Cinquecento Fanciulle scortarono Rand al palazzo reale, con Sulin in testa. Bael attendeva nel grande cortile oltre i cancelli frontali, assieme ai Camminatori del Tuono, gli Occhi Neri e i Cercatori d’Acqua, oltre a uomini appartenenti a tutte le altre società. Erano talmente tanti che riempivano il cortile e il palazzo, da ogni porta fino alla più piccola stanza degli inservienti. Alcuni osservavano dalle finestre basse, aspettando il loro turno per uscire. I balconi di pietra circostanti erano vuoti. In tutto il cortile, solo un uomo che non era aiel attendeva; Tarenesi e Cairhienesi, in particolar modo questi ultimi, restavano lontani dalle riunioni di Aiel. L’eccezione si trovava sopra Bael, sui grandi scalini che guidavano dentro al palazzo. Pevin, con la bandiera cremisi che pendeva mollemente dall’asta, impassibile, circondato dagli Aiel, come sempre.
Aviendha, dietro la sella di Rand, lo stringeva forte, con i seni premuti contro la sua schiena, fino al momento in cui Rand smontò da cavallo. C’era stato uno scambio di informazioni fra lei e alcune delle Sapienti quando ancora erano ai moli e lui era convinto che non avrebbe dovuto sentire quelle parole.
«Vai con la Luce» disse Amys, toccando il viso di Aviendha. «E stagli molto vicina. Sai quanto dipende da lui.»
«Molto dipende da voi due» aggiunse Bair rivolgendosi ad Aviendha, quasi nello stesso momento in cui Melaine diceva irritata, «Sarebbe più facile se tu avessi avuto successo.»
Sorilea sbuffò. «Ai miei tempi anche le Fanciulle sapevano come gestire gli uomini.»
«Ha avuto più successo di quanto tu creda» rispose Amys. Aviendha scosse il capo, il braccialetto di rose e spine scivolò sull’avambraccio mentre sollevava una mano per precedere l’altra donna, ma Amys proseguì ignorando la parziale protesta. «Aspettavo che ce lo dicesse lei, ma visto che non lo ha fatto...» Vide Rand in piedi a soli dieci passi di distanza, con le redini di Jeade’en in mano e si interruppe bruscamente. Aviendha si voltò per vedere cosa stesse fissando Amys, e quando lo vide, arrossì leggermente, quindi sbiancò con una tale velocità che anche il viso abbronzato sembrò pallido. Le quattro Sapienti lo fissarono inespressive.
Asmodean e Mat giunsero alle sue spalle guidando i cavalli. «Le donne imparano a lanciarti quelle occhiate quando ancora sono nella culla?» mormorò Mat. «Sono le madri a insegnarglielo? Direi che il potente Car’a’carn verrà tirato per le orecchie se resta qui intorno ancora un po’.»
Smontato da cavallo e scuotendo la testa, Rand prese Aviendha per la vita, guardandola negli occhi azzurro verdi. La ragazza non distolse lo sguardo e non cambiò mai espressione, ma strinse lentamente le mani sugli avambracci di Rand. In cosa doveva aver avuto successo? Credeva che il suo compito fosse di fare la spia per conto delle Sapienti; ma se avesse mai posto una domanda su cose che Rand nascondeva alle Sapienti, lo aveva fatto palesando tutta la rabbia per quei segreti. Mai subdolamente, mai nel tentativo di estorcergli qualcosa. Forse priva di tatto, ma mai indagatrice. Rand aveva preso in considerazione la possibilità che Aviendha fosse come una di quelle giovani donne di Colavaere, ma solo per un momento. Aviendha non si sarebbe mai lasciata usare a quel modo. E poi anche se lo avesse fatto, concedendogli le sue delizie per poi negargli anche un solo bacio, per non parlare del fatto che aveva dovuto inseguirla per mezzo mondo, non era quello il modo di ottenere dei risultati. Se era disinvolta a rimanere nuda davanti a lui, be’, le usanze aiel erano diverse. Il fatto che lui si sentisse a disagio le dava piacere probabilmente perché pensava fosse molto divertente giocare con lui. Per cui in cosa avrebbe dovuto avere successo? Era circondato da complotti. Che tutti stessero tramando qualcosa? Rand poteva vedere il proprio viso negli occhi di Aviendha. Chi le aveva regalato quella collana d’argento?
«Mi piacciono questi slanci d’affetto, come a qualsiasi altro uomo» disse Mat, «ma non credi che ci siano troppe persone qui a guardare?»
Rand lasciò la vita di Aviendha e si scostò, ma non fu rapido quanto lei. La donna reclinò il capo, si sistemò la gonna e si lamentò del fatto che andare a cavallo l’aveva stropicciata, ma aveva le guance rosse. Be’, non era stata sua intenzione imbarazzarla.
Guardandosi attorno con espressione cupa, Rand disse: «Ti ho già detto che non so quanti ne posso portare, Bael.» Con le Fanciulle che fluivano dai cancelli sulle rampe, c’era a malapena spazio per muoversi, nel cortile. Cinquecento elementi di ogni società significava seimila Aiel. I corridoi dentro il palazzo dovevano essere affollati.
Il grosso capo aiel si strinse nelle spalle. Come ogni altro Aiel, aveva lo shoufa avvolto attorno al capo, pronto a velarsi. Nessuno aveva la bandana rossa, anche se sembrava che almeno la metà avesse il disco bianco e nero sulla fronte. «Ogni lancia che può seguirti, lo farà. Le due Aes Sedai ci raggiungeranno presto?»
«No.» Era un bene che Aviendha avesse mantenuto la promessa di non permettergli di toccarla. Lanfear aveva tentato di uccidere lei ed Egwene perché non sapeva chi fosse Aviendha. Come lo aveva scoperto Kadere per riferirglielo? Non importava. Lan aveva ragione. Le donne trovavano il dolore, o la morte, quando gli erano vicine. «Non verranno.»
«Abbiamo sentito parlare di... problemi... al fiume.»
«Una grande vittoria, Bael» rispose debolmente Rand. «E molto onore guadagnato.» Ma non da me, pensò. Pevin oltrepassò Bael per mettersi vicino alla spalla di Rand con la bandiera, il sottile volto sfregiato assolutamente inespressivo. «Tutto il palazzo ne è al corrente?» chiese Rand.
«Ho sentito...» disse Pevin. Mosse la bocca alla ricerca di altre parole. Rand gli aveva trovato una giacca nuova, buona lana rossa e l’uomo vi aveva fato ricamare sopra dei draghi che si arrampicavano, uno per ogni lato del torace. «...che stavi andando da qualche parte.» Questa frase sembrò esaurire il suo repertorio.
Rand annuì. Le voci crescevano in quel palazzo come funghi. Finché Rahvin non lo avesse scoperto. Osservò i tetti e le cime delle torri. Nessun corvo. Non ne vedeva da un po’, anche se aveva sentito che gli altri uomini li uccidevano. Forse adesso lo evitavano. «Siate pronti.» Afferrò saidin e galleggiò nel vuoto, un mondo privo di emozioni. Il passaggio apparve in fondo alle scale. Prima una linea luminosa che sembrava girare, aprendosi in un buco quadrato su un’oscurità larga quattro passi. Dagli Aiel non provenne nemmeno un mormorio. Quelli oltre Rand lo avrebbero visto come attraverso un vetro affumicato, uno scintillio fosco, ma per loro era come attraversare una delle pareti del palazzo. Visto di lato il passaggio sarebbe stato invisibile se non ai pochi abbastanza vicini, che avrebbero visto un sottile, lungo capello in tensione.
