7 Una partenza

Sbadigliando nel grigiore del primo mattino, Egwene montò sulla giumenta grigia e manovrò le redini con destrezza poiché Nebbia era nervosa. Il cavallo non era stato montato per settimane. Gli Aiel preferivano usare le proprie gambe, evitando quasi completamente di cavalcare, anche se usavano cavalli e muli da soma. Pure se avessero avuto abbastanza legna per costruire dei carri, il terreno del deserto non era congeniale alle ruote, come più di un ambulante aveva imparato a sue spese.

Egwene non era entusiasta del lungo viaggio verso ovest che l’aspettava. In questo momento le montagne nascondevano il sole, ma il calore sarebbe aumentato in un’ora una volta che avessero iniziato a risalirle e non ci sarebbe stata alcuna tenda nella quale infilarsi per la notte. Non era nemmeno sicura che gli indumenti aiel fossero indicati per cavalcare. Lo scialle, che portava sopra al capo, riusciva sorprendentemente bene a tenere lontano il sole, ma quella gonna ingombrante le lasciava scoperte le gambe fino alle cosce se non faceva attenzione. Si preoccupava delle vesciche oltre che della vergogna. Il sole da un lato, e... un mese senza andare a cavallo non poteva averla rammollita a quel punto. Sperava che così non fosse, o questo sarebbe stato un viaggio davvero molto lungo.

Calmata Nebbia. Egwene si accorse che Amys la stava guardando e condivise un sorriso con la Sapiente. Tutto quel correre la notte precedente non era il motivo per cui era assonnata, al contrario l’aveva aiutata a dormire più profondamente. Era riuscita a trovare i sogni dell’altra donna e per celebrare nel sogno aveva bevuto del tè, nella fortezza di Rocce Fredde, in una serata in cui i bambini giocavano sulle terrazze seminate e una brezza piacevole soffiava nella valle al tramonto.

Naturalmente non era stato abbastanza da toglierle il riposo, ma era così contenta che quando aveva lasciato il sogno di Amys non si era fermata. Non poteva, non in quel momento, non importa cosa avrebbe detto Amys. C’erano sogni ovunque, anche se non ne riconosceva la maggior parte. Non tutti però. Melaine sognava di allattare un bambino al petto, Bair uno dei suoi defunti mariti, entrambi erano giovani e biondi. Aveva fatto molta attenzione a non accedervi. Le Sapienti avrebbero identificato un’intrusa in un istante e tremava al pensiero di cosa le avrebbero fatto prima di lasciarla andare.

I sogni di Rand erano una sfida, di quelle che non poteva fallire. Adesso che poteva saltare di sogno in sogno, come non tentare dove le Sapienti avevano fallito? Solo provarci era stato come correre a testa bassa contro un muro invisibile di pietra. Sapeva che i sogni di Rand erano dall’altro lato ed era sicura che sarebbe stata in grado di trovare un passaggio, ma non c’era nulla su cui lavorare e nessuna possibilità di spiare. Un muro di nulla. Intendeva occuparsene fino a quando non ci fosse riuscita. Quando si metteva in testa qualcosa, poteva essere cocciuta come un tasso.

Tutto intorno a lei i gai’shain si davano da fare, sistemando le tende da campo delle Sapienti sui muli. In breve solo un Aiel o qualcuno bravo a decifrare le tracce avrebbe potuto dire che in quel luogo erano state montate delle tende. La stessa attività si svolgeva sui pendii della montagna e il baccano si estendeva anche alla città. Non tutti sarebbero partiti, ma certamente alcune migliaia. Gli Aiel si ammassavano per le strade e la carovana di mastro Kadere si snodava attraverso la grande piazza, carica dei reperti di Moiraine; le tre cisterne per l’acqua dipinte di bianco si trovavano in fondo alla fila, simili a grossi barili su ruote dietro a un tiro di venti muli. Il carro di Kadere in testa alla colonna somigliava a una piccola casa bianca su ruote, con degli scalini sul retro e il tubo di metallo di una stufa che emergeva dal tetto piatto. Il grosso mercante dal naso aquilino, oggi vestito interamente di seta color avorio, si tolse il cappello rovinato mentre lei gli passava vicino a cavallo, i grandi occhi a mandorla non condividevano l’ampio sorriso che le aveva rivolto.

