27 Regali

Incamminandosi di nuovo verso la grande distesa di tende, Egwene cercò di mantenere il controllo su di sé, ma non era sicura che i piedi toccassero terra. Be’, sapeva che lo facevano. Aggiungevano una piccola dose di polvere a quella sollevata dalle folate di vento; avrebbe tanto voluto che le Sapienti indossassero i veli. Uno scialle sulla testa non era lo stesso, sembrava di stare sempre in una sauna. Ma si sentiva comunque sospesa in aria. Aveva l’impressione di avere le vertigini, e non per il caldo.

All’inizio aveva pensato che Gawyn non l’avrebbe incontrata, ma era apparso all’improvviso mentre lei camminava fra la folla. Avevano trascorso tutta la mattina nella sala da pranzo privata de L’uomo alto, tenendosi per mano e parlando mentre sorseggiavano il tè. Lei era assolutamente impudente, lo aveva baciato non appena avevano valicato la porta, prima che lui facesse la mossa di stringerla a sé; una volta si era addirittura seduta sulle sue ginocchia, anche se non era durato a lungo. La faceva pensare ai sogni, alla possibilità di intrufolarsi di nuovo in essi, a cose indecenti per una donna, anche solo a immaginarle! Comunque non erano pensieri da donna nubile. Poi si era ritratta come una colomba spaventata, meravigliandolo senza sosta. Egwene si guardò intorno. Le tende erano ancora lontane e nei paraggi non c’era anima viva. Anche se ve ne fossero state, non avrebbero potuto vederla arrossire. Accorgendosi che stava ridendo come una sciocca da dietro lo scialle, si tolse il sorriso dal volto. Luce, doveva mantenere il controllo. Dimenticare la sensazione delle braccia forti di Gawyn e ricordare perché avevano trascorso tanto tempo a L’uomo alto.

Facendosi largo fra la folla, Egwene si guardò attorno, alla ricerca di Gawyn e facendo finta, con discreta difficoltà, di essere spensierata; non voleva che la ritenesse impaziente. Di colpo un uomo si inchinò verso di lei, sussurrandole deciso: «Seguimi a L’uomo alto.»

Egwene non poté fare a meno di sobbalzare. Ci mise un attimo a riconoscere Gawyn. Aveva addosso una semplice giubba marrone e un sottile mantello per proteggersi dalla polvere, che gli scendeva dietro le spalle, con il cappuccio sollevato a nascondergli parzialmente il viso. Non era il solo a indossare un mantello — tranne gli Aiel, tutti quelli che oltrepassavano le mura della città ne portavano uno — ma non molti avevano i cappucci sollevati con quel caldo micidiale.

Egwene lo prese con fermezza per la manica mentre l’uomo cercava di precederla. «Cosa ti fa pensare che ti seguirò in una locanda, Gawyn Trakand?» chiese socchiudendo gli occhi. Mantenne comunque la voce bassa, non c’era bisogno di attirare l’attenzione con una discussione. «Dovevamo passeggiare. Stai dando troppe cose per scontate, se pensi solo per un istante...»

Gawyn fece una smorfia e sussurrò di corsa: «Le donne con le quali sono venuto stanno cercando qualcuno. Una come te. Dicono poco in mia presenza, ma di tanto in tanto ho sentito qualche frase. Adesso seguimi.» Senza guardarsi indietro, proseguì lungo la strada, lasciando che Egwene lo seguisse con lo stomaco acido.

Quel ricordo l’aveva riportata con i piedi per terra. Il terreno rovente era caldo quasi quanto il lastricato della città e lo percepiva da sotto le suole. Egwene camminava a fatica nella polvere pensando furiosamente. Gawyn non sapeva molto più di quanto le aveva detto durante quel primo scambio di parole. Lei non poteva essere quella che cercavano, ma doveva solo essere molto prudente nell’incanalare e rimanere lontana il più possibile. Nemmeno lui però sembrava molto convinto, visto che aveva addosso un travestimento. Egwene si trattenne dal parlare dei suoi abiti; era preoccupato che se le Aes Sedai l’avessero trovata, sarebbe finita in ogni tipo di guaio. Era preoccupato di poterle guidare da lei, non volendo smettere di vederla anche se lo aveva suggerito lui per primo. Ed era soprattutto convinto che Egwene dovesse trovare il modo di ritornare a Tar Valon e nella Torre. Quello, o fare pace con Coiren e le altre per poi fare ritorno con loro. Luce, quanto avrebbe dovuto essere arrabbiata con lui, che credeva di sapere cosa fosse meglio per lei: ma per qualche motivo aveva voglia di sorridere con indulgenza, anche adesso. Non riusciva a ragionare lucidamente, sembrava che Gawyn si intrufolasse in ogni suo pensiero.

Si morse il labbro e si concentrò sul problema reale. Le Aes Sedai della Torre. Se solo avesse potuto interrogare Gawyn... non sarebbe stato un tradimento rivolgergli qualche domandina, le Ajah d’appartenenza di quelle donne, dove andavano quando uscivano, o... No! Si era fatta una promessa, e non rispettarla lo avrebbe disonorato. Nessuna domanda. Solo ciò che avrebbe detto spontaneamente.

Qualunque cosa pensasse Gawyn, Egwene non aveva motivo di credere che la stessero cercando. Ma ammise, anche se con riluttanza, di non avere un motivo reale nemmeno per pensare il contrario, solo molte supposizioni e speranze. Solo perché un’agente della Torre non riconosceva Egwene al’Vere dietro una donna Aiel, non significava che la stessa agente non avesse sentito fare il suo nome, o addirittura sentito parlare di Egwene al’Vere dell’Ajah Verde. Egwene sobbalzò. Da adesso in poi avrebbe dovuto essere molto cauta, quando si recava in città. Più che cauta.

Aveva raggiunto il limitare dell’accampamento, che si estendeva per chilometri, coprendo le colline a est della città, che fossero alberate o meno. Gli Aiel camminavano fra le basse tende, ma in vista c’era solo una manciata di gai’shain. Nessuna delle Sapienti era in circolazione. Non aveva mantenuto una promessa fatta a loro. Soprattutto nei confronti di Amys, ma in fondo nei riguardi di tutte. La necessità sembrava un motivo sempre meno valido a supporto del suo inganno.

«Unisciti a noi, Egwene» la chiamò una voce femminile. Anche con la testa coperta, non era difficile riconoscere Egwene, a meno che non fosse circondata da un gruppo di ragazzine. Surandha, apprendista di Sorilea, aveva infilato la testa bionda fuori dalle aperture della tenda e le stava facendo cenno. «Le Sapienti sono in riunione e ci hanno lasciato la giornata libera. L’intera giornata.» Quello era un lusso offerto raramente ed Egwene non vi avrebbe rinunciato.

Nella tenda diverse donne erano accomodate sui cuscini colorati, leggevano alla luce delle lampade a olio — la tenda era chiusa come protezione contro la polvere, quindi la luce non entrava — oppure erano sedute a cucire o ricamare. Due facevano il gioco dello spago. Il mormorio delle conversazioni colmava la tenda e alcune delle donne presenti le sorrisero. Non erano tutte apprendiste — due madri e qualche sorella prima erano venute in visita — e le donne anziane indossavano la stessa quantità di gioielli delle Sapienti. Tutte avevano le bluse parzialmente slacciate e gli scialli avvolti attorno alla vita, anche se il calore della tenda non sembrava disturbarle.

Un gai’shain riempiva le tazze. Qualcosa nelle sue movenze diceva che si trattava di un artigiano, non un algai’d’siswai; aveva comunque il volto duro, ma tre volte più morbido a confronto con gli altri uomini e per lui mantenere modi remissivi sembrava meno difficile. Aveva addosso una di quelle fasce rosse che lo contrassegnavano come siswai’aman. Nessuna delle donne vi prestava troppa attenzione, anche se i gai’shain in teoria avrebbero dovuto indossare solo il bianco.

