Rand trascorse il resto della giornata nei suoi appartamenti del palazzo del Sole, di cui una buona parte a letto, un oggetto enorme con quattro sostegni d’ebano più spessi di una gamba, lucidati fino a brillare fra le decorazioni d’avorio. Come se fossero in contrasto con tutte le dorature nell’anticamera e nel soggiorno, i mobili della stanza da letto erano tutti di ebano e avorio, anche se comunque squadrati.
Sulin faceva avanti e indietro sprimacciando i cuscini di piume e sistemandogli le lenzuola di lino, sostenendo che le coperte messe a terra sarebbero state più salutari, portandogli del tè alla menta che lui non aveva chiesto o del vino speziato che non voleva fino a quando non le comandò di fermarsi. «Come ordina il mio lord Drago» ringhiò la donna attraverso un sorriso dolce. Gli rivolse la sua seconda, perfetta riverenza, ma si diresse fuori dalla stanza con l’aria di chi forse non si sarebbe presa il disturbo di aprire la porta.
Anche Min era rimasta con lui: stava seduta sul materasso e gli teneva la mano, con un’espressione che lo induceva a pensare che forse sospettava stesse morendo. Alla fine la cacciò via, abbastanza da poter indossare una vestaglia grigia che lasciava sempre nel guardaroba. Nascosto molto in fondo trovò anche qualcos’altro. Una piccola custodia di legno con un flauto, un regalo di Thom Merrilin in quella che gli sembrava un’altra vita.
Una volta che si fu seduto vicino a una delle alte finestre, provò a suonare. Dapprincipio, dopo così tanto tempo, riuscì a produrre solo note stridule. Furono quei rumori insoliti a richiamare indietro Min.
«Suona per me» gli chiese, ridendo deliziata, o forse stupita, e ovviamente si accomodò sulle sue ginocchia mentre lui ancora tentava, con scarso successo, di suonare un motivo vagamente riconoscibile. Fu in quel momento che entrarono le Sapienti. Amys, Bair e Sorilea, con un’altra dozzina di donne. Min scattò in piedi arrossendo e si sistemò la giubba, tanto da dare l’idea che avessero lottato.
Bair e Sorilea furono accanto a Rand prima che questi riuscisse a dire una parola.
«Guarda a sinistra» ordinò Sorilea sollevandogli una palpebra e accostando il viso rugoso a quello di Rand. «Guarda a destra.»
«Il battito è troppo veloce» mormorò Bair mentre teneva premute le dita magre contro la gola di Rand.
Nandera doveva aver inviato una Fanciulla da loro non appena era crollato. Sembrava che Sorilea avesse selezionato il piccolo esercito di Sapienti che era disceso sul palazzo in quell’orda in miniatura. E sembrava anche che, Sorilea o no, tutte volessero avere il loro turno con il Car’a’carn. Quando lei e Bair finirono, furono rimpiazzate da Amys e Colinda, una donna magra con dei penetranti occhi grigi che sembrava quasi di mezza età, anche se come presenza era forte quasi quanto Sorilea. Ma in fondo era lo stesso per Amys e tutte le altre Sapienti. Fu punzecchiato, incitato, osservato e lo accusarono di essere ostinato quando si rifiutò di saltellare. Sembravano davvero convinte che lo avrebbe fatto.
Min non venne ignorata mentre le Sapienti facevano a turno per controllare Rand; le altre la circondarono rivolgendole centinaia di domande, tutte sulle visioni, cosa che le fece sgranare gli occhi, fra le tante altre cose, e la indusse a fissare le donne e Rand, chiedendosi se qualcuno le stesse leggendo nella mente. Amys e Bair le spiegarono che Melaine non era riuscita a tenere segreta la notizia delle sue gemelle e, invece di sgranarsi ancor più, cosa che probabilmente sarebbe stata comunque impossibile, gli occhi di Min sembrarono pronti a cadere in terra. Anche Sorilea sembrava accettare il punto di vista di Melaine, ovvero che le visioni di Min la mettevano al loro stesso livello, ma essendo le Sapienti ciò che erano — come le Aes Sedai erano Aes Sedai — aveva dovuto ripetere tutto quasi per ognuna di loro, perché quelle che si agitavano intorno a Rand volevano poi essere sicure di non aver perso nulla.
Una volta che Sorilea e il resto delle Sapienti ebbero concluso che Rand aveva solo bisogno di riposo e se ne furono andate ordinandogli di riposarsi, Min si accomodò di nuovo sul suo grembo. «Si parlano nei sogni?» chiese scuotendo il capo. «Sembra impossibile, quasi una favola.» Aggrottò le sopracciglia. «Quanti anni credi che abbia Sorilea? E quella Colinda... Ho visto... No. No, non ha nulla a che vedere con te. Forse mi fa male il caldo. Quando io so, so. Dev’essere il caldo.» Negli occhi le apparve una luce maliziosa e si accostò lentamente a Rand, umettandosi le labbra come se volesse baciarlo. «Se le metti così» mormorò quando stava per sfiorargli le sue «potrebbe aiutare. C’erano delle parti in quell’ultimo brano che ricordavano quasi Il gallo allegro.»Rand ci mise un istante a capire, con gli occhi pieni di lei e, quando lo fece, il suo volto doveva essere uno spettacolo, perché Min si accasciò sul suo petto sbellicandosi dalle risate. Poco più tardi arrivò una nota di Coiren che si informava della sua salute, sperando che non stesse troppo male e chiedendo se poteva passare a trovarlo con due Sorelle; gli avrebbe anche offerto la guarigione, se l’avesse accettata. Lews Therin si agitò come se si fosse svegliato dal torpore mentre Rand leggeva, ma il borbottio senza senso non reggeva il confronto con l’ira di Caemlyn e sembrò ripiombare nel silenzio quando lui mise giù la nota.
