18 Un segugio dell’oscurità

Liandrin guidò il cavallo fra le strade affollate di Amador, il ghigno sulle labbra era nascosto dal cappellino a falde larghe. Con sua grande rabbia, aveva dovuto rinunciare alla moltitudine di treccine, e detestava la moda ridicola di quella terra altrettanto ridicola. Il cappello rosso e giallo e l’abito da cavallo le piacevano abbastanza, ma non gli enormi fiocchi di velluto su entrambi. Comunque il cappello le nascondeva gli occhi marroni e i capelli biondo miele che l’avrebbero identificata all’istante come originaria di Tarabon, condizione non ideale nell’Amadicia in quel momento; e nascondeva anche qualcosa di più pericoloso: un viso da Aes Sedai. Ben nascosta poteva ridere furbescamente dei Manti Bianchi, circa uno ogni cinquanta uomini, che vedeva in strada. Non che gli altri cinquanta soldati andassero meglio. A nessuno di loro veniva in mente di sbirciare sotto al suo cappello. Le Aes Sedai qui erano fuori legge e questo significava che non ce ne era nessuna.

Pur essendo quella la situazione si sentì un po’ meglio quando oltrepassò l’elaborato cancello di ferro davanti alla casa di Jorin Arene. Era stato un altro viaggio inutile alla ricerca di notizie dalla Torre Bianca. Non ne era giunta nessuna fin da quando aveva scoperto che Elaida credeva di avere il controllo della Torre e che quella Sanche era stata eliminata. Siuan in realtà era scappata, ma adesso era ridotta a uno straccio inutile. I giardini dietro il recinto di pietra grigia erano pieni di piante che stavano diventando secche per la mancanza di acqua, tutte potate a forma di cubi e sfere e una a foggia di cavallo che spiccava un salto. Solo uno naturalmente. I mercanti come Arene imitavano i migliori, ma non osavano spingersi troppo oltre perché la gente non li giudicasse presuntuosi. Balconi lavorati decoravano la grande casa di legno con il tetto di tegole rosse, vi era anche una corte con colonne intagliate; ma, a differenza dell’abitazione del lord che voleva imitare, sorgeva su fondamenta di pietra non più alte di tre metri. Una riproduzione infantile della residenza di un nobile.

L’uomo longilineo dai capelli grigi, che si fece avanti con deferenza per tenere ferma la staffa mentre smontava da cavallo e prendere le redini, era vestito di nero. Qualsiasi colore un mercante avesse scelto per la livrea degli inservienti, sarebbe stato quello di qualche signore e anche se di una casata minore poteva creare problemi ai commercianti più ricchi. La gente comune riconosceva il nero come la livrea degli inservienti dei mercanti e lo faceva con disprezzo. Liandrin detestava la divisa nera dell’uomo quanto la casa di Arene e lo stesso Arene. Un giorno lei avrebbe posseduto una vera residenza. Dei palazzi. Le erano stati promessi, come anche il potere che sarebbe venuto con essi.

Sfilandosi i guanti da cavallo salì la ridicola rampa che si inerpicava sulle fondamenta fino alle porte centrali decorate con dei viticci. Nelle fortezze dei lord c’erano scalinate, per cui anche i mercanti con un’alta opinione di sé dovevano averle. Una ragazza vestita di nero le prese i guanti e il cappello non appena fu entrata nell’ingresso rotondo dalle molte porte e colonne intagliate e dipinte con colori brillanti. Il soffitto era decorato a imitazione di un mosaico, stelle racchiuse in altre stelle nere e oro. «Voglio che il mio bagno sia pronto in un’ora» disse alla donna. «Stavolta spero che sia della temperatura giusta, vero?» La cameriera impallidì mentre le faceva la riverenza, balbettando che lo sarebbe stato mentre correva via.

Amellia Arene, la moglie di Jorin, immersa in profonda conversazione con un grasso uomo calvo con indosso un grembiule bianco immacolato, uscì da una delle porte. Liandrin respirò sprezzante. La donna aveva delle pretese, eppure non solo non si limitava a parlare con il cuoco ma lo portava fuori dalla cucina per discutere i pasti. Trattava gli inservienti come fossero... amici!

