La gente che danzava per le strade di Cairhien esasperava Perrin; camminare era quasi impossibile. Gli passò accanto un serpente di persone che ballavano, seguendo un tipo con il nasone che suonava il flauto e non aveva addosso la camicia. In fondo alla fila saltellava una donna grassoccia che rideva divertita e cercò di prendere Perrin per farlo inserire nelle danze. Lui scosse il capo e, che l’avessero spaventata gli occhi gialli o l’espressione tetra, la donna smise di ridere e ritornò alla sua fila, lanciandosi delle occhiate alle spalle fino a quando non fu più visibile. Una donna che aveva i capelli grigi, ancora attraente, con delle fasce colorate che scendevano oltre la vita del vestito di seta scura, lanciò le braccia sottili al collo di Perrin e si protese verso le sue labbra. Sembrò stupita quando lui la sollevò gentilmente per spostarla da un lato. Un gruppo di uomini e donne della sua età che si muovevano al ritmo dei tamburi gli finirono contro, ridendo gaiamente e tirandolo per la giubba. Ignorarono la sua resistenza fino a quando Perrin non spinse via con forza uno degli uomini e ringhiò, un lupo che teneva a bada un piccolo branco. Le risate svanirono per essere rimpiazzate da un momentaneo stupore, quindi ripresero e cercarono di imitare il verso di Perrin, prima di tuffarsi di nuovo fra la folla.
Era il primo giorno della festa delle Luci, il giorno più corto dell’anno, e la città lo celebrava in modi che Perrin non avrebbe potuto immaginare. Nei Fiumi Gemelli avrebbero organizzato dei balli, ma questo... Durante quei due giorni di festa, i Cairhienesi sembravano voler fare ammenda per un intero anno di riservatezza. Il decoro era finito in fondo a un pozzo come ogni barriera fra gente comune e nobili, almeno in pubblico. Donne sudate vestite di semplice lana fermavano uomini che indossavano la seta scura e le strisce colorate davanti al petto, trascinandoli nelle danze; uomini con le giubbe da carrettieri o vesti da stallieri facevano piroettare donne che avevano le strisce di colori sopra gli abiti, a volte fino alla vita. Uomini a torso nudo si versavano addosso il vino, inondando anche tutti quelli che gli stavano vicino. A quanto pareva, tutti gli uomini potevano baciare qualsiasi donna e viceversa, e tutti lo facevano con grande abbandono, in tutte le direzioni in cui Perrin guardava. Cercava di non osservare con troppa attenzione. Alcune delle nobili che avevano i capelli acconciati in elaborate torri di ricci erano nude fino alla cintola e indossavano solo sottili mantelli contro la polvere che non si sforzavano di tenere chiusi. Fra la gente comune le poche donne che avevano abbandonato le bluse non si preoccupavano di coprirsi a parte i capelli, mai abbastanza lunghi. Si versavano il vino addosso e bagnavano anche tutti i passanti con la stessa foga degli uomini. Le risate roboanti si mischiavano alle mille musiche diverse, provenienti da flauti, corni e tamburi, zither, tarabusi e dulcimeri.
La Cerchia delle Donne di Emond’s Field avrebbe avuto un attacco d’ira e il Consiglio del Villaggio si sarebbe ingoiato la lingua per l’apoplessia, ma i comportamenti depravati erano solo la minima parte dell’irritazione di Perrin. Nandera aveva detto qualche ora, ma erano trascorsi sei giorni dalla scomparsa di Rand. Min o era andata con lui o era rimasta con gli Aiel, ma nessuno sembrava sapere nulla. A parte quella donna di nome Sorilea, le Sapienti erano evasive come le Aes Sedai quando Perrin riusciva a bloccarne una; Sorilea gli aveva risposto rudemente di occuparsi di sua moglie e tenere il naso fuori dagli affari che non riguardavano gli abitanti delle terre bagnate. Come faceva Sorilea a sapere delle noie ira lui e Faile, Perrin non riusciva a immaginarlo, ma non gli importava. Percepiva il bisogno di Rand come un forte prurito diffuso su tutto il corpo, che ogni giorno diventava più forte. Perrin stava facendo ritorno dalla scuola di Rand, l’ultima risorsa, ma anche lì tutti erano impegnati a bere, ballare e concedersi dissolutezze varie, come il resto di Cairhien. Gli era stato fatto il nome di una donna di nome Idrien come capo della scuola, ma dopo che era riuscito, con diverse difficoltà e non poco imbarazzo, a interromperla mentre baciava un ragazzo talmente giovane che avrebbe potuto essere suo figlio, prolungando la pausa abbastanza a lungo per rivolgerle qualche domanda, la sua risposta era stata che forse l’uomo di nome Fel sapeva qualcosa e quel Fel stava danzando con tre giovani ragazze che avrebbero potuto essere sue nipoti. Tutte e tre allo stesso tempo. Fel non sembrava nemmeno in grado di rammentarsi il proprio nome, cosa forse non sorprendente, date le circostanze. Che Rand venisse Folgorato! Se n’era andato senza dire una parola quando sapeva tutto delle visioni di Min, e sapeva che avrebbe avuto un disperato bisogno di Perrin. Anche le Aes Sedai erano disgustate, a quanto sembrava. Proprio quella mattina Perrin aveva saputo che erano in viaggio da tre giorni verso Tar Valon, avendo sostenuto di non aver motivo di trattenersi oltre. Che cosa stava combinando Rand? Quel prurito gli faceva venire voglia di mordere qualcosa.
Quando raggiunse il palazzo del Sole, tutte le lampade erano accese e le candele bruciavano ovunque; i corridoi risplendevano come gemme al sole. Nei Fiumi Gemelli facevano lo stesso. Tutte le case sarebbero state illuminate con ogni tipo di lampada o candela disponibile, fino all’alba del giorno seguente. La maggior parte dei servitori di palazzo erano fuori nelle strade e i pochi rimasti sembravano ridere e danzare più che lavorare. Anche qui qualche donna era nuda fino alla cintola, ragazze grandi appena da portare la treccia, se fossero state nei Fiumi Gemelli, e nonne dai capelli grigi. Gli Aiel nei corridoi parevano disgustai quando notavano gli altri, cosa che non sembravano fare molto spesso. Le Fanciulle in particolar modo parevano furiose, anche se Perrin sospettava non avesse nulla a che fare con le Cairhienesi che esponevano il seno; le Fanciulle ricordavano dei gatti infuriati fin da quando Rand era scomparso.