Egwene lo ignorò con freddezza. I suoi sogni erano stati decisamente tetri e sgradevoli, quando non dissoluti. Meriterebbe che gli affondassi la testa in un barile di infuso di spino blu, pensò cupa.

Avvicinandosi al tetto delle fanciulle, si aprì un varco fra gai’shain indaffarati e muli che attendevano pazientemente. Con sua sorpresa una di quelle che stavano caricando gli oggetti delle Fanciulle era vestita di nero invece che di bianco. Doveva essere una donna a giudicare dalla statura e dalla fatica che faceva per sistemare quel carico. Inchinandosi mentre guidava Nebbia per guardare sotto al cappuccio della donna, Egwene vide il viso smunto di Isendre, con il sudore che già le colava sulle guance. Era contenta che le fanciulle avessero smesso di farla andare in giro nuda, ma sembrava inutilmente crudele farla vestire di nero. Se già sudava così tanto adesso, sarebbe quasi morta con l’aumento del caldo.

Comunque gli affari delle Far Dareis Mai non la riguardavano. Aviendha glielo aveva detto, gentilmente ma con fermezza. Adelin ed Enaila erano state quasi maleducate a riguardo, e la magra Fanciulla dai capelli bianchi di nome Sulin l’aveva minacciata di riportarla dalle Sapienti trascinandola per un orecchio. Malgrado i suoi sforzi perché Aviendha non la chiamasse Aes Sedai, era stato irritante scoprire che, dopo un periodo di incertezza, il resto delle Fanciulle si erano convinte che fosse solo un’alunna delle Sapienti. Non la lasciavano andare nemmeno oltre la porta del tetto delle Fanciulle a meno che non stesse facendo una commissione.

La velocità con cui passava fra la folla di Far Dareis Mai non aveva nulla a che vedere con l’accettazione della loro giustizia, o la scomoda consapevolezza che alcune delle Fanciulle la guardavano, senza dubbio pronte a darle una lezione se provava a interferire. Aveva anche poco a che fare con il disgusto nei confronti di Isendre. Non voleva pensare a quello che aveva visto nei sogni della donna, proprio poco prima che Cowinde la svegliasse. Erano stati incubi di torture, di immagini che avevano messo in fuga Egwene in preda all’orrore, e con qualcosa di oscuro e malvagio che rideva mentre la guardava fuggire. Non c’era da meravigliarsi se Isendre sembrava sfinita. Egwene si era svegliata così di soprassalto che Cowinde aveva fatto un salto indietro mentre le stava appoggiando una mano sulla spalla Rand era in strada davanti al tetto delle Fanciulle, indossava uno shoufa per proteggersi dal sole e una giubba di seta azzurra così riccamente intessuta d’oro da essere adatta a una corte, anche se parzialmente aperta. Sulla cintura aveva una nuova fibbia, un oggetto elaborato a forma di Drago. Stava davvero incominciando a darsi delle arie. In piedi di fianco a Jeade’en, lo stallone pezzato, parlava con i capi clan e alcuni dei commercianti aiel che sarebbero rimasti nel Rhuidean.

Jasin Natael gli era quasi alle calcagna, con l’arpa dietro le spalle mentre teneva le redini di un mulo sellato comprato da mastro Kadere; era vestito in maniera ancor più elaborata, con dei ricami d’argento che ricoprivano quasi completamente la giubba nera e una cascata di merletti bianchi che spuntavano dal colletto e i polsini. Anche gli stivali erano lavorati in argento sui risvolti. Il manto da menestrello con le pezze colorate rovinava tutto, ma i menestrelli erano gente strana.