Quattro passi era la massima larghezza che Rand potesse creare. C’erano dei limiti per un uomo, sosteneva Asmodean; sembrava che ci fossero sempre. La quantità di saidin che attingevi non importava. L’Unico Potere aveva poco a che fare con i passaggi, solo la creazione. Oltre essi vi era qualcos’altro. Il sogno di un sogno, lo aveva definito Asmodean.
Rand fece un passo su quello che sembrava un pavimento lastricato sollevato dal cortile, ma qui il quadrato grigio era sospeso nel mezzo della totale oscurità, con la sensazione che in ogni direzione non ci fosse nulla. Nulla, per sempre. Non era come la notte. Riusciva a vedere perfettamente se stesso e la pietra. Ma tutto il resto, ovunque, era avvolto nell’oscurità.
Era giunto il momento di vedere quanto sarebbe stata grande la piattaforma che poteva creare. Con quel pensiero apparvero altre pietre tutte nello stesso momento, duplicando perfettamente il cortile. Lo immaginò ancora più largo. Alla velocità del pensiero la pietra grigia si estese fino a dove arrivava lo sguardo. Sobbalzando si rese conto che gli stivali stavano incominciando ad affondare nella pietra sotto ai suoi piedi. Non aveva un aspetto diverso, eppure cedeva lentamente come fango, salendo sugli stivali. Velocemente riportò tutto alla dimensione di un quadrato grande come il cortile, quello almeno era solido, quindi incominciò ad aggiungere le pietre una alla volta. Non ci mise molto a capire che non poteva rendere la piattaforma più grande del primo tentativo. La pietra sembrava compatta, non sprofondava sotto ai piedi, ma la seconda fila che aveva aggiunto emanava la sensazione di... incorporeo, come un guscio sottile che poteva spezzarsi al primo passo falso. Forse perché questo era il limite massimo della cosa? O perché non l’aveva pensata più larga fin dall’inizio? Siamo noi a creare i nostri limiti. Questo pensiero scivolò sorprendentemente da qualche parte. E li allarghiamo, più di quanto abbiamo diritto di fare.
Rand rabbrividì. Nel vuoto aveva la sensazione di percepire la presenza di qualcun altro che rabbrividiva a sua volta. Era un bene rammentarsi che Lews Therin fosse ancora dentro di lui. Doveva fare attenzione a non ritrovarsi a combattere con se stesso mentre affrontava Rahvin. Se non fosse stato per quello avrebbe potuto... No. Quello che era accaduto sul molo faceva parte del passato. Non ne avrebbe fatto una frittata per colazione.
Riducendo la dimensione della piattaforma di un giro di pietre, si voltò. Bael aspettava fuori quella che sembrava una grande soglia quadrata, immersa nella luce del giorno, davanti alle scale. Pevin non sembrava turbato da quello che vedeva, come non lo era il capo clan. Avrebbe portato quella bandiera in qualsiasi posto Rand si fosse recato, anche nel Pozzo del Destino, senza battere ciglio. Mat spinse indietro il cappello per grattarsi il capo, quindi lo abbassò di nuovo, mormorando qualcosa sul fatto di avere dei dadi in testa.
«Impressionante» disse Asmodean con calma. «Abbastanza impressionante.»
«Lusingalo in qualche altro momento, arpista» disse Aviendha. Lei fu la prima a passare, mentre osservava Rand, non dove metteva i piedi. Camminò fino a raggiungerlo senza mai distogliere lo sguardo dal volto di Rand. Quando però lo raggiunse, fu solo per girarsi di colpo, sistemandosi lo scialle sui gomiti, studiando l’oscurità. A volte le donne erano più strane di qualsiasi altra cosa che il Creatore aveva fatto.
Bael e Pevin giunsero subito dopo, quindi Asmodean, con una mano stretta sulla tracolla della custodia dell’arpa che gli passava davanti al petto e l’altra con le nocche bianche sull’elsa della spada; poi Mat, ondeggiando, ma un po’ riluttante e lamentandosi come se discutesse fra sé. Nella lingua antica. Sulin sostenne l’onore di essere prima, ma presto seguirono non solo Fanciulle della Lancia, ma Tain Shari, il Vero Sangue, — e Far Aldazar Din, Fratelli delle Aquile, gli Scudi Rossi e i Corridori dell’Alba, i Cani di Pietra e le Mani dei Pugnali, rappresentati di ogni società, una gran processione.
Mentre lo stordimento aumentava, Rand si mosse dal lato della piattaforma opposto al passaggio. Non c’era bisogno di vedere dove stava andando, ma preferiva rendersi conto. Per la verità avrebbe potuto rimanere dall’altro lato, o poteva entrare, le direzioni qui erano mutevoli, ma tutte lo avrebbero portato a Caemlyn, se lo avesse fatto come doveva. O nell’oscurità infinita del nulla, se avesse sbagliato.
Se non per Bael. Sulin e naturalmente Aviendha, gli Aiel lasciarono poco spazio fra lui e Mat, Asmodean e Pevin. «State lontano dai bordi» disse Rand. Gli Aiel vicino a lui si mossero di un passo. Rand non riusciva a vedere oltre la foresta di teste avvolte negli shoufa. «È piena?» chiese ad alta voce. La piattaforma poteva contenere solo la metà di quelli che volevano andare, non molti altri. «È piena?»
«Sì» giunse la voce di una donna alla fine, con riluttanza. Gli era sembrata la voce di Lamelle, ma davanti al passaggio vi erano ancora molte persone. Aiel certi che doveva esserci spazio ancora per un altro.
«Basta!» gridò Rand. «Nessun altro! Allontanatevi dal passaggio! Tutti lontani!» Non voleva che quello che era accaduto alla lancia seanchan accadesse anche a persone in carne e ossa.
Vi fu una pausa, poi una voce: «È libera.» Era Lamelle. Avrebbe scommesso fino all’ultimo centesimo che Enaila e Somara erano da qualche parte.
Il passaggio sembrò roteare, assottigliandosi fino a svanire con un ultimo lampo di luce.
«Sangue e ceneri!» mormorò Mat, appoggiandosi disgustato alla lancia. «Questo è peggio delle maledette Vie!» Cosa che gli fece guadagnare un’occhiataccia di Asmodean e uno sguardo pensieroso di Bael. Mat non vi fece attenzione, era troppo impegnato a scrutare l’oscurità.
Non vi era la sensazione del movimento, non c’era aria e la bandiera di Pevin non si muoveva. Sembrava che fossero immobili. Ma Rand sapeva come stavano le cose. Poteva quasi percepire il luogo dove stavano andando che si avvicinava.
«Se arrivi troppo vicino a lui, ti percepirà.» Asmodean si umettò le labbra evitando di guardarsi intorno. «Almeno questo è quello che ho sentito dire.»
«So dove sto andando» disse Rand. Non troppo vicino. Ma non troppo lontano. Si ricordava bene il punto dove voleva arrivare.
Nessun movimento. Nero infinito e loro sospesi dentro. Nessun movimento. Era trascorsa forse mezz’ora.
Fra gli Aiel vi fu un leggero movimento.
«Cosa succede?» chiese Rand.
Dalla piattaforma giunsero dei mormorii. «Qualcuno è caduto» rispose alla fine un uomo robusto che gli stava vicino. Rand lo riconobbe. Meciar. Era un Cor Darei, una Lancia della Notte. Aveva la fascia rossa.
«Non una delle...» iniziò a dire Rand, quindi vide lo sguardo di Sulin che lo osservava a occhi socchiusi.
