52 Onde di Potere

Molti degli uomini seduti attorno al tavolo de La donna errante erano del posto. Indossavano lunghe vesti di seta colorata, spesso ornate di broccato, su delle camicie chiare con le maniche ampie. Alle dita avevano anelli con granati o perle, gli orecchini erano d’oro massiccio, non solo dorati, e sui pomelli delle else dei pugnali spiccavano pietre di luna e zaffiri. Alcuni invece avevano delle giubbe di seta sulle spalle, con una catena d’oro o d’argento che andava da un colletto all’altro, ricamate con motivi floreali o animali. I mantelli sembravano davvero strani — troppo piccoli da indossare, servivano solo come cappe — e quegli uomini portavano delle lunghe spade sottili e dei pugnali ricurvi e sembravano pronti a usare entrambe le armi a una sola parola fuori posto, un’occhiata sbagliata o magari solo perché ne avevano voglia.

Era un gruppo variegato, nel complesso. Due mercanti del Murandy con i baffi ricurvi e quelle ridicole barbette sulla punta del mento e un Domanese con i capelli che gli arrivavano sotto le spalle, baffi sottili e un bracciale d’oro, un girocollo dello stesso materiale e delle grandi perle alle orecchie. Un Atha’an Miere dalla carnagione scura che aveva addosso una giubba verde brillante, le mani tatuate e due pugnali infilati dietro una fusciacca rossa. Un uomo di Tarabon con un velo trasparente sopra dei baffi folti che gli scendevano quasi davanti alla bocca e diversi altri forestieri che avrebbero potuto essere originari di qualunque luogo. Ogni uomo aveva una catasta di monete davanti a sé, anche se la consistenza variava. Essendo così vicino al palazzo di Tarasin, La donna errante attirava clienti che potevano sprecare denaro.

Dopo aver agitato i cinque dadi nella custodia di cuoio, Mat li lanciò sul tavolo. Si fermarono mostrando due corone, due stelle e una coppa. Un lancio decente, niente di più. La sua fortuna arrivava a ondate e in quel momento sembrava esserci bassa marea, il che significava che solo la metà dei lanci era vincente. Sino ad allora ne aveva persi dieci di fila, una sequenza sfortunata in qualunque circostanza. I dadi passarono a un forestiero con gli occhi azzurri, un uomo dal volto duro che sembrava avere molto denaro da scommettere, malgrado la semplice giubba marrone. Vanin si inchinò per sussurrargli in un orecchio: «Sono uscite di nuovo. Thom dice di non sapere dove si stanno recando.» Mat rivolse un’occhiataccia all’uomo grasso che lo fece raddrizzare più rapidamente di quanto ci si aspettasse da un individuo di quella corporatura.

Bevendo metà del vino al melone dalla coppa d’argento, Mat guardò cupo il tavolo. Di nuovo! L’uomo lanciò i dadi, che si fermarono mostrando tre corone, una rosa e un bastone. Gli osservatori mormorarono per quella vincita.

«Sangue e ceneri!» mormorò Mat. «Alla prossima mossa la Figlia delle Nove Lune entrerà e reclamerà la mia mano.» Al tipo con gli occhi azzurri andò di traverso il vino che stava bevendo per celebrare il lancio. «Conosci quel nome?» chiese Mat.

«Mi stavo quasi strozzando col vino» rispose l’uomo con un accento lento e strascicato che Mat non riconobbe. «Che nome era?»

Lui fece un cenno rappacificatore. Aveva visto delle liti iniziare per molto meno. Raccogliendo l’oro e l’argento nella borsa, la infilò in tasca e si alzò. «Ho finito. Che la Luce benedica tutti i presenti.» Tutti quelli intorno al tavolo ripeterono la benedizione, anche i forestieri. La gente a Ebou Dar era molto educata.

Anche se non era nemmeno mezzogiorno la sala comune era abbastanza piena, e anche a un altro tavolo si stava svolgendo una partita a dadi. Due dei figli più giovani di comare Anan stavano aiutando a servire i pasti. La locandiera in persona sedeva in fondo alla sala vicino alla scala di pietra bianca priva di ringhiera e manteneva un occhio su tutto il locale insieme a una ragazza molto graziosa i cui occhi scuri erano gioiosi, come se avesse sentito qualcosa di divertente che nessun altro sapeva. Il volto era un ovale perfetto, incorniciato da capelli neri e lucidi, e la scollatura profonda del vestito grigio con la cintura rossa mostrava una veduta allettante. Il divertimento nei suoi occhi aumentò quando sorrise a Mat.

«Con la tua fortuna, lord Cauthon,» disse comare Anan «mio marito dovrebbe chiederti dove inviare il suo peschereccio.» Per qualche motivo, il tono della donna era molto distaccato.

Mat accettò il titolo senza battere ciglio. A Ebou Dar pochi avrebbero sfidato un lord se non i lord; per lui era un semplice calcolo matematico. C’erano molti meno lord che gente comune, e questo significava meno possibilità che qualcuno tentasse di ficcargli un pugnale fra le costole. Anche così, aveva dovuto spaccare tre teste in meno di dieci giorni. «Temo che la mia fortuna non intervenga su eventi simili, signora.»

Olver sembrò materializzarsi al suo fianco. «Andiamo alle corse dei cavalli, Mat?» chiese impaziente.

Frielle, una delle figlie di comare Anan, si fece avanti per prendere il ragazzino per le spalle. «Chiedo scusa, lord Cauthon» disse ansiosa. «Mi è scappato. Luce, lo ha fatto veramente.» Si sarebbe sposata presto — aveva già attorno alla gola lo stretto girocollo d’argento del coltello nuziale — e si era offerta volontaria per tenere d’occhio Olver, ridendo dopo avergli detto che voleva sei figli. Mat sospettava che adesso stesse cominciando a desiderare delle figlie.

Fu Nalesean che scendeva dalle scale a ricevere l’occhiataccia di Mat, abbastanza dura da far fermare il Tarenese. Era stato lui a iscrivere Vento alle corse dei cavalli con Olver come fantino — qui era un ruolo riservato ai ragazzi — e Mat non ne aveva saputo nulla fino a cose fatte. Che Vento si fosse dimostrato abbastanza veloce da giustificare il nome non era servito a nulla. Due vittorie avevano fatto venire voglia a Olver di correre ancora. «Non è colpa tua, signora» ripose Mat a Frielle. «Infilalo in un barile se devi, con la mia benedizione.»