Egwene si legò lo scialle in vita e accettò con gratitudine l’acqua per lavarsi viso e mani, quindi slacciò la blusa e si accomodò su un cuscino dai tasselli rossi fra Surandha ed Estair, l’apprendista di Aeron. «Di cosa stanno parlando le Sapienti?» Ma non era concentrata su di loro. Non voleva evitare totalmente la città — aveva acconsentito ad andare a controllare L’uomo alto ogni mattina per vedere se Gawyn l’aspettasse, anche se il sorriso malizioso sul viso della locandiera la faceva arrossire; solo la Luce sapeva cosa le passasse per la mente! — ma di sicuro non avrebbe più tentato di origliare cosa si diceva nella residenza di lady Arilyn. Dopo aver lasciato Gawyn si era avvicinata abbastanza da percepire che qualcuna stava incanalando all’interno, ma se ne era andata dopo una rapida occhiata da dietro l’angolo. Il solo stare tanto vicina le provocava la sgradevole sensazione che Nesune le sarebbe apparsa alle spalle. «Qualcuna di voi lo sa?»

«Delle tue Sorelle, ovviamente» rise Surandha. Era una bella donna, con grandi occhi azzurri e il sorriso la rendeva bellissima. Circa cinque anni più grande di Egwene, poteva incanalare con la stessa potenza di qualunque Aes Sedai e aspettava con impazienza che le assegnassero una sua fortezza. Nel frattempo saltava quando Sorilea pensava ‘salta’. «Cos’altro potrebbe farle sentire come se si fossero sedute sulle spine di segade?»

«Dovremmo inviare Sorilea a parlare con loro» osservò Egwene, prendendo una tazza a righe verdi dalle mani del gai’shain. Raccontandole di come erano accalcati i Cuccioli in tutte le camere da letto che non erano state occupare dalle Aes Sedai — alcuni addirittura dormivano nelle stalle — Gawyn le aveva fatto capire che non c’erano stanze nemmeno per una sguattera e che le Aes Sedai non ne stavano preparando nessuna. Era una buona notizia.

«Sorilea potrebbe raddrizzare quasi tutte le Aes Sedai.» Surandha reclinò il capo all’indietro, ridendo forte.

La risata di Estair fu invece debole e alquanto scandalizzata. Una giovane donna, snella, con seri occhi grigi, si comportava sempre come se le Sapienti la controllassero. Egwene non finiva mai di stupirsi pensando che Sorilea avesse un’apprendista ricca di senso dell’umorismo mentre Aeron, una donna gradevole e sorridente che non rimproverava mai nessuno, ne avesse una che sembrava a caccia di regole da rispettare. «Credo che si tratti del Car’a’carn» rispose Estair con tono di voce molto serio.

«Perché?» chiese Egwene con fare assente. Doveva evitare di recarsi in città. Tranne che per Gawyn, ovviamente. Per quanto fosse imbarazzante ammetterlo, non avrebbe rinunciato a incontrarlo, a meno che non fosse certo che Nesune l’aspettasse a L’uomo alto. Avrebbe significato ritornare a camminare attorno alle mura della città per esercizio, fra tutta quella polvere. Quella mattina era stata un’eccezione, ma non avrebbe dato alle Sapienti scuse per posporre il suo ritorno nel tel’aran’rhiod. Quella sera avrebbero incontrato le Aes Sedai di Salidar da sole, ma sette giorni dopo sarebbe andata anche lei.

«Cosa succede?»

«Non hai sentito?» esclamò Surandha.

Fra due o tre giorni avrebbe potuto incontrare Elayne e Nynaeve, o parlare di nuovo con loro nei sogni. Tentare di parlare con loro — non si poteva mai essere certi che le altre persone sapessero che si trattava di più di un semplice sogno, a meno che non fossero abituate a comunicare in questo modo, descrizione che non calzava a Elayne e Nynaeve. In ogni caso, il pensiero di avvicinarle di nuovo la metteva ancora a disagio. Aveva avuto un altro incubo nebuloso; ogni volta che una delle due diceva una parola, inciampava cadendo a faccia in avanti o faceva cadere una tazza o un piatto, un vaso, comunque sempre qualcosa che si rompeva all’impatto. Da quando era riuscita a dare un senso al sogno in cui Gawyn diventava il suo Custode, aveva fatto uno sforzo per interpretarli tutti. Senza ottenere grandi risultati fino a quel momento, ma era sicura che la presenza delle due amiche avesse un significato. Forse sarebbe stato più ragionevole aspettare il prossimo incontro per parlare con loro. E poi c’era sempre la possibilità di incappare nei sogni di Gawyn ed essere attratta in essi. Il solo pensiero la faceva arrossire.

«Il Car’a’carn è ritornato» spiegò Estair. «Deve incontrare le tue Sorelle questo pomeriggio.»

Tutti i pensieri su Gawyn sparirono. Egwene guardò corrucciata la tazza. Due volte in dieci giorni. Era insolito che Rand facesse ritorno tanto presto. Perché? Aveva scoperto la presenza delle Aes Sedai della Torre? Come? Inoltre, come sempre, quei suoi viaggi le facevano venire in mente la solita domanda. Come? Come fa?

«Come fa cosa?» chiese Estair, ed Egwene batté le palpebre, stupita di aver parlato ad alta voce.

«A farmi venire tanto facilmente il mal di stomaco?»

Surandha scosse il capo in segno di commiserazione, ma sorrise. «È un uomo, Egwene.»

«È il Car’a’carn» replicò Estair con grande enfasi e molta riverenza. Egwene non sarebbe rimasta molto sorpresa nel vederla indossare quella stupida striscia di tessuto rosso attorno al capo.

Surandha attaccò subito Estair, chiedendole come se la sarebbe mai cavata con un vecchio capo, peggio ancora un capo setta o clan, se non si rendeva conto che un uomo non smetteva di essere un uomo solo perché era un capo, mentre Estair rimaneva ostinatamente convinta che il Car’a’carn fosse diverso. Una delle donne anziane, Mera, che era venuta a trovare la figlia, si inchinò in avanti verso di loro e disse che il modo di vedersela con ogni capo — fortezza, setta, clan o il Car’a’carn — era lo stesso metodo che si usava per controllare un marito, cosa che fece ridere Baerin, anche lei in visita alla figlia, e la spinse ad aggiungere un commento che avrebbe facilmente istigato una padrona di casa a deporle il pugnale ai piedi; una dichiarazione di antagonismo. Baerin era stata una Fanciulla prima di sposarsi. Prima che Mera avesse finito di parlare, tutte tranne il gai’shain si erano unite alla conversazione, sopraffacendo la povera Estair — il Car’a’carn era il capo dei capi e nient’altro, era chiaro — ma discutendo sul fatto se fosse meglio approcciare un capo tramite la padrona di casa o direttamente.

Egwene non seguiva più la conversazione. Di sicuro Rand non avrebbe fatto sciocchezze. Aveva avuto dubbi legittimi riguardo la lettera di Elaida, ma aveva creduto a quella di Alviarin, che non solo era più cordiale, ma apertamente adulatrice. Rand pensava di avere delle amiche, forse anche delle seguaci nella Torre. Lei era di parere contrario. Tre Giuramenti o meno, era convinta che Elaida e Alviarin avessero elaborato la seconda lettera insieme. Con tutto quel ridicolo parlare di inginocchiarsi davanti al suo fulgore. Era tutto un complotto per farlo andare alla Torre.