Si voltò per guardare fuori nel buio, la rabbia era un disonore appeso al vuoto privo di emozioni. Per cui adesso non doveva importargli se una delle Fanciulle era caduta, vero? Invece gli importava. Cadere per sempre nell’oscurità infinita. La sanità mentale sarebbe durata fino a quando non fosse sopraggiunta la morte, di fame, sete o paura? In quella caduta, anche un Aiel doveva spaventarsi abbastanza da far fermare il cuore. Lo sperava quasi. Doveva essere meglio che l’altra opzione.
Che io sia folgorato, cosa ne è di tutta quella durezza di cui andavo tanto fiero? Una Fanciulla o un Cane di Pietra, una lancia è una lancia, si disse. Solo che anche pensandoci non riusciva a convincersi. Sarò duro! Avrebbe lasciato che le Fanciulle danzassero le lance dove preferivano. Lo avrebbe fatto. E sapeva che avrebbe cercato di scoprire il nome di tutte quelle che fossero morte, che ogni nome sarebbe stato un altro taglio profondo nella sua anima. Sarò duro. Che la Luce mi aiuti, lo sarò. Che la Luce mi aiuti, pensò.
Quasi immobile, sospeso nel buio.
La piattaforma si fermò. Era difficile spiegare come faceva a saperlo e come prima potesse dire che si stesse muovendo, ma era capace di farlo.
Incanalò e si aprì un passaggio come aveva fatto nel cortile di Cairhien. L’angolatura del sole era cambiata di poco, ma qui la luce del mattino risplendeva su una strada lastricata ed era visibile un declivio macchiato di marrone, erba e fiori selvatici secchi per la siccità, sormontato da un muro di pietra alto due spanne o forse anche più, con la pietra lavorata rozzamente per sembrare naturale.
Oltre quel muro poteva vedere la cupola d’oro del palazzo reale di Andor, alcune delle chiare guglie sormontate da bandiere che garrivano, facendo increspare il leone bianco nella brezza. Dall’altro lato c’era il giardino dove aveva incontrato Elayne per la prima volta.
Gli occhi azzurri fluttuarono accusatori fuori dal vuoto, i ricordi fulminei dei baci rubati a Tear, della lettera dove Elayne confessava di aver deposto il cuore e l’anima ai suoi piedi, un messaggio riferito da Egwene che professava amore. Cosa avrebbe detto se fosse venuta a sapere di Aviendha, di quella notte che avevano trascorso assieme nel riparo di ghiaccio? Ricordi di un’altra lettera che lo respingeva con freddezza, una regina che condannava un porcaro alle tenebre. Non importava. Lan aveva ragione. Ma lui voleva... Cosa? Chi? Occhi azzurri, verdi e castano scuro. Elayne, che forse lo amava e forse non riusciva a fare una scelta? Aviendha, che lo perseguitava con quello che non gli avrebbe più lasciato toccare? Min, che rideva di lui, che lo riteneva un sempliciotto? Tutto questo superò i confini del vuoto. Rand cercò di ignorarlo, di ignorare i ricordi angosciosi di un’altra donna con gli occhi azzurri, morta in uno dei corridoi del palazzo, molto tempo prima.
Doveva restare fermo sul posto mentre gli Aiel spuntavano da dietro a Bael, distribuendosi a destra e a sinistra. Era la sua presenza a mantenere la piattaforma. Sarebbe svanita non appena avesse varcato il passaggio. Aviendha attendeva quasi con la stessa calma di Pevin, anche se occasionalmente infilava la testa fuori per osservare in una direzione o l’altra della strada. Asmodean toccava la spada e respirava troppo velocemente; Rand si chiedeva se l’uomo sapesse come usare quell’oggetto. Non che ne avrebbe avuto bisogno. Mat guardò il muro come se avesse un brutto ricordo. Una volta anche lui era entrato nel palazzo da questa parte.
L’ultimo Aiel velato superò la porta e Rand fece uscire gli altri, quindi li seguì. Il passaggio svanì, lasciandolo nel mezzo di un lungo circolo di Fanciulle circospette. Alcuni Aiel correvano oltre le curve della strada che seguiva la linea della collina; tutte le strade della città interna seguivano la terra, scomparendo dietro gli angoli mentre cercavano e catturavano tutti quelli che avrebbero potuto dare l’allarme. Altri stavano risalendo il declivio e alcuni avevano addirittura incominciato a scalare il muro, usando piccoli ganci e catene come appigli.
Di colpo Rand si mise a osservare un punto. Alla sua sinistra la strada si dirigeva verso il basso fino a scomparire dalla vista; la discesa apriva la visuale oltre le torri dai tetti coperti di tegole che risplendevano nel sole del mattino con centinaia di colori diversi, e oltre, fino ai molti parchi della città interna, con i viottoli bianchi e i monumenti che formavano una testa di leone quando venivano osservati da quell’angolo. A destra la strada saliva un po’ prima di curvare, si vedevano altre torri sormontate da guglie o cupole di diverse forme che splendevano sopra i tetti. Gli Aiel riempivano le strade, aprendosi velocemente a ventaglio attorno al palazzo. Aiel e nessun altro. Il sole era abbastanza alto perché la gente fosse fuori a sbrigare le proprie faccende, anche così vicino al palazzo.
Come in un incubo il muro sopra di lui cadde in avanti in una mezza dozzina di punti diversi, Aiel e pietre cadevano su quelli che ancora si stavano arrampicando. Prima che i pezzi di pietra che rimbalzavano e rotolavano raggiungessero la strada nelle aperture, apparvero dei Trolloc; lasciavano cadere gli arieti che avevano usato ed estraevano le spade a forma di falce, altri con le asce chiodate e lance uncinate, enormi forme umane con la cotta di maglia nera, chiodi sulle spalle e sui gomiti, grandi volti umani deformati da musi e grugni, becchi, corna e piume, scendevano a precipizio dal pendio, mentre un Myrddraal si stagliava come un serpente di mezzanotte al centro del gruppo. Lungo tutta la strada Trolloc ululanti e Myrddraal silenziosi fluivano copiosi dai varchi nel muro, balzavano fuori dalle finestre. Dal cielo senza nuvole partì un fulmine.
Rand lavorò flussi di Fuoco e Aria per controbattere Fuoco e Aria, uno scudo che si espanse lentamente per contenere la caduta del fulmine. Troppo lento. Un fulmine colpì lo schermo sopra la testa di Rand, dissolvendosi in un bagliore accecante, e altri ne seguirono tanto che i capelli di Rand si rizzarono come se l’aria vibrasse in seguito a un tremendo colpo di martello. Perse quasi la presa sui flussi, il vuoto, ma tesseva quello che non poteva vedere con gli occhi ancora abbagliati dalla luce brillante; estendeva lo scudo contro i fulmini che scendevano dai cieli, e li sentiva schiantarsi contro. Cercavano di raggiungerlo, e la situazione poteva cambiare da un momento all’altro. Attingendo saidin dal ter’angreal che aveva in tasca, lavorò lo scudo finché non fu sicuro che aveva coperto almeno la metà della città interna, quindi lo legò. Mentre si alzava in piedi la vista cominciò a tornare, acquosa e dolorosa dapprincipio. Doveva muoversi velocemente. Rahvin sapeva che lui era lì. Doveva...
Tutto era avvenuto in pochi attimi. A Rahvin non importava quanti dei suoi avesse abbattuto. Trolloc e Myrddraal storditi lungo il pendio cadevano colpiti dalle lance delle Fanciulle, molte delle quali erano a loro volta instabili. Alcune Fanciulle, quelle più vicine a Rand, si stavano rialzando da dove erano state scagliate e Pevin era in piedi a gambe divaricate, mantenendosi in equilibrio con il supporto dell’asta della bandiera rossa, il volto sfregiato, inespressivo come ardesia. Altri Trolloc emersero dalle aperture del muro soprastante e il clamore della battaglia riempì le strade, ma avrebbe anche potuto essere in un’altra nazione per quanto riguardava Rand.
