52 Scelte

Dopo aver appoggiato il rasoio, Rand rimosse gli ultimi residui di schiuma da barba dal viso e iniziò ad allacciarsi la camicia. La luce del mattino filtrava attraverso gli archi squadrati sul balcone della sua camera da letto. Erano state usate le pesanti tende invernali, ma erano legate per lasciar passare l’aria. Voleva essere presentabile per quando avrebbe ucciso Rahvin. Quel pensiero gli fece venire un leggero moto d’ira che gli agitò lo stomaco. Lo respinse. Sarebbe stato presentabile e calmo. Nessun errore.

Quando distolse lo sguardo dalla cornice dorata, Aviendha era seduta sul pagliericcio arrotolato e appoggiato contro la parete, sotto un dipinto che riproduceva delle torri d’oro da un’altezza impossibile. Si era offerto di farle portare un letto, ma la donna aveva risposto che i materassi erano troppo morbidi per dormire. Lo guardava con attenzione e aveva la sottoveste fra le mani. Rand aveva fatto in modo di non guardarsi intorno mentre si radeva per darle il tempo di vestirsi, ma oltre le calze bianche, non indossava nient’altro.

«Io non ti svergognerei davanti ad altri uomini» disse Aviendha di colpo.

«Svergognarmi? Cosa vuoi dire?»

La donna si alzò in un unico movimento fluido, sorprendentemente chiara di carnagione nei punti in cui il sole non la toccava, snella e dalla muscolatura forte, ma con le rotondità e morbidezze che tormentavano i sogni di Rand. Era la prima volta che la guardava apertamente mentre si metteva in mostra, ma lei non ne sembrava consapevole. Quei grandi occhi verdi erano fissi nei suoi. «Non sono stata io a chiedere a Sulin di includere Somara, Enaila o Lamelle quel primo giorno. Non ho nemmeno chiesto loro di controllarti, o di fare qualcosa se tu avessi vacillato. Era solo una loro preoccupazione.»

«Mi hai lasciato credere che avrebbero cercato di portarmi di peso come un bambino se avessi tentennato. Una bella differenza.»

Il tono della sua voce non ebbe alcun effetto sulla donna. «Almeno sei stato attento quando dovevi.»

«Capisco» rispose secco. «Be’, in ogni caso ti ringrazio per avermi promesso di non svergognarmi in pubblico.»

Aviendha sorrise. «Non ho detto quello, Rand al’Thor. Ho detto non davanti ad altri uomini. Se lo richiedi, per il tuo bene...» Il sorriso della donna divenne ampio.

«Intendi venire in questo modo?» Rand gesticolò irritato, guardandola dalla testa ai piedi.

Aviendha non era mai sembrata minimamente imbarazzata nel trovarsi nuda davanti a lui, al contrario, ma quella volta si guardò, poi rivolse lo sguardo verso di lui e divenne rossa. Di colpo fu circondata da un turbine di lana marrone scuro e algode bianco, infilandosi con tale velocità nei suoi indumenti che Rand credeva quasi stesse incanalando per vestirsi. «Hai organizzato tutto?» disse mentre si vestiva. «Hai parlato con le Sapienti? Sei arrivato tardi la scorsa notte. Chi altri viene con noi? Quanti ne puoi portare? Nessun abitante delle terre bagnate, spero. Non puoi fidarti di loro. Specialmente non degli assassini degli alberi. Puoi davvero portarci a Caemlyn in un’ora? È come quello che ho fatto la notte...? Voglio dire, come farai? Non posso fidarmi di entrare in cose che non conosco e non capisco.»

«Tutto è organizzato, Aviendha.» Perché la donna straparlava? E si rifiutava di guardarlo negli occhi? Si era incontrato con Rhuarc e gli altri capi clan ancora vicini alla città. Non avevano apprezzato questo piano, ma lo vedevano in termini di ji’e’toh e nessuno pensava che avesse altra scelta. Ne parlarono velocemente, concordarono, quindi si misero a discutere di altre cose. Nulla a che fare con il Reietto o Illian o le battaglie. Donne, caccia, se l’acquavite di Cairhien poteva essere messa a confronto con l’oosquai o il tabacco degli abitanti delle terre bagnate contro quello che cresceva nel deserto. Per un’ora aveva quasi dimenticato cosa lo aspettasse. Sperava che le Profezie del Rhuidean fossero in qualche modo sbagliate, che non avrebbe distrutto questi uomini. Le Sapienti erano andate da lui, una delegazione di oltre cinquanta donne, avvisate da Aviendha in persona e guidate da Amys, Melaine e Bair, o forse Sorilea. Con le Sapienti spesso era difficile capire chi fosse al comando. Non erano venute per convincerlo a non fare qualcosa, di nuovo ji’e’toh, ma per accertarsi che capisse che i suoi obblighi nei confronti di Elayne non superassero quelli nei confronti degli Aiel e lo avevano trattenuto nella sala delle riunioni fino a quando non furono soddisfatte. Altrimenti le avrebbe sollevate di peso per raggiungere l’uscita. Quando volevano, quelle donne sapevano ignorare le grida, come Egwene. «Scoprirò quanti posso portarne con me quando ci proverò. Solo Aiel.» Se aveva fortuna, Meilan e Maringil con il resto non avrebbero saputo che era andato via fino a quando non lo avesse fatto. Se la Torre aveva delle spie a Cairhien, forse le avevano anche i Reietti; e come poteva fidarsi che questa gente mantenesse un segreto se non riuscivano a vedere il sorgere del sole senza cercare di usarlo come fatto nel Daes Dae’mar?

Una volta indossata la giubba rossa ricamata in oro, un’ottima lana adatta a un palazzo reale, che fosse Caemlyn o Cairhien — il pensiero gli procurò un tetro divertimento — e anche Aviendha a quel punto era quasi vestita. Per lui era una meraviglia come potesse vestirsi così rapidamente pur non avendo nulla in disordine. «La scorsa notte è venuta una donna mentre eri via.»

Luce! pensò. Aveva dimenticato Colavaere. «Cos’hai fatto?»