Guardandosi le mani colma di rimpianto, sospirò e poggiò la tazza, che venne afferrata dal gai’shain prima che lei riuscisse ad allontanare la mano.

«Devo andare» disse Egwene alle due apprendiste. «Mi sono ricordata che ho qualcosa da fare.» Surandha ed Estair accennarono alla possibilità di andare con lei — furono molto insistenti, in realtà; quando gli Aiel dicevano qualcosa erano sempre seri — ma furono di nuovo coinvolte nella discussione e non risposero nulla quando Egwene disse loro di rimanere. Di nuovo con lo scialle sulla testa, lei si lasciò le voci alle spalle — Mera stava dicendo a Estair che un giorno forse sarebbe stata Sapiente, ma fino ad allora sarebbe stato meglio se avesse dato ascolto a una donna che aveva tenuto sotto controllo un marito e cresciuto tre figlie e due figli, tutto senza una sorella moglie che l’aiutasse — e fece ritorno al vento e alla polvere.

Una volta in città cercò di insinuarsi fra la folla tentando di non dare nell’occhio, e provando a guardare in tutte le direzioni, facendo finta di badare solo agli affari suoi. Le possibilità di incontrare Nesune erano poche, ma... davanti a lei due donne con indosso abiti sobri e grembiuli bianchi fecero un passo di lato per non scontrarsi, ma entrambe si diressero dalla stessa parte e si ritrovarono naso a naso. Mormorarono delle scuse e ogni donna fece di nuovo un passo di lato. Nella stessa direzione. Altre scuse, come se fosse una danza, e si mossero di nuovo assieme. Mentre Egwene le oltrepassava stavano ancora facendo dei passi laterali da un lato all’altro perfettamente all’unisono, adesso con i volti arrossati e le scuse pronunciate a denti stretti. Non aveva idea di quanto sarebbe durata, ma era bene ricordare che Rand si trovava in città. Luce, quando c’era lui non sarebbe stato improbabile incontrare tutte e sei le Aes Sedai proprio mentre una folata di vento le faceva volare via lo scialle dal capo e tre persone nelle vicinanze la chiamavano per nome aggiungendo il titolo di Aes Sedai. Con lui nei paraggi non sarebbe stato impensabile incontrare Elaida in persona.

Egwene si affrettò, sempre più a disagio all’idea di incappare in uno di quei vortici da ta’veren, e con gli occhi sempre più sgranati. Fortunatamente la vista di una donna aiel con gli occhi sgranati e il volto nascosto — come poteva la gente comune cogliere la differenza fra uno scialle e un velo? — faceva allontanare rapidamente i passanti, cosa che le permise di accelerare il passo, quasi correre, ma non si rilassò fino a quando non fu entrata nel palazzo del Sole usando una piccola porta sul retro riservata alla servitù. Nel corridoio si fiutava un forte odore di cibo e uomini e donne in livrea correvano avanti e indietro. Altri, che si stavano rilassando in camicia o si sventolavano con i grembiuli alla ricerca di un vago sollievo, la fissarono stupiti. Probabilmente nessuno se non i servitori faceva uso di quella porta vicino alle cucine. Sicuramente non una Aiel. Sembrava si aspettassero che estraesse una lancia da sotto la gonna.

Egwene indicò un ometto che stava asciugandosi il sudore dal collo con un fazzoletto. «Sai dove si trova Rand al’Thor?»

L’uomo sobbalzò guardando i compagni, che si defilarono rapidamente. Cambiò posizione con il desiderio di seguirli. «Il lord Drago... signora? Nelle sue stanze? Almeno, lo immagino.» L’uomo cominciò a farsi da parte inchinandosi. «Se la mia signora... se mi vuoi perdonare devo ritornare ai miei...»

«Portami da lui.» rispose Egwene con fermezza. Stavolta non se ne sarebbe andata in giro senza meta.

Lanciando un’ultima occhiata agli amici che svanivano e reprimendo un sospiro, dopo averla studiata rapidamente per vedere se l’avesse offesa, corse a prendere la giubba. Fu molto efficiente nei meandri del palazzo, fra tutti quei corridoi, sempre veloce, inchinandosi a ogni svolta e, quando alla fine indicò con un altro inchino un’alta porta decorata con dei soli nascenti color oro e presidiata da un Aiel e una Fanciulla, Egwene provò un’ondata di disprezzo e lo congedò. Non ne capiva il motivo; l’uomo stava semplicemente facendo ciò per cui era pagato.

L’Aiel si alzò mentre lei si avvicinava, un uomo molto alto di mezza età, con la corporatura taurina e freddi occhi grigi. Egwene non sapeva di chi si trattasse e questi chiaramente non intendeva lasciarla passare. Fortunatamente però conosceva la Fanciulla.

«Lasciala passare, Maric,» disse Somara sorridendo «quella è l’apprendista di Amys, Bair e Melaine, l’unica a servire tre Sapienti. A giudicare dalla sua espressione devono averla spedita di corsa con un messaggio severo per Rand al’Thor.»

«Di corsa?» la risata di Maric non gli addolcì né il volto né gli occhi. «Direi strisciando.» Quindi riprese a osservare il corridoio.

Egwene non ebbe bisogno di chiedere cosa volesse dire. Estrasse il fazzoletto dal sacchetto appeso alla cintura e sì pulì in fretta il viso; nessuno veniva preso sul serio quando era sporco e Rand doveva ascoltarla.

«Cose importanti, Somara. Spero sia solo. Sono già venute le Aes Sedai?» Il fazzoletto era grigio e lo ripose nel sacchetto con un sospiro.

La Fanciulla scosse il capo. «Manca ancora parecchio all’appuntamento. Gli dirai di essere prudente? Non intendo mancare di rispetto alle tue Sorelle, ma lui non vuole guardare dove mette i piedi. È testardo.»

«Glielo dirò.» Egwene non poté fare a meno di sorridere. Aveva già sentito Somara parlare in quel modo prima d’ora — con quella specie di orgoglio esasperato tipico di una madre che parla di un figlio di dieci anni molto avventuroso —, e anche qualche altra Fanciulla. Doveva essere una specie di scherzo aiel e, anche se lei non lo capiva, era a favore di qualunque cosa avesse evitato che Rand si montasse la testa. «Gli dirò anche di lavarsi le orecchie.» Somara annuì prima di recuperare il controllo. Egwene sospirò. «Somara, le mie Sorelle non devono scoprire che sono qui.» Maric la guardò incuriosito, mentre osservava ogni servitore che attraversava il corridoio. Doveva essere prudente. «Non siamo vicine, Somara. Si può dire che siamo distanti quanto possono esserlo delle Sorelle.»

«Il peggiore malanimo è fra sorelle prime» rispose l’altra donna annuendo. «Vai. Non sentiranno il tuo nome da me e se Maric si azzarda a fiatare gli lego la lingua.» Marie, ben più alto e pesante il doppio, sorrise leggermente senza nemmeno guardarla.

L’abitudine delle Fanciulle di farla entrare senza annunciarla, in passato aveva creato delle situazioni imbarazzanti, ma stavolta Rand non era nella vasca da bagno. Le stanze erano chiaramente appartenute al re e l’anticamera sembrava una miniatura della sala del trono. Miniatura a confronto della sala vera e propria. I raggi di un enorme sole dorato intarsiato nel pavimento di legno lucidato erano le sole curve visibili. Alti specchi circondati da cornici sobrie erano allineati sulle pareti e sostenuti da bande dorate: le profonde cornici erano costituite da triangoli d’oro che si sovrapponevano come scaglie. Da ogni lato del sole nascente erano piazzate delle sedie dorate che formavano due file, una di fronte all’altra. Rand sedeva su un’altra sedia, con il doppio delle dorature e lo schienale più alto sopra un piccolo palco, anch’esso dorato. Aveva addosso una giubba di seta rossa ricamata in oro e impugnava quel pezzo di lancia seanchan, con espressione torva. Sembrava un re, uno che stesse per commettere un omicidio.

