ma non rese il viaggio più veloce. Alcune di quelle colline meritavano di essere definite montagne, cime frastagliate con pendii scoscesi e guglie di pietra che spuntavano fra gli alberi. In entrambe le direzioni fluiva un rivolo di persone, la maggior parte in abiti sporchi, che procedevano con passo pesante e il volto inespressivo: sembrava quasi che riuscissero a fatica a pensare di farsi da parte quando si accostava a un carro di contadini trainato da buoi, o la carovana di un mercante con i carri coperti dai teloni dietro tiri di sei o otto cavalli. Fattorie e granai di pietra chiara sembravano aggrappati ai pendii delle colline, e a metà del terzo giorno videro il primo villaggio di edifici intonacati, bianchi con i tetti di tegole rosse. Le punzecchiature di Elayne però continuarono. Continuava a fare le sue ispezioni serali. Quando Mat le aveva detto sarcastico di essere contento che lei fosse soddisfatta, la seconda notte che si erano accampati accanto alla strada, gli aveva sorriso in maniera regale e aveva commentato: «Fai bene a esserlo, mastro Cauthon», come se credesse davvero a ogni parola!

Quando presero a fermarsi nelle locande, la donna iniziò a ispezionare i cavalli nelle stalle e le sistemazioni nei fienili per le truppe. La richiesta di non inarcare le sopracciglia con freddezza non aveva ottenuto risposta. La richiesta di non presentarsi affatto in ispezione era stata ignorata totalmente. Elayne gli diceva sempre di fare cose che lui aveva già deciso di fare — come far controllare tutti i ferri dei cavalli nel primo villaggio che avesse avuto un maniscalco — e, fatto ancora più seccante, cose alle quali avrebbe provveduto da solo se ne avesse scoperto l’esistenza prima di lei. Non riusciva a immaginare come avesse fatto a sapere che Tad Kandel stava cercando di nascondere una vescica sulle natiche, o che Lawdrin Mendair non aveva meno di cinque fiasche di acquavite nascoste nelle bisacce da sella. Irritante non era una parola sufficiente per descrivere la sensazione che provava nel fare le cose dopo che lei gliele aveva ordinate, ma la vescica di Kandel doveva essere bucata — alcuni della Banda avevano assunto l’attitudine di Mat nei confronti della guarigione — e l’acquavite di Mendair spillata.

Mat era quasi giunto al punto di pregare che Elayne gli dicesse di fare qualcosa di inutile almeno una volta, per poterle rispondere di no. Un no assoluto e totale! Un’altra richiesta di rendergli il ter’angreal sarebbe stata perfetta, ma la donna non ne fece mai parola. Mat spiegò alla Banda che non avevano l’obbligo di obbedirle e in effetti non colse mai nessuno a farlo, ma cominciarono tutti a sorridere compiaciuti ai suoi complimenti su come si prendevano bene cura degli animali e si gonfiavano tutti quando diceva loro che le sembravano dei buoni soldati. Il giorno che Mat vide Vanin rivolgerle il saluto e mormorare «Grazie, mia signora» senza una traccia di ironia, quasi si ingoiò la lingua.

Cercò di essere gradevole, ma nessuna delle donne voleva avere a che fare con lui, non solo Elayne. Aviendha, fra le altre cose, gli aveva detto che lui non aveva onore, e che se non era in grado di mostrare rispetto per Elayne, si sarebbe curata lei di insegnargli un po’ di buone maniere. Aviendha! La donna che secondo lui stava ancora aspettando una buona occasione per tagliarle la gola! Aveva chiamato Elayne una sorella prossima! Vandene e Adeleas lo osservavano come se fosse uno strano insetto inchiodato su una tavola. Si era offerto di andare a tirare con l’arco insieme alla cercatrice — quell’arco che si portava appresso doveva averle alimentato la fantasia; il suo nome da cercatrice era Birgitte — ma la donna gli aveva rivolto un’occhiataccia e aveva declinato l’invito. Dopo quell’episodio si tenne alla larga da lui. Rimaneva incollata a Elayne in maniera ossessiva, tranne quando la ragazza andava da lui, e Nynaeve...