Aviendha fece una pausa mentre legava i lacci della blusa, fissandolo con sguardo penetrante, ma il tono di voce era disinvolto. «L’ho riportata nelle sue stanze, dove abbiamo parlato per un po’. Non ci saranno altre bamboccie assassine degli alberi che busseranno alla tua porta, Rand al’Thor.»

«Esattamente quello che volevo, Aviendha. Luce! Le hai fatto del male? Non puoi andare in giro a picchiare le dame.

Questa gente mi crea già abbastanza problemi, e non ho certo bisogno che ti ci metta anche tu.»

Aviendha tirò forte su con il naso e riprese ad allacciare la blusa. «Dame! Una donna è una donna, Rand al’Thor. A meno che non sia una Sapiente» aggiunse con prudenza. «Quella stamattina dovrà stare attenta a sedersi, i lividi possono essere nascosti e con un giorno di riposo sarà in grado di lasciare le sue stanze. E adesso sa come stanno le cose. Le ho detto che se ti crea di nuovo problemi... qualsiasi tipo di problema, ritornerò di nuovo a parlare con lei. Farà quello che dici quando lo dici. Sarà di esempio per le altre. Gli assassini degli alberi non comprendono altro.»

Rand sospirò.

Non era un metodo che lui avrebbe potuto usare o scelto, ma avrebbe comunque funzionato. O forse avrebbe solo reso Colavaere e le altre più subdole d’ora in avanti. Aviendha non si preoccupava di eventuali ripercussioni contro di lei, sarebbe rimasto sorpreso se la donna avesse anche solo preso in considerazione una tal cosa; ma una donna in una posizione elevata di una casata potente non era paragonabile a una giovane nobile di rango inferiore. Qualunque fosse stato l’effetto su di lui, Aviendha poteva essere sorpresa in un corridoio scuro e ricevere dieci volte quello che aveva riservato a Colavaere, se non peggio. «La prossima volta lascia che gestisca queste situazioni a modo mio. Io sono il car’a’carn, ricordalo.»

«Hai della schiuma da barba su un orecchio, Rand al’Thor.»

Borbottando, prese bruscamente l’asciugamano e gridò, «Avanti!» quando sentì bussare alla porta.

Entrò Asmodean, con il merletto chiaro che spuntava dal colletto e i polsini della giubba nera, l’arpa appesa dietro la schiena e la spada al fianco. Sembrava inverno per quanto era freddo in viso, ma gli occhi scuri erano diffidenti.

«Cosa vuoi, Natael?» chiese Rand. «Ti ho già assegnato i tuoi compiti la scorsa notte.»

Asmodean umettò le labbra e guardò Aviendha, che lo fissava torva. «Istruzioni sagge. Immagino che potrei scoprire qualcosa a tuo vantaggio se rimanessi qui in osservazione, ma le voci di stamattina riguardano tutte le grida che provenivano dalle stanze di lady Colavaere la scorsa notte. Si dice che sia contrariata con te, ma nessuno sembra saperne la ragione. Quell’incertezza fa camminare tutti in punta di piedi. Dubito che qualcuno si azzarderà a respirare nei prossimi giorni senza pensare a come potresti reagire.» Il volto di Aviendha era una maschera di insopportabile soddisfazione.

«Per cui vuoi venire con me?» chiese sommessamente Rand. «Vuoi essere alle mie spalle quando affronterò Rahvin?»

«Quale posto migliore per il bardo del lord Drago? Ma meglio ancora sarebbe stare sotto ai tuoi occhi. Dove posso mostrarti la mia lealtà. Non sono forte.» La smorfia di Asmodean sembrava abbastanza appropriata a chiunque facesse una simile ammissione, ma per un istante Rand percepì saidin che colmava l’altro uomo, la contaminazione che gli storceva la bocca. Solo per un istante, ma abbastanza a lungo perché potesse trarne le conclusioni. Se Asmodean aveva attinto rutto quello che poteva, sarebbe stato forte per affrontare una delle Sapienti in grado di incanalare. «Non sono forte, però forse posso aiutarti in qualche modo.»

Rand desiderava poter vedere lo schermo che Lanfear aveva elevato. Gli aveva spiegato che con il tempo si sarebbe dissolto, ma Asmodean non sembrava in grado di incanalare con maggior forza ora di quanto aveva potuto i primi giorni che era nelle mani di Rand. Forse Lanfear aveva mentito, dando ad Asmodean false speranze, per far credere a Rand che l’uomo sarebbe diventato abbastanza forte da insegnargli più di quanto volesse. Era una cosa tipica della donna, pensò. Non era certo che si trattasse di un pensiero di Lews Therin ma era sicuro che fosse vero.

La lunga pausa indusse Asmodean a umettarsi di nuovo le labbra. «Un giorno o due qui non faranno la differenza. A quel punto sarai tornato o sarai morto. Lascia che ti dimostri la mia lealtà. Forse posso fare qualcosa. Un pelo di forza in più dalla tua parte potrebbe fare la differenza.» Ancora una volta percepì saidin, solo per un momento. Rand avvertì una sensazione di tensione, ma era un flusso flebile. «Sai quali sono le mie scelte. Sono appeso a quel ciuffo d’erba che sporge dal dirupo, sperando che resista ancora per un po’. Se fallisci io sono peggio che morto. Devo fare in modo che tu vinca e viva.» Guardando improvvisamente Aviendha sembrò rendersi conto che forse aveva rivelato troppo. La risata dell’uomo era un suono vuoto. «Altrimenti come faccio a comporre le canzoni sulla gloria del lord Drago? Un bardo deve avere qualcosa su cui lavorare.» Il caldo non lo toccava, un trucco mentale lo sosteneva, non dovuto al Potere, ma le gocce di sudore adesso gli imperlavano la fronte.

Sotto agli occhi o lasciarselo dietro? Forse sarebbe andato a cercarsi un nascondiglio quando avesse incominciato a chiedersi cosa stava accadendo a Caemlyn. Asmodean sarebbe stato l’uomo che era fino a quando non fosse morto e rinato, forse anche dopo. «Sotto agli occhi» disse Rand sommessamente. «E se solo sospetto che quel pelo di differenza è contro di me!..»