Il grasso Evon la vide per primo e sussultò, gli occhi porcini sfrecciarono immediatamente altrove. Non le piaceva che gli uomini la guardassero e lo aveva redarguito duramente il primo giorno di permanenza su come il suo sguardo a volte si soffermasse con troppa insistenza. Quello aveva cercato di negare, ma Liandrin conosceva le sporche abitudini degli uomini. Senza aspettare di essere congedato dalla sua padrona, Evon corse indietro da dove era venuto.

La moglie del mercante dai capelli grigi aveva mantenuto un’espressione severa all’arrivo di Liandrin e le altre. Adesso si umettava le labbra e lisciava inutilmente il vestito di seta verde coperto di fiocchi. «C’è qualcun altro di sopra, mia signora» disse con diffidenza. Quel primo giorno aveva pensato di usare il nome di Liandrin. «Nella sala anteriore. Credo da Tar Valon.»

Chiedendosi chi potesse essere, Liandrin si incamminò verso le più vicine scale. Conosceva poche delle altre Sorelle dell’Ajah Nera, per sicurezza. Quello che gli altri non sapevano, non potevano rivelarlo. Quando si trovava ancora alla Torre, le era nota l’identità di una sola delle dodici che erano fuggite con lei. Due poi erano morte e sapeva chi incolpare. Egwene al’Vere, Nynaeve al’Meara ed Elayne Trakand. A Tanchico tutto era andato così male che le veniva da pensare che quelle tre Ammesse si fossero trovate sul posto; ma erano delle sciocche che avevano camminato due volte nelle trappole che aveva teso. Che fossero anche riuscite a scappare in entrambi i casi non era importante. Se fossero state a Tanchico sarebbero finite fra le sue mani, qualsiasi cosa Jeaine sostenesse di aver visto. Quando le avrebbe incontrate di nuovo, non le sarebbero più sfuggite. L’avrebbe fatta finita con loro indipendentemente dagli ordini ricevuti.

«Mia signora» aggiunse balbettando Amellia. «Mio marito, mia signora. Jorin. Per favore, qualcuna di voi potrebbe aiutarlo? Non intendeva farlo, mia signora. Ha imparato la lezione.»

Liandrin si fermò con una mano sulla balaustra intagliata guardandosi dietro alle spalle. «Non avrebbe dovuto pensare che i giuramenti prestati al Sommo Signore potessero essere dimenticati quando fa comodo, ti pare?»

«Ha imparato la lezione, mia signora, ti prego. Sta sotto le coperte tutto il giorno, con questo caldo, in preda ai brividi. Piange ogni volta che qualcuno lo tocca o parla in un sussurro.»

Liandrin si soffermò come se stesse prendendo la cosa in considerazione, quindi annuì con cortesia. «Chiederò a Chesmal di vedere cosa può fare. Ma capisci bene che non prometto nulla.» I ringraziamenti indecisi della donna la seguirono su per le scale, ma non vi prestò attenzione. Temaile si era lasciata prendere la mano. Prima di convertirsi alla Nera apparteneva all’Ajah Grigia e per lei era una questione di principio diffondere il dolore equamente anche quando mediava. Era stata una mediatrice di successo perché le piaceva distribuire il dolore. Chesmal sosteneva che l’uomo sarebbe stato in grado di fare piccole commissioni per qualche mese, se nessuno lo avesse trattato duramente o avesse alzato la voce. Era stata una delle migliori guaritrici fra le Gialle, per cui doveva ben saperlo.

Entrando nella sala anteriore, rimase stupita. Nove delle dieci Sorelle Nere che erano venute con lei stavano in piedi attorno alla stanza appoggiate contro dei pannelli intagliati e dipinti, anche se c’erano abbastanza sedie con cuscini di seta sul tappeto dalle frange dorate. La decima, Temaile Kinderode, stava porgendo una delicata tazza di porcellana a una donna seduta dai capelli scuri, decisamente bella, con indosso un abito color bronzo di taglio a lei sconosciuto. Le sue fattezze sembravano vagamente familiari, anche se non era un’Aes Sedai. Era palesemente prossima alla mezza età e malgrado le guance lisce non aveva il tipico aspetto senza tempo.