Fin da quando avevano lasciato Salidar l’aveva evitato come se puzzasse. La terza notte di viaggio, la prima trascorsa in una locanda, un posticino chiamato Il coltello nuziale, Mat la vide nella stalla coperta da tegole rosse mentre dava una carota avvizzita alla sua giumenta, e decise che, qualunque cosa stesse succedendo, avrebbe almeno potuto chiederle notizie di Bode. Non era un fatto che accadesse tutti i giorni che la sorella di un uomo decidesse di diventare Aes Sedai, e Nynaeve sapeva a cosa sarebbe andata incontro. «Nynaeve,» disse avvicinandosi a lei «vorrei parlarti...» ma non riuscì a proseguire.

La donna praticamente saltò in aria e quando atterrò gli agitò il pugno contro, anche se lo nascose immediatamente fra le pieghe della gonna. «Lasciami in pace, Mat Cauthon» gridò. «Mi hai sentita? Lasciami in pace!» Detto questo uscì, passandogli vicino, talmente infuriata che Mat si aspettò di vederle rizzarsi la treccia come la coda di un gatto. Dopo quell’incontro sembrò che per lei non solo puzzasse, ma avesse anche una malattia contagiosa e disgustosa. Se provava ad avvicinarsi a lei, si nascondeva dietro Elayne e lo guardava male, quasi stesse per fargli una linguaccia. Le donne erano tutte pazze, ecco cosa.

Almeno Thom e Juilin erano disponibili a cavalcare con lui durante il giorno, ogni qualvolta Elayne non richiedesse i loro servigi. A volte lo faceva solo per tenerli lontani da lui, ne era certo, anche se non poteva immaginarne il motivo. Quando trovavano una locanda i due erano ben felici di condividere una birra o del vino con Mat e Nalesean. Erano semplici e tranquille sale comuni di campagna, con le mura di mattoni, posti dove osservare un gatto fulvo era un intrattenimento e la locandiera in persona serviva ai tavoli, inevitabilmente una donna con i fianchi che avevano l’aria di poter spezzare le dita di un uomo che avesse tentato di pizzicarli. La lingua principale era quella di Ebou Dar, che Thom conosceva abbastanza bene anche senza essere mai stato sul posto. A Nalesean piaceva raccontare della sua unica visita in quella terra ogni volta che gli veniva chiesto, anche se preferiva concentrarsi sui duelli che aveva visto e le scommesse alle corse dei cavalli. Juilin aveva delle storie sentite da uomini che a loro volta ne conoscevano altri che erano stati a Ebou Dar, e le vicende sembravano incredibili, fino a quando Thom o Nalesean non le confermavano. A Ebou Dar gli uomini si sfidavano a duello per le donne e le donne per gli uomini, e in entrambi i casi il premio — era la parola usata — era d’accordo nell’andare con il vincitore. Quando si sposavano, gli uomini regalavano un pugnale alle donne, chiedendo di usarlo per ucciderli se le avessero lasciate insoddisfatte — una donna che uccidesse un uomo era giustificata, a meno che non vi fossero prove contrarie. A Ebou Dar gli uomini non ronzavano intorno alle donne e non sorridevano facilmente a colei per la quale avrebbero ucciso un altro uomo. Elayne avrebbe amato quel luogo. Come anche Nynaeve.