«Ho fiducia nella generosità del lord Drago. Attenderò fuori.»

Rand si guardò attorno mentre l’uomo si allontanava, camminando all’indietro e inchinandosi. La sua spada era appoggiata sulla cassa dorata ai piedi del letto, il cinturone con la fibbia rappresentante il Drago era avvolto attorno alla custodia e la lancia seanchan. Gli omicidi quel giorno non sarebbero stati commessi con l’acciaio, non da parte sua. Si toccò la tasca, sentì la sagoma solida del piccolo uomo grasso con la spada. Era la sola spada di cui avrebbe avuto bisogno. Per un momento prese in considerazione l’idea di compiere un volo aleggiato a Tear, per riprendere Callandor, o di andare nel Rhuidean per quello che vi aveva nascosto. Poteva distruggere tutta Caemlyn con uno dei due oggetti. Ma poteva fidarsi di se stesso? Così tanto potere. Così tanto dell’Unico Potere. Laidi era lì, proprio fuori dalla visuale. La contaminazione sembrava parte di lui. La rabbia trapelava proprio sotto la superficie, contro Rahvin. Contro se stesso. Se la liberava e avesse avuto fra le mani anche Callandor... Cosa avrebbe fatto? Sarebbe stato invincibile. Con l’altro avrebbe fatto un volo aleggiato fino a Shayol Ghul stessa, per porre fine a tutto, in un modo o nell’altro. In un modo o nell’altro. No. Non era da solo in tutto questo. Non poteva permettersi altro che una vittoria.

«Ho il mondo sulle spalle» mormorò. Improvvisamente gridò e si mise una mano su una natica, aveva la sensazione di essere stato punto con un ago. Gli venne la pelle d’oca: sapeva cosa era accaduto. «Perché l’hai fatto?» gridò contro Aviendha.

«Solo per vedere se il lord Drago era ancora fatto di carne come il resto di noi mortali.»

«Lo sono» disse atono afferrando saidin, tutta la dolcezza e la lordura, solo abbastanza a lungo per incanalare brevemente.

Aviendha sgranò gli occhi, ma non si mosse, lo guardò come se non fosse successo nulla. Eppure, mentre attraversavano l’anticamera si strofinò furtivamente il posteriore mentre pensava che Rand stesse guardando da un’altra parte. Sembrava che anche lei fosse fatta di carne. Che io sia folgorato, pensavo di averle insegnato le buone maniere, si disse.

Aprì la porta e uscì rimanendo in piedi a guardarsi attorno. Mat era appoggiato alla sua strana lancia con il cappello a falde larghe abbassato, un po’ più di lato vi era Asmodean, ma non fu quello che lo prese in contropiede. Non c’erano Fanciulle. Avrebbe dovuto capire che qualcosa non andava quando Asmodean era entrato senza essere annunciato. Anche Aviendha si guardava attorno stupita, come se si aspettasse di vederle dietro agli arazzi.

«Melindhra ha tentato di uccidermi la scorsa notte» disse Mat e Rand si fermò pensando alle Fanciulle. «Un minuto parlavamo, il successivo cercava di staccarmi testa.»

Mat raccontò l’accaduto in frasi brevi. Il pugnale con le api d’oro. Le sue conclusioni. Chiuse gli occhi dicendo come era andata a finire, con un semplice, freddo: «L’ho uccisa» poi li aprì di nuovo velocemente, come se cercasse di sfuggire a una visione che gli era apparsa quando era a occhi serrati.

«Mi dispiace che tu sia stato costretto a farlo» rispose con calma Rand, e Mat si strinse nelle spalle.

«Meglio lei che io, immagino. Era un’Amica delle Tenebre.» Ma dal tono di voce non sembrava che facesse una gran differenza.

«Mi occuperò di Sammael non appena sono pronto.»

«E quanti ne resteranno dopo?»

«I Reietti non sono qui» scattò Aviendha. «E nemmeno le Fanciulle della Lancia. Dove sono? Che cosa hai fatto, Rand al’Thor?»

«Io? Ce ne erano venti proprio qui quando sono venuto a letto ieri sera, e da allora non ne ho vista una.»

«Forse è perché Mat...» iniziò a dire Asmodean e si fermò quando Mat lo guardò, un miscuglio di dolore e prontezza a colpire qualcosa o qualcuno.

«Non siate sciocchi» disse Aviendha con un tono di voce fermo. «Far Dareis Mai non proclamerebbero un toh contro Mat Cauthon per questo. Ha cercato di ucciderlo, e lui si è difeso. Anche sua sorella prossima non lo farebbe, se ne avesse una. E nessuna proclamerebbe un toh contro Rand al’Thor per quanto ha fatto un altro, a meno che non fosse un suo ordine. Tu hai fatto qualcosa, Rand al’Thor, qualcosa di enorme e oscuro, altrimenti sarebbero qui.»

«Non ho fatto nulla» le rispose duro. «E non intendo restarmene qui impalato a discutere. Sei pronto per cavalcare verso sud, Mat?»

Mat infilò una mano in tasca, toccando qualcosa. Di solito in quel posto conservava i dadi e il contenitore per lanciarli. «Caemlyn. Sono stanco di vederli arrivare furtivamente contro di me. Voglio essere io a farlo, tanto per cambiare. Spero solo di ricevere il maledetto buffetto sul capo invece del maledetto fiore» aggiunse con una smorfia.

Rand non gli chiese cosa intendesse dire. Un altro ta’veren. Due insieme per distorcere, forse, le possibilità. Non c’era modo di dire come, o anche se vi fosse riuscito, ma... «Sembra che resteremo insieme ancora per un po’.» Mat sembrava più rassegnato che altro.