La maggior parte dei fulmini era stata scagliata nella prima raffica, ma non tutti erano stati diretti contro di lui. Gli stivali fumanti di Mat si trovavano a una dozzina di passi da lui, che era disteso sul dorso. Fili di fumo salivano dall’asta nera della sua lancia, dalla giubba, e dal medaglione d’argento con la testa di volpe che pendeva fuori dalla camicia, che non lo aveva protetto da un uomo che incanalava. Asmodean era una sagoma di carbone contorta, riconoscibile solo dalla custodia carbonizzata dell’arpa ancora legata dietro la schiena. E Aviendha... Incolume, sembrava che stesse riposando, con gli occhi sgranati puntati in direzione del sole.
Rand si inchinò per toccarle una guancia. Stava diventando fresca. Emanava la sensazione... non di carne.
«RAAAHVIIIIN!»
Rimase leggermente stupito sentendo quel suono sgorgagli dalla gola. Sembrava che fosse seduto da qualche parte in fondo alla propria testa, il vuoto che lo circondava più vasto, più vuoto di quanto non fosse mai stato. Laidi infuriava dentro di lui. Non gli sarebbe importato se lo avesse consumato. La contaminazione filtrava da ovunque, lucidava tutto. Non gli importava.
Tre Trolloc superarono le Fanciulle, brandendo grandi asce chiodate e lance uncinate, gli occhi fin troppo umani fissi su di lui, apparentemente incolume. Quello con le zanne di cinghiale cadde grazie alla lancia di Enaila che gli aveva trapassato la schiena. Becco d’aquila e muso d’orso gli corsero incontro, uno con gli stivali, l’altro su delle zampe.
Rand stava sorridendo.
Dai due Trolloc eruppe il fuoco, una fiamma per ogni poro che sgorgava dalla cotta di maglia nera. Mentre spalancavano le bocche per gridare si aprì un passaggio vicino a loro. Delle metà di Trolloc incendiati, tranciate di netto, caddero al suolo, ma Rand fissava l’apertura. Non era buio, e si vedeva una grande sala con delle colonne e dei pannelli di pietra con incisi dei leoni, dove un grosso uomo con le tempie bianche fra i capelli scuri lo fissava sorpreso da un trono dorato. Una dozzina di uomini, alcuni vestiti come dei lord, altri con i pettorali di metallo, si voltarono per seguire lo sguardo del loro signore.
Rand non prestò loro alcuna attenzione. «Rahvin» lo chiamò. O forse qualcun altro, non era certo di chi avesse parlato. Lanciando fuoco e fulmini davanti a lui, scavalcò il passaggio e lasciò che si chiudesse alle sue spalle. Rand era la morte.
Nynaeve non aveva alcun problema a mantenere l’umore adatto a incanalare un flusso di Spirito nella donna dormiente scolpita nell’ambra che portava nel sacchetto appeso alla cintura. Anche la sensazione di occhi invisibili non poteva toccarla, schermata com’era dalla rabbia di quella mattina. Siuan si trovava davanti a lei in una strada di Salidar nel tel’aran’rhiod, una strada deserta se non per la loro presenza e alcune mosche. Si fermò a osservarle incuriosita prima di proseguire.
«Devi concentrarti» gridò Nynaeve. «La prima volta avevi più controllo. Concentrati!»
«Mi sto concentrando, sciocca ragazza!» L’abito di lana e semplice di Siuan divenne improvvisamente di seta. Aveva la stola di sette colori dell’Amyrlin Seat attorno al collo e un serpente d’oro si mordeva la coda attorno a un dito. Mentre lanciava un’occhiata torva, Nynaeve non sembrava consapevole del cambiamento, anche se era la quinta volta che quel giorno indossava quella stessa combinazione. «Se ci sono delle difficoltà, dipendono da quel disgustoso intruglio che mi hai somministrato! Ne sento ancora il sapore. Come gallette di pesce!» Stola e anello svanirono, il collo alto dell’abito di seta divenne abbastanza basso da rivelare l’anello di pietra che aveva al collo, appeso a una sottile catenina d’oro.
«Se non avessi insistito per farti insegnare a usare l’anello quando avevi bisogno di qualcosa per dormire, non ti sarebbe servito.» Nella mistura aveva aggiunto un po’ di radice di linguapecora e alcune altre cosette che non erano davvero necessarie. La donna meritava di sentire quel saporaccio.
«Non riesci a insegnarmi nulla quando addestri Sheriam e le altre.» La seta divenne chiara, il collo di nuovo alto, circondato da merletto bianco e fra i capelli un cappuccio tempestato di perle. «O preferiresti che venissi dopo di loro? Dici di avere bisogno di un po’ di sonno indisturbato.»
Nynaeve tremava con i pugni chiusi lungo i fianchi. Sheriam e le altre non erano le sole a provocare la sua rabbia. Lei ed Elayne facevano dei turni per portarle nel tel’aran’rhiod due per volta, capitava anche tutte e sei in una notte, e sebbene lei fosse l’insegnante le facevano pensare che fosse Ammessa e loro Aes Sedai. Una parola dura quando commettevano un errore sciocco... Elayne era solo stata mandata una volta a pulire le pentole, ma le mani di Nynaeve erano rovinate per via dell’acqua calda e saponata, in ogni caso nel luogo in cui il suo corpo dormiva. Ma non erano le peggiori. E non lo era nemmeno il fatto che riusciva appena ad avere un momento per investigare cosa, se era possibile, poteva essere fatto per la quietatura e la domatura. Logain cooperava di più rispetto a Siuan e Leane. Grazie alla Luce capiva che doveva mantenere il segreto. O lo pensava. Probabilmente credeva che la donna prima o poi lo avrebbe guarito. No, la cosa peggiore era che Faolain era stata esaminata e promossa... non Aes Sedai, non senza la Verga dei Giuramenti che era conservata alla Torre, ma qualcosa di più che Ammessa. Adesso Faolain indossava gli abiti che preferiva e se non poteva portare la stola o scegliere un’Ajah di appartenenza, le era stato conferito un tipo diverso di autorità. Nynaeve pensava di avere servito più tazze d’acqua, portato più libri a posto, lasciati deliberatamente in giro — di questo era certa — più spille e boccette di inchiostro negli ultimi quattro giorni di quanto avesse fatto per tutta la permanenza nella Torre. Eppure Faolain non era la peggiore. Non voleva nemmeno pensarci. La rabbia che provava avrebbe potuto scaldare una casa d’inverno.
«Che cos’è oggi che ti ha messo un amo nelle branchie, ragazza?» Siuan indossava un abito come quelli di Leane, solo più trasparente di quanto l’altra avrebbe mai portato in pubblico, talmente sottile che era difficile dire di che colore fosse. Non era la prima volta quel giorno. Che cosa aveva in mente la donna? Nel Mondo dei Sogni cose come il cambiamento di abiti tradivano pensieri che forse non eri nemmeno consapevole di avere. «Sei quasi stata una compagnia decente fino a oggi» continuò arrabbiata Siuan, facendo poi una pausa. «Fino a oggi. Adesso capisco. Ieri pomeriggio Sheriam ha assegnato a Theodrin l’incarico di aiutarti a superare quel blocco che ti sei costruita. È questo che ti ha messa di malumore? Non ti piace che Theodrin ti dica cosa fare? Anche lei è una selvatica, ragazza. Se qualcuna può aiutarti a incanalare senza prima dover mangiare le ortiche, lei...»