Eppure l’atmosfera rese Liandrin cauta. Temaile appariva fragile, con dei grandi occhi azzurri da bambina che ispiravano fiducia. Adesso sembravano preoccupate o in difficoltà, e la tazza di tè tremò prima che l’altra donna la afferrasse. Ogni volto sembrava a disagio tranne quello stranamente familiare della donna. Jeaine Caide, dalla pelle ramata, indossava uno di quei disgustosi abiti domanesi che portava in casa e delle lacrime le brillavano sulle guance. Era appartenuta alle Verdi e le piaceva mettersi in mostra davanti agli uomini anche più delle altre Verdi. Rianna Andomeran, una volta Bianca e sempre molto fredda, un’arrogante assassina, continuava a toccarsi nervosamente la ciocca di capelli bianca fra quelli neri sopra l’orecchio sinistro. La sua superbia era stata schiacciata.

«Cosa è successo qui?» chiese Liandrin. «Chi sei e cosa...?» Di colpo le ritornò la memoria. Un’Amica delle Tenebre, una cameriera a Tanchico che si era sempre data delle arie. «Gyldin!» scattò. La cameriera le aveva in qualche modo seguite e chiaramente stava cercando di farsi passare come una messaggera delle Nere con qualche terribile novità. «Stavolta ti sei spinta troppo oltre.» Si protese per abbracciare saidar, ma mentre lo faceva il bagliore circondò l’altra donna e Liandrin cozzò contro uno spesso muro invisibile che le impediva di raggiungere la Vera Fonte. Era lì come il sole, tormentandola senza farsi raggiungere.

«Chiudi la bocca, Liandrin» disse la donna con calma. «Sembri un pesce. Non mi chiamo Gyldin ma Moghedien. A questo tè manca del miele, Temaile.» La snella donna dal viso volpino scattò verso la tazza respirando affannosamente.

Doveva essere così. Chi poteva aver sottomesso in quel modo le altre? Liandrin le vedeva in piedi contro le pareti. Eldrith Jhondar, che per una volta non sembrava distratta malgrado la macchia di inchiostro sul naso, annuiva vigorosamente. Le restanti parevano timorose di muoversi. Perché una Reietta — in teoria non dovevano usare quel nome, ma di solito lo facevano fra loro — si fosse mascherata da serva, questo non riusciva a capirlo. La donna aveva, o poteva avere, tutto quello che voleva. Non solo la conoscenza dell’Unico Potere oltre tutti i sogni, ma il potere stesso. Sugli altri, sul mondo. E l’immortalità. Potere per una vita che non sarebbe mai finita. Lei e le altre Sorelle si erano poste molte domande sui Reietti, avevano ricevuto ordini insoliti e dato ordini ad altri Amici delle Tenebre che non coincidevano con i loro. Forse Moghedien stava nascondendosi dagli altri Reietti.

Liandrin si chinò in una profonda riverenza disponendo intorno a sé nel modo migliore l’abito da cavallo. «Ti diamo il benvenuto, padrona. Con i Prescelti a guidarci sicuramente trionferemo prima del giorno del ritorno del Sommo Signore.»

«Ben detto» rispose asciutta Moghedien, togliendo la tazza di mano a Temaile. «Sì, è molto meglio.» Temaile sembrava assurdamente grata e sollevata. Cosa aveva fatto Moghedien?

Di colpo a Liandrin venne qualcosa in mente, un pensiero sgradito. Aveva trattato la Prescelta come una serva. «Padrona, a Tanchico non sapevo che tu...»

«Certo che no» osservò irritata Moghedien. «Che vantaggio avrei ottenuto ad aspettare nascosta nell’ombra se tu e queste altre foste state al corrente della mia presenza?» Di colpo le apparve un sorrisetto sulle labbra. Non si toccò nessun’altra parte del volto. «Sei preoccupata per tutte le volte in cui hai mandato Gyldin dal cuoco per essere punita?» Il sudore imperlava il viso di Liandrin. «Credi davvero che avrei permesso una cosa simile? L’uomo senza dubbio ti faceva rapporto, ma si ricordava quello che io volevo ricordasse. Era dolente per Gyldin, trattata tanto crudelmente dalla sua padrona.» Questo sembrò divertirla moltissimo. «Mi ha dato parte del dolce che aveva preparato per te. Non mi dispiacerebbe se fosse ancora in vita.»