Prima che si fossero allontanati dal corridoio coperto di arazzi, Moiraine ed Egwene gli andarono incontro, camminando assieme come se non avessero dovuto fare altro quel giorno che passeggiare in uno dei giardini. Egwene, con gli occhi freddi e calma, il Gran Serpente d’oro al dito, poteva davvero sembrare un’Aes Sedai malgrado gli indumenti aiel e lo scialle, o la fascia attorno ai capelli, mentre Moiraine... Dei ricami dorati colsero la luce, ricami che coprivano delicatamente la gonna di brillante seta azzurra. La piccola pietra dello stesso colore le pendeva sulla fronte dalla catenina d’oro intrecciata nei capelli scuri, brillava come il grande zaffiro montato su oro che aveva al collo.

Forse era il fatto di trovarsi lì, dove una volta la casata Damodre aveva il Trono del Sole, ma il portamento di Moiraine era più regale di quanto Rand avesse mai visto. Nemmeno la presenza di ‘Jasin Natael’ poteva rovinare quella regale serenità e, sorprendentemente, rivolse a Mat un caldo sorriso. «Allora anche tu stai andando, Mat. Impara a fidarti del Disegno. Non sprecare tempo tentando di cambiare ciò che non può essere cambiato.» A giudicare dall’espressione di Mat, probabilmente stava cambiando idea sulla sua presenza lì, ma l’Aes Sedai distolse l’attenzione da lui senza una traccia di preoccupazione. «Queste sono per te, Rand.»

«Altre lettere?» chiese. Su una c’era il suo nome scritto con una calligrafia elegante che riconobbe immediatamente. «Da te, Moiraine?» Sull’altra vi era il nome di Thom Merrilin. Entrambe erano state sigillate con della cera azzurra, apparentemente con l’anello del Gran Serpente, visto che riportavano l’immagine di un serpente che si mordeva la coda. «Perché mi scrivi una lettera? E sigillata? Non hai mai avuto paura di dirmi in faccia quello che volevi. Se mai me ne dimenticassi, Aviendha mi rammenta costantemente che io sono solo fatto di carne e ossa.»

«Sei cambiato dal ragazzo che ho visto per la prima volta fuori la locanda della Fonte del Vino.» La voce della donna era un delicato festoso scampanellio. «Non sei più lo stesso. Prego che tu sia cambiato abbastanza.»

Egwene mormorò qualcosa. A Rand era sembrato, «Prego che tu non sia cambiato troppo.» Stava guardando torva le lettere come se anche lei si chiedesse quale fosse il contenuto. Anche Aviendha faceva lo stesso.

Moiraine proseguì spensierata ed energica. «I sigilli assicurano la riservatezza. Contiene cose che desidero tu esamini con attenzione, ma non ora. Quando avrai tempo di pensare. Per la lettera di Thom, non conosco mani più sicure delle tue in cui piazzarla. Dagliela quando lo rivedrai. Adesso c’è qualcosa che devi vedere ai moli.»

«Ai moli?» chiese Rand. «Moiraine, stamattina proprio non ho tempo di...»

Ma la donna stava già dirigendosi lungo il corridoio come se fosse sicura che l’avrebbe seguita. «Ho fatto preparare i cavalli. Anche uno per te, Mat, in caso di bisogno.» Egwene esitò solo un momento, quindi lì seguì.

Rand aprì la bocca per richiamare Moiraine. Aveva giurato di obbedire. Qualsiasi cosa avesse da mostrargli, poteva vederla un altro giorno.

«Che male può fare un’ora?» mormorò Mat. Forse ci stava ripensando.

«Non sarebbe fuori luogo se tu la vedessi stamattina» intervenne Asmodean. «Rahvin potrebbe venirlo a sapere non appena accade. Se ha dei sospetti, magari per qualche spia che ha origliato dal buco della serratura, potrebbe alleviarli per oggi.»

Rand guardò Aviendha. «Anche tu consigli di ritardare?»

«Io ti consiglio di prestare ascolto a Moiraine Sedai. Solo gli sciocchi ignorano le Aes Sedai.»

«Cosa potrebbe esserci di molto più importante di Rahvin?» gridò scuotendo il capo. C’era un proverbio nei Fiumi Gemelli, che non veniva detto ad alta voce dove le donne potevano ascoltare. ‘Il Creatore ha fatto le donne per compiacere l’occhio e creare preoccupazioni’. Le Aes Sedai non erano certamente differenti sotto quest’aspetto. «Un’ora.»

Il sole non era ancora abbastanza alto per cancellare le ombre delle mura della città dal molo di pietra dove i carri di kadere erano allineati, ma l’uomo si tamponava comunque il viso con il grande fazzoletto. Non era solo colpa del caldo se sudava. Le lunghe mura di pietra che si snodavano di fianco al fiume da ogni lato delle file di moli facevano sembrare il porto una scatola scura, con lui intrappolato nel mezzo. C’erano solo grandi chiatte per il grano ancorate in questo punto e altre erano ferme nel fiume in attesa di essere scaricate. Aveva considerato di intrufolarsi in una di esse quando fosse salpata, ma significava abbandonare quasi tutto quello che possedeva. Eppure se avesse creduto che il lento passaggio a fondovalle lo avrebbe portato ovunque tranne che alla sua morte, lo avrebbe fatto. Lanfear non era ricomparsa nei suoi sogni, ma aveva ancora le bruciature sul petto a rammentargli i suoi ordini. Solo il pensiero di disobbedire a una dei Prescelti lo faceva rabbrividire, anche con il sudore che gli colava sul viso.

Se solo avesse saputo di chi fidarsi. Era addirittura quasi possibile fidarsi di uno qualsiasi degli Amici delle Tenebre. L’ultimo dei suoi conducenti che avevano prestato giuramento era svanito due giorni prima, molto probabilmente a bordo di una delle chiatte per il grano. Ancora non sapeva quale delle donne aiel aveva infilato quel messaggio sotto la porta del carro: ‘Non sei solo fra estranei. Una via è stata scelta’ ma aveva diverse idee. Nel porto vi erano quasi tanti Aiel quanti braccianti, venuti a guardare il fiume. Aveva visto alcuni di quei volti più spesso di quanto sembrasse ragionevole e alcuni lo avevano osservato a lungo. Lo avevano fatto anche alcuni Cairhienesi e un lord tarenese. Il fatto in se stesso non significava nulla ovviamente, ma se avesse trovato alcuni uomini con cui lavorare...