Egwene si mise le mani sui fianchi. «Somara ha detto che devi lavarti subito le orecchie, giovanotto» disse, e Rand sollevò il capo di scatto.

La sorpresa e la lieve offesa durarono un istante. Scese dal palco sorridendo e lanciò lo scettro del Drago sulla sedia. «Cos’hai combinato, per la Luce?» Attraversò la sala e la prese per le spalle, facendola voltare verso lo specchio.

Egwene si tirò indietro, pur non volendo. Era davvero un bello spettacolo. La polvere che era passata sotto lo scialle — no, fango; con l’aggiunta del sudore — le striava le guance e la fronte, nei punti dove aveva provato a pulirsi.

«Manderò Somara a prendere dell’acqua» disse secco Rand. «Forse penserà che mi serve per le orecchie.» Quel sorriso era intollerabile!

«Non c’è bisogno» rispose Egwene con tutta la dignità che riuscì a trovare. Non avrebbe permesso che se ne stesse impalato a guardarla mentre si lavava. Prese il fazzoletto già lurido e cercò di rimuovere lo sporco peggiore. «Presto incontrerai Coiren e le altre. Non devo avvisarti su quanto siano pericolose, vero?»

«Penso che tu lo abbia appena fatto. Non verranno tutte. Ho chiesto che non fossero più di tre.» Rand mosse il capo come se avesse sentito qualcosa e annuì, abbassando la voce a un sussurro. «Sì, posso gestirne tre, se non sono troppo forti.» Di colpo si accorse che Egwene lo stava osservando. «Ovviamente se nessuna di loro è Moghedien con la parrucca o Semirhage, nel qual caso forse potrei essere nei guai.»

«Rand, devi affrontare la faccenda seriamente.» Il fazzoletto non le era di grande aiuto. Con enorme riluttanza vi sputò sopra; non c’era un modo dignitoso di sputare su un fazzoletto. «So quanto sei forte, ma loro sono Aes Sedai. Non puoi comportarti come se fossero delle contadine. Anche se pensi che Alviarin si inginocchierà ai tuoi piedi e tutte le sue amiche con lei, quelle sono state inviate da Elaida. Non puoi pensare che vogliano fare qualcosa di diverso dal metterti un guinzaglio. Il punto è che dovresti mandarle via.»

«E dovrei fidarmi delle tue amiche nascoste?» le chiese lui sommessamente. Fin troppo sommessamente.

Non c’era nulla da fare con il viso impolverato; prima avrebbe dovuto lasciare che facesse portare dell’acqua. Adesso non poteva chiederla, non dopo aver rifiutato. «Sai di non poterti fidare di Elaida» disse Egwene con cautela voltandosi verso di lui. Memore di quanto era accaduto l’ultima volta, non voleva nemmeno parlare delle Aes Sedai di Salidar. «Lo sai.»

«Non mi fido di nessuna Aes Sedai. Loro» vi fu una lieve esitazione nella voce di Rand, come se volesse usare una parola diversa, anche se Egwene non riusciva a immaginare quale «cercheranno di usarmi e io cercherò di usare loro. Un bel circolo vizioso, vero?» Se Egwene avesse preso in considerazione di permettergli di avvicinarsi alle Aes Sedai di Salidar, gli occhi di Rand la disingannarono, duri, freddi, tanto da darle i brividi.

Forse, se si fosse arrabbiato a sufficienza, se avesse litigato con Coiren tanto da far ritornare l’ambasciata alla Torre a mani vuote... «Se pensi sia bello, immagino lo sia; tu sei il Drago Rinato. Be’, visto che vuoi andare avanti con questa farsa, tanto vale che tu lo faccia bene. Ricordati che sono delle Aes Sedai. Persino un re ascolta le Aes Sedai con rispetto, anche quando non è d’accordo, e si reca a Tar Valon all’istante se viene convocato. Persino i sommi signori Tarenesi lo farebbero, o Pedron Niall.» Quello sciocco di un uomo le sorrise di nuovo, o meglio, le mostrò i denti. Il resto del viso era rimasto inespressivo come una roccia. «Spero tu stia prestando attenzione. Sto cercando di aiutarti.» Il contrario di quello che credeva lui. «Se intendi usarle, rischi di farle irritare come gatti bagnati. Il Drago Rinato non le colpirà come non impressiona me, con i suoi vestiti alla moda, i troni e lo scettro.» Egwene lanciò un’occhiata sprezzante al pezzo di lancia; Luce, quell’oggetto le dava i brividi! «Non s’inginocchieranno alla tua vista e non ne morirai. Non ti ucciderà essere gentile. Piega quel tuo collo ostinato. Non è umiliante dimostrare la giusta deferenza e un po’ di umiltà.»

«Giusta deferenza» ripeté lui pensieroso. Con un sospiro scosse il capo mestamente, passandosi una mano fra i capelli. «Suppongo di non poter parlare a un’Aes Sedai come faccio con qualche lord che ha complottato alle mie spalle. È un buon consiglio, Egwene. Ci proverò. Sarò umile come un topolino.»

Egwene cercò di non sembrare precipitosa e si strofinò il viso con il fazzoletto per nascondere gli occhi stralunati. Non era certa di avere gli occhi sgranati, ma era la sensazione che provava. Per tutta la vita, ogni volta che aveva fatto presente che andare a destra sarebbe stata la cosa migliore, Rand aveva sollevato il mento e si era diretto a sinistra! Perché proprio adesso aveva deciso di ascoltare?

C’era qualcosa di buono nel modo in cui si era messa la situazione? Sicuramente non gli avrebbe fatto male mostrare un po’ di rispetto. Anche se quelle donne erano seguaci di Elaida, l’idea di qualcuno che si comportasse in maniera impertinente con le Aes Sedai la infastidiva. Il problema era che Egwene lo desiderava impertinente e arrogante come non era mai stato. Adesso non sarebbe servito tentare di disfare l’opera; Rand non era stupido. Solo esasperante.

«Sei venuta per questo?» chiese.

Egwene non poteva ancora andare via. Forse avrebbe avuto una possibilità di mettere tutto a posto, o di accertarsi almeno che non fosse tanto insensato da andare a Tar Valon. «Lo sai che c’è una Maestra delle Onde del Popolo del Mare su una nave ancorata nel fiume? La spuma bianca.»Era un modo di cambiare argomento valido come un altro. «È venuta a vederti e ho sentito dire che sta diventando impaziente.» Glielo aveva riferito Gawyn. Erian aveva dovuto farsi portare fuori su una barca a remi per scoprire cosa ci facesse un vascello del Popolo del Mare nell’entroterra e avevano rifiutato di farla salire a bordo. Doveva essere ritornata di un umore che in ogni altra donna che non fosse Aes Sedai si sarebbe potuto definire furia. Egwene supponeva di sapere perché erano lì, ma non l’avrebbe detto a Rand; che per una volta incontrasse qualcuno senza aspettarsi che si sarebbe inchinato al suo cospetto.

«Sembra che gli Atha’an Miere siano ovunque.» Rand si accomodò su una sedia. Per qualche motivo sembrava divertito, ma Egwene avrebbe scommesso che tale motivo non aveva nulla a che fare con il Popolo del Mare. «Berelain dice che dovrei incontrare quell’Harine din Togara Due Venti, ma se il suo carattere corrisponde davvero a quanto mi ha riferito Berelain, può aspettare. Per ora sono circondato da un numero sufficiente di donne arrabbiate con me.»