«E che cosa ti ha resa tanto nervosa che non riesci nemmeno a mantenere lo stesso abito?» Theodrin, era quello che davvero le faceva male. Il fallimento. «Forse si tratta di qualcosa che ho sentito la scorsa notte?» Theodrin aveva un carattere moderato, buon umore ed era paziente. Aveva spiegato che non poteva essere fatto in un solo incontro. Lei ci aveva impiegato mesi a superare il suo blocco, e alla fine si era resa conto che incanalava da molto tempo prima di recarsi alla Torre. Eppure il fallimento faceva male, e peggio di tutto, se qualcuno avesse scoperto che si era messa a piangere come una bambina fra le braccia di Theodrin che tentava di confortarla quando aveva capito quel fallimento... «Ho sentito dire che hai tirato gli stivali in testa a Gareth Bryne quando ti ha detto di sederti e lucidarli come si deve; ancora non sa che è Min l’addetto a quelle incombenze, vero? Per cui ti ha girata e...»
Lo schiaffo a mano piena di Siuan le fece risuonare le orecchie. Per un instante poté solo osservare l’altra donna, sgranando gli occhi. Con un grido inarticolato cercò di dare un pugno in un occhio a Sheriam. Ci aveva provato perché Siuan l’aveva presa per i capelli. Dopo un po’ si ritrovano in terra per la strada, rotolando e gridando, agitandosi selvaggiamente. Sbuffando, Nynaeve credeva di stare per avere la meglio anche se non sapeva se si trovava sopra o sotto l’altra donna, che stava cercando di strapparle la treccia di testa con una mano mentre con l’altra la colpiva sulle costole o in qualsiasi altro punto le capitasse a tiro. Lei faceva altrettanto, e Siuan stava indebolendosi: in un altro momento le avrebbe fatto perdere i sensi, per poi rasarla a zero. Nynaeve gridò quando le arrivò un calcio negli stinchi. La donna scalciava! Nynaeve cercò di metterla in ginocchio, ma non era facile con la gonna. Scalciare non era leale!
Di colpo si accorse che Siuan tremava. All’inizio credeva che la donna stesse piangendo. Poi si accorse che rideva. Alzandosi, si tolse delle ciocche di capelli dal viso, la treccia era tutta disfatta, e guardò furiosa l’altra donna. «Che cos’hai da ridere? Di me? Se stai...!»
«Non di te, di noi.» Ancora scossa dalle risate Siuan si tolse Nynaeve di dosso. Anche lei aveva i capelli in disordine e la polvere copriva l’abito semplice di lana che aveva indosso, consumato e rammendato in diversi punti. Era anche scalza. «Due donne adulte che si rotolano in terra come... Non lo facevo da quando avevo... dodici anni, credo. Pensavo che la grassa Cian sarebbe venuta a tirarmi per un orecchio per dirmi che le ragazze non lottano. Ho sentito dire che una volta ha colpito uno stampatore ubriaco fino a farlo svenire, ma non so perché.» Ridacchiava di nuovo, quindi divenne calma di colpo e si alzò, spolverandosi gli abiti. «Se non andiamo d’accordo su qualcosa, possiamo chiarirci da persone adulte.» Con tono prudente aggiunse, «Sarebbe comunque una buona idea non parlare di Gareth Bryne.» Sobbalzò vedendo che l’abito consumato si trasformava in uno rosso con dei ricami nero e oro tutto attorno all’orlo e alla scollatura profonda.
Nynaeve stava seduta a fissarla. Cosa avrebbe fatto in veste di Sapiente se avesse trovato due donne avvinghiate a lottare come avevano fatto loro? La risposta che si era data tenne a freno la rabbia. Siuan ancora non sembrava rendersi conto che non c’era bisogno di togliere la polvere con le mani in tel’aran’rhiod. Rimuovendo le dita che stavano sistemando la treccia, Nynaeve si alzò velocemente, prima che fosse del tutto in piedi la treccia era perfetta e le scendeva su una spalla, mentre l’abito dei Fiumi Gemelli sembrava fresco di bucato.
«Sono d’accordo» disse. Nynaeve avrebbe fatto pentire qualsiasi donna avesse trovato in quelle condizioni prima di trascinarla davanti alla Cerchia delle donne. Cosa pensava di fare scagliando pugni come uno sciocco uomo? Prima Cerandin, che non voleva pensare a quell’episodio, ma era accaduto, poi Latelle e adesso questo. Voleva superare il suo blocco rimanendo sempre arrabbiata? Sfortunatamente, o forse il contrario, quel pensiero non fece nulla per influenzarle l’umore. «Se abbiamo delle discordie possiamo parlarne.»
«Il che suppongo significa che grideremo» aggiunse asciutta Siuan. «Be’, meglio questo che l’altro.»
«Non dovremmo gridare sei tu...!» Inspirando profondamente Nynaeve distolse lo sguardo, non era quello il modo di iniziare. Il respiro le rimase in gola e voltò di nuovo la testa verso Siuan con tale velocità che sembrava stesse scuotendo il capo. Sperava fosse così. Per un istante aveva visto un volto in una finestra dall’altro lato della strada. Avvertiva qualcosa nello stomaco, un conato di paura, un’esplosione d’ira per essersi spaventata. «Penso che sia ora di tornare» disse con calma.
«Ritornare! Hai detto che quella mistura disgustosa mi avrebbe fatto dormire per due ore e non siamo rimaste qui nemmeno la metà di quel tempo.»
«Qui il tempo trascorre in maniera diversa.» Si era trattato di Moghedien? Quel viso era svanito con tale velocità che forse era stato solo un sogno. Se era Moghedien, non dovevano, per nessun motivo, farle capire che l’avevano vista. Dovevano andare via. La paura stava eliminando la rabbia. «Te l’ho detto. Un giorno in tel’aran’rhiod potrebbe essere un’ora nel mondo reale o il contrario. Dobbiamo...»
«Sono fradicia, altro che uno spacco nel secchio, ragazza. Non credere di cavartela con spiegazioni sbrigative. Mi insegnerai tutto quello che hai insegnato alle altre, come concordato. Possiamo andare via quando mi sveglio.»
Non c’era tempo. Se si era trattato di Moghedien. Il vestito di Siuan adesso era di seta verde e la stola dell’Amyrlin con il Gran Serpente erano riapparsi, ma stranamente la scollatura era molto profonda. L’anello ter’angreal si trovava sopra ai seni e faceva in qualche modo parte di un girocollo di smeraldi. Nynaeve si mosse senza pensare. Protese le mani in avanti, strappò il girocollo dal collo di Siuan, la quale sgranò gli occhi, ma non appena il fermaglio si ruppe, la donna svanì, collana e anello si dissolsero fra le mani di Nynaeve. Per un istante si guardò le mani vuote. Cosa accadeva a qualcuno che veniva cacciato via a quel modo da tel’aran’rhiod? Aveva rimandato Siuan nel corpo addormentato? O forse altrove? Magari nel nulla?
Fu travolta dal panico e se ne stava immobile. Fuggì rapida come il pensiero, il mondo dei sogni sembrò cambiare attorno a lei.
Si ritrovò in piedi in una stradina di terra battuta di un villaggio di case di legno, non più alte di un piano. Il Leone Bianco di Andor ondeggiava sulla punta di un’asta e un molo di pietra si protendeva in un fiume dove uno stormo di uccelli dal collo lungo volava verso sud, basso sull’acqua. Sembrava tutto vagamente familiare, ma ci mise un po’ a capire dove si trovasse. Si trattava di Jurene. A Cairhien. Il fiume era l’Erinin. Era stato qui che lei, Egwene ed Elayne erano salite a bordo della Perca, la stessa cattiva scelta di nome come il Serpente di fiume, per continuare il viaggio verso Tear. Quei tempi sembravano qualcosa letto in un libro molto tempo addietro.