Olver gli lanciò uno sguardo d’accusa, ma un istante dopo si voltò per rivolgere a Frielle un sorriso insolente che aveva imparato da chissà chi. Sembrava un contrasto strano, con quelle orecchie a sventola e la bocca larga; non sarebbe mai stato un ragazzo attraente. «Me ne starò tranquillo se potrò guardarti negli occhi. Sono bellissimi.»

Frielle aveva preso molto dalla madre, non solo lo sguardo. Rise dolcemente e lo prese da sotto il mento, facendolo arrossire. La madre e la giovane sorrisero.

Mat cominciò a salire le scale scuotendo il capo. Avrebbe dovuto parlare con quel ragazzo. Non poteva sorridere in quel modo a tutte le donne che vedeva. E dire loro che avevano occhi bellissimi! Alla sua età! Mat non sapeva dove l’avesse imparato.

Quando giunse vicino a Nalesean, l’uomo disse: «Sono uscite di nuovo di nascosto.» Non era una domanda, e quando Mat annuì lui si tirò la barba appuntita e imprecò. «Faccio riunire gli uomini, Mat.»

Nerim stava facendo qualcosa nella stanza di Mat, pulendo il tavolo con un panno come se le cameriere non avessero già spolverato. Condivideva con Olver una piccola stanza proprio a fianco e non lasciava quasi mai La donna errante. A suo parere, Ebou Dar era dissoluta e incivile.

«Il mio signore ha deciso di uscire?» chiese lugubre Nerim, e Mat raccolse il cappello. «Con quella giubba? Temo che sulla spalla ci sia una macchia di vino di ieri sera. L’avrei rimossa prima, se il mio lord non avesse indossato lo stesso indumento stamattina; c’è anche uno strappo nella manica — di pugnale, credo — che avrei rammendato.»

Mat lasciò che gli portasse una giubba grigia con dei ricami color argento sui polsini e sul colletto e gli consegnò quella verde ricamata in oro.

«Immagino che il mio signore cercherà di non spargere sangue oggi. Le macchie di sangue sono molto difficili da rimuovere.»

Era un compromesso che avevano concordato. Mat avrebbe tollerato la faccia lugubre di Nerim e le sue osservazioni tristi, lasciandosi servire, facendosi pulire gli indumenti e portare oggetti che avrebbe potuto facilmente prendere da solo; in cambio Nerim aveva acconsentito, con riluttanza, a non vestirlo.

Dopo aver controllato i pugnali infilati su per le maniche, sotto la giubba e nei risvolti degli stivali, Mat lasciò la lancia in un angolo insieme a un arco senza corda e scese nell’atrio della locanda. La lancia sembrava richiamare idioti che volevano combattere come il miele attirava le mosche.

Il sudore imperlò la fronte di Mat non appena fu fuori, abbandonando l’ombra e la relativa freschezza della locanda. Il sole del mattino sembrava piuttosto quello del pomeriggio inoltrato in una giornata ordinaria di piena estate, ma la piazza di Mol Hara pullulava di gente. All’inizio Mat rimase a osservare il palazzo di Tarasin. Con Thom e Juilin che controllavano dall’interno e Vanin dall’esterno, com’erano riuscite ad andare via senza essere viste? Uscivano quasi ogni giorno. Dopo che era successo per tre volte, Mat aveva disposto degli uomini intorno a tutto quell’edificio di pietra bianca e intonaco sormontato da una cupola, che prendevano posizione prima dell’alba. Erano in numero sufficiente, con lui e Nalesean. Nessuno aveva visto traccia di essere umano, ma prima di mezzogiorno Thom era corso da lui per avvisare che in qualche modo le donne erano riuscite a uscire. Il vecchio menestrello sembrava aver raggiunto il limite: era quasi pronto a strapparsi i baffi. Mat sapeva cosa stava succedendo. Lo facevano solo per dispetto.

Nalesean e gli altri aspettavano torvi e sudati, e il Tarenese tamburellava sull’elsa della spada come se gli sarebbe piaciuto avere l’opportunità di usarla.

«Oggi ispezioneremo l’altra sponda del fiume» disse Mat. Alcune delle Braccia Rosse si scambiarono delle occhiate piene di disagio; avevano sentito le storie.

Vanin cambiò posizione scuotendo il capo. «Uno spreco di tempo» disse atono. «Lady Elayne non andrebbe mai in un posto come quello. La Aiel forse, o Birgitte, ma non lady Elayne.»

Mat chiuse gli occhi per un istante. Come aveva fatto Elayne a rovinare un uomo valoroso in così poco tempo? Lui aveva continuato a sperare che tenendolo lontano da lei abbastanza a lungo avrebbe fatto riprendere Vanin, ma adesso cominciava a perdere la speranza. Luce, come disprezzava le nobili. «Be’, se non le vediamo oggi possiamo dimenticarci il Rahad — spiccherebbero come allodole colorate in mezzo a uno stormo di corvi — ma intendo trovarle, anche se si stessero nascondendo sotto un letto nel Pozzo del Destino. Muovetevi in coppie, come sempre, e guardatevi le spalle a vicenda. Adesso andiamo a cercare qualcuno che possa traghettarci dall’altro lato del fiume. Che io sia folgorato, spero che non siano tutti fuori a vendere frutta al Popolo del Mare.»

Agli occhi di Elayne le strade apparivano come nel tel’aran’rhiod, edifici di mattoni di quattro o cinque piani, coperti a chiazze con l’intonaco sgretolato, attaccati uno all’altro e affacciati su vie anche più malconce. Solo a quell’ora del giorno, con il sole dorato alto, le ombre svanivano totalmente dai vicoletti. Le mosche erano ovunque. La sola differenza con il Mondo dei Sogni era il bucato steso ad asciugare alle finestre, la gente — ovviamente non molti si trovavano all’aperto in quel momento — e l’odore, un miasma forte e pungente di decomposizione che le faceva venire voglia di non respirare troppo profondamente.