Era quasi un’apertura, ma non abbastanza. «Non riesco a capire perché. Hai sempre dei modi vincenti.» Egwene avrebbe voluto ritirare subito quelle parole. Servivano solo a rinforzare tutto ciò che non voleva Rand facesse.

Rand aggrottò le sopracciglia, e sembrò quasi che non l’avesse sentita. «Egwene, lo so che non ti piace Berelain, ma non è nulla di più, vero? Voglio dire, sei così brava a giocare a fare la Aiel che quasi ti immagino a danzare le lance con lei. Sembrava preoccupata di qualcosa, a disagio, ma non ha voluto dirmi il motivo.»

Probabilmente aveva trovato un uomo che le aveva detto di tao; sarebbe stato abbastanza per scuotere le basi del mondo di Berelain. «Non le ho detto neppure dieci parole da quando abbiamo lasciato la Pietra di Tear e nemmeno allora le avevo parlato tanto. Rand, non pensi che...»

Una delle porte si aprì, quel poco che bastava per far entrare Somara, che si chiuse subito la porta alle spalle. «Sono arrivate le Aes Sedai, Car’a’carn.»

Rand si voltò di scatto verso la porta, con il volto pietrificato. «Non dovevano arrivare per un’altra... Pensavano di prendermi alla sprovvista, vero? Devono imparare chi è che comanda qui!»

In quel momento a Egwene non importava se stessero cercando di coglierlo con addosso solo la biancheria intima. Tutti i pensieri su Berelain erano svaniti. Somara fece un piccolo gesto che avrebbe potuto essere di commiserazione. Non le importava nemmeno di lei. Se glielo avesse chiesto, Rand avrebbe potuto fare in modo che non la portassero via. Significava che d’ora in poi avrebbe dovuto stargli vicina in modo che le Aes Sedai non potessero schermarla e trascinarla via la prima volta che avesse messo il naso in strada da sola. Tutto ciò che doveva fare era chiedere, mettersi sotto la sua protezione. La scelta fra quello ed essere trascinata alla Torre chiusa in un sacco era così inconsistente che le dava il mal di stomaco. Per prima cosa non sarebbe mai diventata Aes Sedai se si fosse nascosta dietro di lui, e poi l’idea di nascondersi dietro qualcuno non le piaceva per principio. Eppure le donne erano arrivate, si trovavano proprio fuori dalla porta, ed entro un’ora lei forse si sarebbe trovata in un sacco, o in una situazione simile. Respirare con lentezza e profondamente non servì a calmarle i nervi.

«Rand, c’è una seconda uscita? Se non c’è, mi nasconderò in una delle altre stanze. Non devono scoprire che sono qui. Rand? Rand! Mi ascolti?»

Lui parlò, ma non con Egwene. «Tu sei lì» sussurrò rauco. «Una coincidenza troppo grande per pensarci adesso.» Fissava nel nulla con espressione furiosa e forse anche spaventata. «Che tu sia folgorato! Rispondimi! Lo so che ci sei!»

Egwene si umettò le labbra prima di riuscire a trattenersi. Sembrava che Somara lo guardasse con un’espressione simile a una preoccupazione materna — e lui non notava nemmeno quel suo modo di scherzare — ma Egwene aveva il voltastomaco. Non poteva essere impazzito improvvisamente. Non era possibile, ma proprio un istante prima era sembrato che stesse ascoltando una voce interiore e forse aveva anche risposto.

Egwene non rammentava di aver attraversato lo spazio che li separava, ma si accorse all’improvviso di tenergli una mano premuta sulla fronte. Nynaeve le diceva sempre di controllare prima se i pazienti avessero la febbre, benché a cosa potesse servire in quel momento era difficile da immaginare... se solo ne avesse saputo di più sulla guarigione. Ma nemmeno quello sarebbe servito a nulla. Non se era... «Rand, ti senti.... Ti senti bene?»

Rand si riprese, scostandosi dalla mano di Egwene e guardandola sospettoso. Subito dopo si alzò e l’afferrò per un braccio, trascinandola per la stanza a tale velocità che lei quasi inciampò per mantenere il passo. «Resta qui» le ordinò, piazzandola accanto al palco, e si fece indietro.

Egwene si strofinò deliberatamente il braccio per farsi notare da lui e iniziò a seguirlo. Gli uomini non si rendevano mai conto della loro forza; succedeva anche con Gawyn, benché con lui Egwene non vi badasse davvero. «Che cosa pensi...?»

«Non muoverti!» Con tono di voce disgustato, Rand aggiunse: «Che lui sia folgorato, sembra che ondeggi se solo ti muovi. Lo legherò al pavimento, ma dovrai comunque rimanere ferma. Non so quanto lo posso fare grande e questo non è il momento per gli esperimenti.» Somara era rimasta a bocca aperta, ma la chiuse rapidamente.

Cosa vuoi fissare al pavimento? Di cosa stai parlando? Le venne in mente con tale immediatezza che dimenticò di colpo di chiedersi chi fosse il ‘lui’ che doveva essere folgorato. Rand aveva intessuto saidin attorno a lei. Egwene sgranò gli occhi; respirava troppo rapidamente e non riusciva a fermarsi. Quanto era vicino? Ogni ragionamento logico le diceva che era impossibile che la contaminazione filtrasse fuori da qualsiasi cosa Rand incanalasse; l’aveva già toccata in precedenza con saidin, ma quel pensiero rese solo peggiore la situazione. Istintivamente sollevò le spalle e tenne la gonna vicino al corpo.

«Cosa... Cosa hai fatto?» Era molto fiera della propria voce, forse un po’ tremante, ma non come il lamento che era tentata di produrre.

«Guarda in quello specchio» rise Rand. Rideva!

Egwene obbedì controvoglia e... sussultò. Nello specchio argentato era riflessa l’immagine della sedia dorata. Quella e il resto della stanza. Ma non lei. «Sono... invisibile» sussurrò. Una volta Moiraine le aveva nascoste tutte dietro a uno schermo di saidar, ma come aveva fatto Rand a imparare?

«Molto meglio che nasconderti sotto al letto» disse lui, rivolgendosi al vuoto a destra della testa di Egwene. Come se le fosse mai venuta in mente una cosa simile! «Voglio che tu veda quanto posso essere rispettoso. E poi,» il tono di voce divenne serio «forse vedrai qualcosa che potrebbe sfuggirmi. Forse avrai addirittura voglia di dirmelo.» Balzò sul palco ridendo sguaiato, raccolse lo scettro dal trono e si accomodò. «Falle entrare, Somara. Lascia che l’ambasciata della Torre Bianca avvicini il Drago Rinato.» Quel sorriso contorto mise Egwene a disagio quasi quanto là vicinanza di saidin. Fino a che punto le era addosso, la maledetta cosa?

Somara svanì e un istante dopo la porta si spalancò.

Si fece avanti una donna paffuta e maestosa con addosso un abito azzurro scuro, che avrebbe potuto essere solo Coiren, e fu seguita a un passo di distanza da Nesune, che indossava della semplice lana marrone, e da un’Aes Sedai che aveva i capelli nero corvino e portava un abito di seta verde; una donna graziosa dal viso rotondo, ma con una bocca carnosa e severa. Egwene avrebbe voluto che le Aes Sedai indossassero sempre abiti del colore dell’Ajah di appartenenza — le Bianche lo facevano ogni volta che era possibile — perché qualsiasi cosa fosse quella donna, non poteva certo essere una Verde, a giudicare dall’occhiata dura che aveva rivolto a Rand fin dal primo passo che aveva fatto in quella stanza. La fredda serenità mascherava appena il disprezzo, e solo agli occhi di chi non era abituato alle Aes Sedai. Rand se ne sarebbe accorto? Forse no; sembrava concentrato su Coiren, dal viso totalmente impassibile. Nesune osservava tutto, con quegli occhi da volatile che scattavano ovunque.