Perrin si fece avanti nei corridoi senza indugi, tanto per cambiare. Voleva quasi che Berelain gli capitasse a tiro. L’immagine che aveva in mente era quella di lui che le teneva per la collottola fra i denti scuotendola fino a quando non fosse stata pronta a scappare lontano con la coda fra le gambe. Per coincidenze forse sfortunate, la mucca raggiunse la stanza senza vederla.
Faile quasi sollevò lo sguardo dal gioco a dama quando lui entrò. Perrin ne era sicuro. L’odore di gelosia emanava ancora da lei, ma non era forte; la rabbia era più affilata, anche se non al peggio, e l’odore più potente era quella che lui identificava come delusione. Ma di cosa era delusa? Perché non voleva parlare? Una sola parola o anche un accenno a un ritorno alla normalità e si sarebbe inginocchiato per accettare la colpa di qualsiasi cosa avesse avuto in mente Faile. La donna invece si limitò a piazzare una pedina nera mormorando: «È il tuo turno, Loial?»
Loial agitava le orecchie a disagio, e le lunghe sopracciglia erano abbassate. L’Ogier non aveva un gran senso dell’olfatto — non migliore di quello di Faile — ma percepiva gli stati d’animo quando gli umani non si accorgevano di nulla. Quando Perrin e Faile erano nella stessa stanza, Loial aveva voglia di piangere. Adesso respirava forte, ricordava il suono del vento che soffiava in una caverna, e piazzò una pedina bianca in un punto strategico da dove avrebbe preso molte di quelle di Faile, se non se ne fosse accorta. Probabilmente avrebbe scoperto il suo gioco; lei e Loial erano allo stesso livello, e giocavano molto meglio di Perrin.
Sulin si affacciò nella camera da letto con i cuscini sottobraccio, guardando torva Perrin e Faile. Il suo odore gli rammentava una lupa che fosse al limite della sopportazione verso tutti i cuccioli che giocavano mordendole la coda. Era anche preoccupata e, stranamente, spaventata. Perrin non sapeva perché gli sembrasse strano che una cameriera dai capelli bianchi fosse spaventata — anche una con il volto sfregiato come Sulin.
Perrin prese un libro con la copertina di cuoio dorato e si accasciò su una sedia aprendo il volume, ma non si mise a leggere e nemmeno controllò quale libro avesse preso. Inspirò profondamente eliminando tutti gli odori a esclusione di quello di Faile. Delusione, rabbia, gelosia e, sotto a tutto, sotto anche al profumo fresco di sapone alle erbe, c’era lei. Perrin respirò avidamente. Una parola; era la sola cosa che doveva dire.
Quando bussarono alla porta Sulin uscì dalla camera da letto a grandi passi, allargando la gonna rossa e bianca e guardando male Perrin, Faile e Loial come se stesse chiedendosi perché nessuno di loro avesse risposto. Ghignò apertamente quando vide Dobraine — sembrava farlo spesso da quando Rand era andato via — quindi sospirò come per riprendere il controllo e si sforzò visibilmente di essere remissiva. L’inchino profondo sarebbe andato bene per un re che si divertiva a fare il carnefice, e la donna rimase impalata con il volto a terra. Improvvisamente cominciò a tremare. L’odore della rabbia si dissolse e anche la preoccupazione, ma furono sostituiti da un altro simile a migliaia di schegge sottilissime. Perrin aveva già sentito l’odore della vergogna provenire da lei, ma stavolta sembrava che avrebbe potuto morirne. Aveva addosso l’odore della dolcezza pungente che rilasciavano le donne quando piangevano per l’emozione.
Ovviamente Dobraine nemmeno la guardò, fissando invece su Perrin il suo volto sobrio, forse addirittura tetro, con la fronte rasata e cosparsa di talco. Dobraine non odorava di alcol e non sembrava avesse danzato. La sola volta che Perrin lo aveva incontrato prima di allora aveva pensato che l’uomo odorasse di circospezione; non era spaventato, ma sembrava si muovesse in una foresta intricata piena di serpenti velenosi. Oggi quell’odore era dieci volte più forte. «Che la grazia ti favorisca, lord Aybara» disse Dobraine chinando il capo. «Posso parlarti da solo un istante?»
Perrin appoggiò il libro a terra vicino alla sedia e indicò quella davanti a sé. «Che la Luce splenda su di te, lord Dobraine.» Se l’uomo voleva essere formale, Perrin poteva adeguarsi decorosamente. Ma c’erano dei limiti. «Qualsiasi cosa tu abbia da dire, mia moglie può sentire. Non ho segreti per lei. E Loial è mio amico.»
Adesso sentì lo sguardo di Faile su di sé. L’odore improvviso di lei quasi lo sopraffece. Per qualche motivo lo associava con l’amore che provava per lui; quando era dolce o quando la baciava con fierezza, quell’aroma quasi lo travolgeva. Pensò di dire a Dobraine di andare via, come anche a Loial e Sulin; se Faile stava emanando quell’odore, sicuramente ora avrebbe potuto porre riparo a tutto, ma il Cairhienese si era già seduto.
«Un uomo che può fidarsi della moglie, lord Aybara, è favorito dalla grazia oltre ogni benessere.» Dobraine lo esaminò prima di proseguire. «Oggi Cairhien ha sofferto due disgrazie. Stamattina lord Maringil è stato trovato morto nel suo letto, pare sia stato avvelenato. Dopo pochi momenti il sommo signore Meilan sembra sia rimasto vittima della lama di un borseggiatore nelle strade. Molto insolito durante la festa delle Luci.»
«Perché lo racconti a me?» chiese Perrin lentamente.
Dobraine allargò le braccia. «Tu sei amico del lord Drago e lui non c’è.» Esitò, e quando proseguì sembrò parlare a fatica. «La scorsa notte Colavaere ha cenato con alcuni ospiti di diverse casate minori. Dagarned, Chuliandred, Annalin, Osiellin e altre. Piccole se prese singolarmente, ma numerose. L’argomento era l’alleanza con la casata Saighan per sostenere la pretesa al trono del Sole da parte di Colavaere. Ha fatto pochi sforzi per tenere nascosto l’incontro.» Fece una nuova pausa, soppesando Perrin con lo sguardo. Qualsiasi cosa vedesse Dobraine, sembrò fargli capire di dover fornire maggiori spiegazioni. «È molto strano, perché sia Maringil che Meilan volevano il trono ed entrambi l’avrebbero soffocata con i suoi stessi cuscini, se avessero saputo.»