Purtroppo ogni strada nel Rahad aveva quell’aspetto.

Dopo aver bloccato Birgitte appoggiandole una mano sul braccio, osservò una scabra costruzione di mattoni con miseri panni che pendevano da quasi tutte le finestre. Da qualche parte all’interno giungeva il vagito di un bambino. Aveva il giusto numero di piani, sei. Era sicura che fossero sei. Nynaeve insisteva su cinque.

«Non credo che dovremmo starcene qui impalate a fissare» mormorò Birgitte. «La gente guarda.»

Non era vero: era solo che la donna si preoccupava per lei. Gli uomini senza camicia indossavano spesso delle vesti stracciate e camminavano impettiti lungo la strada con la luce del sole che risplendeva sugli orecchini d’ottone e gli anelli con i vetri colorati al posto delle pietre, o furtivi come cani randagi che avrebbero potuto ringhiare o mordere. Le donne si comportavano allo stesso modo, e indossavano abiti lisi e gioielli d’ottone e vetro. Tutti avevano il pugnale ricurvo dietro la cintura e spesso anche un semplice coltello da lavoro.

Nessuno rivolgeva a lei e Birgitte una seconda occhiata, anche se il volto anziano di quest’ultima aveva spesso un’espressione di sfida e lei era più alta della media di Ebou Dar. Era ciò che vedevano grazie a dei flussi complessi d’Aria e Fuoco che Elayne aveva invertito e legato. Quando guardava Birgitte vedeva una donna con delle rughe sottili agli angoli degli occhi neri e capelli scuri con un tocco di grigio. Il camuffamento era più semplice se rimaneva prossimo all’aspetto reale della persona, quindi i capelli di Birgitte, che le scendevano dietro le spalle ed erano legati in quattro punti con del nastro verde, erano molto più lunghi dello stile di Ebou Dar, ma nemmeno Elayne aveva tagliato i suoi e nessuno sembrava prestarvi attenzione. Era un camuffamento perfetto: le sarebbe solo piaciuto non sudare troppo. Con l’aggiunta della tessitura ancor più complessa di Spirito che mascherava la capacità di una donna d’incanalare, Elayne era passata proprio accanto a Merilille mentre usciva dal palazzo. Ancora la manteneva; aveva visto Vandene e Adeleas da quel lato del fiume più di una volta.

Gli indumenti invece non rientravano nella tessitura: indossavano abiti consunti di lana con un ricamo sfilacciato sulle maniche e intorno alla scollatura profonda. Anche le camicie e le calze erano di lana e quelle di Elayne pizzicavano. Gli abiti li aveva procurati Tylin, in aggiunta a diversi consigli, come anche i coltelli nuziali nelle custodie bianche. Sembrava che le donne sposate subissero meno sfide di quelle nubili, e le vedove che avevano rifiutato un secondo matrimonio ancora meno. Anche l’età era d’aiuto: nessuno sfidava una nonna con i capelli grigi, ma lei avrebbe potuto.

«Penso che dovremmo entrare» disse Elayne, e Birgitte la oltrepassò con una mano sul pugnale dietro la cintura marrone e aprì la porta ruvida. All’interno vide un corridoio poco illuminato con una serie di porte abbastanza rozze e una scala ripida di mattoni sbeccati nel retro. Elayne non si sentì sollevata.

Custodie bianche o meno, entrare in un edificio senza autorizzazione in questione era un ottimo sistema per ritrovarsi coinvolta in un duello, come del resto fare domande o essere curiose. Tylin le aveva consigliate di non farlo. Il primo giorno avevano visitato solo le locande con le porte blu, pensando di spiegare che stavano valutando la possibilità di comperare oggetti da vecchi solai per restaurarli e venderli. Lei andava con Birgitte e Nynaeve con Aviendha, per coprire maggior terreno. Le sale comuni erano dei posti tetri e scuri, Birgitte aveva quasi sempre dovuto farla uscire di corsa, entrambe con i pugnali in mano, proprio prima che iniziassero i problemi seri. La seconda volta Elayne ebbe bisogno di incanalare brevemente, facendo cadere una coppia di donne che le inseguivano, e anche così Birgitte era certa che qualcuno le aveva tallonate per il resto del giorno. Nynaeve e Aviendha incontrarono lo stesso tipo di problemi, a parte l’essere seguite; Nynaeve aveva colpito una donna con uno sgabello. Così avevano deciso di abbandonare anche le domande innocenti, sperando di non oltrepassare una soglia per incontrare un pugnale.

Birgitte salì le scale in avanscoperta, benché spesso preferisse coprire loro le spalle. L’odore di cucina si mischiava al puzzo generale del Rahad in modo nauseante. Il bambino aveva smesso di piangere, ma da qualche parte nell’edificio una donna iniziò a gridare. Al terzo piano, un uomo dalle spalle larghe senza camicia o veste aprì la porta proprio mentre loro salivano. Birgitte lo guardò male e questi sollevò entrambe le mani con i palmi rivolti verso di loro, ritirandosi dal corridoio e chiudendosi la porta alle spalle. All’ultimo piano, dove doveva essere il solaio se quella era la casa giusta, una donna scarna con una camicia di lino ruvido sedeva su uno sgabello davanti alla soglia, godendo della poca brezza mentre affilava un pugnale. Si voltò verso di loro e smise di lavorare sulla lama. Non distolse lo sguardo mentre le due scendevano lentamente le scale e il rumore sommesso della pietra contro la lama non riprese di nuovo fino a quando loro non ebbero raggiunto il pian terreno. A quel punto, Elayne sospirò di sollievo.

Era più che contenta che Nynaeve non avesse accettato la sua scommessa. Dieci giorni. Era stata una sciocca ottimista. Questo era l’undicesimo giorno da quando lo aveva detto, undici giorni e le sembrava di trovarsi sempre nella stessa strada da mattina a sera: undici giorni senza indizi. A volte erano rimaste a palazzo, solo per schiarirsi le idee. Era tutto molto frustrante. Se non altro, nemmeno Vandene e Adeleas avevano avuto fortuna. Per quanto vedeva Elayne, nessuno nel Rahad parlava volentieri con le Aes Sedai. Le persone si dileguavano non appena capivano chi fossero; aveva visto due donne cercare di accoltellare Adeleas, senza dubbio per derubare la sciocca che se ne andava in giro vestita di seta per il Rahad, e quando la Sorella Marrone aveva scagliato due flussi d’Aria e le aveva mandate a incastrarsi in una finestra due piani sopra la strada, non c’era più nessuno in giro. Be’, non avrebbe permesso a quelle di due di trovare la scodella e sfilargliela da sotto il naso.