In quel momento Egwene era molto felice di quel suo schermo. Iniziò a tamponarsi il viso con il fazzoletto che ancora aveva e si immobilizzò. Aveva detto che l’avrebbe fissato al pavimento. Lo aveva fatto? Luce, era come se fosse nuda, per quanto ne sapeva. Ma lo sguardo di Nesune l’aveva oltrepassata senza notarla. Il sudore scivolò sul viso di Egwene. Grondava. Che Rand fosse folgorato! Sarebbe stata così felice di nascondersi sotto al suo letto!

Dopo le Aes Sedai, entrò una dozzina di altre donne vestite semplicemente, lino rozzo e mantelli contro la polvere dietro le spalle. Erano quasi tutte robuste, ma tutte si affaticavano per reggere il peso di casse non troppo piccole, le cui fibbie di bronzo rappresentavano la Fiamma di Tar Valon. Le inservienti appoggiarono le casse sospirando di sollievo, e si strofinarono furtivamente le mani, toccandosi la schiena mentre la porta si chiudeva. Coiren e le altre due rivolsero a Rand delle riverenze perfettamente all’unisono, anche se non troppo profonde.

Lui si alzò prima che le donne finissero il saluto. Le Aes Sedai erano circondate dal bagliore di saidar, tutte e tre; avevano creato un legame. Egwene cercò di ricordare cos’aveva visto, come lo avevano fatto; malgrado il bagliore, nulla aveva disturbato la calma esteriore delle donne quando Rand le aveva oltrepassate per andare dalle cameriere, per osservare tutti i volti uno alla volta.

Cosa stava... Ma certo. Stava assicurandosi che nessuna avesse il volto da Aes Sedai. Egwene scosse il capo, quindi si immobilizzò di nuovo. Era uno sciocco se riteneva sufficiente quel controllo. Alcune erano decisamente mature — non vecchie, ma era possibile dare loro un’età — ma due erano abbastanza giovani da poter essere da poco Aes Sedai. Non lo erano — Egwene percepiva la capacità di incanalare solo nelle prime tre, ed era abbastanza vicina — ma non sarebbe stato possibile giudicare solo dall’aspetto.

Rand sollevò con un dito il mento di una giovane donna e le sorrise. «Non aver paura» le disse sottovoce. La donna ondeggiò come se stesse per svenire. Sospirò e si voltò, senza guardare le Aes Sedai. «Non incanalerete in mia presenza» ordinò con fermezza. «Rilasciate il Potere.» Nesune meditò per un attimo, ma le altre due lo osservarono serene mentre si sedeva. Strofinandosi le braccia — Egwene era presente quando Rand aveva imparato a riconoscere quel prurito — parlò con un tono di voce più duro. «Ho detto che non dovete incanalare nelle mie vicinanze. O anche solo abbracciare saidar.»

Fu un istante protratto, mentre Egwene pregava in silenzio. Cos’avrebbe fatto Rand se le donne avessero mantenuto la presa sulla Fonte? Avrebbe cercato di tagliarle da essa? Tagliare una donna dalla connessione con saidar una volta che l’aveva abbracciato era molto difficile. Non era sicura che Rand ce l’avrebbe fatta con tre donne, per giunta legate fra loro. Quel che era peggio, cosa avrebbero fatto le Aes Sedai se Rand avesse tentato qualcosa? Il bagliore svanì ed Egwene esalò quasi un sospiro di sollievo. Qualsiasi cosa avesse fatto Rand per renderla invisibile, ovviamente non bloccava il suono.

«Va molto meglio.» Il sorriso di Rand era rivolto a tutte e tre, gli occhi erano glaciali. «Ricominciamo da capo. Siete ospiti di riguardo e siete entrate solo in questo momento.»

Le donne capirono. Rand non aveva tirato a indovinare. Coiren si irrigidì leggermente e la donna dai capelli corvini sgranò gli occhi. Nesune annuì, prendendo un altro appunto mentale. Egwene sperava che Rand fosse prudente. A Nesune non sarebbe sfuggito nulla.

Con uno sforzo enorme, Coiren si riprese, lisciandosi l’abito e sistemando quasi lo scialle che non aveva addosso. «Ho l’onore» annunciò con voce sonora «di essere Coiren Saeldain Aes Sedai, ambasciatrice della Torre Bianca ed emissaria di Elaida do Avriny a’Roihan, Sorvegliante dei Sigilli, Fiamma di Tar Valon, l’Amyrlin Seat.» Seguirono presentazioni meno fiorite, anche se piene di titoli onorifici, per le altre due. La donna con lo sguardo duro era Galina Casban.

«Io sono Rand al’Thor.» La semplicità della presentazione fu intenzionale, per creare un contrasto. Le Aes Sedai non avevano nominato il Drago Rinato e nemmeno lui, ma l’omissione di Rand sembrò far risuonare il titolo per tutta la stanza tra mille bisbigli.

Coiren sospirò, muovendo il capo come se sentisse quel sussurro. «Abbiamo un gentile invito per il Drago Rinato. L’Amyrlin Seat è consapevole che i segni si sono manifestati e le profezie si sono avverate, che...» La spiegazione giunse in breve al punto; Rand avrebbe dovuto recarsi con ‘tutto l’onore che meritava’ alla Torre Bianca e, se avesse accettato l’invito, Elaida non solo gli avrebbe offerto la protezione della Torre, ma tutto il peso della sua autorità e influenza per aiutarlo. Seguì un altro discorso fiorito prima che la donna concludesse con: «...e come pegno, l’Amyrlin ti invia questi doni insignificanti.» Si voltò verso le casse sollevando una mano, quindi esitò facendo una smorfia. Dovette fare il cenno due volte prima che la cameriera capisse e sollevasse le cinghie; ovviamente aveva programmato di aprire le casse con saidar. Al secondo gesto deciso, la donna cominciò a sollevare i coperchi.

Egwene trattenne un’esclamazione. Non c’era da meravigliarsi se le inservienti sembravano affaticate! Dai sacchetti aperti spuntavano monete d’oro di tutte le dimensioni, anelli splendenti, collane meravigliose e pietre preziose. Anche se sotto vi fossero stati solo dei rifiuti, sarebbe stata comunque una fortuna.

Rand si accomodò di nuovo su quella sedia che somigliava a un trono e guardò le casse con una specie di sorriso. Le Aes Sedai lo studiavano, i loro volti erano una maschera di compostezza, ma Egwene pensava di aver visto un pizzico di compiacenza negli occhi di Coiren e un leggero, ulteriore disgusto sulle labbra di Galina. Nesune... Nesune rappresentava il vero pericolo.

Di colpo i coperchi si chiusero senza che nessuno li toccasse e una delle cameriere balzò indietro, senza prendersi il disturbo di trattenere le grida. Le Aes Sedai si irrigidirono ed Egwene pregò mentre sudava. Voleva che Rand fosse arrogante e un po’ insolente, ma solo quel poco da farle irrigidire, non al punto di fare venir loro voglia di domarlo sul posto.

Le venne in mente che fino a quel momento non era stato affatto ‘umile come un topolino’. Non ne aveva mai avuta l’intenzione. L’uomo aveva giocato con lei! Se non fosse stata troppo spaventata da dubitare della saldezza delle proprie ginocchia, sarebbe andata a tirargli le orecchie.

«Una gran quantità d’oro» osservò Rand. Sembrava rilassato, il sorriso gli illuminava il volto. «Trovo sempre il modo di usare l’oro.» Egwene batté le palpebre. Sembrava quasi avido!