Dalle conversazioni emerse qualcos’altro: Mat non aveva immaginato che Elayne e Nynaeve fossero dispiaciute per la presenza di Vandene e Adeleas, cosa che provavano a nascondere. Nynaeve si limitava a lanciare occhiatacce e mormorare sommessamente. Elayne non faceva neanche quello, ma tentava sempre di assumere il comando; sembrava pensare di essere già la regina di Andor. Malgrado l’età che quei volti da Aes Sedai nascondevano, Vandene e Adeleas dovevano essere abbastanza vecchie da essere le madri, se non le nonne, delle altre due. Mat non sarebbe rimasto sorpreso nello scoprire che erano state elette Aes Sedai quando Nynaeve ed Elayne erano appena nate. Anche Thom non aveva immaginato che vi fosse tensione, e lui sembrava capire molte cose per essere un semplice menestrello. Elayne gli aveva risposto male, dicendogli che lui non capiva e non avrebbe mai potuto capire, quando aveva cercato gentilmente di protestare con lei. Sembrava che le due Aes Sedai più anziane fossero molto tolleranti. Adeleas non pareva prestare attenzione quando Elayne dava ordini, cosa stupefacente sia per Elayne che per Vandene.

«Vandene aveva detto ‘be’, se davvero lo vuoi, bambina, lo faremo sicuramente’» borbottò Juilin sorseggiando la birra, mentre raccontava l’incidente. «Uno penserebbe che chi è stata Ammessa fino a pochi giorni fa dovrebbe essere contenta. Elayne mi ricordava una tempesta invernale. Nynaeve digrignava i denti talmente forte che pensavo si sarebbero spezzati.»

Si trovavano tutti nella sala comune de Il coltello nuziale. Vanin e Haman con gli altri occupavano alcuni tavoli, insieme a gente del posto. Gli uomini indossavano lunghe vesti, alcune di colori talmente brillanti da ricordare i Calderai, spesso senza camicia; le donne invece portavano abiti dai colori pastello con la scollatura profonda e la gonna tirata in alto sopra al ginocchio da un lato, per mostrare delle sottovesti coloratissime. Molti degli uomini e tutte le donne portavano degli orecchini a cerchio, e alle mani mostravano di solito tre o quattro anelli decorati con vetro colorato. Sia gli uomini che le donne giocavano con dei lunghi pugnali ricurvi infilati dietro le cinture e guardavano gli stranieri con occhio torvo. C’erano due carovane di mercanti provenienti dall’Amadicia che si erano fermati a Il coltello nuziale, ma i mercanti mangiavano nelle loro stanze e i conducenti erano rimasti nei carri. Anche Elayne, Nynaeve e il resto delle donne erano in camera.

«Le donne sono... diverse» osservò ridendo Nalesean in risposta a Juilin, anche se si stava rivolgendo a Mat, mentre si carezzava la barba a punta. Di solito non era tanto rigido con la gente comune, ma Juilin era Tarenese e questo sembrava fare la differenza, soprattutto visto che quando gli parlava, lo fissava intenzionalmente. «A Tear c’è un proverbio contadino che recita: ‘Un’Aes Sedai è dieci donne in una sola pelle.’ I contadini a volte possono essere molto saggi, che la mia anima sia folgorata se non è vero.»

«Almeno finora nessuna di loro ha fatto qualcosa di... diciamo drastico,» intervenne Thom «anche se pensavo vi fossero vicine quando Elayne si è lasciata sfuggire che aveva legato Birgitte come sua prima Custode.»

«La cercatrice?» esclamò Mat. Alcuni dei locali lo guardarono severi e lui abbassò la voce. «È anche Custode?» Sicuramente questo spiegava molte cose.

Thom e Juilin si scambiarono delle occhiate.

«Sarà contenta di sapere che hai scoperto che è una cercatrice del Corno» disse Thom pulendosi i baffi. «Sì, lo è, e molto determinata. Jaem è andato subito d’accordo con lei, come se fosse una sorella minore, ma Vandene e Adeleas...» sospirò pesantemente. «Nessuna delle due era contenta del fatto che Elayne avesse già scelto il primo Custode — molte Aes Sedai impiegano anni a trovarne uno — e in particolar modo non hanno gradito che fosse una donna. Il loro scontento ha fatto ulteriormente alterare Elayne.»