Una volta ritornata in strada si appuntò un altro promemoria; esistevano cose peggiori nel Rahad che la frustrazione. Proprio davanti a lei, un uomo magro con il petto coperto di sangue e un pugnale in mano uscì da una porta, voltandosi immediatamente per affrontare un altro uomo che lo seguiva. Il secondo era più alto e pesante, e sanguinava da un lato del viso. Giravano in circolo fissandosi, le lame distese davanti a loro che scattavano. Si era riunita una piccola folla a osservare, come se fosse spuntata dal pavimento. Nessuno correva, ma nessuno si avvicinò ai due.

Elayne e Birgitte si misero da un lato della strada, ma non se ne andarono. Nel Rahad andare via in una simile circostanza avrebbe attirato l’attenzione, l’ultima cosa che volevano. Mischiarsi alla folla significava guardare, ma Elayne si concentrò su un punto oltre i due uomini, vedendo solo dei vaghi movimenti sfumati fino a quando improvvisante la scena rallentò. A quel punto batté le palpebre e si costrinse a guardare. L’uomo con il sangue sul petto si pavoneggiava sorridendo e facendo cenni con la lama che grondava sangue. Quello più grosso giaceva prono tossendo flebilmente, a meno di venti passi da lei.

Elayne si mosse istintivamente — la sua minuscola capacità di guarire era meglio di niente quando un uomo stava morendo dissanguato, e che finisse pure nel Pozzo del Destino tutto ciò che da quelle parti si pensava delle Aes Sedai — ma prima che facesse un secondo passo un’altra donna si inginocchiò accanto all’uomo. Forse leggermente più grande di Nynaeve, aveva addosso un abito blu con la cintura rossa che sembrava in condizioni migliori della media del Rahad. All’inizio Elayne pensò che fosse l’amante del moribondo. Nessuno accennava ad andare via, tutti osservavano in silenzio mentre la donna voltava l’uomo supino. Elayne sobbalzò nel vedere che invece di detergergli con delicatezza il sangue dalle labbra, la donna estrasse dalla borsa quella che sembrava una manciata di erbe e la infilò in bocca all’uomo. Prima che le sue mani si allontanassero dal volto del ferito, la donna fu circondata dal bagliore di saidar e iniziò a intessere i flussi della guarigione con maggior destrezza di Elayne. L’uomo sussultò e sputò le foglie, tremò e... rimase immobile con gli occhi socchiusi, fissando il sole.

«Troppo tardi, a quanto pare.» La donna, che adesso era in piedi sosteneva lo sguardo del tipo smilzo. «Devi dire alla moglie di Masic che le hai ucciso il marito, Baris.»

«Sì, Asra» rispose remissivo Baris.

Asra si voltò senza lanciare una seconda occhiata ai due uomini e la piccola folla si allargò per farla passare. Mentre si trovava a pochi passi di distanza da lei e Birgitte, Elayne notò due caratteristiche. Una era la forza; se ne aspettava una discreta quantità, ma probabilmente ad Asra non avrebbero mai permesso di fare gli esami da Ammessa. La guarigione doveva essere il suo talento speciale — forse il solo; visto che doveva essere una selvatica —, e molto ben affinato con l’uso. Forse credeva addirittura che quelle erbe fossero necessarie. La seconda cosa che notò Elayne fu il volto della donna. Non era abbronzato, come lei aveva inizialmente immaginato. Asra era quasi di sicuro una Domanese. Che cosa ci faceva, per la Luce, una selvatica domanese nel Rahad?

Elayne avrebbe seguito la donna, ma Birgitte la tirò dal lato opposto. «Riconosco quello sguardo, Elayne.» Birgitte ispezionò la strada come se si aspettasse che alcuni dei passanti potessero origliare. «Non so perché vuoi inseguire la donna, ma sembra molto rispettata. Avvicinati a lei e potresti avere più lame sfoderate contro di te di quante tu e io possiamo affrontare.»

Era la semplice verità, come anche il fatto che le selvatiche domanesi non erano il motivo della loro ricerca a Ebou Dar.

Toccando il braccio di Birgitte, fece un cenno del capo verso due uomini che stavano svoltando l’angolo davanti a loro proprio in quel momento. Con la giubba di raso a strisce azzurre, Nalesean era in tutto e per tutto un lord tarenese; la giubba imbottita era abbottonata fin sotto al collo e il volto era sudato e untuoso quasi quanto la barba. Fissava chiunque lo guardasse, in un modo tale che avrebbe dovuto già trovarsi coinvolto in duello, se non fosse stato che carezzava l’elsa della spada come se ne desiderasse sempre uno. Mat invece non era affatto torvo. Procedeva tracotante e, tranne che per una vaga aria di scontento, sembrava si divertisse. Con la giubba sbottonata, il cappello abbassato e la cicatrice attorno al collo, aveva l’aspetto di qualcuno che avesse trascorso la notte passando da una taverna all’altra, cosa che era molto probabile. Con sua sorpresa Elayne si accorse di non aver pensato a lui per giorni. Avrebbe tanto voluto mettere le mani sul suo ter’angreal, ma la scodella era infinitamente più importante.

«Non ci ho mai pensato prima,» mormorò Birgitte «ma credo che Mat sia il più pericoloso dei due. Uno N’Shar in Mameris. Mi chiedo che cosa ci facciano da questo lato dell’Eldar.»

Elayne la fissò. Un cosa? «Probabilmente hanno bevuto tutto il vino dell’altra riva. Davvero, Birgitte, vorrei che ti concentrassi su ciò che facciamo.» Stavolta non avrebbe avuto bisogno di chiedere.