I commercianti aiel indossavano il cadin’sor e, anche se i pugnali che avevano alla cintura erano più piccoli di quelli dei guerrieri, Egwene sapeva che erano tutti in grado di maneggiare una lancia in caso di bisogno. Avevano qualcosa della grazia mortale dei fratelli che portavano le lance. Le donne commercianti aiel, che invece indossavano larghe bluse di algode e gonne di lana, scialle sul capo e fasce per trattenere i capelli, erano più facilmente riconoscibili. A esclusione delle Fanciulle e le gai’shain — e Aviendha — le donne aiel portavano numerosi braccialetti e collane di avorio e oro, argento e pietre preziose, alcune di fattura aiel, altre barattate e alcune saccheggiate. Fra i commercianti aiel le donne ne indossavano il doppio, se non di più.

Sentì parte di quanto Rand stava dicendo ai commercianti.

«...lasciate carta bianca ai costruttori ogier sugli edifici che avevano costruito i loro avi. Anche su quanto potreste fare da soli. Non ha senso cercare di ricostruire il passato.»

Per cui li stava mandando agli stedding per chiedere agli Ogier di ricostruire il Rhuidean. Era una bella cosa. Gran parte di Tar Valon era opera degli Ogier e, quando erano stati lasciati liberi, i loro edifici toglievano il fiato.

Mat era già in groppa al castrone, Pips, con il cappello a falde larghe ben calzato e il fondo di quella strana lancia appoggiato sulla staffa. Come al solito sembrava che avesse dormito con la giubba addosso, oggi verde a collo alto; Egwene aveva evitato i suoi sogni. Una delle Fanciulle, una donna bionda molto alta aveva rivolto a Mat un sorriso malizioso che sembrava imbarazzarlo. E faceva bene. La donna era troppo grande per lui. Egwene tirò su con il naso. So molto bene cosa stava sognando Mat, grazie! Si avvicinò a lui solo per cercare Aviendha.

«Le ha detto di fare silenzio e lei ha obbedito» disse Mat mentre Egwene faceva fermare Nebbia. Accennò con la testa a Moiraine e Lan, la prima con un abito di seta azzurro chiaro che stringeva le redini della giumenta bianca e Lan con il mantello cangiante dei Custodi, che tratteneva il grande cavallo da guerra. Lan guardava Moiraine con attenzione, come sempre privo di espressione, mentre lei sembrava pronta a esplodere dall’impazienza mentre osservava torva Rand. «Ha iniziato a spiegargli perché questa è la cosa sbagliata da fare — a me è sembrato fosse la centesima volta che lo ripeteva — e lui le ha detto: ‘Ho deciso, Moiraine. Mettiti da parte e stai tranquilla finché avrò tempo per te’. Come se si aspettasse che facesse quanto le stava chiedendo. E lei lo ha fatto. È fumo quello che le esce dalle orecchie?»

La risata di Mat era così compiaciuta, così divertita per la propria battuta, che Egwene quasi abbracciò saidar per impartirgli una lezione in quel momento, davanti a tutti. Al contrario tirò di nuovo su con il naso, abbastanza forte da fargli capire che era rivolto a lui, al suo spirito e al suo modo di divertirsi. Mat la guardò di traverso e rise nuovamente, senza cercare affatto di calmarla.

Per un momento la ragazza fissò Moiraine perplessa. L’Aes Sedai aveva fatto quello che Rand le aveva detto? Senza protestare? Era come vedere una delle Sapienti obbedire o il sole sorgere a mezzanotte. Egwene aveva sentito dell’attacco, le voci su dei cani giganti che lasciavano le impronte nella roccia erano andate in giro per tutta la mattina. Non riusciva a comprendere cosa avesse a che vedere con tutto questo, ma oltre la notizia degli Shaido era la sola novità di cui fosse al corrente, non abbastanza per scatenare questa reazione. Niente avrebbe potuto innescarla, almeno non le veniva in mente niente. Senza dubbio Moiraine le avrebbe detto che non erano affari suoi, ma in un modo o nell’altro se ne sarebbe occupata. Non le piaceva non capire le cose.