Un gruppo di persone a cavallo apparve da uno dei cancelli, in testa vi erano Moiraine e Rand al’Thor, con il Custode subito dietro, mentre passavano fra i carri che portavano via i sacchi di grano. Con loro si muoveva un’ondata di acclamazioni.

«Gloria al Drago Rinato!» e «Salutate il lord Drago!» di tanto in tanto anche: «Gloria a lord Matrim! Gloria alla Mano Rossa!»

Per una volta l’Aes Sedai si era diretta verso la fine della fila di carri senza nemmeno guardare Kadere. Ne era felice. Anche se non fosse stata Aes Sedai, anche se non lo avesse fissato come se conoscesse ogni recesso della sua mente, non avrebbe comunque guardato da vicino una delle cose che la donna aveva caricato sui suoi carri. La sera precedente gli aveva fatto rimuovere i teloni da quella strana soglia ritorta di granito nel carro proprio dietro al suo. Sembrava che la donna provasse un piacere perverso a farsi aiutare da lui con qualsiasi cosa volesse studiare. Avrebbe ricoperto quell’oggetto se fosse riuscito ad avvicinarsi, o lo avrebbe fatto fare a uno qualsiasi dei suoi conducenti. Nessuno di quelli che erano con lui adesso aveva visto cadere Herid attraverso quella cosa nel Rhuidean e scomparire parzialmente. Herid era stato il primo a scappare una volta superato il passo Jangai. Non si era sentito del tutto bene dopo che il Custode lo aveva recuperato e potevano guardare l’oggetto, vedere il modo in cui gli angoli non si incontravano correttamente, il modo in cui non potevi seguirne i contorni con lo sguardo senza battere gli occhi e avere le vertigini.

Kadere ignorò i primi tre cavalieri come l’Aes Sedai aveva ignorato lui, e Mat Cauthon fece altrettanto. L’uomo aveva il suo cappello e lui non era mai stato in grado di trovare un buon rimpiazzo. La sguattera aiel, Aviendha, cavalcava in sella assieme alla giovane Aes Sedai, entrambe con le gonne tirate su fin sopra al ginocchio. Se aveva bisogno di conferme sul fatto che la donna aiel andasse a letto con al’Thor, doveva solo osservare il modo in cui lo guardava. Una donna che si era portata un uomo a letto lo guardava sempre con quella luce di possesso che adesso lei aveva negli occhi. Ma, cosa più importante, anche Natael era con loro. Era la prima volta che Radere si trovava tanto vicino a lui da quando avevano superato la Dorsale del Mondo. Natael, che aveva una posizione elevata fra gli Amici delle Tenebre. Se fosse riuscito a superare le Fanciulle per raggiungerlo...

Di colpo Kadere batté le palpebre. Dov’erano le Fanciulle? Al’Thor aveva sempre una scorta di donne armate di lancia. Aguzzando la vista si accorse che non riusciva a vedere nemmeno una Fanciulla fra gli Aiel sui moli del porto.

«Non vuoi nemmeno guardare una vecchia amica, Hadnan?»

Quella voce melodiosa fece voltare di scatto il capo di Kadere, che rimase a bocca aperta davanti al naso aquilino, e gli occhi scuri quasi nascosti da rotoli di grasso. «Keille?» era impossibile. Nessuno sopravviveva da solo nel deserto se non gli Aiel. Credeva fosse morta. Invece era lì davanti a lui, vestita di seta bianca, con i pettinini di avorio fra i ricci scuri.

Sulle labbra aveva un sorriso appena accennato e si voltò con una grazia che ancora lo sorprendeva in una donna tanto grossa, quindi salì con leggerezza i gradini del suo carro.

Per un po’ Kadere esitò, quindi si affrettò a seguirla. Preferiva che Keille Shaogi fosse morta nel deserto, la donna lo tiranneggiava ed era detestabile; non doveva illudersi di ottenere un solo centesimo per il poco che era riuscito a ricavare, ma lei aveva una posizione elevata come quella di Jasin Natael. Forse avrebbe risposto a qualche domanda. Almeno avrebbe avuto qualcuno con cui lavorare. Nel peggiore dei casi qualcuno da incolpare. Più si è in altro, più si ha potere, ma aumenta anche il peso delle responsabilità in caso di fallimento. In più di un’occasione aveva dato in pasto ai suoi superiori quelli in posizioni più elevate della sua per coprirsi.

Si voltò chiudendo con cautela la porta, e avrebbe gridato se non avesse avuto la gola strozzata.

La donna in piedi davanti a lui indossava la seta bianca, ma non era grassa. Era la donna più bella che avesse mai visto, gli occhi sembravano laghi di montagna senza fondo, attorno alla vita sottile aveva una cintura d’argento lavorato e fra i capelli scuri delle mezze lune d’argento. Kadere conosceva quel volto per averlo visto nei sogni.

L’impatto con il suolo mentre si inginocchiava gli fece tornare il fiato. «Somma signora» disse rauco. «Come posso servirti?»

Sembrava che Lanfear stesse guardando un insetto, che avrebbe potuto schiacciare o meno. «Obbedendo ai miei ordini. Sono stata troppo impegnata per osservare Rand al’Thor da sola. Dimmi cos’ha fatto, a parte conquistare Cairhien, e cosa ha in mente di fare.»

«È difficile, somma signora. Uno come me non può avvicinarsi a uno come lui.» Un insetto, era il messaggio di quegli occhi freddi, al quale veniva permesso di vivere finché fosse stato utile. Kadere cercò di ricordare tutto quello che aveva visto, sentito o immaginato. «Sta inviando molti Aiel a sud, somma signora, ma non conosco il motivo. Tarenesi e Cairhienesi non sembrano prestarvi attenzione, ma non credo che riescano a riconoscere un Aiel dall’altro.» Nemmeno lui poteva. Non avrebbe osato mentirle, ma se lo credeva più utile di quanto fosse... «Ha fondato una scuola, in un palazzo in città che apparteneva a una casata con nessun sopravvissuto...» All’inizio non c’era modo di dire se alla donna piacesse quello che stava sentendo, ma mentre proseguiva il volto della Reietta divenne cupo.