Adesso Perrin aveva capito, anche se non vedeva il senso di girare tanto intorno all’argomento. Sperava che Faile dicesse qualcosa; lei era molto più brava in quel tipo di faccende. La vedeva con la coda dell’occhio, aveva il capo reclinato sulla scacchiera e lo controllava a sua volta con la coda dell’occhio. «Se pensi che Colavaere abbia commesso un crimine, lord Dobraine, dovresti andare da... da... Rhuarc.» Voleva dire Berelain, e anche così l’odore della gelosia aumentò.
«Il selvaggio aiel?» sbuffò Dobraine. «Meglio andare da Berelain. Ammetto che la sgualdrina di Mayene sa come tenere sotto controllo una città, ma pensa che ogni giorno sia la festa delle Luci. Colavaere la farebbe tagliare a fettine e la cucinerebbe al pepe. Tu sei l’amico del Drago Rinato. Colavaere...» stavolta si fermò perché si accorse finalmente che Berelain era entrata nella stanza senza bussare, tenendo fra le braccia qualcosa di lungo, sottile e avvolto in una coperta.
Perrin aveva sentito la porta aprirsi e la vista della donna, con il seno mezzo scoperto, lo fece infuriare al punto di essere distolto da ogni altro pensiero. Era entrata per continuare a corteggiarlo davanti a sua moglie? Era furioso e batté forte le mani. «Fuori! Fuori, donna! Esci subito o ti butto fuori dalla stanza, talmente lontano da farti rimbalzare due volte!»
Berelain fu talmente sorpresa al primo urlo di Perrin che fece cadere il fagotto e fece un lungo passo indietro, anche se non andò via. All’ultima parola, Perrin si accorse che tutti lo stavano guardando. Dobraine sembrava impassibile ma emanava un odore di stupore, l’immagine di una pietra appuntita nel mezzo di una pianura. Le orecchie di Loial erano rigide e l’Ogier aveva spalancato la bocca. Faile invece, con quel suo sorriso freddo... Perrin non capiva. Si aspettava ondate di gelosia con Berelain presente nella stanza: perché invece odorava di dolore?
D’improvviso Perrin vide cosa era caduto di mano a Berelain. La coperta si era aperta per rivelare la spada di Rand e il cinturone con la fibbia del Drago. Rand l’avrebbe mai lasciata indietro? A Perrin piaceva pensare bene alle cose; quando si prendevano decisioni in fretta si poteva fare del male alle persone senza volerlo. Ma quella spada in terra davanti a lui fu come un fulmine a ciel sereno. Essere veloci significava essere stupidi e trascurati, ma a Perrin si rizzarono i peli dietro la nuca e ringhiò profondamente.
«Lo hanno preso!» si lamentò improvvisamente Sulin, e fu una sorpresa. Con il capo reclinato all’indietro e gli occhi chiusi, urlava verso il soffitto e il suono della sua voce diede i brividi a Perrin. «Le Aes Sedai hanno preso il mio fratello primo!» Aveva le guance bagnate di lacrime.
«Calmati vecchia» disse Berelain con fermezza. «Vai nell’altra stanza e stai calma.» Per Perrin e Dobraine aggiunse: «Non possiamo permetterle di mettere in giro la voce...»
«Tu non mi riconosci,» la interruppe Sulin selvatica «con quest’abito e i capelli lunghi. Parlami ancora come se non fossi qui e ti darò lo stesso dono che ho sentito dire ti ha elargito Rhuarc nella Pietra di Tear, cosa che avrei già dovuto fare.»
Perrin scambiò un’occhiata confusa con Dobraine e Loial e anche con Faile, prima che lei distogliesse lo sguardo. Berelain invece divenne prima pallida e poi rossa; odorava di mortificazione pura.
Avviandosi verso la porta Sulin l’aveva spalancata prima che qualcuno potesse muoversi; Dobraine ci provò, ma una Fanciulla bionda di passaggio la vide e sorrise divertita. «Levati quell’espressione idiota dalla faccia, Luaine» scattò Sulin. Sembrava che muovesse le mani, nascoste alla vista dal suo corpo. Il sorriso di Luaine scomparve. «Di’ a Nandera di venire subito qui. E a Rhuarc. E portami il cadin’sor e le forbici per tagliarmi i capelli. Corri donna! Sei Far Dareis Mai o Shae’en M’taal?» La Fanciulla bionda scattò e Sulin si rivolse di nuovo alla stanza con un cenno soddisfatto del capo, sbattendo la porta. Faile era rimasta a bocca aperta.
«Che la grazia ci favorisca» gridò Dobraine. «Non ha detto nulla agli Aiel: la donna dev’essere pazza. Possiamo decidere cosa dire loro dopo che l’avremo legata e imbavagliata.» Si mosse per dare seguito alle sue parole, addirittura estraendo un fazzoletto verde scuro dalla tasca della giubba, ma Perrin lo afferrò per un braccio.
«Lei è una Aiel, Dobraine» spiegò Berelain. «Una Fanciulla della Lancia, anche se non comprendo la livrea.» Sorprendentemente, fu Berelain a ricevere un’occhiata minatoria da Sulin.
Perrin sospirò. E pensare che voleva proteggere la donna con i capelli bianchi da Dobraine. Il Cairhienese lo guardò perplesso e sollevò la mano con il fazzoletto; era ancora del parere di legarla e imbavagliarla. Perrin si frappose fra i due e raccolse la spada di Rand.