Liandrin sospirò sollevata. Non sarebbe morta. «Padrona, non c’è bisogno che mi schermi. Anche io servo il Sommo Signore. Ho prestato i miei giuramenti da Amica delle Tenebre prima di recarmi alla Torre Bianca. Ho cercato l’Ajala Nera fin dal giorno in cui ho scoperto di saper incanalare.»

«Per cui tu saresti la sola in questo disordinato assortimento che non ha bisogno di imparare chi è la padrona?» Moghedien sollevò un sopracciglio. «Non lo avrei mai pensato.» Il bagliore che circondava la donna scomparve. «Ho un compito per te. Per tutte voi. Qualsiasi cosa stiate combinando, ve ne dimenticherete. Siete un gruppo di inette, come avete dimostrato a Tanchico. Con la mia mano sulla frusta forse caccerete con maggior successo.»

«Stiamo aspettando ordini dalla Torre, padrona» disse Liandrin. Inette! Avevano quasi trovato quello che cercavano a Tanchico, quando nella città era esplosa la sommossa. Erano sfuggite a malapena alla distruzione per mano di Aes Sedai che in qualche modo erano finite nei loro piani. Se Moghedien si fosse rivelata o se vi avesse preso parte per conto loro, avrebbero trionfato. Se il fallimento era da attribuire a qualcuno, era colpa di Moghedien in persona. Liandrin si protese verso la Vera Fonte, non per abbracciarla ma per essere sicura che lo scudo non fosse stato legato. Era scomparso. «Ci sono state assegnate grandi responsabilità, dei compiti enormi da eseguire, e di certo ci verrà ordinato di proseguire...»

Moghedien la interruppe seccamente. «Tu servi chiunque dei Prescelti schiocchi le dita. Sappi che se qualcuna ti invia ordini dalla Torre Bianca adesso li riceve da uno di noi e molto probabilmente striscia sul ventre quando lo fa. Mi servirai, Liandrin. Stanne certa.»

Moghedien ignorava chi fosse a capo dell’Ajah Nera. Era stata una rivelazione. Moghedien non sapeva tutto. Liandrin si era sempre immaginata i Reietti quasi onnipotenti, qualcosa ben oltre gli ordinari mortali. Forse la donna stava davvero fuggendo dagli altri Reietti. Consegnargliela le avrebbe certamente garantito una posizione elevata. Avrebbe potuto diventare una di loro. Conosceva un trucco, imparato nell’infanzia. E poteva toccare la Fonte. «Padrona, noi serviamo il Sommo Signore, come te. Anche a noi è stata promessa la vita eterna e il potere quando il Sommo Signore...»

«Credi di essere mia pari, sorellina?» Moghedien fece una smorfia disgustata. «Sei rimasta in piedi nel Pozzo del Destino per dedicare la tua anima al Sommo Signore? Hai assaporato il gusto della vittoria a Paaran Disen o l’amaro delle ceneri ad Asar Don? Tu sei appena un cagnolino addestrato, non la capobranco, e andrai dove io punterò il dito finché riterrò che meriti un posto migliore. Anche queste altre si considerano più di quello che sono. Desideri provare la tua forza contro di me?»

«Certo che no, padrona.» Non quando veniva preavvisata ed era pronta. «Io...»

«Lo farai, prima o poi, e desidero allontanare gli equivoci fin dall’inizio. Perché credi che le tue compagne sembrano così gentili? Ho già impartito a ognuna di loro la stessa lezione oggi. Non mi stupirebbe che ne avessi bisogno anche tu. Prova.»

Umettandosi le labbra spaventata, Liandrin guardò le donne in piedi contro il muro, la schiena rigida. Solo Asne Zaremene sbatteva le palpebre; scosse leggermente la testa. Gli occhi a mandorla di Asne, gli zigomi alti e il naso pronunciato la identificavano come originaria della Saldea, ed era spavalda come tutti in quella terra. Se consigliava di non farlo, se nei suoi occhi scuri compariva la paura, allora era meglio strisciare quel tanto da addolcire Moghedien. Eppure aveva ancora il suo trucco.