Mentre Mat e Nalesean proseguivano oltre, Elayne se li tolse di mente e iniziò a studiare la strada. Sarebbe stato benissimo trovare la scodella quel giorno, e non solo perché la prossima volta sarebbe stata in coppia con Aviendha. La Aiel cominciava a piacerle — malgrado le sue idee particolari su Rand e loro due; molto particolari! — ma aveva la tendenza a incoraggiare donne che parevano pronte a estrarre la lama. Aviendha sembrava anche delusa dal fatto che gli uomini abbassassero lo sguardo, invece di estrarre i pugnali come facevano le donne!

«Quello» disse Elayne indicando. Nynaeve non poteva avere ragione sui cinque piani, giusto? Elayne sperava che Egwene avesse trovato una soluzione.

Egwene attese paziente mentre Logain beveva dell’acqua. La sua tenda non era spaziosa come gli alloggi di Salidar, ma era comunque più grande di molte altre nell’accampamento. Doveva esserci spazio per le sei Sorelle sedute sugli sgabelli per mantenere lo schermo. Il suggerimento di Egwene di legarlo aveva creato stupore e quasi scherno; nessuna voleva accettarlo, in particolar modo adesso, subito dopo la promozione ad Aes Sedai di quattro donne senza la Verga dei Giuramenti, che forse non sarebbe mai stata usata. Siuan aveva detto che non l’avrebbero fatto. Le tradizioni dicevano sei Aes Sedai, anche se Logain era poco potente, come Siuan e Leane, tre Sorelle qualsiasi nell’accampamento lo avrebbero potuto controllare facilmente, e sempre le tradizioni sostenevano che lo schermo contro un uomo andava mantenuto, non legato. L’unica lampada emanava un’illuminazione discontinua. Lei e Logain sedevano su delle coperte distese sui tappeti.

«Fammi capire» disse l’uomo abbassando il boccale di peltro. «Vuoi sapere cosa ne penso io dell’amnistia di al’Thor?» Alcune delle Sorelle si agitarono, forse perché aveva omesso di chiamarla Madre, ma più probabilmente perché non amavano l’argomento.

«Sì, voglio sapere cosa ne pensi. Di sicuro hai un’opinione. A Caemlyn con lui probabilmente ti verrebbe dato un posto d’onore. Qui invece rischi di essere domato in qualunque istante. Ora, tu hai tenuto a bada la follia per sei anni, come dici. Quante possibilità ritieni ci siano che ogni uomo che si rechi da lui riesca a fare lo stesso?»

«Vogliono davvero domarmi di nuovo?» La voce era calma, il tono ferito e arrabbiato. «Mi sono dedicato a voi. Ho fatto quanto mi avete chiesto. Mi sono offerto di prestarvi giuramento.»

«Il Consiglio deciderà presto. Molte preferirebbero che tu morissi di un incidente fortuito. Se le Aes Sedai raccontano la tua storia. Tutti sanno che le Aes Sedai non possono mentire. Ma non credo che ve ne sarà bisogno. Ci hai servito troppo bene perché io possa dare il permesso che ti venga fatto del male. Qualsiasi cosa accada, puoi ancora servire e vedrai la punizione inflitta all’Ajah Rossa, come desideri.»

Logain scattò in ginocchio ringhiando ed Egwene abbracciò saldar avvolgendolo in flussi d’Aria nello spazio di un secondo. Le Sorelle che lo schermavano si erano tutte concentrate su quello sforzo — un’altra usanza; usare ogni minima parte di forza per schermare un uomo — ma qualcuna avrebbe potuto separare i flussi e una avrebbe potuto concentrarsi su di lui, se avessero pensato che poteva nuocerle. Egwene non voleva correre il rischio che venisse fatto del male a quell’uomo.

I flussi lo mantennero inginocchiato, ma sembrava ignorarli. «Vuoi sapere cosa penso dell’amnistia di al’Thor? Vorrei essere con lui in questo momento! Che voi siate folgorate, ho fatto tutto ciò che mi avete chiesto! Che la Luce vi folgori tutte!»

«Stai calmo, mastro Logain.» Egwene fu sorpresa di scoprire che la sua voce era ferma e calma. Il cuore le batteva all’impazzata, anche se non per paura di lui. «Ti faccio un giuramento. Io non ti farò mai del male né permetterò che te ne sia fatto da chiunque sia mia seguace, se posso, a meno che tu non ti rivolti contro di noi.» Adesso la furia era scomparsa, rimpiazzata dalla rigidezza. Stava ascoltando? «Il Consiglio farà ciò che decido io. Sei calmo adesso?» L’uomo annuì debolmente ed Egwene rilasciò i flussi. Logain ricadde in terra senza guardarla. «Ti parlerò dell’amnistia quando starai meglio. Forse fra un giorno o due.» Logain annuì di nuovo bruscamente, sempre senza guardarla.

Mentre lei usciva, i due Custodi di guardia davanti alla tenda le fecero l’inchino. Se non altro ai Gaidin non importava che avesse diciotto anni, un’Ammessa promossa Aes Sedai solo perché dovevano eleggerla Amyrlin. Per i Custodi un’Aes Sedai era un’Aes Sedai e l’Amyrlin era l’Amyrlin, ma Egwene non sospirò di sollievo fino a quando non fu abbastanza lontana da non farsi sentire da quei due.

L’accampamento era grande, c’erano tende per centinaia di Aes Sedai che si disperdevano nella foresta, per le Ammesse, le novizie e le inservienti, carri, calessi e cavalli ovunque, e l’odore della cucina dove si preparava la cena era sospeso nell’aria. Attorno all’accampamento erano visibili i fuochi dell’esercito di Gareth Bryne; la maggior parte di quegli uomini dormiva per terra, non nelle tende. La cosiddetta banda della Mano Rossa si era accampata a oltre quindici chilometri a sud. Talmanes non lasciava mai che quella distanza aumentasse più di un chilometro in tutte le direzioni, giorno o notte, per oltre duecentocinquanta chilometri. Avevano già assolto parte del loro piano per le Aes Sedai, come avevano suggerito Siuan e Leane.