Era un contrasto notevole con il comportamento di Merana. E un ulteriore segnale che nulla accadeva nel palazzo del Sole a mezzogiorno senza che Coiren lo sapesse entro il tramonto, se non prima. Mandò indietro un messaggio educato di ringraziamento per i suoi auguri e un rifiuto. Fuori dal letto o meno, si sentiva stanco e voleva essere lucido quando avesse affrontato le Aes Sedai. Era una parte delle sue motivazioni.
In quello stesso messaggio richiese anche una visita di Gawyn. Aveva incontrato il fratello di Elayne una sola volta, ma gli piaceva. Gawyn non si presentò e non rispose mai alla nota. Rand concluse con tristezza che credeva alle storie su sua madre. Non era certo il tipo di cosa che poteva chiedere di ignorare. Lo mise talmente di cattivo umore che anche i tentativi di Min di rallegrarlo sembrarono vani; né Perrin né Loial volevano restare nelle sue vicinanze quand’era in questa vena.
Tre giorni dopo gli arrivò un’altra lettera di Coiren, sempre gentile, e una terza giunse dopo altri tre giorni, ma lui rispose sempre con delle scuse. In parte era per via di Alanna. La sensazione della sua presenza era distante e vaga, ma la sentiva sempre più vicina. Non fu una sorpresa; era certo che Merana avrebbe scelto Alanna come una delle sei, ma lui non voleva permettere che lei si avvicinasse, non voleva vederla, anche se aveva promesso che le avrebbe considerate allo stesso livello del gruppo di Coiren. Coiren avrebbe dovuto esercitare la propria pazienza ancora per un po’, e poi lui aveva comunque qualcosa da fare.
La rapida visita alla scuola nel palazzo che una volta era appartenuto a Barthanes si rivelò non così rapida. Idrien Tarsin lo aspettava di nuovo sulla soglia per mostrargli tutti i tipi d’invenzioni e scoperte, spesso incomprensibili, e anche i negozi con i diversi tipi di nuovi aratri, frecce e mietitrici che adesso erano stati costruiti per essere messi in vendita, ma a provare difficoltà fu Herrid Fel. O forse Min. I pensieri di Fel vagavano come sempre, le spiegazioni seguivano il ritmo dei suoi pensieri, e ovviamente dimenticò la presenza della ragazza. La dimenticò un discreto numero di volte. Non appena Rand cercava di recuperare l’attenzione dell’uomo, Fel notava d’improvviso Min come fosse la prima volta e la ragazza sobbalzava. Si scusava di continuo per la pipa fumata per metà che non sembrava mai ricordarsi di accendere, senza smettere di pulirsi lo stomaco dalla cenere, sempre lisciandosi i radi capelli grigi. Min sembrava divertirsi, anche se Rand proprio non capiva perché la divertisse un uomo che si dimenticava della sua presenza. Diede anche un bacio sulla testa di Fel quando lei e Rand si alzarono per andare via, cosa che lasciò l’uomo perplesso. Tutto ciò non fu di grande aiuto per scoprire quanto Fel avesse imparato sui Sigilli della prigione del Tenebroso o sull’Ultima Battaglia.
Il giorno dopo arrivò una sua nota infilata in una busta con un angolo rotto.
Fede e ordine infondono forza. Devi togliere tutti i sassi prima di costruire. Te lo spiegherò la prossima volta che ci vediamo. Non portare la ragazza. Troppo carina.
Era una grafia frettolosa con la firma compressa in un angolo, e il messaggio per Rand non aveva senso. Quando cercò di raggiungere di nuovo Fel, scoprì che aveva lasciato detto a Idrien che si sentiva di nuovo giovane ed era andato a pescare. In piena siccità. Rand si chiese se l’uomo avesse perso totalmente la ragione. Min trovava la nota divertente; aveva chiesto di poterla tenere e la vide ridere diverse volte mentre la rileggeva.
Che avesse perso o meno la ragione, Rand decise che la prossima volta avrebbe lasciato Min al palazzo, ma per la verità era difficile averla al suo fianco quando la voleva. Sembrava che trascorresse più tempo con le Sapienti che non con lui. Non capiva perché la cosa lo irritasse tanto, ma aveva notato che si arrabbiava più facilmente con gli altri quando Min era presso le tende. Era comunque un bene che non fosse con lui troppo spesso. La gente lo avrebbe notato, e molti avrebbero parlato e si sarebbero posti delle domande. A Cairhien, dove anche gli inservienti giocavano il Gioco delle Casate, sarebbe potuto essere pericoloso per lei avere gente che si chiedesse se era importante. Meglio così, davvero. Cercò di non scattare più per l’ira.
Voleva Min per verificare le visioni sui nobili che avevano iniziato le loro visite uno alla volta, chiedendo della sua salute — le ginocchia deboli dovevano aver dato adito a delle voci — sorridendo, chiedendo per quanto si sarebbe trattenuto a Cairhien, quali fossero i suoi piani e sorridendo ancora, sempre sorridendo. Il solo che non lo fece in maniera troppo palese fu Dobraine, sempre con la parte anteriore del cranio rasata come un soldato e le strisce sulla giubba consumate dal pettorale di metallo che non portava a palazzo: nel rivolgergli le stesse domande degli altri fu talmente tetro che Rand fu quasi contento di vederlo andare via.
Min riusciva a essere presente durante questi incontri, inseriti fra le sue tante attività con le Sapienti; Rand non aveva intenzione di chiedere. Il problema era tenerla nascosta.