«Voglio essere sicuro.» Si accorse a un tratto di essere molto vicino a Berelain. La donna lanciò un’occhiata a Sulin e si avvicinò a lui come se cercasse protezione, ma odorava di determinazione, non disagio. Emanava l’odore di una cacciatrice. «Non mi piace saltare alle conclusioni» disse lui, spostandosi accanto alla sedia di Faile. Non rapidamente; semplicemente come un uomo che andava vicino alla moglie. «Questa spada non prova nulla.» Faile si alzò per girare attorno al tavolo e osservare la scacchiera da dietro le spalle di Loial; be’, da dietro il gomito, in realtà. Berelain si avvicinò a Perrin; lanciava ancora occhiate spaventate a Sulin senza emanare il minimo odore di paura e alzò una mano come per prendere Perrin sottobraccio. Perrin seguì Faile cercando di apparire disinvolto. «Rand mi ha detto che tre Aes Sedai non avrebbero potuto fargli del male, se fosse stato cauto.» Faile si diresse di nuovo verso la sua sedia. «So che non ne ha mai lasciate avvicinare più di tre per volta.» Berelain lo seguì con uno sguardo pieno di pietà per lui e di spavento nei confronti di Sulin. «Mi è stato riferito che erano solo in tre il giorno che è sparito.» Perrin seguì Faile, ora un po’ più in fretta. La donna si alzò di nuovo ritornando accanto a Loial. Questi si teneva la testa fra le mani e gemeva, sommessamente, per un Ogier. Berelain inseguiva Perrin con gli occhi sgranati, l’immagine di una donna alla ricerca di protezione. Luce, come odorava di determinazione!
Voltandosi di scatto per affrontarla, Perrin le puntò le dita contro il petto abbastanza forte da farla gridare. «Fermati esattamente dove sei!» Poi si accorse di dove aveva posato la mano e la ritrasse di scatto, come se bruciasse, ma riuscì a tenere ferma la voce. «Resta dove sei!» Si allontanò da lei guardandola talmente male da poter quasi spaccare le pietre. Capiva perché l’odore di gelosia proveniente da Faile fosse una nuvola che gli riempiva il naso, ma perché, perché, perché sapeva di donna ferita ancor più di prima?
«Sono pochi gli uomini che possono farmi obbedire,» rise Berelain «ma penso che tu sia uno di loro.» Il volto, il tono di voce — e, cosa più importante, l’odore — divennero seri. «Sono andata a cercare nelle stanze del lord Drago perché ero preoccupata. Tutti sanno che le Aes Sedai sono venute per scortarlo a Tar Valon e non riuscivo a capire perché si fossero arrese. Io sola ho ricevuto almeno dieci visite da diverse Sorelle, per consigliarmi su cosa fare una volta che si fosse recato alla Torre con loro. Ne sembravano certe.» Berelain esitò e, anche se non guardò Faile, Perrin ebbe l’impressone che stesse chiedendosi se dire una certa cosa davanti a lei. Anche davanti a Dobraine, ma pensava di più a Faile. L’odore di cacciatrice ritornò. «Ho avuto la forte impressione di dover fare ritorno a Mayene, e che se non l’avessi fatto forse sarei stata scortata fin lì.»
Sulin borbottò qualcosa, ma Perrin sentì con chiarezza. «Rhuarc è uno sciocco. Se fosse stata davvero sua figlia non avrebbe avuto tempo per altro se non picchiarla.»
«Dieci?» chiese Dobraine. «Io ho ricevuto una sola visita. Credo che l’Aes Sedai fosse seccata quando le ho risposto con chiarezza che avevo prestato giuramento di fedeltà al lord Drago. Ma che si tratti di dieci o di una, Colavaere è la chiave. Sa bene come tutti che il lord Drago vuole tenere il trono del Sole per Elayne Trakand.» Fece una smorfia. «Elayne Damodred, dovrebbe essere. Taringail avrebbe dovuto insistere che Morgase si sposasse con il nome di Damodred invece di adottare Trakand. Lei aveva bisogno di lui e lo avrebbe fatto. Be’, Elayne Trakand o Elayne Damodred, ha un forte diritto al trono, molto più forte di Colavaere e sono convito che Colavaere ha fatto uccidere Maringil e Meilan per assicurarsi l’ascesa al trono. Non avrebbe mai osato, se avesse pensato che il lord Drago potesse tornare.»
«Ecco perché.» Una piccola ruga di irritazione apparve sulla fronte di Berelain. «Ho le prove che ha convito un servitore a mettere il veleno nel bicchiere di Maringil — è stata imprudente e io ho con me due ottimi cacciatori di ladri — ma non sapevo perché.» Chinò leggermente il capo, accettando lo sguardo ammirato di Dobraine. «Verrà impiccata per quel crimine. Se riusciamo a far tornare il lord Drago. Se non ci riusciamo, temo che dovremo tutti fare attenzione a come rimanere in vita.»
Perrin strinse la presa sulla custodia della spada in pelle di cinghiale. «Lo riporterò indietro» gridò. Dannil e gli altri uomini dei Fiumi Gemelli non potevano essere a meno di metà strada da Cairhien, con tutti i carri. Ma c’erano i lupi. «Anche a costo di andare da solo, lo riporterò indietro.»
«Non da solo» intervenne Loial cupo. «Mai da solo, fino a quando ci sarò io, Perrin.» Le orecchie dell’Ogier tremarono per l’imbarazzo. Sembrava sempre imbarazzato quando qualcuno lo vedeva comportarsi in maniera coraggiosa. «Dopotutto il mio libro non finirà molto bene se Rand viene imprigionato nella Torre. E non posso descrivere il suo salvataggio se non sono presente.»
«Non andrai da solo, Ogier» disse Dobraine. «Posso radunare cinquecento uomini entro domani. Non so cosa potremo fare contro sei Aes Sedai, ma io tengo fede ai miei giuramenti.» Guardando Sulin, toccò il fazzoletto che aveva ancora in mano. «Ma quanto possiamo fidarci dei selvaggi?»
«Quanto possiamo fidarci degli assassini dell’albero?» domandò Sorilea con voce rauca e dura: anche lei era entrata senza bussare. Rhuarc, che emanava un odore spietato, era con lei, come anche Amys, il volto troppo giovane freddo come quello delle Aes Sedai in quella cornice incongrua di capelli bianchi, e c’era anche Nandera, che puzzava di furia omicida mentre fra le mani aveva un fagotto di abiti verdi, grigi e marroni.
«Lo sapevi?» chiese Perrin incredulo.
Nandera lanciò il fagotto a Sulin. «Era ora che ti rendessi conto di aver pagato il tuo toh. Quasi quattro settimane e mezzo, più di un mese. Anche i gai’shain dicono che il tuo orgoglio è troppo forte.» Le due donne scomparvero nella camera da letto.