«Cosa vuoi che veda, Moiraine?» chiese Rand con impazienza, legando le redini di Jeade’en alla ruota dell’ultimo carro della fila.

La donna stava in punta di piedi per guardare oltre il bordo del carro una coppia di barili che avevano un aspetto familiare. A meno che non si stesse sbagliando, contenevano i due sigilli di cuendillar, imballati nella lana come protezione, adesso che non erano più infrangibili. Qui percepiva fortemente la contaminazione del Tenebroso. Sembrava quasi che provenisse dai barili, un debole miasma che emanava da qualcosa che stava imputridendo in un luogo nascosto.

«Sarà al sicuro qui» mormorò Moiraine, sollevando la gonna con grazia e fissando la fila di carri. Lan le stava alle calcagna, un lupo mezzo domato, con il mantello che gli pendeva dietro le spalle, onde di colore e nulla a disturbare la vista.

Rand guardò furioso la scena. «Ti ha detto di cosa si trattava, Egwene?»

«Solo che dovevi vedere qualcosa. Che comunque dovevi venire qui.»

«Devi fidarti delle Aes Sedai» aggiunse Aviendha, quasi atona, ma con un cenno di dubbio. Mat sbuffò.

«Be’, ho intenzione di scoprirlo in questo momento. Natael, vai a dire a Bael che sarò da lui fra...»

Dall’altro capo della fila il fianco del carro di Kadere esplose e le schegge ricaddero sugli Aiel e gli abitanti della città. Rand sapeva. Non aveva bisogno della pelle d’oca per capire. Corse verso il carro, dietro Moiraine e Lan. Il tempo sembrò rallentare, tutto parve accadere nello stesso istante, come se l’aria fosse gelatina che si appiccicava a ogni momento.

Lanfear uscì circondata da un silenzio stupito salvo i lamenti dei feriti; aveva qualcosa di inanimato, pallido e striato di rosso fra le mani, che trascinava dietro di sé mentre scendeva gradini invisibili. Il volto era una maschera scolpita nel ghiaccio. «Me l’ha detto, Lews Therin» gridò quasi, lanciando quella cosa chiara in aria. Quindi si gonfiò per un momento in una statua trasparente e insanguinata di Hadnan Kadere, tutta la pelle rimossa. La figura collassò e cadde mentre la voce di Lanfear divenne stridula. «Hai lasciato di nuovo che un’altra donna ti toccasse! Ancora!»

Con il tempo rallentato tutto accadde nello stesso momento.

Prima che Lanfear raggiungesse le pietre del molo, Moiraine sollevò la gonna e incominciò a correrle incontro. Pur essendo veloce, Lan era più veloce di lei, e ignorava le sue grida: «No, Lan!»

Questi estrasse la spada, le lunghe gambe lo portarono davanti a lei, il mantello dal colore cangiante ondeggiava alle sue spalle mentre attaccava. Di colpo sembrò che corresse contro un muro invisibile, rimbalzò all’indietro e cercò, barcollando, di andare di nuovo avanti. Fece un passo e fu come se una mano gigante lo avesse schiacciato da una parte, volò dieci passi in aria ricadendo pesantemente sulle rocce. Mentre si trovava a mezz’aria Moiraine si fece avanti di scatto scivolando sul pavimento, fino a trovarsi faccia a faccia con Lanfear. Fu solo un attimo. La Reietta la guardò come se si chiedesse che cosa aveva davanti agli occhi, quindi Moiraine venne scagliata di lato con tale forza che rotolò fino a scomparire sotto uno dei carri.

Il molo era in tumulto. Erano passati pochi momenti dall’esplosione, eppure solo i ciechi potevano non vedere che la donna vestita di bianco adoperava l’Unico Potere. Lungo i moli le asce volavano per recidere le corde, liberando le chiatte mentre le ciurme tentavano disperatamente di portare le imbarcazioni nelle acque aperte e fuggire. I marinai a torso nudo e i cittadini vestiti di nero lottavano per salire a bordo. Nella direzione opposta uomini e donne si ammucchiavano e gridavano come se stessero lottando per superare i cancelli della città. Fra loro delle figure in cadin’sor si velarono e scattarono verso Lanfear con lance, pugnali o a mani nude. Non vi era dubbio che fosse la fonte dell’attacco e senza dubbio combatteva con il Potere. Correvano a danzare le lance senza badare a chi fosse il nemico.

Il fuoco li oltrepassò a ondate. Delle frecce di fuoco trafiggevano quelli che si facevano avanti con gli abiti in fiamme. Lanfear non combatteva contro di loro e non prestava attenzione. Sembrava che stesse scansando dei moscerini o dei ‘mordimi’. Quelli in fuga bruciavano come quelli che tentavano di combattere. La donna si muoveva verso Rand come se non esistesse altro.

Solo i battiti del cuore.

Aveva fatto tre passi quando Rand afferrò la metà maschile della Vera Fonte, acciaio fuso e ghiaccio che poteva frantumare l’acciaio, miele dolce e ammasso di rifiuti. In fondo al vuoto la lotta per la sopravvivenza era distante, come la battaglia che si svolgeva davanti ai suoi occhi. Mentre Moiraine svaniva sotto al carro Rand incanalò, togliendo il calore dal fuoco di Lanfear, affondandolo nel fiume. Le fiamme che avevano avvolto figure umane solo un momento prima svanirono. Nello stesso momento creò un altro flusso e una cupola di nebbia grigia si materializzò, un lungo ovale che racchiuse lui, Lanfear e la maggior parte dei carri, un muro quasi trasparente che aveva chiuso fuori tutto. Mentre Rand legava i flussi, non era certo di cosa fosse o da dove fosse venuto, qualche ricordo di Lews Therin forse, il fuoco di Lanfear colpì e si fermò. Riusciva appena a vedere le persone al di fuori, che agitavano le braccia in modo convulso. Aveva spento le fiamme, ma l’odore della pelle bruciata ancora aleggiava nell’aria. All’interno vi erano anche dei corpi, monticelli di tessuto carbonizzato, alcuni che si muovevano febbrilmente lamentandosi. A lei non importava, le fiamme incanalate svanirono, i moscerini erano stati eliminati e la donna non si guardò mai di lato.