Perché era saltata a Jurene? Era una domanda semplice e la risposta fu immediata. Jurene era un posto che conosceva abbastanza bene in tel’aran’rhiod e forse Moghedien no. Si erano trovate in quel luogo per un’ora, prima che Moghedien venisse a conoscenza della sua esistenza, ed era sicura che né lei né Elayne ne avevano più parlato. In tel’aran’rhiod o da sveglie.
Ma questo portava a un’altra domanda. La stessa, in un certo senso. Perché Jurene? Perché non saltare fuori dal sogno e svegliarsi nel suo letto, se lavare i piatti e pulire i pavimenti non l’aveva stancata al punto tale da rimanere comunque addormentata? Posso ancora uscire, si disse. Moghedien l’aveva vista a Salidar. Posso dirlo a Sheriam, pensò. Ma come? Ammettendo che stava dando lezioni a Siuan? In teoria non doveva mettere mano a quei ter’angreal tranne quando Sheriam o le altre Aes Sedai erano con lei. Come faceva Siuan a prenderli ogni volta che voleva, Nynaeve non ne aveva idea. No, non aveva paura di altre ore da trascorrere con le braccia immerse nell’acqua calda. Aveva paura di Moghedien. La rabbia le bruciava nello stomaco con tale forza che desiderava avere della menta dell’oca fra le erbe che si era portata appresso. Mi sento così... così maledettamente stanca di avere paura, si disse.
Davanti a una delle case c’era una panca, che guardava verso il fiume. Nynaeve si sedette e analizzò la sua situazione da ogni punto di vista. Era ridicolo. La Vera Fonte era pallida. Incanalò una fiamma che danzò davanti a lei, sopra la mano. Sembrava solida, almeno ai suoi occhi, ma attraverso di essa riusciva a vedere il fiume. La legò e svanì come nebbia non appena il nodo si strinse. Come poteva affrontare Moghedien se la più debole delle novizie a Saidar era al suo livello o forse anche più forte? Era il motivo per cui era fuggita invece di lasciare tel’aran’rhiod. Spaventata e arrabbiata per avere paura, troppo furiosa per pensare con chiarezza, per elaborare le proprie debolezze.
Sarebbe uscita dal sogno. Qualsiasi fosse stato il piano di Siuan, era finito. Avrebbe dovuto accettarne le conseguenze insieme a Nynaeve. Il pensiero di dover pulire altri pavimenti le fece aumentare la presa sulla treccia. Per giorni probabilmente, e forse si sarebbe presa anche le frustate di Sheriam. Forse non l’avrebbero mai più lasciata avvicinare a uno dei ter’angreal, uno qualsiasi. La avrebbero affidata a Faolain invece che a Theodrin. La fine degli studi su Siuan, Leane e Logain, forse anche la fine dello studio della guarigione.
Furiosa, incanalò un’altra fiamma. Se era più forte, non riusciva a vederlo. A tanto era servito cercare di aumentare la rabbia nella speranza che l’avrebbe aiutata. «Non posso fare altro che dir loro che ho visto Moghedien» mormorò, tirando forte la treccia fino a farsi male. «Luce, mi consegneranno a Faolain. Preferirei quasi morire!»
«Però sembra che ti diverti a fare le commissioni per lei.»
Quella voce canzonatoria fece alzare Nynaeve dalla panca come se delle mani la tirassero su dalle spalle. Moghedien era in mezzo alla strada tutta vestita di nero, e scuoteva la testa a quella vista. Nynaeve lavorò un flusso di Spirito con tutta la forza che aveva e lo lanciò fra l’altra dorma e saidar. O almeno cercò di farlo. Era come tentare di abbattere un albero con un’accetta di carta. Moghedien sorrise prima di recidere il flusso di Nynaeve, con la stessa indifferenza di chi scaccia un moscerino, un ‘mordimi’, davanti al viso. Nynaeve la fissò come se fosse stata colpita da un’ascia. Dopo tutti gli sforzi era giunta a questo risultato. L’Unico Potere era inutile. Tutta la rabbia che ribolliva in lei era inutile. Anche tutti i suoi piani, le sue speranze. Moghedien non si prese il disturbo di ricambiare l’attacco. Non incanalò nemmeno uno schermo, dimostrando così tutto il suo disprezzo.
«Temevo che mi avessi vista. Sono diventata imprudente quando te e Siuan avete incominciato a litigare. A mani nude.»
Moghedien rise spregevolmente. Stava intessendo qualcosa, pigramente, perché non aveva alcun motivo di sbrigarsi. Nynaeve non sapeva di cosa si trattasse, ma voleva gridare. La furia ribolliva dentro di lei, ma la paura le rallentava i riflessi, la aveva ancorata al suolo.
«A volte penso che sei troppo ignorante per essere addestrata, tu, la ex Amyrlin Seat e tutte le altre. Ma non posso permetterti di tradirmi.» Quel flusso la stava raggiungendo. «Sembra che sia giunto il momento di portarti via, alla fine.»
«Aspetta, Moghedien» gridò Birgitte.
Nynaeve rimase a bocca aperta. Era Birgitte nella sua vecchia forma, con la corta giubba bianca e gli ampi pantaloni gialli, una treccia elaborata sulle spalle e la freccia d’argento incoccata su un arco dello stesso metallo. Era impossibile. Birgitte non apparteneva più al tel’aran’rhiod, si trovava a Salidar, per accertarsi che nessuno scoprisse che Nynaeve o Siuan dormissero con il sole alto e incominciassero a porre domande.
Moghedien era talmente stupita che il flusso che aveva intessuto svanì. Lo stupore durò meno di un momento. La freccia splendente lasciò l’arco di Birgitte e... evaporò. Come anche l’arco. Qualcosa sembrò afferrare l’arciera, tirandole in alto le braccia, sollevandola dal suolo. Fu legata quasi immediatamente, mani e piedi a diversi centimetri da terra.
«Avrei dovuto considerare la possibilità della tua presenza.» Moghedien rivolse la schiena a Nynaeve per dirigersi verso Birgitte. «Ti diverte essere di nuovo in carne e ossa? Senza Gaidal Cain?»
Nynaeve pensò di incanalare. Ma cosa? Un pugnale che forse non avrebbe nemmeno penetrato la pelle della donna? Fuoco che non le avrebbe nemmeno bruciato la gonna? Moghedien sapeva che lei era inutile, non la stava nemmeno guardando. Se avesse sospeso il flusso di Spirito nella placca con la donna dormiente, si sarebbe svegliata a Salidar e avrebbe potuto dare l’allarme. Il viso si distorse quasi fino a giungere alle lacrime mentre guardava Birgitte. La donna con i capelli biondi era sospesa davanti a lei e guardava con aria di sfida Moghedien. Quest’ultima la osservava come uno scultore del legno poteva guardare un tronco.
Ci sono solo io, pensò Nynaeve. Potrei benissimo non essere in grado di incanalare, ci sono solo io, si disse.