Si inginocchiò, a testa bassa, guardando la Reietta con una paura che era solo in parte finzione. Moghedien rimase seduta sorseggiando il tè. «Padrona, ti prego di perdonarmi se mi sono permessa di supporre qualcosa. So di essere solo un verme sotto ai tuoi piedi. Ti prego come uno dei tuoi cani fedeli di avere pietà di questa povera bestia.» Moghedien rivolse gli occhi alla tazza e in un lampo, mentre ancora proferiva quelle parole, Liandrin abbracciò la Fonte e incanalò, cercando la breccia che doveva essere subentrata nella sicurezza della Reietta, quella presente nella facciata di forza di tutti.

Mentre ancora scagliava il flusso, la luce di saidar circondò l’altra donna e il dolore avviluppò Liandrin. Cadde sul tappeto nel tentativo di gridare, ma un’agonia oltre ogni limite mai provata prima la ridusse al silenzio. Gli occhi le sarebbero schizzati fuori dalle orbite e la pelle le sarebbe stata strappata via a brandelli. Si divincolò per quella che le parve un’eternità, e quando svanì improvvisamente come era iniziato, non poté fare altro che rimanere in terra, tremando e singhiozzando a bocca aperta.

«Incominci a capire?» disse Moghedien con calma, mentre passava la tazza vuota a Temaile e dicendo, «Era molto buono. Ma la prossima volta lo vorrei un po’ più forte.» Temaile sembrava sull’orlo dello svenimento. «Non sei abbastanza veloce, Liandrin, né abbastanza forte e nemmeno hai la conoscenza necessaria. Il trucco pietoso che hai provato contro di me... ti piacerebbe vedere come funziona davvero?» A quel punto incanalò.

Liandrin la guardava in piena adorazione. Strisciando in terra, parlò fra i singhiozzi fino a quando non poté fermarsi. «Perdonami, padrona.» Si rivolgeva a questa donna magnifica, come una stella nel cielo, una cometa, al di sopra di tutti i re e le regine. «Ti prego di perdonarmi» implorò, baciando l’orlo del vestito di Moghedien mentre balbettava. «Perdonami. Sono un cane, un verme.» Provava una vergogna mortale, per non aver pronunciato prima quelle parole, credendoci. Erano vere. Davanti a costei erano tutte vere. «Lascia che ti serva, padrona. Permettimi di servirti. Ti prego, ti prego!»

«Non sono Graendal» disse Moghedien, spingendola via brutalmente con la scarpa di velluto.

Di colpo il senso di ammirazione scomparve. Accovacciata in terra, singhiozzante, Liandrin ricordava con chiarezza. Fissò la Reietta inorridita.

«Sei convinta adesso, Liandrin?»

«Sì, padrona.» Riuscì a dire. Lo era. Convinta al punto che non osava nemmeno pensare di provarci ancora finché non fosse stata sicura di vincere. Il suo trucco era solo l’ombra di quanto aveva fatto Moghedien. Se solo avesse imparato anche lei...

«Vedremo. Forse sei una di quelle che ha bisogno di una seconda lezione. Prega che non sia così, Liandrin. Le mie seconde lezioni sono estremamente severe. Adesso vai a occupare il tuo posto con le altre. Ti accorgerai che ho preso alcuni degli oggetti di potere che hai nella tua stanza, ma puoi tenere i gingilli che sono rimasti. Sono o non sono gentile?»

«La padrona è gentile» concordò Liandrin fra i singhiozzi e i singulti che non riusciva a trattenere. Si alzò in piedi a fatica e si avviò vicino ad Asne. Il pannello di legno che aveva alle spalle l’aiutava a rimanere in piedi. Vide il flusso di Aria intessuto. Solo Aria, ma rimase di stucco quando le bloccò la bocca e la isolò dai rumori. Certamente non provò a resistere. Non si permetteva nemmeno di pensare a saidar. Chi poteva sapere cosa sarebbe stata in grado di fare una dei Reietti? Forse era capace di leggere il pensiero. Questo la fece quasi fuggire di corsa. No. Se Moghedien avesse conosciuto i suoi pensieri ormai sarebbe morta. O forse ancora in terra a gridare. Magari baciando i piedi di Moghedien e supplicandola di poterla servire. Liandrin rabbrividì senza riuscire controllarsi; se quel flusso non le avesse bloccato la bocca adesso avrebbe battuto i denti.