Le forze di Gareth Bryne erano cresciute negli ultimi sedici giorni, da quando avevano lasciato Salidar. Due eserciti che marciavano lenti verso nord attraverso Altara, ovviamente non in amicizia fra loro, attiravano l’attenzione. I nobili si precipitavano con le loro reclute per allearsi con il più forte dei due. Era vero che nessuno di questi lord e dame avrebbe prestato giuramento se avesse saputo che nelle loro terre non ci sarebbe stata una grande battaglia. Se avessero avuto libera scelta, ciascuno sarebbe andato via una volta scoperto che Egwene mirava a Tar Valon, non a un esercito di fautori del Drago. Ma avevano prestato giuramento, almeno a un’Amyrlin, davanti alle Aes Sedai che si definivano il Consiglio della Torre, con centinaia di testimoni. Mancare quel tipo di giuramento significava essere perseguitati e poi, anche se una volta arrivati alla Torre Bianca la testa di Egwene fosse stata impalata, nessuno di loro credeva che Elaida avrebbe dimenticato a chi avevano prestato giuramento. Anche se erano stati intrappolati in quell’alleanza e nella conseguente fedeltà, sarebbero stati tra i più ferventi dei suoi sostenitori. Il solo modo di uscire da quella trappola con il collo sano sarebbe stato assicurare la stola sulle spalle di Egwene una volta a Tar Valon.

Siuan e Leane erano abbastanza determinate sulla faccenda, mentre Egwene non sapeva di preciso cosa provasse. Se ci fosse stato il sistema di deporre Elaida senza versare una sola goccia di sangue, ci si sarebbe avventata sopra, ma non credeva esistesse.

Dopo un pasto frugale a base di carne di capra, rape e qualcos’altro su cui preferì non investigare, Egwene si ritirò nella sua tenda. Non era la più grande dell’accampamento, ma sicuramente la più spaziosa occupata da una sola persona. Chesa l’aspettava per aiutarla a svestirsi e le raccontò di aver acquistato il lino più bello dalla cameriera di una lady di Altara, un materiale trasparente che si sarebbe trasformato nella sottoveste più fresca che riuscisse a immaginare. Egwene faceva dormire spesso Chesa con sé per avere compagnia, anche se il pagliericcio di coperte di cui disponeva adesso difficilmente eguagliava la brandina della donna. Quella sera la mandò via una volta pronta per andare a letto. Essere Amyrlin le dava qualche privilegio. Come una tenda privata per la sua cameriera. Come la possibilità di dormire da sola quando era necessario.

Egwene non era ancora stanca a sufficienza per andare a dormire, ma quello non sarebbe stato un problema. Addormentarsi per lei era un automatismo; era stata addestrata dalle camminatrici dei sogni aiel. Entrò nel tel’aran’rhiod e...

... si ritrovò in piedi nella stanza che per un breve periodo era sfata il suo studio nella Piccola Torre. Il tavolo e la sedia erano ancora lì. I mobili non erano qualcosa che ci si portasse appresso quando si viaggiava con un esercito. Tutti i luoghi sembravano vuoti nel Mondo dei Sogni, ancor di più quelli che lo erano anche nella realtà. La Piccola Torre sembrava... deserta. Si accorse all’improvviso di avere la stola dell’Amyrlin attorno, al collo e la fece svanire appena in tempo. Un istante dopo apparvero Elayne e Nynaeve. Nynaeve solida come lei, Elayne nebulosa. Siuan aveva restituito l’anello originale con riluttanza: era servito un ordine deciso. Elayne aveva addosso un abito verde con una cascata di merletto sulle mani e attorno a un’incredibile profondissima scollatura che rivelava un piccolo coltello appeso a un girocollo aderente, con l’elsa infilata fra i seni e tempestata di perle e granati. Sembrava che la ragazza abbracciasse immediatamente la moda locale, ovunque si trovasse. Nynaeve, come si era aspettata, aveva addosso un abito di robusta lana dei Fiumi Gemelli, scuro e semplice.

«Avete avuto successo?» chiese Egwene speranzosa.

«Non ancora, ma lo troveremo.» Elayne sembrava talmente ottimista che Egwene rimase quasi a bocca aperta. Anche lei avrebbe dovuto parlare in quel modo.

«Sono sicura che non ci impiegheremo ancora molto» aggiunse Nynaeve, sembrando ancor più convinta. Con ogni probabilità, erano disperate.

Egwene sospirò. «Forse dovreste unirvi di nuovo a me. Sono sicura che potreste trovare la scodella entro pochi giorni, ma continuo a pensare a tutti i racconti che ho sentito.» Le due donne erano capaci di prendersi cura di loro stesse, lo sapeva bene come sapeva che sarebbe stato un bel pensiero da riesaminare sulle loro tombe. Siuan le aveva detto che niente di quanto aveva sentito era esagerato.

«Oh, no, Egwene» protestò Nynaeve. «La scodella è troppo importante, lo sai bene. Tutto finirà per bollire se non la troviamo in tempo.»

«Inoltre,» aggiunse Elayne «in quale tipo di guaio potremmo trovarci? Dormiamo tutti i giorni al palazzo di Tarasin, nel caso lo avessi dimenticato, e se Tylin non ci confina da qualche parte, è sempre disponibile a parlare.» Adesso il vestito era diverso, il taglio inalterato, ma il materiale era consumato e sporco. Nynaeve ne aveva addosso uno molto simile, ma sull’elsa del coltello c’erano solamente nove o dieci perle di vetro. Di sicuro non erano abiti consoni per un palazzo. Peggio ancora, la donna cercava di apparire innocente, e in questo non aveva la minima pratica.

Egwene decise di soprassedere. La scodella era importante, le due potevano badare a loro stesse e lei sapeva benissimo che non la cercavano nel palazzo di Tarasin. Decise di soprassedere, ma non su tutto. «State usando Mat, vero?»

«Noi...» Elayne si accorse improvvisamente di cosa aveva addosso e sobbalzò. Per qualche motivo sembrò che il coltello la stupisse. Con gli occhi sgranati afferrò l’elsa, coperta di perle di vetro bianche e rosse, e il volto divenne paonazzo. Un istante dopo indossava un abito di Andor di seta verde a collo alto.