Coiren rispose con un sorriso: era il ritratto della soddisfazione. «L’Amyrlin Seat è stata molto generosa. Quando raggiungerai la Torre Bianca...»

«Quando raggiungerò la Torre Bianca» la interruppe Rand come se pensasse ad alta voce. «Sì. Attendo con impazienza il giorno in cui mi troverò nella Torre.» Si protese in avanti con i gomiti sulle ginocchia e lo scettro del Drago che pendeva da una parte.

«Ci vorrà del tempo, capite. Prima ho degli impegni da onorare; qui, ad Andor e altrove.»

Coiren serrò le labbra per un istante. La voce invece rimase calma e docile come sempre. «Non abbiamo alcuna obiezione a riposare per qualche giorno prima di iniziare il viaggio di ritorno verso Tar Valon. Nel frattempo, potrei suggerire che una di noi rimanga con te per offrirti dei consigli quando desideri? Ci è giunta la notizia della sfortunata dipartita di Moiraine. Non posso offrirmi io in persona, ma Nesune o Galina ne saranno contente.»

Rand studiò le due donne che erano state proposte aggrottando le sopracciglia, ed Egwene trattenne il fiato. Sembrava che stesse di nuovo ascoltando qualche voce invisibile, o che fosse alla ricerca di un rumore. Nesune lo osservò a sua volta, apertamente, come faceva lui con loro. Galina si lisciava il vestito inconsciamente.

«No» rispose alla fine, sedendosi di nuovo e appoggiando le mani sui braccioli. Riuscì a far sembrare la sedia ancor più regale. «Potrebbe non essere sicuro. Non mi piacerebbe se una di voi si ritrovasse per sbaglio con una lancia fra le costole.» Coiren aprì la bocca per parlare ma Rand non si interruppe. «Per la vostra sicurezza, nessuna di voi dovrebbe avvicinarsi a meno di un chilometro da me senza averne il permesso. Meglio ancora se manterrete quella distanza anche dal palazzo, senza permesso. Vi farò sapere quando sarò pronto a venire con voi. Ve lo prometto.» Rand si alzò di scatto. In piedi sul palco era abbastanza alto da far piegare indietro il collo di tutte le Aes Sedai se volevano guardarlo, ed era chiaro che nessuna di loro lo gradiva, come non apprezzavano le restrizioni. Tre volti scolpiti nella pietra lo fissarono. «Adesso vi lascio al vostro riposo. Prima riesco a sbrigare certe faccende, prima potrò recarmi alla Torre. Vi farò sapere quando potrò vedervi di nuovo.»

Le Aes Sedai non erano compiaciute di quel congedo improvviso, non apprezzavano nessun congedo — erano le Aes Sedai a decidere quando un’udienza era conclusa — ma c’era poco che potessero fare se non rivolgergli la riverenza, con un malumore che spezzò quasi la loro calma.

Mentre si voltavano per andare via, Rand parlò di nuovo. «Ho dimenticato di chiedervi una cosa. Come sta Alviarin?»

«Sta bene.» Galina rimase a bocca aperta per un istante, con gli occhi sgranati. Sembrava stupita di aver parlato.

Coiren esitò, tentata di usare l’apertura per aggiungere dell’altro, ma Rand era in piedi, impaziente. Quando le donne andarono via, scese dal palco, sollevò lo scettro del Drago e fissò la porta che si era chiusa alle spalle delle Aes Sedai.

Egwene non perse un minuto per avvicinarsi a lui. «A che gioco stai giocando, Rand al’Thor?» Aveva fatto almeno sei passi prima di accorgersi, osservando la propria immagine riflessa in uno specchio, di aver attraversato la barriera di saidin. Non aveva avvertito nulla quando l’aveva toccata. «Be’?»

«È una di quelle di Alviarin» le rispose pensieroso. «Galina. È una delle amiche di Alviarin. Sono pronto a scommetterci.»

Egwene si piantò di fronte a lui e tirò su con il naso. «Perderesti il tuo denaro e infileresti anche il piede nella trappola. Galina è una Rossa, o non ne ho mai vista una.»

«Perché non le piaccio?» Adesso la guardava, ed Egwene avrebbe quasi voluto che non lo facesse. «Forse perché ha paura di me?» Rand non faceva smorfie e non aveva lo sguardo torvo, ma dall’espressione degli occhi sembrava conoscesse cose che Egwene non sapeva. Lei odiava quella situazione. Il sorriso apparve improvvisamente sul volto di Rand. «Egwene, secondo te dovrei credere che riesci a riconoscere l’Ajah di appartenenza di una donna solo guardandola in faccia?»

«No, ma...»

«Comunque, anche le Rosse potrebbero finire per seguirmi. Conoscono le profezie bene come chiunque altro. ‘La torre immacolata si spezza e si inginocchia davanti al simbolo dimenticato’. Scritta prima che esistesse la Torre Bianca, ma cos’altro potrebbe significare ‘la torre immacolata’? E il simbolo dimenticato? La mia bandiera, Egwene, con l’antico stemma delle Aes, Sedai.»

«Che tu sia folgorato, Rand al’Thor!» La maledizione fu pronunciata con più imbarazzo di quanto Egwene desiderasse. Non era abituata a certe cose. «Che la Luce ti folgori! Non puoi davvero pensare di andare con loro. Non puoi!»

Rand le mostrò i denti, divertito. «Non ho forse fatto quello che volevi? Ciò che mi hai detto di fare e nel modo da te richiesto?»

Egwene serrò le labbra, indignata. Era orribile che lui sapesse, ma dirglielo in faccia in questo modo era proprio maleducato. «Rand, ti prego, ascoltami. Elaida...»

Il problema adesso sarà come rimandarli alle tende senza che scoprano che eri qui. Suppongo abbiano occhi e orecchie nel palazzo.»

«Rand, devi...»

«Che ne pensi di uno di quei grossi cesti della biancheria? Posso farlo trasportare da una coppia di Fanciulle.»

Egwene stava per sollevare le braccia al cielo. Rand era impaziente di liberarsi di lei come lo era stato con le Aes Sedai. «Vanno bene i miei piedi, grazie.» In un cesto della biancheria! «Non dovrei preoccuparmi se mi dicessi come fai ad andare da Caemlyn a qui ogni volta che vuoi.» Non capiva perché le bruciasse tanto porre quella domanda. «So che non me lo puoi insegnare, ma se mi spieghi come funziona forse riesco a trovare il modo di farlo con saidar.»

Invece dell’ironia che si aspettava, Rand prese fra le mani le punte dello scialle. «Il Disegno» le disse. «Caemlyn.» Con un dito della mano sinistra fece una punta sulla lana. «E Cairhien.» Con un dito dell’altra mano fece un’altra punta e poi le unì fra loro. «Piego il Disegno e faccio un buco da una parte all’altra; non so cosa perforo, ma non c’è spazio fra una estremità e l’altra del buco.» Rand lasciò cadere lo scialle. «Ti aiuta?»

Egwene si morse il labbro e aggrottò le sopracciglia guardando lo scialle. Non l’aiutava affatto. La sola idea di aprire un buco nel Disegno le dava la nausea. Sperava che fosse qualcosa di simile a quanto aveva capito del tel’aran’rhiod. Non che intendesse fame uso, ma aveva il tempo dalla sua parte e le Sapienti continuavano a lamentarsi delle Aes Sedai che chiedevano come entrare nel sogno in carne e ossa. Lei pensava che il modo fosse creare una similitudine — era la sola parola che le venisse in mente — fra il mondo reale e il proprio riflesso nel Mondo dei Sogni. Avrebbe dovuto creare un posto dove fosse semplicemente possibile passare da uno all’altro. Se il metodo di Rand somigliava anche solo lontanamente a quello, Egwene avrebbe provato, ma questo... saidar faceva ciò che si voleva, fino a quando ci si ricordava che era infinitamente più forte di chiunque e andava guidato gentilmente. Cercare di forzare saidar nel fare la cosa sbagliata avrebbe significato la morte o essere bruciata prima di poter gridare.

