Guardando torvo Asmodean e chiedendosi quanto poteva fidarsi dell’uomo, Rand rimase stupito quando Aviendha capovolse la coppa rovesciando il vino sui tappeti. Gli Aiel non sprecavano nulla che potesse essere bevuto, non solo l’acqua.
Fissando la chiazza umida, Aviendha sembrò altrettanto sorpresa, ma solo per un momento. L’istante successivo aveva le mani sui fianchi e lo fissava furiosa. «Per cui il Car’a’carn entrerà in città quando ancora non si regge in piedi. Ho detto che il Car’a’carn deve essere più di un uomo comune, ma non sapevo che fosse anche immortale.»
«Dove sono i miei abiti, Aviendha?»
«Sei solo di carne!»
«I miei abiti?»
«Ricorda il tuo toh, Rand al’Thor. Se io riesco a ricordare ji’e’toh, puoi farlo anche tu.» Gli sembrò una cosa strana da dire. Il sole sarebbe sorto a mezzanotte prima che la donna dimenticasse la più piccola parte di ji’e’toh.
«Se continui così,» le disse Rand con un sorriso «comincerò a credere che ci tieni a me.»
Lui lo intendeva come una battuta, c’erano solo due modi per vedersela con Aviendha: scherzare o ignorarla; discutere era fatale, come pure una frecciatina, considerando che avevano trascorso una notte una fra le braccia dell’altro; ma gli occhi di Aviendha erano offesi, e la donna tirò il braccialetto d’avorio come se volesse toglierlo per scagliarlo contro Rand. «E Car’a’carn è talmente superiore agli altri uomini da non aver bisogno di abiti» rispose acida, «se desidera andare, che lo faccia vestito della propria pelle! Devo far venire Sorilea e Bair? O forse Enaila, Somara e Lamelle?»
Rand si irrigidì. Di tutte le Fanciulle che lo trattavano come un bambino di dieci anni, Aviendha aveva scelto le peggiori. Lamelle gli portava anche la zuppa, quella donna non sapeva cucinare una lenticchia, eppure insisteva a preparargli la zuppa! «Porta chi vuoi» ribatté atono, «ma io sono il Car’a’carn e vado in città.» Se era fortunato forse sarebbe riuscita a trovare gli abiti prima che tornassero. Somara era alta quasi quanto lui e, al momento, probabilmente anche più forte. L’Unico Potere certo non gli sarebbe servito. Non avrebbe potuto abbracciare saidin se Sammael fosse apparso davanti a lui, molto meno mantenerlo.
Per un lungo istante Aviendha sostenne lo sguardo di Rand, poi di colpo prese la coppa con i leopardi e la riempì da una brocca d’argento battuto. «Se riesci a trovare gli abiti e a vestirti da solo senza cadere» disse con calma, «puoi andare. Ma ti accompagnerò e se credi di essere troppo debole per continuare, tornerai qui anche se Somara dovesse portarti in braccio.»
Rand la fissò mentre si appoggiava su un gomito, sistemando con cura la gonna, quindi incominciò a sorseggiare il vino. Se Rand avesse di nuovo accennato al matrimonio, senza dubbio gli avrebbe staccato la testa, ma in un certo modo si comportava come se fossero sposati. Almeno per quanto riguardava l’aspetto peggiore. In quel senso non sembrava minimamente diversa da Enaila o Lamelle.
Borbottando si avvolse bene nella coperta e si trascinò attorno a lei e la fossa per il fuoco per prendere gli stivali. Dentro vi erano dei calzettoni puliti di lana bianca, ma non trovò altro. Poteva chiamare i gai’shain. E rendere così nota tutta la faccenda all’intero campo. Per non parlare della possibilità che le Fanciulle finissero per esservi coinvolte. Il punto era se davvero lui era il Car’a’carn, che doveva essere obbedito, o solo Rand al’Thor, tutto un altro uomo ai loro occhi. Un tappeto arrotolato nella parte posteriore della tenda richiamò la sua attenzione. I tappeti erano tenuti sempre aperti. Dentro vi era la sua spada e la cintura con la fibbia del Drago avvolta attorno alla custodia.