«Potrei fare finta di essere la tua sgualdrina» rise Min. «Potrei avvinghiarmi a te e imboccarti con acini di uva — be’, uvetta; la frutta fresca non si vede da parecchio — e tu potresti chiamarmi le tue piccole labbra di miele. In questo caso nessuno si chiederebbe perché sto con te.»
«No» scattò Rand, e il volto di Min divenne solenne.
«Pensi davvero che i Reietti verrebbero a cercarmi solo per quello?»
«Potrebbero» rispose Rand altrettanto serio. Un Amico delle Tenebre come Padan Fain lo avrebbe fatto, se era ancora vivo. «Non correrò il rischio, Min. In ogni caso non voglio che questi sporcaccioni Cairhienesi pensino a te in quel modo, e nemmeno i Tarenesi.» Gli Aiel erano diversi; pensavano che il suo gioco fosse divertente, molto divertente.
Min cambiava umore facilmente. Passava dalla solennità alla gioia senza gradazioni intermedie, con i sorrisi che non svanivano quasi mai. Fino a quando iniziò l’udienza.
Un pannello dorato lavorato in modo tale da sembrare un merletto sistemato in un angolo della stanza risultò un fallimento. Gli occhi scuri di Maringil evitarono di guardare in quella direzione con tale caparbietà che Rand era sicuro avrebbe messo sottosopra tutto il palazzo del Sole per scoprire chi o cosa nascondesse. Il soggiorno si rivelò una soluzione migliore, con Min che spiava dalle porte socchiuse dell’anticamera, ma non torti avevano immagini o aure che lei potesse vedere durante le udienze con Rand, e ciò che vedeva da lì o andando semplicemente in giro per i corridoi era tragico. Maringil, l’uomo dai capelli bianchi sottile come una lama e freddo come il ghiaccio, sarebbe morto a seguito di una pugnalata. Colavaere, il volto più che bello calmo e raccolto adesso che sapeva che Aviendha non era con Rand, sarebbe stata impiccata. Meilan, con la barba a punta e la voce untuosa, sarebbe stato avvelenato. Il futuro riservava un pedaggio pesante per i sommi signori di Tear. Anche Aracome, Maraconn e Gueyam avrebbero incontrato una morte violenta, Min supponeva in battaglia. Non aveva mai visto tanto spesso la morte in un solo gruppo di persone.
Quando vide che il sangue copriva il volto piatto di Gueyam, il quinto giorno a Cairhien, si sentì talmente male al pensiero che Rand la fece sdraiare e chiese a Sulin di portare dei panni umidi per tamponarle la fronte. Stavolta toccò a lui sedere sul materasso e tenerle la mano. Min la strinse forte.
Non rinunciò comunque a prenderlo in giro. Per esempio, le due volte in cui era assolutamente sicuro che sarebbe stata presente mentre si esercitava nella scherma, provando le posizioni con quattro o cinque dei migliori spadaccini che fosse riuscito a trovare fra i soldati tarenesi e cairhienesi e Rhuarc o Gaul lo attaccavano cercando di prenderlo a calci in testa. Inevitabilmente Min gli passava un dito sul torso nudo e faceva qualche battuta sui contadini e pastori che non sudavano perché erano abituati a indossare la lana spessa come il manto delle loro pecore, o cose simili. A volte toccava la cicatrice parzialmente curata, quella che non sarebbe mai guarita, quel circolo di pelle rosa chiaro, ma lo faceva in maniera differente, con delicatezza. Su quella non faceva mai battute. Min gli pizzicava il fondoschiena — stupendo gli altri, quando si trovavano nei paraggi; Fanciulle e Sapienti si sbellicavano dalle risate ogni volta che Rand saltava; Sulin invece sembrava potesse scoppiare per le risate trattenute — gli si sedeva in grembo e lo baciava a ogni occasione; aveva anche minacciato di andare a lavargli la schiena, prima o poi. Quando Rand faceva finta di piangere e balbettare, lei rideva e diceva che non era ancora abbastanza.
Min si fermava se una Fanciulla infilava la testa nella stanza per annunciare qualcuno, specialmente Loial, che non si tratteneva mai a lungo e parlava sempre della libreria reale, o Perrin, che si tratteneva ancor meno e per qualche motivo sembrava sempre più stanco. Min scattava in particolar modo se Faile era con uno dei due. Le due volte che era successo, si era affrettata a trovare un libro fra quelli che Rand aveva in camera da letto e si era seduta facendo finta di consultarlo, aprendolo da qualche parte al centro come se stesse leggendo da diverso tempo. Rand non capiva le occhiate fredde che si scambiavano le due donne. Non era proprio ostilità o inimicizia, ma sospettava che se ognuna delle due avesse compilato una lista delle persone con le quali non voleva trascorrere del tempo, il nome dell’altra sarebbe stato in cima.
La parte divertente fu, la seconda volta, che il libro era una versione rilegata in pelle del primo volume di Daria Gahand, Saggio sulla ragione, che Rand aveva trovato pesante e voleva rimandare in biblioteca non appena avesse visto Loial. Min continuò a leggere per un breve periodo dopo che Faile se ne fu andata e, anche se continuava a commentare e lamentarsi, quella notte si portò il libro in camera sua.