Palpiti. Rand era freddo nella vastità del vuoto e se era dispiaciuto per i morti, i moribondi e i feriti, il sentimento era talmente lontano da non avvertirlo. Lui era il freddo. Era il vuoto in persona. Lo colmava solo la rabbia di saidin.

Ci fu un movimento da entrambi i lati. Aviendha ed Egwene con gli occhi concentrati su Lanfear. L’intenzione di Rand era di chiuderle fuori, lontano da tutto questo. Probabilmente avevano gareggiato con lui. Mat e Asmodean erano rimasti fuori, la parete aveva escluso gli ultimi carri. Nella calma glaciale Rand incanalò Aria per intrappolare Lanfear. Egwene e Aviendha potevano schermarla mentre lui la distraeva.

Qualcosa recise i suoi flussi, ritornarono indietro con tale forza che Rand sbuffò.

«Una di loro?» ringhiò Lanfear. «Qual è Aviendha?» Egwene reclinò indietro il capo e gridò, con gli occhi sporgenti, l’agonia del mondo che gridava attraverso la sua bocca. «Quale?» Aviendha adesso era in punta di piedi, tremante, le sue grida rincorrevano quelle di Egwene mentre salivano sempre più in alto.

Il pensiero fu di colpo nel vuoto. Spirito intessuto a quel modo, con Fuoco e Terra. Ecco. Rand sentì qualcosa che veniva tagliato, qualcosa che non poteva vedere, ed Egwene ricadde come un peso morto, Aviendha carponi, con la testa bassa e barcollando.

Lanfear vacillò, gli occhi andavano dalle donne a lui, pozze scure di fuoco nero. «Tu sei mio, Lews Therin! Mio!»

«No.» A Rand sembrò che la propria voce giungesse da un tunnel chilometrico. Distraila dalle ragazze. Continuò a muoversi in avanti senza guardare indietro. «Non sono mai stato tuo, Mierin. Sono sempre appartenuto a Ilyena.» Il vuoto fu scosso dal dolore e dalla perdita. Disperatamente Rand lottò contro qualcosa estraneo al raschiare di saidin. Per un po’ la situazione fu in equilibrio. Io sono Rand al’Thor, pensò, e anche, Ilyena, sempre e comunque il mio cuore. In bilico sulla lama di un rasoio. Io sono Rand al’Thor. Altri pensieri cercarono di farsi avanti, una moltitudine, di Ilyena, Mierin o di cosa potesse fare per sconfiggerla. Li respinse tutti, anche l’ultimo. Se scendeva dal lato sbagliato... Io sono Rand al’Thor! «Ti chiami Lanfear e piuttosto muoio prima di amare una Reietta!»

Qualcosa di simile all’angoscia le attraversò il viso, quindi divenne di nuovo una maschera di marmo. «Se non sei mio» disse freddamente, «allora morirai.»

Con l’agonia in petto come se il cuore stesse per esplodere, avvertiva dei chiodi bianchi e roventi che gli affondavano nel cervello, il dolore era così forte all’interno del vuoto che voleva gridare. La morte era lì e Rand lo sapeva. Con furore, anche nel vuoto, follia; il nulla scintillava, diminuiva, intrecciò Spirito, Fuoco e Terra, scagliandoli più volte. Il cuore di Rand non batteva più. Delle dita di dolore oscuro schiacciavano il vuoto. Dei veli grigi gli scesero davanti agli occhi. Avvertiva i suoi flussi che attraversavano e facevano a brandelli quelli della donna. Il bruciore del respiro nei polmoni vuoti, ma il cuore riprese a pompare. Adesso poteva di nuovo vedere, dei puntini neri e argentati aleggiavano davanti agli occhi fra lui e il viso di pietra di Lanfear, che ancora cercava di recuperare l’equilibrio dal contraccolpo dei propri flussi. Avvertiva il dolore nella testa e nel torace, come ferite, ma il vuoto si consolidava e la sofferenza fisica era remota.

Era un bene che fosse distante perché non aveva tempo di riprendersi. Costringendosi a camminare in avanti, la colpì con Aria, un colpo che avrebbe abbattuto la donna lasciandola priva di sensi. La Reietta fendette quel flusso e Rand colpì nuovamente, ancora e ancora, e ogni volta che la donna fendeva l’ultimo flusso, lanciava una pioggia furiosa di colpi che in qualche modo lei vedeva e schivava, sempre avvicinandosi. Se riusciva a tenerla occupata ancora per un po’, se uno di questi manganelli invisibili fosse atterrato sul suo capo, se avesse potuto avvicinarsi abbastanza per colpirla con un pugno... Priva di sensi sarebbe stata innocua come chiunque altro.

Di colpo Rand sembrò rendersi conto di cosa stesse facendo. Mentre Lanfear ancora bloccava i suoi colpi con facilità estrema, come se li vedesse, arretrò fino a quando con le spalle toccò il carro che aveva dietro di sé. A quel punto sorrise come l’inverno. «Morirai lentamente, e mi implorerai di amarmi prima che tu muoia» disse.

Stavolta non colpì lui direttamente. Fu un colpo contro il legame con saidin.

Il panico risuonò nei vuoto come un gong al primo colpo deciso, il Potere diminuì mentre scivolava profondamente fra lui e la Fonte. Con Spirito, Fuoco e Terra tagliò la lama, sapeva dove trovarla, sapeva dov’era il legame, poteva sentire quel primo taglio. Il tentativo della donna di creare uno schermo svanì, riapparve, ritornava non appena Rand lo tagliava, ma sempre con il momentaneo deflusso di saidin, attimi in cui quasi falliva, le sue difese servivano a malapena a sventare gli attacchi di Lanfear. Maneggiare due flussi al contempo doveva essere facile, lui poteva maneggiarne dieci e più, ma non quando si trattava di difesa disperata contro qualcosa che non sapeva fosse lì fino a quando non era quasi troppo tardi. Adesso, quando i pensieri dell’altro uomo cercavano di emergere dentro al vuoto, tentavano di dirgli come sconfiggerla. Se avesse prestato ascolto, forse sarebbe stato Lews Therin Telamon ad andare via, con la voce di Rand al’Thor che di tanto in tanto gli passava per la testa.