La cosa buffa fu che Nynaeve si rese conto di come era vestita solo qualche istante dopo, e reagì esattamente allo stesso modo. Con la sola differenza che, mentre Elayne era arrossita come un tramonto, Nynaeve si era del tutto incendiata in volto. Fu di nuovo negli abiti dei Fiumi Gemelli prima che Elayne si cambiasse.

Schiarendosi la gola, Elayne disse: «Mat è abbastanza utile. Il sono sicura, ma non possiamo permettergli di ostacolarci. Egwene, sai com’è fatto. Puoi comunque essere certa che se dovessimo fare qualcosa di pericoloso ce ne andremo in giro guancia a guancia con lui suoi soldati.» Nynaeve era rimasta in silenzio e sembrava amareggiata. Forse rammentava la minaccia di Mat.

«Nynaeve, non stai facendo troppa pressione su Mat, vero?»

Elayne rise. «Egwene, non si avvicina nemmeno a lui.»

«È la pura e semplice verità» aggiunse in fretta Nynaeve. «Non gli ho detto nemmeno una parola sbagliata da quando siamo arrivati a Ebou Dar.»

Egwene annuì, dubbiosa. Volendo avrebbe potuto andare in fondo alla questione, ma ci avrebbe messo... guardò in basso per accertarsi che la stola non fosse riapparsa e vide solo un bagliore che non riuscì a riconoscere.

«Egwene,» disse Elayne «sei riuscita a parlare con le camminatrici dei sogni?»

«Sì» rispose lei.

«Sanno qual è il problema?» chiese Nynaeve.

Egwene sospirò. «Non lo sanno, non proprio.»

Era stato uno strano incontro, verificatosi solo pochi giorni prima, iniziato dopo aver trovato i sogni di Bair. Bair e Melaine si erano incontrate con lei nella Pietra di Tear; Amys aveva detto di non voler insegnare altro a Egwene e non era venuta. All’inizio Egwene si sentiva a disagio, non riusciva a dire di essere Aes Sedai, tantomeno Amyrlin, con la paura che potessero sospettare un’altra bugia. A quel punto non aveva avuto difficoltà con la comparsa della stola. Poi c’era il toh nei confronti di Melaine. Ne parlò, pensando tutto il tempo ai chilometri che avrebbe dovuto trascorrere in sella il giorno dopo, ma la Aiel era talmente contenta del fatto che avrebbe avuto due bambine — aveva elogiato le visioni di Min — che non solo annunciò di non aver alcun toh con Egwene, ma che avrebbe chiamato una delle due bambine come lei. Era stato un piccolo piacere in una notte piena di futilità e irritazione.

«Quello che dicono,» proseguì «è che non hanno mai sentito parlare di qualcuno in grado di trovare di nuovo qualcosa per mezzo del bisogno, dopo averlo già trovato. Bair ha supposto che fosse come mangiare la stessa... mela due volte.» Lo stesso motai aveva detto Bair; il motai era una specie di larva che si trovava nel deserto. Dolce e croccante... fino a quando Egwene non aveva scoperto cosa stesse mangiando.

«Intendi dire che non possiamo ritornare in quel magazzino?» Elayne sospirò. «Speravo che stessimo facendo qualcosa di sbagliato. Oh, be’, lo troveremo in ogni caso.» Esitò e l’abito cambiò di nuovo, anche se lei non sembrò prestarvi attenzione. Era sempre nello stile di Andor, ma rosso, con il leone bianco che risaliva le maniche e risaltava sul petto. Il vestito di una regina, anche senza la corona di Rose sui ricci dorati. Un abito da regina ma aderente e con forse una scollatura più profonda di quanto sarebbe stato consono a una regina di Andor. «Hanno detto nulla su Rand?»

«Si trova a Cairhien, nel palazzo del Sole, a quanto pare.» Egwene riuscì a non fare una smorfia. Né Bair né Melaine erano state molto aperte e quest’ultima aveva detto qualcosa di tetro sulle Aes Sedai mentre Bair spiegava che secondo lei avrebbero dovuto essere picchiate a intervalli regolari; qualunque cosa sostenesse Sorilea, delle semplici bastonate sarebbero state sufficienti. Egwene aveva paura che Merana fosse riuscita in qualche modo a fare un passo sbagliato, sbagliatissimo. Se non altro Rand stava eludendo le emissarie di Elaida; lei non riteneva che sapesse gestirle come gli piaceva credere. «Perrin si trova con lui. E la moglie di Perrin! Ha sposato Faile!» La notizia scatenò stupore. Nynaeve disse che Faile era troppo brava per lui, ma parlò sorridendo. Elayne invece sperava che sarebbero stati felici, ma sembrava dubbiosa. «Anche Loial è con loro. E Min. Tutto ciò di cui adesso ha bisogno siamo noi tre.»

Elayne si morse il labbro inferiore. «Egwene, vorresti riferire un messaggio da parte mia per Min a... alle Sapienti? Dille che...» esitò, mordendosi di nuovo il labbro inferiore. «Dille che spero cominci ad apprezzare Aviendha come apprezza me. So che vi sembrerà strano» rise. «È una faccenda privata, fra noi due.» Nynaeve guardò Elayne dubbiosa, e lo stesso fece Egwene.

«Lo farò; però non intendo parlare con loro per un po’.» Non aveva molto senso quando non dicevano nulla su Rand. E quando erano ostili nei confronti delle Aes Sedai.

«Oh, va bene,» rispose in fretta Elayne «non è tanto importante. Be’, se non possiamo usare il bisogno, dovremo usare i piedi e qui a Ebou Dar proprio in questo momento, mi fanno male. Se non ti spiace tornerei nel mio corpo per riposare.»

«Vai avanti» le disse Nynaeve. «Arrivo fra un istante.» Quando Elayne svanì, si rivolse a Egwene. Anche il suo vestito era cambiato ed Egwene pensava di sapere molto bene quale fosse il motivo. Era azzurro chiaro e scollato. Aveva fiori fra i capelli e un nastro nella treccia, come lo si portava durante i matrimoni nei Fiumi Gemelli. Egwene si sentì vicina all’amica. «Hai sentito nulla di Lan?» chiese Nynaeve tranquilla.

«No, Nynaeve, nulla, mi dispiace. Vorrei poterti dire di più. So che è ancora vivo, Nynaeve. E so che ti ama quanto tu ami lui.»