Se fra Min e Faile regnava un freddo disinteresse, fra lei e Berelain non vi era alcuna ostilità. Quando Somara annunciò Berelain il secondo pomeriggio, Rand indossò la giubba, si diresse nell’anticamera e prese una delle sedie dorate dallo schienale alto prima di dire a Somara di farla entrare. Min fu lenta nel raggiungere la stanza. Berelain si infilò in camera, bella come sempre, con addosso un abito azzurro chiaro con la scollatura profonda com’era sua consuetudine — e gli occhi caddero su Min, con la giubba e le brache rosa chiaro. Per diversi minuti sembrò che Rand non esistesse. Berelain squadrò apertamente Min dall’alto in basso. Min dimenticò il soggiorno; si portò le mani sui fianchi e rimase in piedi con un ginocchio piegato, ricambiando altrettanto apertamente l’esame. Si scambiarono poi un sorriso e in quel momento Rand ebbe l’impressione che gli si rizzassero i capelli. Aveva davanti agli occhi l’immagine di due gatti che si erano appena accorti di essere stati chiusi nella stessa stanzetta. Decidendo che ormai non c’era motivo di nascondersi, Min camminò — ondeggiò descriveva meglio il suo modo di muoversi; riuscì a far sembrare mascolina la camminata di Berelain! — e si accomodò con le gambe accavallate. Sempre sorridendo. Luce, come sorridevano quelle donne.
Alla fine Berelain si rivolse a Rand, allargando la gonna nel fare la riverenza. Rand sentiva Lews Therin canticchiare: si stava godendo la vista di una donna bellissima, più che generosa nel mostrare le proprie grazie. Lui stesso apprezzava quanto vedeva, pur chiedendosi se non avesse dovuto distogliere lo sguardo fino a quando non si fosse tirata su, ma si era seduto sul palco per un motivo preciso. Rand cercò di rendere la voce ragionevole e ferma.
«Rhuarc si è lasciato sfuggire che stai trascurando i tuoi doveri, Berelain. Sembra che ti sia nascosta nelle tue stanze diversi giorni dopo che me ne sono andato. So che ha dovuto parlarti severamente per farti uscire.» Non erano state le parole esatte di Rhuarc, ma era stata l’impressione che ne aveva ricavato. Berelain arrossì, suggerendo a Rand che aveva indovinato. «Sai perché ti ho messa in carica al posto suo. Tu dovresti seguire i suoi consigli, non lasciare tutto nelle sue mani. Non ho bisogno che Cairhien decida di ribellarsi perché tutti credono di avere un Aiel che li governa.»
«Ero... preoccupata, mio lord Drago.» Malgrado l’esitazione e le guance arrossate, la voce era composta. «Da quando sono arrivate le Aes Sedai le voci sono spuntate come erbacce. Posso chiedere chi intendi far governare qui?»
«Elayne Trakand. L’erede al trono di Andor. Adesso regina di Andor.» Presto lo sarebbe stata. «Non so a quali voci ti riferisca, ma tu devi preoccuparti di Cairhien e lasciare che sia io a pensare alle Aes Sedai. Elayne ti sarà riconoscente per il tuo operato.» Min tirò forte su con il naso.
«È una buona scelta» disse Berelain pensierosa. «I Cairhienesi l’accetteranno, suppongo, e forse anche i ribelli sulle colline.» Fu ottimo sentire quella risposta; Berelain era brava nel giudicare le correnti politiche, forse quanto ogni altro Cairhienese. La donna inspirò profondamente facendo smettere di cantare Lews Therin. «Per quanto riguarda le Aes Sedai... le voci dicono che siano venute per scortarti alla Torre Bianca.»
«E io ti ho detto di lasciare le Aes Sedai a me.» Non che non si fidasse di Berelain. Dimostrava il contrario lasciandole governare Cairhien fino a quando Elayne avesse preso il trono del Sole e si fidava del fatto che lei stessa non ambisse al trono. Ma Rand sapeva anche che meno persone sarebbero state al corrente dei suoi piani con le Aes Sedai, meno possibilità ci sarebbero state che Coiren scoprisse un interesse particolare da parte di Rand.
Non appena le porte si chiusero alle spalle di Berelain, Min tirò di nuovo su con il naso. «Mi chiedo perché si prenda il disturbo di indossare degli indumenti. Be’, prima o poi qualcuno la tratterà con disprezzo. Non ho visto nulla che ti fosse utile. Solo un uomo in bianco che la farà cadere ai suoi piedi. Alcune donne non hanno ritegno!»
Quello stesso pomeriggio gli chiese del denaro per assumere un plotone di sarte, visto che era venuta via da Caemlyn con solo ciò che aveva addosso, e le donne iniziarono a cucire una serie di giubbe, brache e bluse di seta e broccati di tutti i colori. Alcune delle camicette avevano la scollatura profonda, anche sotto la giubba. Quanto alle brache, Rand non era nemmeno sicuro di come riuscisse a indossarle. Min si esercitava anche nel lancio dei pugnali. Una volta vide Nandera ed Enaila mostrarle il loro modo di combattere con le mani e i piedi, che era molto diverso dal metodo degli uomini. Alle Fanciulle non piaceva che le osservasse e rifiutarono di proseguire fino a quando non se ne andò via. Forse Perrin avrebbe capito tutto, ma Rand decise per la millesima volta che lui di donne non ne capiva nulla.