Da Faile era provenuto un odore di irritazione non appena Perrin aveva parlato. «Linguaggio delle mani delle Fanciulle» mormorò, a voce troppo bassa per essere sentita dagli altri. Lui le rivolse un’occhiata di gratitudine, ma Faile sembrava concentrata sulla scacchiera. Perché non partecipava alla conversazione? Dava dei buoni consigli e lui le sarebbe stato grato per tutti quelli che avrebbe voluto offrire. Faile piazzò una pedina e guardò cupa Loial, che era concentrato su Perrin e gli altri.
Cercando di non sospirare, Perrin disse atono: «Non mi interessa chi si fida di chi, Rhuarc. Sei pronto a mandare i tuoi Aiel contro le Aes Sedai? Sei. Centomila Aiel forse andrebbero bene.» Il numero che aveva menzionato lo rese perplesso — diecimila uomini erano già un quantitativo considerevole — ma erano gli Aiel di cui aveva parlato Rand, e ciò che Perrin aveva visto del loro accampamento sulle colline lo rendeva veritiero. Con sua sorpresa Rhuarc odorò di esitazione.
«Così tanti non posso» rispose con lentezza il capoclan e fece una pausa prima di proseguire. «Le vedette sono arrivate stamattina. Gli Shaido si stanno muovendo a sud dalla lama del Kinslayer, verso il cuore di Cairhien. Forse ho abbastanza uomini per fermarli — non sembra che stiano venendo tutti — ma se porto via troppe lance da questa terra tutto ciò che abbiamo realizzato dovrà essere rifatto. Come minimo gli Shaido avranno saccheggiato a fondo la città prima del nostro ritorno. Chi può dire quanto si spingeranno avanti, anche in altre terre, e quanta gente si porteranno via sostenendo che si tratta di gai’shain?» Verso la fine della frase, da lui provenne un forte odore di disgusto, ma Perrin non ne aveva capito nulla. Cosa importava quanta terra avrebbe dovuto riconquistare — o anche in quanti sarebbero morti, benché quel pensiero fosse doloroso — quando era in pericolo Rand, il Drago Rinato, condotto a Tar Valon per essere imprigionato?
Sorilea aveva studiato Perrin. Gli occhi delle Sapienti spesso gli facevano lo stesso effetto di quelli delle Aes Sedai, quasi che venisse pesato e misurato al millesimo. Sorilea gli dava l’impressione di essere stato sezionato come un aratro rotto, ogni chiodo rimosso ed esaminato per capire se doveva essere riparato o rimpiazzato. «Digli tutto, Rhuarc» ordinò infine la donna.
Amys appoggiò una mano al braccio di Rhuarc. «Ha il diritto di sapere, ombra del mio cuore. È il fratello prossimo di Rand al’Thor.» La voce era gentile. L’odore fermo.
Rhuarc rivolse alla Sapiente un’occhiata dura e a Dobraine una di disgusto. Alla fine si decise. «Posso portare solo Fanciulle e siswai’aman.» Dal tono della voce e dall’odore, avrebbe preferito perdere un braccio che pronunciare quelle parole. «Troppi degli altri non attaccherebbero le Aes Sedai.» Dobraine fece una smorfia di disgusto.
«Quanti Cairhienesi combatteranno contro le Aes Sedai?» chiese Perrin con calma. «Sei Aes Sedai e noi non abbiamo altro che acciaio.» Quante delle Fanciulle e di questi sis... quello che erano, avrebbe riunito Rhuarc? Non importava. C’erano sempre i lupi. Quanti lupi sarebbero morti?
La smorfia scomparve dal volto di Dobraine. «Io lo farò, lord Aybara» rispose rigido. «Io e i miei cinquecento uomini, contro le sei Aes Sedai.»
Anche la risata di Sorilea era rauca. «Non temere le Aes Sedai, assassino dell’albero.» Improvvisamene una fiammella danzò in aria davanti a lei. Poteva incanalare!
Lasciò svanire la fiamma mentre iniziavano a progettare il piano, ma rimase nei pensieri di Perrin. Una piccola fiammella ondeggiante, in qualche modo, era sembrata una dichiarazione di guerra più potente di un annuncio con la fanfara. Una guerra all’ultimo sangue.
«Se cooperi,» spiegò disinvolta Galina «la vita per te sarà più piacevole.»
La ragazza la fissò imbronciata e cambiò posizione sullo sgabello, ancora con qualche dolore. Sudava copiosamente anche se non aveva addosso la giubba. La tenda doveva essere rovente; Galina a volte dimenticava la temperatura. Non per la prima volta si chiese chi fosse quella Min o Elmindreda o quale che fosse il suo vero nome. La prima volta che l’aveva vista era vestita come un ragazzo, e si trovava insieme a Nynaeve al’Meara ed Egwene al’Vere. Anche con Elayne Trakand, ma le altre due erano legate ad al’Thor. La seconda volta Elmindreda era stata il tipo di donna che Galina odiava, superficiale e stupida, praticamente sotto la protezione di Siuan Sanche. Come avesse fatto Elaida a essere tanto sciocca da permetterle di lasciare la Torre, Galina non riusciva a immaginarlo. Cosa nascondeva la testa di quella ragazza? Forse non l’avrebbe consegnata subito a Elaida. Usata come si deve nella Torre, la ragazza avrebbe potuto permettere a Galina di catturare Elaida come una rondine. Malgrado Alviarin, Elaida era diventata una di quelle Amyrlin forti e capaci che potevano tenere ogni tipo di redine fra le mani; ingabbiarla avrebbe di sicuro indebolito Alviarin. Usata nel modo giusto in quel momento...
Un cambio nei flussi che percepiva fece raddrizzare Galina. «Ti parlerò di nuovo quando avrai avuto tempo per pensare, Min. Valuta bene quante lacrime vale per te un uomo.»
Una volta fuori, Galina si rivolse dura al Custode di guardia.
«Controllala bene stavolta.» Carilo non era stato di guardia durante l’incidente della notte precedente, ma i Gaidin erano fin troppo viziati. Se proprio servivano, dovevano essere trattati come soldati e niente altro.