Vedendo Aviendha in piedi sull’ultimo gradino del tetto delle Fanciulle, diresse Nebbia dall’altro lato della folla, vicino a Rand. La donna aiel lo stava fissando duramente come la Aes Sedai, ma del tutto priva di espressione. Continuava a far girare il bracciale d’avorio attorno al polso, apparentemente senza rendersene conto. In un modo o nell’altro quel bracciale rientrava nelle difficoltà che la donna stava avendo con lui. Egwene non capiva. Aviendha si rifiutava di parlarne e lei non poteva chiedere a qualcun’altra, senza il rischio di imbarazzare l’amica. Il braccialetto che portava lei, con delle fiamme incise sull’avorio, era un regalo di Aviendha, per sigillare il patto di sorelle prossime. Il suo regalo per ricambiare era la collana d’argento che l’altra donna indossava, mastro Kadere sosteneva fosse un motivo di Kandor chiamato ‘fiocchi di neve’. Aveva dovuto chiedere i soldi a Moiraine, ma sembrava un oggetto indicato per una donna che non aveva mai visto la neve. O non l’avrebbe vista se non avesse lasciato il deserto. C’erano poche possibilità che avrebbe fatto ritorno prima dell’inverno. Qualsiasi cosa significasse il bracciale, Egwene era sicura che prima o poi avrebbe capito.

«Stai bene?» le chiese. Mentre si inchinava per sporgersi dalla sella la gonna salì mettendole in mostra le gambe, ma era troppo preoccupata per l’amica per notarlo.

Dovette ripetere la domanda prima che Aviendha sobbalzasse e la fissasse. «Bene? Certo che sto bene.»

«Lasciami parlare con le Sapienti, Aviendha. Sono sicura di riuscire a convincerle che non possono semplicemente farti...» Non era il caso di dirlo, non qui dove tutti potevano sentire.

«Quello continua a preoccuparti?» Aviendha sistemò lo scialle grigio e scosse il capo. «Le vostre usanze sono ancora molto strane per me.» Gli occhi di Aviendha tornarono su Rand come un pezzo di ferro attirato da una calamita.

«Non devi avere paura di lui.»

«Non ho paura di nessun uomo» scattò l’altra donna, con gli occhi che lampeggiavano come fuoco verde azzurro. «Non voglio problemi fra noi, Egwene, ma non dovresti dire certe cose.»

Egwene sospirò. Amica o no, Aviendha era in grado di tirarla per le orecchie se si fosse ritenuta offesa. In ogni caso non era sicura che lo avrebbe ammesso. Il sogno di Aviendha era stato troppo doloroso per osservarlo a lungo. Nuda con solo quel braccialetto di avorio che sembrava trascinarla in basso come se pesasse cento chili. Stava correndo al limite delle forze sull’argilla screpolata. Alle sue spalle c’era Rand, un gigante grosso come due Ogier in groppa a un enorme Jeade’en, lentamente ma inesorabilmente.

Certo non potevi dire a un’amica che ti stava mentendo. Il viso di Egwene arrossì un poco. Specie se dovevi confessare di sapere. Allora sì che mi tirerebbe per le orecchie. Non lo farò di nuovo. Andarmene in giro per i sogni altrui, si disse. Comunque non in quelli di Aviendha. Non era corretto spiare i sogni di un’amica. Non che si trattasse esattamente di spiare, però... La folla attorno a Rand incominciava a disperdersi. Salì a cavallo facilmente, subito imitato da Natael. Una delle commercianti, una donna dal viso ampio e i capelli rosso fiamma con indosso una piccola fortuna in oro e avorio, gemme e pietre preziose, esitò. «Car’a’carn, intendi lasciare la terra delle Tre Piegature per sempre? Hai parlato come se non dovessi mai fare ritorno.»

Gli altri si fermarono nel sentire quella domanda e si voltarono indietro. Il silenzio si spandeva in mezzo al suono dei mormorii crescenti che diffondevano la domanda.

Per un po’ anche Rand rimase in silenzio, mentre guardava i volti che lo fissavano. Alla fine rispose: «Spero di tornare, ma chi può dire cosa accadrà? La Ruota tesse come vuole.» Esitò, mentre tutti gli occhi si erano puntati su di lui. «Ma vi lascerò qualcosa per ricordarvi di me» aggiunse, infilandosi una mano in tasca.