«Pare che a quelle due non piaccia fare cose che non sono mai state fatte prima» aggiunse Juilin.

«Una donna Custode» mormorò Nalesean. «Sapevo che tutto sarebbe cambiato con l’avvento del Drago Rinato, ma una donna Custode?»

Mat si strinse nelle spalle. «Immagino che se la caverà bene se davvero sa usare quell’arco. Ti è andato qualcosa di traverso?» chiese a Juilin, che adesso stava soffocando con la birra. «Dammi un buon arco anziché una spada. Preferisco il bastone da combattimento, ma un buon arco va bene lo stesso. Spero solo che non si intrometterà quando sarà giunto il momento di portare Elayne da Rand.»

«Penso che lo sappia usare.» Thom si protese sul tavolo per dare un colpo in mezzo alla schiena di Juilin. «Penso che sia capace.»

Se Nynaeve e le altre avevano in mente di litigare — in tal caso Mat non avrebbe voluto trovarsi nemmeno a dieci chilometri in quel caso, medaglione o meno — con lui non lo davano a vedere. Tutto ciò che notava era un solido fronte comune e altri tentativi di incanalare su di lui, a cominciare da quando stava sellando Pips, la mattina dopo il primo tentativo di togliergli il medaglione. Fortunatamente fu bloccato da Nerim, secondo il quale sellare il cavallo di Mat era un suo compito, sottintendendo che poteva farlo meglio, mentre il colpo di freddo durò un attimo; Mat non diede segni esteriori di aver notato qualcosa. Aveva deciso che quella sarebbe stata la sua risposta. Nessuna occhiata, nessuno sguardo, nessuna accusa. Le avrebbe ignorate, lasciandola a cuocere nel loro brodo.

Ebbe molte opportunità di farlo. Il medaglione d’argento divenne freddo due volte prima che trovassero la strada, quindi diverse altre volte durante il giorno, la sera e tutti i giorni seguenti. A volte veniva e andava in un attimo e a volte era sicuro che durasse almeno un’ora. Non era mai in grado di capire chi fosse la responsabile. Quasi mai. Una volta, quando il caldo gli aveva fatto venire un’infiammazione sulla schiena e il fazzoletto attorno al collo sembrava stesse per tagliargli via la testa, vide che Nynaeve lo guardava mentre il medaglione diventava freddo. Lo guardava talmente male che un contadino di passaggio, che stava spronando il bue con un bastone per farlo andare più veloce, si guardò alle spalle come se temesse che quello sguardo potesse volgersi su di lui in qualunque momento e forse uccidere il bue. Solo quando Mat ricambiò l’occhiataccia Nynaeve sussultò cadendo quasi di sella, e il freddo svanì. Per il resto non fu in grado di capire. A volte vedeva due o tre di loro che lo osservavano, inclusa Aviendha, che ancora camminava guidando il cavallo. Altre volte, quando lui le osservava, vedeva che stavano parlando fra loro, oppure guardavano un’aquila che planava nel cielo terso o un grande orso bruno, alto una volta e mezzo un uomo, in piedi fra gli alberi sul fianco ripido di una collina visibile dalla strada. La sola cosa buona era che Elayne non sembrava affatto contenta. Non sapeva perché e non gli importava. Ispezionare i suoi uomini. Lanciargli delle frecciate mentre gli faceva i complimenti. Se fosse stato il tipo d’uomo che faceva certe cose, l’avrebbe presa a calci.

Per la verità cominciò a percepire qualcosa di più che una piccola soddisfazione. Qualsiasi cosa stessero facendo, non aveva nessun effetto che una punta di unguento di Nerim non potesse curare. Nerim supponeva si trattasse di geloni. Adesso Mat si stava dirigendo dalla stalla di Pips a L’anello meridionale, un edificio trasandato a due piani fatto di mattoni intonacati, in un villaggio trascurato pieno di mosche chiamato So Tehar, quando qualcosa di morbido lo colpì in mezzo alle spalle. Si voltò di scatto con l’odore di sterco di cavallo nel naso, pronto a trapassare lo stalliere o uno di quegli abitanti di So Tehar così scontrosi. Non c’erano né stalliere né tipacci. Solo Adeleas, impegnata a scrivere nel suo libretto mentre annuiva da sola. Aveva le mani pulite.