Ignorando il suo inchino, si allontanò dalla tenda alla ricerca di Gawyn. Quel giovane si era ritirato in solitudine fin da quando al’Thor era stato catturato, ed era troppo tranquillo. Non avrebbe permesso che tutto venisse rovinato da lui che cercava di vendicare sua madre. Vide Gawyn a cavallo ai margini dell’accampamento mentre parlava a un gruppo di quei ragazzi che si erano nominati i Cuccioli.
Quel giorno si erano fermati prima per diverse necessità, e il sole del pomeriggio proiettava le ombre lunghe delle tende e dei carri accanto alla strada. L’accampamento era circondato da pianure e colline, con solo qualche boschetto rado visibile, lontano e piccolo. Trentatré Aes Sedai con i servitori — e Custodi; nove erano Verdi, tredici Rosse e il resto Bianche, l’Ajah di appartenenza di Alviarin — creavano un accampamento notevole anche senza contare Gawyn e i suoi soldati. Diverse Sorelle erano all’aperto o scrutavano fuori dalle tende, avendo percepito lo stesso flusso di Galina. Il punto focale dell’attenzione di tutte erano sette Aes Sedai, di cui sei sedute su degli sgabelli attorno a una cassa chiusa da ganci di ottone, sistemata dove potesse cogliere fino all’ultimo raggio di sole. La settima era Erian; non si era mai allontanata dalla cassa da quando al’Thor vi era stato infilato la notte prima. Lo avevano fatto uscire allontanate da Cairhien, ma Galina sospettava che Erian volesse fargli fare l’ultima parte del viaggio dentro quella cassa.
La Verde si voltò non appena la vide avvicinarsi. Erian di solito era molto bella, il volto un delicato ovale dall’incarnato chiaro, ma adesso aveva le guance rosse, fin dalla notte precedente, e i graziosi occhi scuri erano iniettati di sangue. «Ha cercato di nuovo di eludere lo schermo, Galina.» La furia era mista al disprezzo per la stupidità dell’uomo e le rendeva la voce dura e rauca. «Dev’essere punito di nuovo. Voglio essere io a farlo.»
Galina esitò. Sarebbe stato molto meglio punire Min; avrebbe fatto calmare al’Thor. Di sicuro si era infuriato nel vedere che la punivano per la sua bravata della notte precedente, che a sua volta si era scatenata nel vedere lui punito. L’intero incidente era iniziato perché al’Thor aveva scoperto che Min si trovava nell’accampamento, dopo che uno dei Custodi aveva incautamente permesso alla ragazza di camminare nell’oscurità invece di tenerla confinata nella sua tenda. Chi avrebbe mai pensato che al’Thor, schermato e circondato, sarebbe impazzito in quel modo? Non solo cercando di eludere lo schermo, ma uccidendo un Custode a mani nude e ferendone un altro con la spada del primo, in modo così grave che anche quello era morto durante la guarigione. Tutto nel secondo che era servito alle Sorelle per superare lo stupore e legarlo con il Potere.
Per quanto la riguardava, Galina avrebbe riunito le altre Rosse e domato al’Thor giorni addietro. Visto che era proibito, allora preferiva consegnarlo senza alcun segno addosso, fintanto che si fosse comportato bene. Anche ora ciò che le importava era l’efficienza. E un’azione efficiente sarebbe stata portare Min fuori e lasciare che al’Thor la sentisse piangere e singhiozzare di nuovo, sapendo di essere stato lui la causa del suo dolore. Purtroppo entrambi i Custodi morti appartenevano a Erian. La maggior parte delle Sorelle ritenevano che avesse il diritto di vendicarsi e Galina voleva che quella bambolina Verde illianese si liberasse della propria rabbia al più presto possibile. Molto meglio fare il resto del viaggio potendo ammirare quel volto di porcellana imperturbato.
Galina annuì.
Quando la luce entrò nella cassa, Rand batté le palpebre. Non poté nemmeno evitare di sussultare; sapeva cosa era in arrivo. Lews Therin rimase in silenzio e immobile. Rand era appeso al vuoto solo con le unghie, ma era fin troppo consapevole dei muscoli doloranti mentre lo tiravano fuori. Serrò i denti e cercò di non socchiudere gli occhi alla luce del sole, forte come se fosse di mezzogiorno. L’aria sembrava meravigliosamente fresca; i capelli madidi di sudore erano incollati al viso, che grondava. Non era legato da alcuna corda, ma non avrebbe potuto fare un passo nemmeno se ne fosse andato della sua vita. Se non lo avessero sostenuto con il Potere, sarebbe caduto. Fino a quando non vide quanto era basso il sole non capì per quanto tempo fosse rimasto rinchiuso con la testa fra le ginocchia, in una pozza formata dal proprio sudore.
Il sole non trattenne la sua attenzione. Gli occhi di Rand ricaddero su Erian ancor prima che la Verde si piazzasse davanti a lui. La donna bassa e snella l’osservava, gli occhi scuri erano pieni di furia e lui fu sul punto di farsi indietro. A differenza della notte precedente lei non disse nulla, si limitò a iniziare.
Il primo colpo invisibile gli ricadde in mezzo alle spalle, il secondo sul petto, il terzo dietro le cosce. Il vuoto tremò. Aria. Solo Aria. In quel modo sembrava meno duro. Ogni colpo era come una frustata, sferzata da un braccio più forte di quello di ogni altro uomo. Rand era già coperto da lividi ed escoriazioni dalle spalle alle ginocchia. Ne era consapevole, non con il distacco che avrebbe voluto. Anche nel vuoto, avrebbe voluto piangere. Dopo che ebbe rilasciato il vuoto, gli venne il desiderio di ululare.
Al contrario, serrò le mandibole. A volte gli sfuggiva un gemito e, quando accadeva, Erian raddoppiava gli sforzi come se volesse sentirne altri. Rand si rifiutò di darle quella soddisfazione. Non poteva smettere di tremare a ogni colpo di quella verga invisibile, ma non le avrebbe concesso di più. La fissò negli occhi rifiutandosi di distogliere lo sguardo o battere ciglio.
Ho ucciso la mia Ilyena. Lews Therin si lamentava ogni volta che riceveva un colpo.
Anche Rand aveva la sua litania. Il dolore gli flagellava il petto. Ecco cosa succede a fidarsi delle Aes Sedai. Il fuoco gli escoriava la schiena. Mai più; mai. Colpi come tagli di un rasoio. Ecco cosa succede a fidarsi delle Aes Sedai.