Rhuarc visitava Rand ogni giorno, oppure era lui a recarsi nello studio che l’Aiel condivideva con Berelain. Rand fu contento di vedere l’operato della donna sui rapporti dei carichi di grano e le sistemazioni dei profughi e le riparazioni dei danni a seguito di quella che alcuni Cairhienesi chiamavano la Seconda Guerra Aiel, malgrado tutti i loro sforzi di chiamarla Guerra Shaido. Rhuarc sosteneva di aver deciso di ignorare i Cairhienesi che giocavano, come diceva lui, al ji’e’toh, anche se borbottava sempre quando vedeva una donna con una spada o dei giovani vestiti di bianco. Sembrava che i ribelli si nascondessero ancora sulle colline, sempre più numerosi, ma la cosa non lo preoccupava. Ciò che invece lo turbava erano gli Shaido, e le altre lance si stavano dirigendo a sud ogni giorno, in direzione di Tear. Gli esploratori, quelli che facevano ritorno, riportavano che gli Shaido erano in fermento al pugnale del Kinslayer. Non vi erano segni sulla direzione che volessero prendere o sul quando. Rhuarc menzionò anche il numero di Aiel che ancora si lasciavano prendere dalla tetraggine, abbandonando le lance, il numero che rifiutava di abbandonare il bianco dei gai’shain finito il termine della punizione e anche il numero di quei pochi che si dirigevano a nord per unirsi agli Shaido. Era un segno del suo disagio. Sevanna si era recata all’accampamento e anche in città, andando via un giorno dopo l’arrivo di Rand. Rhuarc lo disse con disinvoltura.
«Non sarebbe stato meglio catturarla?» chiese lui. «Rhuarc, so che in teoria è una Sapiente, ma non può esserlo, da quanto ho capito. Non sarei sorpreso se gli Shaido diventassero ragionevoli una volta rimasti senza di lei.»
«Ne dubito» rispose secco l’Aiel. Era seduto su uno dei suoi cuscini, appoggiato contro la parete dello studio, e fumava la pipa. «Amys e le altre si scambiano delle occhiate alle spalle di Sevanna, ma la ricevono come una Sapiente. Se loro dicono che Sevanna è una Sapiente, allora lo è. Ho visto dei capi per i quali non sprecherei una fiasca d’acqua anche se mi trovassi fra dieci pozzi, ma erano comunque dei capi.»
Rand sospirò e studiò la mappa aperta sul tavolo. Non sembrava che Rhuarc ne avesse bisogno; senza guardarla, avrebbe potuto nominare ogni caratteristica del terreno che mostrava. Berelain era seduta dall’atro lato del tavolo, con i piedi raccolti sotto di sé e una pila di carte in grembo. Aveva una penna in mano e sul tavolino accanto alla sedia era visibile un flacone d’inchiostro. Di tanto in tanto gli lanciava un’occhiata, ma quando si accorgeva che Rhuarc la guardava, chinava il capo e ritornava sui rapporti. Rand non ne conosceva il motivo, ma Rhuarc aggrottava le sopracciglia quando guardava verso di lei e la donna arrossiva sempre, serrando la mascella. A volte Rhuarc sembrava la disapprovasse, cosa che non aveva senso. Adesso Berelain si prendeva cura dei suoi incarichi.
«Devi smettere d’inviare le lance a sud» disse Rand alla fine. Non gli piaceva. Era vitale che Sammael vedesse incombere su di sé il martello più pesante del mondo, ma non a costo di dover estirpare di nuovo gli Shaido da Cairhien. «Non vedo altre soluzioni.» Trascorsero i giorni, e tutti erano impegnati. Vide signori e dame sorridenti, così cordiali fra loro che era certo stessero progettando qualcosa di malvagio sotto la superficie. Le Sapienti gli davano consigli su come vedersela con le Aes Sedai, che fossero della Torre o di Salidar; Amys e Bair fecero sembrare Melaine moderata. Sorilea gli gelò il sangue. I giovani cairhienesi continuavano a sfidarsi a duello nelle strade contro il divieto di Rhuarc. Questi gestì la situazione offrendo loro un assaggio di cosa significasse veramente essere gai’shain; sedere nudi l’intera giornata al sole e sotto stretta sorveglianza li aveva fatti calmare, ma Rhuarc non si sarebbe spinto contro le usanze al punto da mettere gli abitanti delle terre bagnate in bianco, e quelli che erano stati presi dagli Scudi Rossi adesso facevano gli spacconi. Rand sentì Selande dire a un’altra giovane con la spada e i capelli corti, in un tono di voce solenne, che non avrebbe mai capito veramente il ji’e’toh a meno che non fosse stata presa dagli Aiel. Era confortante, qualsiasi cosa significasse.
Malgrado Shaido e nobili, Sapienti e sommosse, malgrado il suo continuo chiedersi se Fel sarebbe mai tornato dalla spedizione di pesca, quei giorni sembravano... piacevoli. Rinfrescanti. Forse solo perché al suo arrivo si era sentito sfinito. Forse era davvero solo in confronto a quelle ultime ore a Caemlyn, ma sembrava che Lews Therin fosse più calmo. Rand si accorse anche di divertirsi con le prese in giro di Min, tanto che una o due volte dovette sforzarsi di ricordare che era tutto un gioco. Dopo dieci giorni a Cairhien pensò che in fondo non sarebbe stato un brutto modo di trascorrere il resto della vita, ma sapeva che non sarebbe durato.
Per Perrin invece quei dieci giorni non furono affatto piacevoli. Dopo un breve periodo cercò la compagnia di Loial, ma quest’ultimo aveva trovato il paradiso nella biblioteca reale, dove trascorreva quasi tutta la giornata. A Perrin piaceva leggere e forse si sarebbe anche goduto quelle stanze, apparentemente senza fine, piene di libri fino al soffitto a volta, ma erano infestate da un’Aes Sedai, una donna snella dai capelli scuri che non sembrava battesse mai le palpebre. Non pareva che la donna lo avesse notato, ma lui non si era mai fidato molto delle Aes Sedai, ancor prima degli eventi di Caemlyn. Senza la compagnia di Loial, Perrin andò spesso a caccia con Gaul e diverse volte anche con Rhuarc, che aveva incontrato alla Pietra e apprezzato molto. Il problema di Perrin era sua moglie. O forse Berelain. O entrambe. Se Rand non avesse avuto tanto da fare, Perrin gliene avrebbe parlato, seppure in termini generali. L’amico conosceva le donne, ma c’erano cose di cui un uomo non poteva parlare con facilità.