Di colpo una fontana vicina al tetto delle Fanciulle si animò, con l’acqua che sgorgava dalle bocche di strani delfini dritti sulle code. Oltre a quella, la statua di un giovane con in mano un corno rivolto al cielo improvvisamente iniziò a spruzzare acqua a ventaglio e le due donne di pietra più lontano rilasciarono zampilli di acqua dalle mani. Gli Aiel guardavano stupiti e immobili mentre le fontane del Rhuidean riprendevano vita.

«Avrei dovuto farlo da molto tempo.» Il borbottio di Rand senza dubbio era rivolto a se stesso, ma nel silenzio Egwene lo aveva sentito con chiarezza. Il rumore dell’acqua di centinaia di fontane era l’unico suono. Natael si strinse nelle spalle come se non si fosse aspettato di meno.

Egwene stava fissando Rand, non le fontane. Un uomo che poteva incanalare. Rand. È ancora Rand, malgrado tutto, si disse. Ma ogni volta che lo vedeva usare il Potere era come scoprire in quel momento che poteva. Crescendo le era stato insegnato che solo il Tenebroso doveva essere temuto più di un uomo che può incanalare. Forse Aviendha ha ragione ad averne paura, pensò.

Ma quando la guardò, sul viso traspariva meraviglia. Una così abbondante quantità d’acqua deliziava la donna aiel come un vestito di seta avrebbe potuto fare con Egwene, o un giardino pieno di fiori. «È tempo di metterci in marcia» annunciò Rand, dirigendo il pezzato verso ovest. «Chiunque non è ancora pronto dovrà raggiungerci.» Natael lo seguì immediatamente in groppa al mulo. Perché Rand lasciava che un tale leccapiedi gli stesse così vicino?

I capi clan incominciarono a passarsi gli ordini e il trambusto aumentò parecchio. Le Fanciulle e i Cercatori d’Acqua scattarono avanti, altre Far Dareis Mai si strinsero attorno a Rand come guardie d’onore, includendo per sbaglio anche Natael. Aviendha camminava di fianco a Jeade’en, proprio vicino alla staffa di Rand, eguagliando facilmente il passo del cavallo, anche con l’ingombrante gonna.

Ritrovandosi accanto a Mat, dietro Rand e la sua scorta, Egwene aggrottò le sopracciglia. Sul viso dell’amica c’era di nuovo quella torva determinazione, come se avesse dovuto infilare la mano nel nido di una vipera. Devo fare qualcosa per aiutarla, si disse. Egwene non si arrendeva davanti a un problema una volta che lo aveva fatto suo.

Sistemandosi in sella Moiraine carezzò il collo arcuato di Aldieb con una mano guantata, ma non seguì subito Rand. Hadnan Kadere stava portando i carri sulla strada, guidando lui in persona il veicolo in testa alla carovana. Avrebbe dovuto convincerlo a rimuovere la copertura di quel carro per poter trasportare oggetti alti, come aveva fatto fare agli altri; l’uomo aveva paura di lei, delle Aes Sedai, tanto da obbedire. La soglia ter’angreal era saldamente fissata al carro che seguiva Kadere, coperta da una tela ben tesa affinché nessuno potesse di nuovo cadervi attraverso per sbaglio. Due lunghe file di Aiel — Seia Doon, Occhi Neri — procedevano da entrambi i lati.

Kadere le rivolse un inchino sollevando il cappello, ma lo sguardo di Moiraine si mosse lungo la fila di carri, fino alla grande piazza che circondava la foresta di sottili colonne di vetro che già brillavano alla luce del mattino. Se avesse potuto avrebbe preso tutto quello che c’era lì, piuttosto che questa piccola porzione che entrava nei carri. Alcuni oggetti erano troppo grandi. Come i tre anelli di metallo opaco, ognuno più largo di due passi, in piedi su un lato e uniti al centro. Una corda di cuoio intrecciato era stata fatta passare attraverso di essi, per evitare che qualcuno vi entrasse senza il permesso delle Sapienti. Non che qualcuno ci avrebbe provato, naturalmente. Solo i capi clan e le Sapienti si avvicinavano a quella piazza sentendosi a loro agio, solo le Sapienti toccavano qualcosa, con una certa reticenza.