Moghedien riservò lo stesso trattamento a tutte le altre tranne Rianna, alla quale la Reietta fece cenno imperioso con un dito di inginocchiarsi davanti a lei. Quindi Rianna andò via e Marrilin Gemalphin fu sciolta e convocata.

Da dove si trovava Liandrin poteva vedere i loro volti anche se le labbra si muovevano mute. Chiaramente ogni donna stava ricevendo ordini che le altre non dovevano ascoltare. I visi però dicevano qualcosa. Rianna ascoltò e basta, con una nota di sollievo negli occhi, inchinò il capo con fare assente e andò via. Marillin sembrò sorpresa e impaziente, ma era nata Marrone e le Marroni si entusiasmavano se solo potevano dissotterrare alcuni pezzi ammuffiti di conoscenza perduta. Sul viso di Jeaine Caide si dipinse una lenta maschera d’orrore, mentre iniziava a scuotere il capo all’inizio e cercava di coprirsi e nascondere quel vestito disgustoso; ma il viso di Moghedien divenne più duro e Jeaine annuì velocemente correndo via, e anche se non con la stessa impazienza di Marrilin, pur sempre velocemente. Berylla Naron, snella al punto da essere pelle e ossa, ottima manipolatrice e cospiratrice com’era, e Falion Bhoda, dal viso lungo e freddo malgrado l’evidente paura, furono poco espressive, come Rianna. Ispan Shefar, allo stesso modo di Liandrin di Tarabon anche se aveva i capelli scuri, baciò l’orlo del vestito di Moghedien prima di alzarsi.

A quel punto i flussi furono rilasciati attorno a Liandrin. Credeva che toccasse a lei essere inviata a svolgere qualche missione che solo l’Ombra conosceva, fino a quando non vide che anche i legami delle altre venivano sciolti. Moghedien fece un cenno perentorio col dito e Liandrin si inginocchiò fra Asne e Chesmal Emry, una donna alta e bella, con gli occhi e i capelli scuri. Chesmal, una volta Gialla, poteva guarire o uccidere con la stessa facilità, ma l’intensità del suo sguardo rivolto a Moghedien, il modo in cui le mani le tremavano e stringevano la gonna, rendevano evidente che voleva solo obbedire.

Liandrin doveva tener conto di questi segni. Avvicinarne una con la promessa di una ricompensa se consegnavano Moghedien agli altri Reietti poteva rivelarsi disastroso se quella avesse giudicato più vantaggioso fare il cane di Moghedien. Si mise quasi a frignare al pensiero di una seconda lezione.

«Voi resterete con me» disse la Reietta «per l’incarico più importante. Quello che faranno le altre potrebbe dare frutti succosi, ma il vostro sarà il raccolto più prezioso. Un raccolto personale. C’è una donna di nome Nynaeve al’Meara.» Liandrin sollevò la testa e Moghedien strinse gli occhi scuri. «La conosci?»

«La disprezzo» rispose Liandrin sinceramente. «È una sporca selvatica che non avrebbe mai meritato di entrare nella Torre.» Odiava tutte le selvatiche. Sognando di appartenere all’Ajah Nera, anche lei aveva iniziato a incanalare un anno prima di andare alla Torre, ma non come una selvatica.

«Molto bene. Voi cinque la troverete per me. La voglio viva. Oh, sì, la voglio viva.» Il sorriso di Moghedien le diede i brividi. Consegnare Nynaeve e le altre due alla Reietta poteva essere davvero la cosa giusta da fare. «L’altro ieri si trovava in un villaggio di nome Sienda, forse a novantacinque chilometri a est da qui, con un’altra giovane donna alla quale potrei essere interessata, ma sono scomparse. Voi dovrete...»

Liandrin ascoltò impaziente. Per questo poteva anche essere un cane fedele. Per tutto il resto avrebbe atteso con tanta pazienza.

Загрузка...