Era iniziato fin dal primo giorno, quando era stato a Cairhien solo quanto bastava per vedere le sue stanze nel palazzo del Sole. Faile era uscita con Bain e Chiad per esplorare la zona e lui si era denudato fino alla cintola per lavarsi, quando improvvisamente sentì l’essenza di un profumo, non pesante ma forte per il suo naso, e una voce calda alle sue spalle che disse: «Ho sempre pensato che avessi una bellissima schiena, Perrin.»
Lui si voltò talmente in fretta che fece quasi cadere il bacile. «Ho sentito dire che sei arrivato con una... moglie?» Berelain era in piedi sulla soglia del soggiorno e sorrideva.
Sì, era vero, una moglie che non sarebbe stata contenta di trovarlo da solo a torso nudo con qualsiasi donna indossasse quel vestito. Certo, non la Prima di Mayene. Infilandosi una camicia, disse a Berelain che Faile era uscita, che non sapeva quando sarebbe tornata per ricevere le visite, e la mandò in corridoio alla massima velocità consentita senza spingerla fisicamente. Pensava di essersene liberato; Berelain era andata via e lui aveva chiamato Faile ‘moglie’ sei volte in ogni frase, spiegando anche per ben due volte quanto l’amasse. Berelain sapeva che era sposato e che amava la moglie; era tutto.
Quando Faile fece ritorno, dopo solo due passi in camera da letto cominciò a emanare odore di gelosia e rabbia, permaloso e affilato, un aroma che avrebbe potuto fargli sanguinare il naso. Perrin non capiva; sentiva ancora il profumo di Berelain, ma il suo senso dell’olfatto era acuto quasi quanto quello di un lupo. Sicuramente Faile non poteva percepirlo. Era molto strano. Lei sorrise. Non disse una sola parola spiacevole, fu adorabile come sempre e anche più ardente del solito, lasciandogli dei solchi profondi nella schiena, cosa che non aveva mai fatto prima.
Più tardi, dopo aver esaminato i tagli sanguinanti alla luce della lampada, gli mordicchiò l’orecchio, non molto delicatamente, e rise. «In Saldea» mormorò «facciamo delle tacche alle orecchie dei cavalli, ma penso che sia un buon sistema per marchiare anche te.» In quel momento emanava un debole odore di gelosia.
Se fosse finito tutto lì, la faccenda si sarebbe calmata. La gelosia di Faile poteva accendersi come il fuoco di una forgia alimentato da un forte vento, ma moriva subito, una volta che la donna si rendeva conto di non aver motivo di essere gelosa. La mattina seguente però la vide parlare con Berelain in fondo al corridoio, e sorridevano entrambe. Perrin riuscì a sentire le ultime parole che disse Berelain mentre si voltava per andare via: «Mantengo sempre le mie promesse.» Una strana puntualizzazione che fece scattare quell’odore spinoso e acre in Faile.
Perrin chiese a sua moglie di quale promessa stesse parlando Berelain, e quello forse fu un errore. Faile batté le palpebre — a volte dimenticava il suo senso dell’udito — e disse: «Non mi ricordo. È il tipo di donna che fa ogni genere di promessa che poi non può mantenere.» Perrin si ritrovò con una seconda serie di graffi sulla schiena, e non era nemmeno mezzogiorno!
Berelain cominciò a tallonarlo. All’inizio Perrin non l’aveva interpretato come un inseguimento. Un tempo, nella Pietra di Tear, la donna lo aveva corteggiato in maniera discreta, senza essere troppo diretta, ma adesso sapeva che era sposato. Per lui erano solo una serie di incontri casuali nel corridoio, qualche parola innocente detta quasi di passaggio. Ma dopo un breve periodo si accorse che o il suo essere ta’veren stava modificando il caso, oppure Berelain stava organizzando gli incontri, per quanto sembrasse improbabile. Cercò di convincersi che era ridicolo. Cercò anche di ribadire a se stesso di non essere affatto attraente come Wil al’Seen. Wil era il solo uomo che avesse mai visto inseguito dalle donne; non lo avevano mai fatto con Perrin Aybara. Solo che quegli incontri casuali erano decisamente troppi.
Berelain lo toccava sempre. Non in maniera lampante, solo le dita leggere sulla mano di lui, o su un braccio o sulle spalle. Niente che fosse degno di attenzione. Il terzo giorno gli venne in mente qualcosa che gli fece rizzare i capelli. Quando lui cercava di domare un cavallo che non era mai stato cavalcato, iniziava con dei tocchi leggeri, fino a quando l’animale capiva che non gli avrebbe fatto del male e rimaneva fermo al tocco della sua mano. Il passo seguente era il sottosella, infine la sella. La briglia era sempre l’ultima.
Iniziò a temere il profumo di Berelain quando lo percepiva dietro gli angoli. Cominciò a recarsi nella direzione opposta, ma non poteva badare sempre e solo a quella donna. Sembrava ci fossero molti giovani Cairhienesi tracotanti che entravano e uscivano da palazzo, prevalentemente donne. Donne con le spade! Incontrava sempre un discreto numero di persone che si mettevano intenzionalmente sulla sua traiettoria. Per due volte dovette prendere a pugni un tizio, visto che l’idiota non voleva lasciarlo passare, continuando a saltellare davanti a lui. Perrin non fu contento per quanto aveva fatto — i Cairhienesi erano tutti molto più esili di lui — ma non si potevano correre rischi con un uomo che aveva la mano sull’elsa della spada. Una volta ci provò anche una ragazza e, dopo che Perrin le ebbe tolto la spada, fece un gran baccano fino a quando lui non gliela restituì, cosa che sembrò colpirla, quindi gli gridò alle spalle che non aveva onore fino a quando qualche Fanciulla la portò via parlandole in tono ardente.