Per innumerevoli anni la seconda prova che doveva affrontare una donna aiel che voleva diventare Sapiente era stata avventurarsi fra le colonne di vetro, vedendo esattamente le stesse cose degli uomini. Le donne sopravvivevano in numero superiore a loro, secondo Bair perché erano più forti; Amys invece pensava che quelle troppo deboli e quindi non in grado di sopravvivere venivano eliminate prima di raggiungere quel punto, ma non era una certezza. Coloro che non sopravvivevano non venivano marchiate. Le Sapienti dicevano che solo gli uomini avevano bisogno di segni visibili, per una donna era sufficiente essere viva.

La prima prova, precedente anche l’addestramento, era passare attraverso uno di questi tre anelli. Quale non importava, o forse la scelta era dettata dal destino. Quel passaggio ti avrebbe riportata attraverso la tua vita innumerevoli volte, rivelato il futuro, o i possibili futuri a seconda della decisione che avresti preso durante il resto dell’esistenza. La morte era una possibilità. Alcune donne non potevano affrontare il futuro come altri non sopportavano il passato. Tutti i possibili futuri erano troppi per essere compresi dalla mente umana. Diventavano un unico ricordo e poi svanivano, ma una donna acquistava il senso di quanto le sarebbe accaduto, quel che doveva accadere, o che avrebbe potuto accadere. Di solito quel momento era celato fino a quando non le si manifestava. Non sempre però. Moiraine era passata attraverso gli anelli.

Un cucchiaio di speranza e una tazza di disperazione, pensò.

«Non mi piace vederti così» le disse Lan. Ingroppa a Mandarb e data la sua altezza, la guardava dall’alto in basso, l’inquietudine gli creava delle rughe agli angoli degli occhi. Quasi l’equivalente delle lacrime di frustrazione per qualsiasi altro uomo.

Gli Aiel procedevano ai loro fianchi insieme ai gai’shain con gli animali da soma. Moiraine si stupì nel constatare che le cisterne di Kadere erano già passate. Non si era resa conto di aver fissato la piazza tanto a lungo.

«Così come?» chiese la donna, facendo voltare la giumenta per unirsi al gruppo. Rand e la sua scorta erano già fuori dalla città.

«Preoccupata» le rispose schietto, sempre privo di espressione sul viso duro. «Spaventata. Non ti ho mai vista spaventata, nemmeno quando eravamo travolti dai Trolloc e i Myrddraal o quando hai scoperto che i Reietti erano liberi e Sammael era seduto quasi sulle nostre teste. Sta forse giungendo la fine?»

La donna sobbalzò desiderando immediatamente di non averlo fatto. Lo sguardo di Lan era fisso davanti a sé, ma non si lasciava sfuggire mai nulla. A volte Moiraine pensava potesse vedere una foglia che cadeva alle sue spalle. «Ti riferisci a Tarmon Gai’don? Un pettirosso a Seleisin lo saprebbe bene quanto me. Che la Luce voglia che non sia ancora, finché i sigilli sono integri.» La coppia in suo possesso era su uno dei carri di Kadere, ogni pezzo imballato da solo in una cassetta piena di lana. Un carro diverso da quello della soglia di granito, se ne era assicurata.

«A cos’altro potrei riferirmi?» le chiese lentamente, sempre senza guardarla e facendole desiderare di essersi morsa la lingua. «Sei diventata... impaziente. Mi ricordo momenti in cui potevi aspettare per settimane prima di ricevere una piccola informazione, una parola, senza muovere un dito. Adesso invece...» A questo punto la guardò, con quegli occhi azzurri che avrebbero intimidito la maggior parte delle donne. Anche molti uomini. «Il giuramento che hai fatto al ragazzo, Moiraine. Cosa ti possedeva, per la Luce?»