Sollevare quel primo piede fu come uscire fuori dal fango fino alle ginocchia, il secondo non fu più facile. Verso Moghedien. «Non farmi del male» gridò Nynaeve. «Ti prego, non farmi del male.» Fu scossa da un brivido. Birgitte era scomparsa. Una bambina di forse tre o quattro anni, con una corta giubba bianca e ampi pantaloni gialli stava davanti a lei e giocava con un arco d’argento della dimensione di un giocattolo. Lanciando la treccia dietro le spalle, la bambina puntò l’arco verso Nynaeve e rise, quindi si mise un dito in bocca come se pensasse di aver fatto qualcosa di sbagliato. Nynaeve cadde in ginocchio. Era difficile strisciare con una gonna, ma non credeva che avrebbe potuto rimanere in piedi. In qualche modo vi riuscì, protendendo una mano implorante e piagnucolando: «Ti prego, non farmi del male. Ti prego. Non farmi del male.» Continuava a ripetere quella frase mentre strisciava verso la Reietta, uno scarafaggio che strisciava nella terra.
Moghedien la guardò in silenzio, poi disse: «Una volta pensavo che fossi più forte di quello che vedo. Adesso mi accorgo che mi piace davvero vederti in ginocchio. Fermati, sei abbastanza vicina. Non credo che tu abbia abbastanza coraggio per strapparmi i capelli...»
Sembrava divertita all’idea.
La mano di Nynaeve si agitava a una spanna di distanza da Moghedien. Doveva essere abbastanza vicina. C’era solo lei. E tel’aran’rhiod. Nella testa della donna si formò l’immagine, e apparve: un braccialetto d’argento attorno al polso. Un guinzaglio d’argento lo univa al collare attorno al collo di Moghedien. Non era solo l’a’dam che aveva in testa, ma Moghedien che lo indossava, Moghedien e l’a’dam, una parte di tel’aran’rhiod che manteneva nella forma che preferiva. Aveva una mezza idea di cosa l’aspettava. Aveva brevemente indossato il bracciale dell’a’dam in un’altra occasione, a Falme. In uno strano modo era consapevole della presenza di Moghedien come del proprio corpo; due gruppi distinti di emozioni ma ognuno nella sua testa. Aveva sperato in una sola cosa, perché Elayne insisteva che così era. Gli oggetti erano davvero un legame. Poteva percepire la Fonte attraverso l’altra donna.
La mano di Moghedien scattò verso il collare, con lo stupore dipinto negli occhi. Rabbia e orrore. Più rabbia che orrore all’inizio. Nynaeve avvertiva quelle emozioni quasi come se fossero sue. Moghedien doveva sapere cosa fossero quel bracciale e il collare, eppure aveva tentato di incanalare in ogni caso. Simultaneamente, Nynaeve avvertì un leggero cambiamento dentro di sé, nell’a’dam, mentre l’altra donna cercava di piegare tel’aran’rhiod alla sua volontà. Reprimere il tentativo di Moghedien fu semplice. L’a’dam era il legame, e lei aveva il controllo. Saperlo rendeva tutto più facile. Nynaeve non voleva incanalare quei flussi, per cui non venivano incanalati. Era come se Moghedien stesse provando a sollevare una montagna a mani nude. L’orrore superò la rabbia.
Alzandosi in piedi Nynaeve consolidò la visione mentale. Non si era limitata a immaginare Moghedien al guinzaglio dell’a’dam, ‘sapeva’ che Moghedien era legata, con la stessa precisione con cui conosceva il proprio nome. «Smettila» disse severa. L’a’dam non si mosse, ma sembrava che tremasse invisibile. Aveva pensato a un nido di vespe nere che sfiorava leggermente l’altra donna dalle spalle alle ginocchia. Moghedien tremò, ed espirò in preda alle convulsioni. «Smettila, ho detto, o farò di peggio.» L’attrito si interruppe. Moghedien la guardò circospetta, sempre stringendo il collare d’argento attorno al collo, sembrando che fosse in punta di piedi, pronta a combattere.
Birgitte — la bambina che era o che era stata — le guardava incuriosita. Nynaeve formò l’immagine della donna adulta, concentrata. La bambina si rimise il dito in bocca e iniziò a studiare l’arco giocattolo. Nynaeve sospirò furiosa. Era difficile cambiare quello che qualcun altro stava mantenendo. Inoltre Moghedien sosteneva di poter rendere permanenti i cambiamenti. Ma quello che poteva fare, lo poteva disfare. «Riportala al normale.»
«Se mi rilasci...»
Nynaeve pensò nuovamente al nido di vespe e stavolta non una leggera frizione. Moghedien respirò a denti stretti, tremando come un lenzuolo nel vento forte.
«Questa» disse Birgitte, «è stata la cosa più spaventosa che mi sia mai successa.» Era di nuovo se stessa, indossava la giubba corta e gli ampi pantaloni, ma non aveva arco e faretra. «Ero una bambina, ma allo stesso tempo non ero io, non sul serio, solo una fantasia che fluttuava nella testa di una bambina. E ne ero consapevole. Sapevo che avrei solo potuto stare a guardare quello che succedeva...» Lanciando la treccia dorata dietro le spalle, guardò duramente Moghedien.
«Come sei arrivata qui?» chiese Nynaeve. «Sono grata che tu capisca, ma... come?»
Birgitte rivolse a Moghedien un ultimo sguardo durissimo, quindi aprì la giubba per pescare qualcosa da sotto la camicia, estraendo l’anello di pietra ritorta appeso a un laccio di cuoio. «Siuan si è svegliata per un momento e non completamente. Abbastanza a lungo per borbottare qualcosa in merito al fatto che le avevi strappato l’anello dal collo. Quando non ti sei svegliata subito dopo di lei ho capito che c’era qualcosa di sbagliato, per cui ho preso l’anello e parte della mistura che Siuan aveva lasciato.»
«Ne era rimasta poca, solo un fondo.»
«Abbastanza per farmi addormentare. Aveva un sapore orribile, sa lo vuoi sapere. Dopo di quello è stato tutto facile, come trovare delle danzatrici delle piume a Shiota. In qualche modo è come se fossi ancora...» Birgitte si interruppe lanciando un’altra occhiata furiosa a Moghedien. L’arco d’argento riapparve fra le sue mani e una faretra piena di frecce d’argento appesa al fianco, ma dopo un po’ svanirono di nuovo. «Il passato è passato e davanti a me c’è il futuro» disse con fermezza. «Non mi ha sorpreso vedere che eravate in due nel tel’aran’rhiod. Sapevo che doveva essercene un’altra e quando sono arrivata e vi ho viste...
Sembrava che ti avesse già catturata, ma speravo che se l’avessi distratta potevi fare qualcosa.»
Nynaeve provò una fitta di vergogna. Aveva considerato di abbandonare Birgitte. Era stato il pensiero di un momento, respinto non appena si era formato, ma c’era stato. Era davvero una gran codarda. Era sicura che Birgitte non aveva mai avuto paura. «Io...» un vago sapore di felcegatta bollita e polvere di foglia dell’intenditore. «Sono quasi fuggita» disse debolmente. «Ero così spaventata che la lingua mi si era appiccicata al palato. Sono quasi scappata abbandonandoti.»
«Oh?» Nynaeve si sentiva male mentre Birgitte rifletteva. «Ma non l’hai fatto, vero? Avrei dovuto rilasciare la freccia prima di chiamarla, ma non mi piace colpire qualcuno alle spalle. Anche lei. Comunque ha funzionato. Cosa ne facciamo adesso?»
Moghedien sembrava aver superato le proprie paure. Ignorando il collare d’argento attorno alla gola guardò Nynaeve e Birgitte come se fossero loro le prigioniere, non lei, e fosse in grado di decidere cosa fare di loro. Tranne dei leggeri movimenti della mano, come se volesse grattarsi nel punto in cui ancora provava la sensazione del nido di vespe, sembrava l’incarnazione della serenità vestita di nero. Solo l’a’dam comunicava a Nynaeve che la donna aveva paura, che quasi tremava, malgrado stesse mantenendo un forte controllo. Desiderava che quell’oggetto le avesse lasciato scoprire quello che pensava Moghedien, oltre a ciò che provava. Ma in fondo era anche contenta di non avere accesso alla mente che si celava dietro quegli occhi scuri e freddi.