«Certo che è vivo» rispose Nynaeve con fermezza. «Non permetterei nulla di diverso. Voglio che sia mio. È mio e non lo lascerò morire.»

Quando Egwene si svegliò, Siuan era seduta vicino alla sua brandina, appena visibile al buio. «Siamo pronte?» chiese Egwene.

Il bagliore circondò Siuan mentre elevava uno schermo contro le spie. «Delle sei Sorelle del turno che inizia a mezzanotte solo tre hanno i Custodi, e quei Gaidin saranno di guardia fuori. Verrà servito loro del tè alla menta, con una piccola aggiunta che non dovrebbero riconoscere.»

Egwene chiuse gli occhi per un istante. «Sto facendo la cosa giusta?»

«Lo chiedi a me?» disse Siuan. «Ho fatto ciò che mi è stato ordinato, Madre. Se dipendesse da me, preferirei saltare in mezzo a un branco di lucci che mangiano anziché far scappare quell’uomo.»

«Lo domeranno, Siuan.» Egwene aveva esaminato la faccenda con lei, ma aveva bisogno di rifarlo per chiarirsi la mente, per convincersi di non aver commesso un errore. «Nemmeno Sheriam ascolta più Carlinya, e Lelaine e Romanda stanno facendo pressione. Se non agiamo, qualcuna farà ciò che Delana sta suggerendo. Non permetterò che venga ucciso! Se non possiamo offrire un processo a un uomo prima dell’esecuzione, non abbiamo il diritto di organizzare la sua morte. Non permetterò che venga ucciso e non posso lasciare che venga domato. Se Merana ha davvero raddrizzato Rand, sarà come gettare legna sul fuoco. Vorrei solo essere sicura che andrà da Rand per unirsi a lui invece di fuggire la Luce sa dove, facendo la Luce sa cosa. Se non altro in quel modo potrebbe esserci una specie di controllo su di lui.»

«Ho sempre pensato che la stola pesasse come tre grossi uomini» rispose Siuan con calma. «Sono poche le decisioni semplici per un’Amyrlin e meno ancora quelle di cui essere sicura. Fai quanto devi e pagane il prezzo se ti sei sbagliata. A volte dovrai farlo anche se hai ragione.»

Egwene rise sommessamente. «Non mi sembra di averlo sentito prima d’ora.» Dopo un breve periodo, il divertimento cessò. «Accertati che andando via non faccia male a nessuno, Siuan.»

«Ai tuoi ordini, Madre.»

«Ma è terribile» mormorò Nisao. «Se diventasse noto la condanna per te sarà l’esilio, Myrelle. E io ti seguirò. Quattrocento anni fa forse era normale, ma nessuno penserà che lo sia, oggi. Qualcuno lo definirà un crimine.»

Myrelle era contenta che la luce fosse bassa. Nascondeva la sua smorfia. Poteva gestire la guarigione da sola, ma Nisao aveva studiato come trattare le malattie mentali, una cosa che il Potere non poteva toccare. Myrelle non era sicura che fosse da considerare una malattia, ma avrebbe provato di tutto. Nisao poteva dire ciò che voleva; Myrelle sapeva che si sarebbe tagliata una mano anziché rinunciare a quella opportunità di studio.

Poteva sentirlo fuori nella notte mentre si avvicinava. Erano molto lontani dalle tende, ben oltre i soldati, circondati solo da alberi radi. Lo aveva percepito dal momento in cui aveva ricevuto il legame, il crimine di cui parlava Nisao. Il legame di un Custode passato da un’Aes Sedai a un’altra senza il suo consenso. Nisao aveva ragione su un punto; dovevano mantenere il segreto fino a quando fosse stato possibile. Myrelle percepiva le ferite dell’uomo, qualcuna quasi guarita e altre fresche. Molte con brutte infezioni. Non sarebbe andato via alla ricerca della battaglia. Doveva tornare da lei, con la stessa certezza con cui un masso che rotola da una montagna deve raggiungere il fondo. Ma non avrebbe fatto un passo per evitare la battaglia. Myrelle aveva percepito il viaggio in lontananza, immerso nel sangue; il suo. Attraverso Cairhien, Andor, il Murandy e l’Altara, attraverso terre infestate da ribelli e banditi, fautori del Drago e altra gentaglia, concentrato su di lei come una freccia puntata contro un bersaglio, aprendosi il varco attraverso uomini armati che si opponevano. Fece mente locale sulle ferite dell’uomo e si chiese come facesse a essere ancora vivo.

Sentì per prima il rumore degli zoccoli di un cavallo al passo e solo in un secondo momento vide lo stallone nero da combattimento nella notte. Il cavaliere sembrava la tenebra in persona. Aveva addosso il suo mantello. Il cavallo si fermò a cinquanta passi di distanza.

«Non avresti dovuto inviare Nuhel e Croi a cercarmi» disse il cavaliere invisibile con la voce rauca. «Li ho quasi uccisi prima di riconoscerli. Avar, puoi uscire da dietro quell’albero.» A destra, la notte sembrò muoversi. Anche Avar aveva addosso il mantello e non si era aspettato di essere notato.

«Questa è una follia» mormorò Nisao.

«Fai silenzio» sibilò Myrelle. A voce più alta disse: «Vieni da me.» Il cavallo non si mosse. Un cane da caccia che soffriva per la morte della sua proprietaria non andava di sua spontanea volontà dalla nuova padrona. Myrelle lavorò con delicatezza dei flussi di Spirito e toccò quella parte in lui che racchiudeva il legame; doveva essere delicata o lui se ne sarebbe accorto, e a quel punto solo il Creatore sapeva che tipo di esplosione ne sarebbe scaturita. «Vieni da me.»

Stavolta il cavallo si fece avanti e l’uomo smontò per fare a piedi gli ultimi passi, un individuo alto, il cui volto duro alla luce della luna sembrava scolpito nella roccia. Adesso era in piedi davanti a lei, torreggiante, e la donna fissava gli occhi freddi e azzurri di Lan Mandragoran e vedeva la morte. Che la Luce l’aiutasse. Come avrebbe fatto a tenerlo in vita?

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