La gente inoltre sapeva che era amico di Rand. Anche se non fossero arrivati insieme, alcuni degli Aiel e i Tarenesi lo ricordavano dalla Pietra di Tear e la voce si sarebbe diffusa. Signori e dame che non aveva mai visto in vita sua gli si presentavano nei corridoi, e i sommi signori Tarenesi che lo avevano guardato dall’alto in basso a Tear, adesso si rivolgevano a lui come a un amico di Cairhien. La maggior parte di loro emanava paura e un altro odore che Perrin non riusciva a definire. Si accorse che volevano tutti la stessa cosa.
«Temo che il lord Drago non si confidi sempre con me, mia signora,» rispose educato a una donna dagli occhi freddi che si chiamava Colavaere «e quando lo fa non puoi certo aspettarti che io tradisca la sua fiducia.» Il sorriso della donna sembrò giungere da una grande altezza; pareva si chiedesse come sarebbe stata la pelle di Perrin come tappeto. La donna emanava uno strano odore, duro, definito e in qualche modo... alto.
«Non so cos’abbia intenzione di fare Rand» rispose a Meilan. L’uomo stava quasi per fissarlo con freddezza, per quanto sorridesse come Colavaere. Anche lui emanava lo stesso odore, con la stessa forza. «Forse dovresti chiedere a lui.»
«Anche se lo sapessi preferirei piuttosto rivelarlo a tutta la città» disse a una donnola dai capelli bianchi con fin troppi denti, un tipo di nome Maringil. A quel punto ormai si era stancato dei tentativi di ingraziarselo. Anche Maringil emanava quell’odore, forse leggermente più forte di Colavaere e Meilan.
Quei tre erano molto più insistenti degli altri, emanavano un odore pericoloso, lo sapeva per istinto, come la cima di una montagna prima di una valanga.
Fra i tentativi di tenere d’occhio quei giovani idioti e quell’odore nel naso, a volte non riusciva a riconoscere il profumo di Berelain fino a quando lei non era abbastanza vicina da piombargli addosso. In verità la donna era molto leggiadra, un cigno su uno stagno, ma lui aveva l’impressione di essere aggredito.
Nominò Faile più volte possibile, ma non sembrava che Berelain ascoltasse. Le chiese di smetterla e Berelain gli domandò cosa intendesse dire. Le disse di lasciarlo in pace e Berelain rise dandogli un colpetto sulla guancia e chiedendogli cos’era che doveva smettere di fare. Ovviamente Faile arrivò proprio in quel momento da un corridoio nei paraggi, esattamente l’istante prima che lui si facesse indietro. Faile doveva aver pensato che avesse fatto il passo indietro perché l’aveva vista arrivare e, senza esitare nemmeno un istante, si voltò, evitando di rallentare o allungare il passo.
Perrin le corse dietro, la raggiunse e le camminò accanto in completo silenzio. Un uomo non poteva certo dire quanto doveva mentre la gente sentiva. Faile sorrise in maniera abbastanza gradevole fino a quando non raggiunsero le loro stanze, ma, oh, quell’odore spinoso, così pungente che gli perforava il naso.
«Non era come sembrava» disse Perrin non appena la porta si fu chiusa. Non una parola da Faile; si limitò solo a sollevare le sopracciglia in maniera interrogativa. «Be’, lo era. Berelain mi ha dato un colpetto sulla guancia...» Faile era sempre sorridente, ma aveva abbassato minacciosa le sopracciglia e fra quelle spine Perrin adesso sentiva la rabbia, «...ma lo ha fatto senza permesso. Non l’ho incoraggiata, Faile. Lo ha fatto e tasta.» Sperava tanto che lei dicesse qualcosa invece di fissarlo. Perrin supponeva che Faile stesse aspettando, ma cosa? Fu colto da un’improvvisa ispirazione e, come sembrava accadere spesso quando parlava con lei, si mise un cappio attorno al collo. «Faile, mi dispiace.» Adesso la rabbia era affilata come la lama di un rasoio.
«Capisco» rispose atona, uscendo leggiadra dalla stanza.
Bene, adesso aveva messo tutti e due i piedi in fallo, anche se non riusciva a capire come avesse fatto. Si era scusato e non aveva fatto nulla di cui doversi scusare.
Quel pomeriggio sentì Bain e Chiad discutere se dovessero aiutare Faile a picchiarlo! Non c’era modo di sapere se fosse stato un suggerimento di Faile — era selvatica, ma quello andava oltre qualunque precedente — e sospettava che le due si fossero fatte sentire di proposito, cosa che lo fece arrabbiare. Ovviamente la moglie stava discutendo i loro affari con le due Aiel, affari che avrebbero dovuto rimanere fra moglie e marito, cosa che lo fece arrabbiare ancor di più. Quali altre parti della loro vita sciorinava davanti a una tazza di tè? Quella notte, mentre Perrin la osservava stupito, Faile indossò una pesante camicia da notte di lana, malgrado il caldo. Quando cercò di baciarla sulla guancia, quasi timidamente, mormorò che aveva avuto una giornata faticosa e gli voltò la schiena. Emanava l’odore della furia, abbastanza affilato da tagliare in due la lama di un rasoio. Perrin non riusciva a dormire con quell’odore, e più a lungo rimaneva sdraiato vicino a lei, osservando il soffitto nell’oscurità, più aumentava la sua rabbia. Perché Faile si comportava in quel modo? Non riusciva a vedere che l’amava, lei e solo lei? Non le aveva dimostrato più di una volta che più di tutto in vita sua voleva tenerla per sempre fra le braccia? Era colpa sua se una stupida donna capricciosa aveva deciso di corteggiarlo? Ciò che avrebbe dovuto fare era prenderla a sculacciate fino a quando non avesse capito. L’aveva già fatto in passato, quando Faile aveva pensato di poterlo prendere a pugni ogni volta che voleva sottolineare un concetto. La cosa aveva addolorato più lui che lei, non gli piaceva neppure pensare di fare del male a Faile. Voleva stare in pace con lei. Con lei e solo con lei.