«Prima che pensi a qualsiasi soluzione... drastica» disse Moghedien, «ricordati che io so molte cose che potrebbero esserti utili. Ho osservato gli altri Prescelti, spiato i loro schemi. Non sono informazioni preziose?»
«Vediamo se è davvero così» rispose Nynaeve. Cosa poteva fare con quella donna?
«Lanfear, Graendal, Rahvin e Sammael stanno complottando insieme.»
Nynaeve tirò leggermente il guinzaglio. «Questo lo so già. Dimmi qualcosa di nuovo.» La donna qui era prigioniera, ma l’a’dam esisteva solo qui, nel tel’aran’rhiod.
«Sai che stanno spingendo Rand al’Thor ad attaccare Sammael? Ma quando lo farà, troverà anche degli altri: è una trappola. Quantomeno troverà Graendal e Rahvin. Credo che Lanfear stia giocando a qualche altro gioco, uno che gli altri non conoscono.»
Nynaeve scambiò delle occhiate preoccupate con Birgitte. Bisognava avvertire Rand. Sarebbe accaduto, non appena lei ed Elayne avessero parlato con Egwene quella sera. Se riuscivano a mettere le mani sul ter’angreal.
«Questo è quanto» mormorò Moghedien. «Se vive abbastanza a lungo per trovarli.»
Nynaeve afferrò il guinzaglio d’argento nel punto in cui si univa al collare e tirò il viso della Reietta vicino al suo. Gli occhi scuri inespressivi incontrarono lo sguardo di Nynaeve, ma riusciva a percepire la rabbia attraverso l’a’dam, e la paura che cercava di emergere e veniva respinta. «Stammi a sentire. Credi che non sappia perché fingi di cooperare? Credi che se parli abbastanza a lungo commetterò qualche errore per permetterti di fuggire. Pensi che più a lungo parliamo, più sarà difficile per me ucciderti.» Era abbastanza vero. Uccidere qualcuno a sangue freddo, anche una dei Reietti, sarebbe stato difficile, forse non avrebbe potuto farlo. Cosa avrebbe fatto di questa donna? «Ma cerca di capire una cosa: non ti permetterò di fare allusioni. Se cerchi di tenermi qualcosa nascosta, ti farò qualsiasi cosa tu abbia pensato di fare a me.» Il terrore avanzava attraverso il guinzaglio, come se fossero grida agghiaccianti nel fondo della mente di Moghedien. Forse non sapeva così tanto degli a’dam come Nynaeve aveva pensato. Forse credeva che Nynaeve potesse leggerle il pensiero se ci avesse provato.,«Adesso, se sei al corrente di qualcosa che minaccia Rand, qualcosa oltre Sammael e gli altri, me lo devi dire. Subito!»
Le parole sgorgarono dalla bocca di Moghedien, che continuava a umettarsi le labbra. «Al’Thor vuole dare la caccia a Rahvin. Oggi Stamattina. Perché crede che Rahvin abbia ucciso Morgase. Non so se l’abbia fatto davvero, ma al’Thor ne è convinto. Rahvin non si è mai fidato di Lanfear. Non si è mai fidato di nessuno di loro. Perché dovrebbe? Sospetta che possa essere una trappola contro di lui, per cui ha teso a sua volta delle trappole. Ha piazzato alcuni schermi per tutta Caemlyn, per cui se un uomo incanala una sola scintilla, lui verrà avvisato. Al’Thor vi passera dritto attraverso. Quasi certamente l’ha già fatto. Credo che avesse intenzione di lasciare Cairhien subito dopo l’alba. Io non c’entro in tutto questo. Non è opera mia. Io...»
Nynaeve voleva che la donna smettesse di parlare, il sudore provocato dalla paura sulla fronte della donna la faceva stare male, ma se doveva ascoltare quella voce implorante... Iniziò a incanalare, chiedendosi se sarebbe stata abbastanza forte per frenare la lingua di Moghedien, quindi sorrise. Era legata a Moghedien, e aveva il controllo. Moghedien sgranò gli occhi mentre intesseva flussi per bloccarsi da sola e li legava. Nynaeve aggiunse anche dei tappi per le orecchie, prima di rivolgersi a Birgitte. «Cosa pensi?»
«A Elayne si spezzerà il cuore. Amava la madre.»
«Lo so!» Nynaeve sospirò. «Piangerò con lei sentendo ogni lacrima, ma adesso devo preoccuparmi di Rand. Credo che stesse dicendo la verità. Potevo quasi sentirla.» Prese il guinzaglio d’argento proprio sotto al collare e lo tirò. «Forse è questo o forse lo sto immaginando. Cosa credi tu?»
«Penso che sia la verità. Non è mai stata coraggiosa, a meno che fosse chiaro che avesse il controllo, o credeva di poterlo guadagnare. E tu di certo le hai infilato in corpo la paura della Luce.»
Nynaeve fece una smorfia. Ogni parola di Birgitte la faceva adirare ancor più. Non era davvero coraggiosa a meno che non avesse il controllo. Valeva anche per lei. Aveva infilato in Moghedien la paura della Luce. Lo aveva fatto, e aveva creduto in ogni parola quando l’aveva pronunciata. Tirare le orecchie a qualcuno quando lo meritava era una cosa, minacciare la tortura, voler torturare, anche solo Moghedien, era un’altra. E adesso stava cercando di evitare quello che sapeva di dover fare. Coraggiosa solo quando aveva palesemente il gioco in mano. Stavolta la rabbia si nutrì di se stessa. «Dobbiamo andare a Caemlyn. Almeno io. Con lei. Potrei non essere abbastanza forte per incanalare solo per strappare un pezzo di carta in queste condizioni, ma con l’a’dam posso usare la sua forza.»
«Non sarai in grado di interferire con il mondo reale da tel’aran’rhiod» rispose con calma Birgitte.
«Lo so! Lo so, ma devo fare qualcosa.»
Birgitte reclinò indietro il capo e rise. «Oh, Nynaeve, è imbarazzante essere associata a una tale codarda come te.» Sgranò gli occhi di colpo, sorpresa. «Non era rimasta molta della tua pozione. Credo che mi sto sve...» a mezza frase la donna scomparve.
Inspirando profondamente Nynaeve rilasciò i flussi attorno a Moghedien. O lo fece fare alla donna. Con l’a’dam era difficile dirlo. Sperava che Birgitte fosse ancora con lei. Un altro paio di occhi. Qualcuna che forse conosceva tel’aran’rhiod meglio di chiunque altra. Una donna coraggiosa. «Adesso faremo un viaggetto, Moghedien, e mi aiuterai con tutte le tue forze. Se qualsiasi cosa mi coglie di sorpresa... Basta dire che qualsiasi cosa che accade a chi indossa il bracciale accade a quella che ha il collare. Dieci volte peggio.» Lo sguardo malato di Moghedien diceva che le credeva. Il che era un bene, visto che tutto era vero.
Un altro sospiro profondo e Nynaeve iniziò a formare l’immagine del solo posto a Caemlyn che conosceva abbastanza bene per ricordarlo. Il palazzo reale, dove l’aveva portata Elayne. Rahvin doveva trovarsi lì. Ma nel mondo reale, non nel Mondo dei Sogni. Eppure doveva fare qualcosa. Tel’aran’rhiod mutò attorno a lei.