Pensavano di poterlo spezzare. Pensavano di farlo strisciare ai piedi di Elaida! Il pensiero lo spinse a fare la cosa più difficile che avesse mai fatto in vita sua. Sorrise. Un’espressione che toccò solo le labbra, ma guardò Erian negli occhi e sorrise. La donna sgranò gli occhi e sibilò. Le sferzate giunsero da tutte le direzioni.
Il mondo era dolore e fuoco. Non poteva vedere, solo provare sensazioni. Agonia e inferno. Per qualche motivo era consapevole delle proprie mani che tremavano involontariamente nei legami invisibili, ma si concentrava per tenere i denti serrati. Ecco cosa succede... Non griderò! Non grider... Mai più... Mai più. Per niente al mondo! Mai pi... Non lo farò! Mai... Mai! Mai! MAI!
Prima ebbe la percezione di respirare. Aria, che scendeva giù dalle narici. Palpitava — fiamme pulsanti — ma i colpi erano finiti. Fu quasi una sorpresa accorgersene. La fine di qualcosa che una parte di lui era convinta non sarebbe finita mai. Sentiva il sapore del sangue e si accorse che la mandibola gli doleva quasi quanto il resto. Bene. Non aveva gridato. I muscoli del viso erano tutti un nodo di crampi. Gli sarebbe costato molta fatica aprire la bocca, anche se avesse voluto farlo.
La vista fu l’ultimo senso a ritornare e, quando lo fece, Rand si chiese se il dolore non gli stesse provocando delle allucinazioni. Fra le Aes Sedai c’era un gruppo di Sapienti, che si sistemavano lo scialle e fissavano le donne di Tar Valon con tutta l’arroganza che potevano raccogliere. Quando decise che erano reali — a meno che non stesse vedendo Galina che parlava con una delle sue fantasie — il suo primo pensiero fu di salvezza. Le Sapienti avevano in qualche modo... era impossibile, ma in qualche modo avrebbero... poi riconobbe la donna che discuteva con Galina.
Sevanna si avvicinò a lui, con il sorriso stampato sulle labbra carnose e avide. Gli occhi verde chiaro lo scrutavano da quel volto meraviglioso incorniciato da capelli color oro. Rand avrebbe preferito guardare un lupo rabbioso. C’era qualcosa di insolito nel modo in cui stava in piedi, leggermente protesa in avanti. Lo guardava negli occhi. A un tratto gli venne voglia di ridere, malgrado tutto il dolore. Lo avrebbe fatto se avesse potuto essere sicuro di quale suono avrebbe emesso aprendo la bocca. Lui era un prigioniero, percosso fino al limite estremo, con le ferite che bruciavano, il sudore che pungeva e una donna che lo odiava, ne era certo, e che probabilmente lo incolpava per la morte del suo amante, e Sevanna stava cercando di vedere se l’avrebbe guardata nella scollatura!
La Sapiente fece scorrere lentamente un dito sulla gola di Rand — avvicinandosi più che poté — e forse stava immaginando di tagliargli la testa. Logico, considerando il destino di Couladin. «L’ho visto» disse soddisfatta e con un lieve brivido di piacere. «Avete mantenuto la vostra parte dell’accordo e io ho rispettato la mia.»
Le Aes Sedai lo fecero piegare di nuovo e lo infilarono nella cassa con la testa fra le ginocchia, in quella pozza di sudore. Il coperchio si chiuse e l’oscurità lo avvolse.
Solo a quel punto mosse la mandibola fino a quando riuscì ad aprire la bocca, esalando un lungo sospiro. Non era certo di non piagnucolare. Luce, era in fiamme!
Che cosa ci faceva Sevanna con loro? Quale accordo? No. Era un bene sapere che c’era una sorta di accordo fra la Torre e gli Shaido, ma per preoccuparsene avrebbe dovuto aspettare. Adesso doveva pensare a Min. Doveva liberarla. Le avevano fatto del male. Quel pensiero era talmente cupo che annullava quasi il dolore. Quasi.
Raggiungere di nuovo il vuoto fu un lavoro duro, come attraversare una palude nel bel mezzo di un’agonia, ma alla fine ne fu circondato, si protese verso saidin e... trovò Lews Therin, nello stesso momento in cui vi giunse lui, due paia di mani che cercavano di afferrare qualcosa che solo uno poteva tenere.
Che tu sia folgorato! gridò Rand nella sua testa. Che tu sia folgorato! Se solo lavorassi con me per una volta, invece che contro di me!
Lavora tu con me! fu la risposta di Lews Therin.
Rand fu prossimo a perdere la presa sul vuoto per la sorpresa. Stavolta non c’era modo di sbagliarsi; Lews Therin l’aveva sentito e aveva risposto. Possiamo lavorare insieme, Lews Therin. Non voleva lavorare con lui; avrebbe desiderato che fosse fuori dalla sua testa, ma c’era Min e non sapeva quanto fossero lontani da Tar Valon. Era in qualche modo sicuro che se lo avessero portato a destinazione non avrebbe avuto più alcuna opportunità, mai più.
In risposta giunse una risata incerta e apprensiva. Insieme? Un’altra risata folle, la risata di un pazzo. Insieme. Chiunque tu sia. A quel punto voce e presenza svanirono.
Rand fu scosso dai brividi. Inginocchiato, aggiungendo altro sudore alla pozza dove aveva poggiato la testa, tremò.
Si protese di nuovo verso saidin e... sì scontrò ovviamente con lo schermo, ma era ciò che cercava. Lentamente, con cautela, cercò il percorso, il punto in cui la massa compatta si divideva in sei punti morbidi.
Morbidi, disse Lews Therin ansimando. Perché sono lì, a sostenere a barriera. Duri invece quando li legano. Non puoi fare nulla quando sono morbidi, ma se li legano io posso districare la rete. Con un po’ di tempo. Fece una pausa talmente lunga che Rand pensò fosse andato via di nuovo, quindi sussurrò: sei reale? Poi andò via veramente.