Mat entrò nell’edificio e ordinò del vino speziato alla locandiera, quindi cambiò idea e si fece portare dell’acquavite, un liquido opaco che la donna insisteva fosse ricavato dalle prugne, ma che aveva il sapore di un solvente. Juilin si limitò ad annusarlo, Thom neppure quello. Nalesean ne bevve un solo sorso prima di ordinare del vino speziato, e quell’uomo beveva di tutto. Mat perse il conto di quanti bicchierini vuotò, ma quale che fosse il numero, servirono sia Nerim che Lopin per infilarlo a letto. Non si era mai chiesto se il medaglione avesse dei limiti. Aveva abbastanza prove che avrebbe bloccato saidar, ma se la sola cosa che dovevano fare era raccogliere qualcosa con il Potere e lanciargliela... Meglio di niente, si ripeteva, disteso sul materasso pieno di bozzi mentre studiava le ombre sul soffitto. Molto meglio di niente. Ma se fosse stato in grado di alzarsi sarebbe ritornato alla locanda per bere dell’altra acquavite.

Era il motivo per cui era di pessimo umore, con la lingua che sembrava foderata di piume, un martellio costante nella testa e sudore copioso, quando durante il quinto giorno la strada culminò in una salita, per poi aprirsi su Ebou Dar che si stendeva disordinatamente ai loro piedi, e sull’ampio fiume Eldar, con una grande baia piena di imbarcazioni. La prima impressione che ebbe della città fu il bianco. Edifici bianchi, palazzi bianchi, torri e guglie bianche. Le cupole sembravano rape o pere bianche, spesso decorate da fasce cremisi, blu o oro, ma la gran parte della città era bianca e rifletteva la luce fin quasi a far male agli occhi.

Il cancello al quale conduceva la strada era un arco ampio e alto tutto intonacato di bianco, talmente profondo che Mat cavalcò all’ombra per venti passi prima di riemergere al sole. La città sembrava fatta di edifici quadrati, canali e ponti, grandi piazze piene di gente con al centro fontane o statue, canali larghi e stretti affollati da uomini che dirigevano le chiatte con i pali, ponti di tutte le dimensioni, alcuni bassi, altri che si inarcavano, altri ancora abbastanza grandi da ospitare dei negozi. I palazzi con dei portici a colonne sorgevano vicino ai negozi di tappeti e abiti, le case di quattro piani con le grandi finestre arcuate nascoste dietro persiane erano costruite vicino alle stalle, le coltellerie o le pescherie.

Fu in una di quelle piazze che Vandene tirò le redini per conferire con Adeleas, mentre Nynaeve le guardava torva ed Elayne le fissava come se avesse dei ghiaccioli che le pendevano dal naso e dal mento. Su richiesta di Elayne, Aviendha era montata in sella al suo cavallo marrone per entrare in città, ma adesso era smontata di nuovo, con la stessa goffaggine con cui era salita in groppa. Si guardava intorno quasi con la stessa curiosità di Olver, rimasto a occhi sgranati fin da quando avevano avvistato la città. Birgitte sembrava volesse tallonare Elayne, imitando quanto Jaem faceva con Vandene.

Mat colse l’occasione per sventolarsi con il cappello e guardarsi intorno.