«Si è costantemente allontanato da me, Lan, e invece io devo essergli vicina. Ha bisogno di qualsiasi guida possa offrirgli e farò di tutto tranne che andare a letto con lui, per accertarmi che la riceva.» Gli anelli le avevano detto che quello sarebbe stato un disastro. Non che lo avesse mai preso in considerazione — la sola idea la turbava! — ma negli anelli si era presentato come qualcosa che avrebbe potuto o voluto considerare in futuro. Era il metro della crescente disperazione, senza dubbio, e in essi aveva visto che avrebbe portato la rovina su tutto. Desiderava ricordarsi in che modo — in tutto quello che scopriva c’erano delle chiavi di lettura per Rand al’Thor — ma le era rimasta in mente solo la sensazione di calamità.

«Forse ti aiuterà a diventare più umile, se ti chiede di portargli le pantofole e accendergli la pipa.»

Moiraine lo fissò. Che fosse stata una battuta? Se lo era, non era divertente. Non aveva mai creduto che l’umiltà servisse in qualsiasi situazione. Siuan sosteneva che essere cresciuta nel palazzo del Sole a Cairhien le aveva piantato profondamente l’arroganza nelle ossa, dove non riusciva nemmeno a vederla — uh fatto che Moiraine negava fermamente — ma Siuan era la figlia di un pescatore di Tairen e non poteva essere eguagliata da nessuna regina, per lei arroganza significava opporsi ai suoi piani.

Se Lan stava cercando di fare delle battute, per quanto appena accennate e fuori luogo, stava cambiando. L’aveva seguita per quasi vent’anni e le aveva salvato la vita più volte di quante volesse contarne, spesso mettendo a repentaglio la propria. Lan aveva sempre considerato la sua esistenza una piccola cosa, utile solo per i bisogni di Moiraine. Alcuni sostenevano che corteggiasse la morte come uno sposo corteggiava la sposa. La donna non aveva mai avuto il suo cuore e non era mai stata gelosa delle altre che gli si gettavano ai piedi. Lan da tempo aveva dichiarato di non avere un cuore. Ma l’anno precedente lo aveva trovato, quando una donna lo aveva legato a un laccio che portava al collo.

Naturalmente Lan lo negava. Non l’amore per Nynaeve al’Meara, una volta Sapiente nei Fiumi Gemelli e adesso Ammessa alla Torre Bianca, ma che un giorno l’avrebbe avuta. Sosteneva di avere due cose, una spada che non si sarebbe spezzata e una guerra che non poteva finire. Non le avrebbe offerte in dono a una moglie. Almeno di quello Moiraine si era presa cura, anche se Lan non lo avrebbe saputo fino al compimento.

Altrimenti avrebbe cercato di cambiare i fatti, da uomo ostinato e sciocco com’era.

«Questa terra arida sembra aver ristretto la tua di umiltà, al’Lan Mandragoran. Dovrò trovare dell’acqua per farla crescere di nuovo.»

«La mia umiltà è affilata come la lama di un rasoio» ribatté seccamente.

«Non le permetto mai di perdere il filo.» Bagnando una sciarpa bianca con la borraccia, la passò alla donna, la quale se la legò attorno alle tempie senza commentare. Il sole incominciava a sorgere oltre le montagne alle loro spalle, un disco infuocato di oro fuso.

La fitta colonna si snodò lungo il fianco spoglio del Chaendaer, la coda ancora nel Rhuidean quando la testa aveva superato il pendio, quindi discese nella valle collinosa cosparsa di guglie di roccia e massi piatti, alcuni con delle striature rosse o ocra attraverso il grigio o marrone. L’aria era così limpida che Moiraine poteva vedere per chilometri, anche dopo aver disceso il Chaendaer. Scorse dei grandi archi naturali di pietra e montagne frastagliate contro il cielo in ogni direzione. Delle gole asciutte e delle conche spaccavano una terra punteggiata da scarsi e bassi cespugli spinosi o piante grasse piene di aculei. I rari alberi, bassi e contorti, avevano anche loro spine e aculei. Il sole ne faceva un forno. Una terra dura che aveva modellato un popolo duro. Ma Lan non era il solo che stava cambiando, o che veniva cambiato. Moiraine voleva vedere cosa Rand avrebbe fatto degli Aiel alla fine. Davanti a tutti loro c’era un lungo viaggio.

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