Fu il motivo per cui prese una decisione repentina, rimanendo disteso alla luce grigia che penetrava dalla finestra, nel sesto giorno di permanenza a Cairhien. Nella Pietra, Berelain aveva corteggiato una dozzina di uomini, almeno che lui sapesse; qualunque cosa l’avesse fatta decidere che dovesse essere lui la sua preda, si sarebbe orientata su un altro se Perrin fosse rimasto fuori portata abbastanza a lungo. Una volta che Berelain avesse scelto un’altra vittima, Faile avrebbe recuperato la ragione. Sembrava semplice.
Di conseguenza, non appena fu in grado di indossare qualcosa, uscì a cercare Loial e fecero colazione insieme, quindi lo accompagnò alla biblioteca reale. Quando vide l’Aes Sedai snella e Loial gli disse che la donna si recava lì ogni giorno — l’Ogier diffidava delle Aes Sedai, ma non gli importava averne cinquanta nelle vicinanze — Perrin sentì l’odore di Gaul e gli chiese se gli sarebbe piaciuto andare a caccia con lui. Non c’erano molti cerbiatti o conigli sulle colline nei pressi della città e quei pochi soffrivano a seguito della siccità proprio come le persone, ma il naso di Perrin avrebbe potuto guidarli a tutti quelli che voleva, se trovare carne fosse stato il vero scopo delle sue escursioni. Perrin non incoccò mai una freccia, ma insisté nel rimanere fuori fino a quando Gaul gli chiedesse se avesse intenzione di cacciare pipistrelli alla luce lunare. A volte Perrin dimenticava che di notte gli altri non vedevano bene come lui. Anche il giorno seguente andò a caccia al buio, come pure tutti quelli che seguirono.
Il problema era che il suo semplice piano sembrava crollargli sopra la testa. La prima notte, quando fece ritorno al palazzo del Sole con l’arco in spalla, piacevolmente stanco per la camminata, fu solo una folata occasionale di vento che gli portò in tempo l’odore di Berelain, permettendogli di evitare di andarle incontro all’entrata principale del palazzo. Facendo cenno alle guardie aiel di tacere, entrò dalla porta della servitù, dove ebbe bisogno di bussare per farsi aprire da un tipo dallo sguardo offuscato. La notte seguente vide Berelain che l’aspettava nel corridoio fuori dalle sue stanze; dovette nascondersi dietro un angolo per metà serata prima che la donna si arrendesse. Ogni sera lo aspettava da qualche parte, come se potesse far finta che si trattasse di un incontro causale, quando nessun altro era sveglio se non qualche servitore. Era pura follia; perché non si era trovata un’altra vittima? E ogni notte, quando alla fine s’infilava in camera con gli stivali in mano, Faile dormiva con quella maledetta camicia di lana. Molto prima della sesta notte insonne, fu pronto ad ammettere che aveva preso una cantonata, anche se non capiva come. Era sembrato tutto maledettamente semplice. La sola cosa che voleva era qualche parola da Faile, un suggerimento su cosa dovesse dire o fare. Tutto ciò che sentì furono i propri denti mentre li digrignava nel sonno.
Durante il decimo giorno, Rand ricevette un’altra richiesta per un’udienza da Coiren, educata come le prime tre. Rimase seduto meditando per un breve periodo, mentre strofinava la lettera fra il pollice e l’indice. Da come la percepiva non c’era davvero modo di dire quanto fosse lontana Alanna, ma confrontando la forza di quella sensazione il primo giorno con quanto lo era adesso, riteneva si trovasse a metà strada da Cairhien. Se era davvero così, Merana non stava perdendo tempo. Era un bene; voleva che fosse impaziente. Se fosse stata almeno un po’ pentita, sarebbe stato d’aiuto, ma era come desiderare la luna; si trattava di un’Aes Sedai. Ci sarebbero voluti almeno altri dieci giorni prima che raggiungessero Cairhien, se avessero mantenuto quel passo, e dovevano esserne in grado. Aveva ancora tempo per incontrare Coiren altre due volte, in modo da offrire ai due gruppi lo stesso numero di udienze: tre. Che Merana riflettesse su quel punto una volta arrivata. Nessun vantaggio per lei, la Torre Bianca dall’altro lato e nessun bisogno d’informarla che lui avrebbe preferito infilare la mano nella tana delle vipere anziché avvicinarsi alla Torre, specialmente con Elaida nelle vesti dell’Amyrlin. Tra dieci giorni, si sarebbe mangiato gli stivali se ne fossero trascorsi altri dieci prima che Merana decidesse di garantirgli il supporto di Salidar, senza tutte quelle sciocchezze sul guidare o mostrare la via. A quel punto avrebbe potuto dedicare tutta la sua attenzione a Sammael.
Mentre sedeva per scrivere a Coiren che avrebbe potuto portare altre due Sorelle al palazzo del Sole il pomeriggio del giorno seguente, Lews Therin incominciò a borbottare forte. Sì, Sammael. Stavolta uccidilo. Demandred, Sammael e tutti gli altri. Sì, lo farò.
Rand non vi prestò quasi attenzione.