Il palazzo più grande che aveva visto riempiva tutto un lato della piazza, era pieno di cupole, guglie, colonnati, ed era alto quattro piani. Sugli altri tre lati dello slargo si alternavano case eleganti, locande e negozi, tutti bianchi. La statua di una donna con gli abiti fluttuanti, più alta di un Ogier, era deposta su un piedistallo ancora più alto nel mezzo della piazza e aveva un braccio alzato che puntava verso sud, in direzione del mare. Solo una manciata di persone attraversava il lastricato bianco della piazza, ma non c’era da meravigliarsene, con quel caldo. Alcuni stavano pranzando su uno dei gradini più bassi del piedistallo, con i piccioni e i gabbiani che sciamavano lottando per le briciole. L’intera città era l’immagine della tranquillità. Mat non capiva perché avesse improvvisamente sentito i dadi rotolargli nella testa.

Conosceva bene quella sensazione. A volte la provava quando la sua fortuna era molto forte nel gioco d’azzardo. Era sempre presente quando c’era una battaglia in vista e sembrava manifestarsi anche quando doveva prendere una decisione vitale, il tipo di scelta che, se sbagliata, avrebbe potuto farlo finire con la gola squarciata.

«Adesso entreremo da uno dei cancelli secondari» annunciò Vandene mentre Adeleas annuiva. «Merilille farà in modo che ci vengano assegnate delle stanze per rinfrescarci.»

Doveva significare che quello era il palazzo di Tarasin, dove regnava e governava sul trono dei Venti la regina Tylin Quintara della casata Mitsobar, forse per almeno centosessanta chilometri attorno a Ebou Dar. Una delle poche cose che era riuscito ad apprendere durante quel viaggio era che le Aes Sedai dovevano incontrare una del loro gruppo a palazzo e, ovviamente, Tylin. Avrebbero incontrato la regina. Mat guardò la grande massa di marmo splendente e roccia intonacata di bianco, chiedendosi che effetto avrebbe fatto rimanere là dentro. Di solito gli piacevano i palazzi; gli piacevano i posti con servitori e oro e i letti di piume non facevano certo male, ma un palazzo reale avrebbe significato nobili ogni volta che si girava. Mat doveva prendere i nobili a piccole dosi, a volte anche Nalesean poteva risultargli irritante. Un palazzo di quelle dimensioni avrebbe significato dover sempre gironzolare nel luogo in cui si trovavano Elayne e Nynaeve o cercare di organizzare dei turni di guardia per tenerle d’occhio. Non era certo se fosse meglio che lo lasciassero o meno andare con loro come guardia del corpo. Poteva quasi sentire la voce fredda di Elayne, ‘Per favore, trovate una sistemazione per mastro Cauthon e i miei uomini. Accertatevi che vengano nutriti e dissetati’. Lo avrebbe fatto. Avrebbe fatto le sue comparse per le ispezioni, per dirgli poi di fare qualsiasi cosa avesse già in mente di fare, ma se c’era un posto dove lei e Nynaeve sarebbero rimaste fuori dai guai, quello era il palazzo reale. In fondo quello che voleva lui era un luogo dove rilassarsi e bere del vino freddo speziato con una ragazza sulle ginocchia che gli carezzasse le tempie. Dei panni umidi sulla fronte sarebbero stati ottimi. Aveva mal di testa. La lezione formale che gli aveva offerto Elayne quella mattina, sui mali del bere, aggiungendo anche degli esempi, gli risuonava ancora nelle orecchie. Era un altro motivo per cui doveva puntare i piedi. Era stato troppo debole per rispondere, appena sceso dal letto, mentre si chiedeva se sarebbe riuscito a montare in sella a Pips, e la donna aveva già parlato troppo. Se non vi poneva un freno adesso, prima o poi le avrebbe rivolto un inchino!