«Rand, sei sicuro che non c’è alcun verso di fare le cose uguali... o...» Non sapeva come dirlo, ma in ogni caso Rand scosse il capo prima che lei finisse.

«Assomiglia a cambiare il flusso del Disegno. Credo che resterei dilaniato se solo ci provassi. Io faccio soltanto un buco.» Le infilò un dito fra le costole a mo’ di dimostrazione.

Be’, non serviva a nulla insistere. Egwene si sistemò lo scialle, irritata. «Rand, per quanto riguarda il Popolo del Mare, non ne so più di quanto ho letto...» non era vero, ma non glielo avrebbe confessato «...ma dev’essere importante se sono venuti tanto lontano per vederti.»

«Luce» mormorò Rand con fare assente. «Salti da un discorso all’altro come una goccia d’acqua su una griglia rovente. Li vedrò quando avrò tempo.» Per un istante si grattò la fronte e parve che gli occhi non vedessero nulla. Quindi batté le palpebre e sembrò recuperare la vista. «Intendi rimanere fino a quando faranno ritorno?» Voleva davvero liberarsi di lei.

Egwene si fermò davanti alla porta, ma Rand stava già camminando nella stanza con le mani giunte dietro la schiena mentre parlava da solo. «Dove ti stai nascondendo, che tu sia folgorato? Lo so che ci sei!»

Scossa dai brividi, Egwene uscì dalla stanza. Se lui stava davvero impazzendo non avrebbe potuto fare nulla per cambiare la situazione. La Ruota tesseva come voleva e le trame andavano accettate.

Quando si accorse che stava guardando i servitori di passaggio nel corridoio, chiedendosi chi potesse essere l’agente delle Aes Sedai, s’impose di fermarsi. La Ruota tesseva come voleva. Fece un cenno del capo a Somara, drizzò le spalle e cercò di non infilarsi di corsa attraverso la prima uscita della servitù a portata di mano.

Mentre la migliore carrozza di Arilyn lasciava il palazzo del Sole, seguita dai carri che avevano trasportato le casse con l’oro e che adesso portavano solo le inservienti, all’interno vi fu uno scambio di idee. Nesune formò una guglia con le mani e si picchiettò le labbra, pensierosa. Un giovane affascinante. Un soggetto eccellente per i suoi studi. Con il piede toccò una delle scatole per i campioni riposte sotto al sedile; non andava mai da nessuna parte, senza. Si poteva credere che il mondo fosse stato catalogato già da molto tempo, eppure da quando avevano lasciato Tar Valon lei aveva collezionato cinquanta piante, il doppio degli insetti, la pelliccia e le ossa di una specie nuova di volpe, tre tipi di allodole e almeno cinquanta specie di scoiattoli che era sicura non fossero elencati da nessuna parte.

«Non sapevo che fossi amica di Alviarin» osservò Coiren dopo un breve silenzio.

Galina si irrigidì. «Non è necessario essere amiche per sapere che stava bene, almeno quando siamo partite.» Nesune si chiese se l’altra donna fosse consapevole di aver messo il broncio. Forse era solo la forma delle labbra, ma bisognava imparare a vivere col proprio volto. «Pensi che lo sapesse davvero?» proseguì Galina. «Che avevamo... è impossibile. Deve aver tirato a indovinare.»

Nesune si rianimò, anche se continuava a tamburellarsi le labbra. Quello era un palese tentativo di cambiare argomento e anche un segno del nervosismo di Galina. Il silenzio si era protratto fino a quel momento perché nessuna voleva discutere di al’Thor, ma non sembrava vi fosse un altro soggetto disponibile. Perché Galina non voleva parlare di Alviarin? Le due di sicuro non erano amiche; era raro che una Rossa avesse amicizie al di fuori dell’Ajah di appartenenza. Nesune archiviò la questione mentalmente.

«Se stava tirando a indovinare, potrebbe diventare ricco alle fiere di paese.» Coiren non era una sciocca. Pomposa oltre ogni limite, ma non una sciocca. «Per quanto sembri ridicolo, dobbiamo supporre che possa percepire quando una donna abbraccia saidar.»

«Potrebbe essere un disastro» mormorò Galina. «No. Non è possibile. Deve aver tirato a indovinare. Ogni uomo in grado d’incanalare avrebbe supposto che stessimo abbracciando saidar.»

Il broncio dell’altra donna irritava Nesune. L’intera spedizione la irritava. Sarebbe stata più che felice di unirsi a essa se glielo avessero chiesto, ma Jesse Bilal non aveva chiesto; Jesse praticamente l’aveva messa di peso sul cavallo. Indipendentemente da come funzionava con le altre Ajah, non ci si aspettava che il capo del consiglio delle Marroni si comportasse in quel modo. La parte peggiore era che le sue compagne di viaggio erano talmente concentrate su al’Thor che sembravano essere cieche a tutto il resto.

«Avete la minima idea» chiese ad alta voce «di chi potrebbe essere l’altra Sorella che ha condiviso la nostra riunione?»

Forse non si era trattato di una Sorella — tre donne Aiel sembravano essere apparse dal nulla quando si era recata alla biblioteca reale e due di loro potevano incanalare — ma voleva osservare la loro reazione. Non ne fu delusa. O meglio, lo fu davvero. Coiren rimase seduta con la schiena rigida, ma Galina aveva gli occhi sgranati. Nesune poté solo sospirare. Erano davvero cieche. A pochi passi di distanza da una donna che poteva incanalare, non l’avevano percepita perché non l’avevano vista.

«Non so come abbia fatto a nascondersi» proseguì lei «ma sarebbe interessante scoprirlo.» Doveva essere stata opera di Rand; loro avrebbero visto dei flussi di saldar. Le altre non chiesero se ne fosse certa; sapevano che non tirava mai a indovinare.

«È la conferma che Moiraine è viva» disse Galina con un sorriso torvo. «Suggerisco di incaricare Beldeine di scoprirla. Quindi la cattureremo e la nasconderemo in cantina. Così sarà lontana da al’Thor e poi potremo trasportarla a Tar Valon assieme a lui. Dubito che se ne accorgerà, fino a quando gli infileremo abbastanza oro sotto al naso.»

Coiren scosse il capo con enfasi. «Non ne abbiamo maggior certezza di quanta ne avessimo prima: non su Moiraine. Forse si tratta di quella misteriosa Verde. Se dobbiamo solo scoprire chi è, sono d’accordo, ma il resto va soppesato con cautela. Non metterò a repentaglio tutto ciò che è stato programmato con cura. Dobbiamo tenere a mente che al’Thor è collegato a una Sorella — chiunque essa sia — e che la sua richiesta potrebbe essere solo una mossa strategica. Per fortuna abbiamo tempo.» Galina annuì, anche se con riluttanza; si sarebbe sposata e sistemata in una fattoria prima di compromettere i loro piani.

Nesune si concesse un sospiro. Oltre la pomposità, confermare l’ovvio era il solo vero difetto di Coiren. Quando usava la testa però era intelligente. E loro avevano tempo. Con il piede toccò di nuovo una delle scatole dei campioni. Per quanto evolvessero gli eventi, le pagine che intendeva scrivere su al’Thor sarebbero state l’apogeo della sua vita.

Загрузка...