«Costringerò queste due sguattere a guardarti implorare» disse Lanfear.

«Ma dovrei lasciare che siano loro a guardarti morire, o il contrario?» Quando era salita nel carro aperto? Doveva guardarla, cercare un qualsiasi suggerimento che indicasse stanchezza, perdita di concentrazione. Era una vana speranza. In piedi di fianco alla soglia ritorta la donna lo guardò, una regina che stava per emettere una sentenza; eppure ancora aveva tempo per lanciare gelidi sorrisi a un bracciale d’avorio scuro che faceva costantemente girare fra alle dita. «Quale delle due opzioni ti farebbe più male, Lews Therin? Voglio vederti soffrire. Voglio che tu conosca un dolore che nessun uomo ha mai provato prima!»

Più spesso era il flusso che attingeva dalla Fonte, più sarebbe stato difficile reciderlo. Strinse la mano sulla tasca della giubba, il piccolo uomo grasso con la spada premeva forte contro il marchio dell’airone sul palmo. Attinse più saidin che poteva, finché la contaminazione galleggiò nel vuoto con lui come pioggia nebulizzata.

«Dolore, Lews Therin.»

E vi fu il dolore, il mondo venne ingoiato dall’agonia. Non il cuore o la testa stavolta, ma tutto, ogni parte del corpo, aghi roventi che penetravano il vuoto. Gli sembrava quasi di poter sentire il sibilo per lo scontro del calore con il freddo a ogni affondo e ognuno era più profondo del precedente. I tentativi della donna di schermarlo non la rallentarono, i colpi erano sempre più veloci, più forti. Rand non riusciva a credere che la Reietta fosse tanto forte. Aggrappato al vuoto, al rovente, frenetico saidin, si difendeva selvaggiamente. Lui poteva farla finita, ucciderla. Poteva evocare i fulmini, avvolgerla in un fuoco proprio come aveva ucciso lei.

Le immagini sfrecciavano attraverso il dolore. Una donna in abiti neri da mercante che cadeva da cavallo, la spada rossa di fuoco leggera fra le mani di Rand. Era venuta per ucciderlo, con una manciata di Amici delle Tenebre. Gli occhi tetri di Mat, l’ho uccisa, pensò. Una donna bionda che giaceva in un corridoio in rovina dove, sembrava, le pareti stesse si erano fuse ed erano fluite. Ilyena, perdonami! pensò. Era un grido disperato.

Poteva farla finita. Solo che non poteva. Sarebbe morto, forse il mondo con lui, ma non poteva uccidere un’altra donna. In qualche modo sembrava lo scherzo più bello che il mondo avesse visto mai.

Rimuovendo il sangue dalle labbra, Moiraine strisciò fuori da sotto al carro e si alzò barcollante, con il suono della risata di un uomo nelle orecchie. Senza che potesse controllarli, i suoi occhi scattarono alla ricerca di Lan, trovandolo disteso in terra quasi contro la parete grigia e nebbiosa della cupola che si estendeva sopra le loro teste. L’uomo si mosse, forse alla ricerca della forza per alzarsi, forse in agonia. Moiraine si costrinse a non pensare a lui. Le aveva salvato la vita così tante volte che per diritto avrebbe dovuto appartenergli, ma lei aveva fatto da molto tempo quanto poteva per essere sicura che sopravvivesse alla sua guerra solitaria contro l’Ombra. Adesso doveva vivere o morire senza di lei.

Nell’aria risuonò la risata di Rand, in ginocchio sulla pietra del molo. Rideva con le lacrime che gli striavano il volto contorto, come quello di un uomo sotto la mano di un inquisitore. Moiraine fu scossa da un brivido. Se era impazzito non avrebbe potuto intervenire. Poteva solo fare quello che poteva. Quello che doveva.

La vista di Lanfear la colpì come una bastonata. Non la sorpresa, ma l’emozione di vedere la scena che era stata nei suoi sogni tante volte dopo il Rhuidean. Lanfear in piedi sul carro, che risplendeva lucente come il sole colma di saidar, incorniciata dalla soglia ritorta del ter’angreal mentre fissava Rand, con un sorriso spietato sulle labbra. La Reietta faceva girare un braccialetto fra le mani. Un angreal, a meno che Rand non avesse avuto il suo di angreal, poteva schiacciarlo con quello. O Rand aveva l’oggetto o Lanfear stava giocando con lui. Non importava. A Moiraine non piaceva quel cerchietto di avorio invecchiato. A prima vista era sembrato un acrobata piegato all’indietro che si afferrava le caviglie. Solo guardandolo attentamente era possibile scorgere che le caviglie e i polsi erano legati assieme. Non le piaceva, ma lo aveva portato fuori dal Rhuidean. Il giorno precedente aveva tolto il bracciale da un sacco che conteneva oggetti insoliti e lo aveva lasciato ai piedi della soglia.

Moiraine era leggera, una donna piccola. Il suo peso non aveva disturbato il carro mentre vi saliva sopra. Fece una smorfia quando il vestito rimase impigliato in una scheggia e si strappò, ma Lanfear non si voltò. La donna si era occupata di ogni minaccia tranne Rand, lui era il solo spicchio di mondo che riconosceva, almeno in quel momento.

Reprimendo una piccola ombra di speranza — non poteva permettersi un tale lusso — Moiraine si tirò su recuperando l’equilibrio in fondo al carro, quindi abbracciò la Vera Fonte e balzò contro Lanfear. La Reietta avvertì il movimento, abbastanza in fretta da voltarsi prima che Moiraine la colpisse, sfilandole il braccialetto. Faccia a faccia caddero attraverso la soglia ter’angreal. La luce bianca ingoiò tutto.

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