Tutto ciò gli passò nella testa nel tempo di cui ebbe bisogno Vandene per girare il cavallo verso il palazzo. «Per i miei uomini prenderò delle stanze in una di quelle locande» disse Mat ad alta voce. «Se tu o Elayne aveste intenzione di uscire in strada, Nynaeve, potrete inviare un messaggero e prenderò alcuni uomini per accompagnarvi.» Probabilmente le donne non lo avrebbero fatto — nessuno avrebbe potuto far ragionare una donna che pensava di potersi prendere cura di se stessa a mani nude in una fossa piena di orsi — ma avrebbe scommesso che Vanin era capace di escogitare un sistema per scoprire quando sarebbero uscite. In caso contrario, avrebbe chiesto a Juilin; un cacciatore di ladri doveva sapere come fare. «Quella andrà bene.» Scelse a caso e indicò un ampio edifico sul lato opposto della piazza. Un’insegna che non riusciva a riconoscere pendeva davanti alla soglia arcuata.

Vandene guardò Adeleas. Elayne guardò Nynaeve. Aviendha lo guardò male.

Mat non diede a nessuna di loro l’opportunità di parlare. «Thom, Juilin, cosa ne direste di alcuni boccali di vino?» Forse dell’acqua sarebbe stata meglio; non aveva mai bevuto tanto in vita sua.

Thom scosse il capo. «Magari più tardi, Mat. Devo rimanere a portata di mano nel caso Elayne abbia bisogno di me.» Il sorriso quasi paterno che le rivolse scomparve quando vide che lei fissava Mat sconcertata. Juilin non sorrise — ormai non lo faceva quasi più — ma anche lui disse che doveva rimanere a disposizione, e che forse avrebbero potuto rifocillarsi più tardi.

«Come volete» rispose lui rimettendosi il cappello. «Vanin, Vanin!» Il grosso uomo sobbalzò e smise di fissare Elayne in adorazione. Era addirittura arrossito! Luce, la donna era davvero una cattiva influenza.

Mentre Mat faceva voltare Pips, la voce di Elayne lo colpì in mezzo alla schiena, ancora più compassata di quella della mattina. «Non devi farli bere troppo, mastro Cauthon. Alcuni uomini non sanno quando fermarsi. E tu sicuramente non dovresti permettere a un ragazzo di vedere degli uomini che si ubriacano.»

Mat digrignò i denti e attraversò la piazza senza voltarsi indietro. Olver lo guardava. Avrebbe dovuto avvisare gli uomini di non esagerare davanti a lui, specialmente Mendair. Luce, come odiava che Elayne gli dicesse cosa fare!

La locanda si chiamava La donna errante. L’insegna sopra la porta e la sala comune promettevano tutto ciò che Mat desiderava. Nella stanza dal soffitto alto l’aria era di sicuro più fresca che all’esterno: le ampie finestre arcuate erano schermate da persiane di legno intagliate con motivi complessi. Sembravano più buchi che legno, ma ombreggiavano la stanza. I forestieri sedevano assieme alla gente del posto: Mat vide un uomo dinoccolato del Murandy con i baffi ricurvi, un’altro più robusto di Kandor con due catene d’argento davanti al petto e altri ancora che non riconobbe. Una leggera foschia di fumo di pipa riempiva l’aria e due donne suonavano dei flauti striduli, mentre un uomo con un tamburo fra le ginocchia le accompagnava creando una musica insolita. La cosa più gradevole, però, era che le cameriere erano graziose e gli uomini giocavano a dadi a quattro diversi tavoli. Il mercante di Kandor giocava a carte.

La maestosa locandiera si presentò come Setalle Anan, anche se gli occhi color nocciola non erano originari di Ebou Dar. «Miei buoni signori...» i grandi orecchini circolari ondeggiarono quando chinò il capo davanti a Mat e Nalesean «...La donna errante può offrirvi le sue umili stanze?»

Era molto graziosa malgrado un tocco di grigio fra i capelli, ma Mat le guardava gli occhi. Aveva un coltello nuziale appeso al collo che scendeva fra i seni generosi, l’elsa era incastonata di pietre rosse e bianche e la donna portava appeso alla cintura anche uno di quei pugnali ricurvi, ma Mat non poté fare a meno di sorriderle.

«Comare Anan, mi sembra di essere arrivato a casa.»

La cosa strana fu che i dadi avevano smesso di rotolare.

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