Rand ispezionò ancora lo schermo lungo i sei punti morbidi. Le sei Aes Sedai. Con il tempo? Se legavano lo schermo, cosa che fino a quel momento non avevano fatto... Quanto mancava? Sei giorni? Sette? Otto? Non importava. Non poteva permettersi di aspettare troppo. Ogni giorno che passava lo avvicinava a Tar Valon. Domani avrebbe provato di nuovo a spezzare la barriera; era stato come prendere a pugni la pietra, e lui aveva colpito con tutta la sua forza. Domani, quando Erian lo avrebbe fustigato — era sicuro che sarebbe stata lei — le avrebbe sorriso di nuovo e, quando il dolore fosse cresciuto, avrebbe gridato. Il giorno seguente avrebbe solo sfiorato lo schermo, forse quel tanto che bastava per farsi scoprire, ma solo quello e non lo avrebbe più rifatto, punizione o meno. Forse avrebbe implorato che gli dessero dell’acqua. Gliene avevano data un po’ all’alba, ma aveva di nuovo sete; anche se lo lasciavano bere più di una volta al giorno, implorare sarebbe servito. Se a quel punto si fosse trovato ancora nella cassa, forse poteva pregarle di lasciarlo uscire. Pensava che sarebbe servito; non aveva grandi possibilità che lo lasciassero uscire abbastanza a lungo fino a quando non fossero state certe che aveva imparato la lezione. I muscoli contratti guizzarono al pensiero di altri due o tre giorni infilato là dentro. Non aveva spazio per muoversi, ma ci provava. Due o tre giorni. E sarebbero state sicure di averlo spezzato. Avrebbe assunto un’espressione timorosa e avrebbe evitato di sostenere gli sguardi delle donne. Un disgraziato che potevano serenamente lasciar uscire dalla cassa. Cosa più importante, un disgraziato che non aveva bisogno di essere controllato a vista. A quel punto forse avrebbero deciso che non servivano più sei donne per mantenere lo schermo, o che potevano legarlo o... qualcos’altro. Aveva bisogno di un’apertura. Qualunque cosa!
Era un pensiero disperato, ma si rese conto che stava ridendo e non poteva fermarsi. Non poteva smettere neanche di esaminare la barriera, si sentiva come un cieco che facesse scivolare le dita su un pezzo di vetro levigato.
Galina guardò le Aiel andare via, fino a quando superarono una collina e svanirono dall’altro versante. Ognuna di quelle donne tranne Sevanna poteva incanalare, qualcuna era molto forte. Senza dubbio Sevanna si era creduta al sicuro circondata da una dozzina di selvatiche. Un pensiero divertente. Quelle selvagge erano un gruppo di cui non ci si poteva fidare. Fra alcuni giorni le avrebbe usate di nuovo, era la seconda parte dell’accordo con Sevanna. La morte incresciosa di Gawyn Trakand e di gran parte dei suoi Cuccioli.
Ritornando all’accampamento trovò Erian ancora in piedi davanti alla cassa che conteneva al’Thor.
«Piange, Galina» disse con fierezza. «Lo senti? Sta...» Adesso le lacrime scivolavano sulle guance di Erian, che stava in piedi e piangeva tranquilla, con i pugni serrati sulla gonna.
«Vieni nella mia tenda,» le disse Galina per calmarla «ho del tè di mirtillo e ti applicherò un panno umido sulla fronte.»
Erian sorrise fra le lacrime. «Grazie, Galina, ma non posso. Rashan e Bartol mi aspettano. Soffrono più di me. Non solo percepiscono la mia sofferenza, ma soffrono perché sanno che soffro. Devo confortarli.» Strinse con gratitudine la mano di Galina e se ne andò.
Lei guardò la cassa. Effettivamente sembrava che al’Thor piangesse, o forse rideva, ma lei ne dubitava alquanto. Guardò Erian scomparire nella tenda dei suoi Custodi. Al’Thor avrebbe pianto. Avevano ancora altre due settimane prima di raggiungere Tar Valon ed Elaida aveva pianificato un ingresso trionfale. Sì, almeno venti giorni. D’ora in avanti, che Erian lo volesse fare o meno, lo avrebbero punito tutti i giorni all’alba e al tramonto. Quando l’avesse portato nella Torre Bianca, avrebbe baciato l’anello di Elaida, avrebbe parlato quando veniva interpellato e si sarebbe inginocchiato in un angolo quando non era desiderato. Con gli occhi socchiusi andò a bersi il suo tè di mirtillo.
Mentre entravano nella radura fra gli alberi, Sevanna si rivolse alle altre, complimentandosi con se stessa per l’indifferenza con cui pensava agli alberi. Prima di superare il Muro del Drago non ne aveva mai visti tanti tutti insieme. «Avete osservato tutte voi i sistemi che usano per trattenerlo?» chiese facendo sembrare di aver detto ‘anche’ anziché ‘tutte’.
Therava guardò le altre, che annuirono. «Possiamo tessere gli stessi flussi» rispose poi lei.
Sevanna annuì e toccò il piccolo cubo di pietra con le iscrizioni intricate che aveva in tasca. Lo strano abitante delle terre bagnate che gliel’aveva dato aveva detto di usarlo adesso, quando al’Thor era prigioniero. Fino a quando non l’aveva visto con i suoi occhi, aveva avuto intenzione di farlo; adesso aveva deciso di disfarsi di quel cubo. Era la vedova di un capo che si era recato nel Rhuidean e di un uomo che era stato chiamato capo senza nemmeno fare quella visita. Adesso sarebbe stata la moglie del Car’a’carn in persona. Tutte le lance aiel si sarebbero inchinate a lei. Sulle dita aveva ancora l’impressione del tocco sul collo di al’Thor, dove aveva tracciato la linea del collare che gli avrebbe infilato.
«È ora, Desaine» disse.
Ovviamente, Desaine batté le palpebre sorpresa, poi ebbe solo il tempo di gridare prima che le altre iniziassero il loro lavoro. Desaine non aveva apprezzato la posizione di Sevanna e lei aveva trovato una soluzione per utilizzarla. A parte Desaine, tutte le donne la sostenevano con fermezza.
Sevanna osservò con attenzione quanto facevano le altre Sapienti; l’Unico Potere l’affascinava, tutte quelle cose fatte in maniera miracolosa, senza sforzo, ed era molto importante rendere ben chiaro che tutto ciò che era stato fatto a Desaine era esclusivamente opera del Potere. Le parve stupefacente che un corpo umano potesse essere dilaniato versando così poco sangue.