Mormorando un motivetto con gli occhi socchiusi, Aviendha sembrava mezza addormentata mentre assisteva alla ricerca. «Non hai più bisogno di... quella.» Mise un tale disgusto nella parola che nessuno avrebbe creduto che era stata lei a donargli la spada.
«Cosa vuoi dire?» C’erano solo alcune piccole ceste nella tenda, con intarsi di madreperla o lavorate in bronzo, una era addirittura decorata da foglie d’oro. Gli Aiel preferivano conservare i loro averi in fagotti. In nessuna vi erano i suoi abiti. La cesta con i rilievi in oro, tutti raffiguranti animali e uccelli sconosciuti, conteneva dei sacchi di pelle ben legati e rilasciò un odore di spezie una volta sollevato il coperchio.
«Couladin è morto, Rand al’Thor.»
Stupito si fermò a fissarla. «Di cosa stai parlando?» Che glielo avesse detto Lan? Nessun altro lo sapeva. Ma perché?
«Nessuno me lo ha detto, se è quello che stai pensando. So che lo sai, Rand al’Thor. Imparo qualcosa di te ogni giorno.»
«Non pensavo nulla di simile» gridò. «Non c’è nulla che qualcuno possa dire.» Irritato estrasse la spada dal fodero, se la mise sotto braccio e continuò a cercare. Aviendha continuava a sorseggiare il vino, ma gli sembrava che stesse soffocando un sorriso.
Una bella cosa. I sommi signori di Tear sudavano quando Rand al’Thor li guardava e i Cairhienesi potevano offrirgli il trono. Il più grande esercito aiel che il mondo avesse mai visto aveva attraversato il Muro del Drago agli ordini del Car’a’carn, il capo dei capi. Le nazioni tremavano sentendo il nome del Drago Rinato. Nazioni! E se non riusciva a trovare i suoi vestiti, sarebbe rimasto seduto ad aspettare il permesso di uscire da un gruppo di donne che pensavano di sapere tutto meglio di lui.
Alla fine li vide quando si accorse dei polsini dorati della giubba rossa che spuntavano da sotto il posto dov’era Aviendha. Vi era sempre stata seduta sopra. La donna borbottò quando le disse di spostarsi, ma lo fece. Alla fine.
Come al solito lo guardò radersi e vestirsi, incanalando l’acqua calda per lui senza commentare, e senza che gli venisse chiesto, dopo la terza volta che si era tagliato e si lamentò dell’acqua fredda. In verità, stavolta era seccato sia per la sua instabilità che per qualsiasi altra causa. Puoi abituarti a tutto se funziona abbastanza, pensò ironicamente.
La donna fraintese il suo scuotere il capo. «A Elayne non importa se guardo, Rand al’Thor.»
Fermandosi con i lacci della camicia parzialmente legati, le chiese «Lo credi davvero?»
«Ma certo. Tu le appartieni, ma non può possedere la vista del tuo corpo.»
Ridendo sommessamente si concentrò di nuovo sui lacci della camicia. Era bello che gli venisse ricordato che il ritrovato mistero della donna nascondeva ignoranza, oltre qualsiasi altra cosa. Rand non poteva fare a meno di sorridere compiaciuto mentre finiva di vestirsi, legò la spada e prese il pezzo di lancia seanchan. Quest’ultimo trasformò il sorriso in un’espressione torva. Gli serviva a tenere a mente che i Seanchan erano ancora al mondo, ma anche a ricordargli tutte le questioni fra le quali doveva destreggiarsi. Cairhienesi e Tarenesi, Sammael e gli altri Reietti, gli Shaido e le nazioni che ancora non lo conoscevano, e che avrebbero dovuto farlo prima di Tarmon Gai’don. Vedersela con Aviendha a confronto con queste altre cose era semplice.
Le Fanciulle balzarono in piedi quando Rand si affacciò fuori dalla tenda, velocemente per nascondere la debolezza nelle gambe. Non sapeva con quanto aveva avuto successo. Aviendha gli era rimasta di fianco come se non solo intendesse sostenerlo in caso fosse caduto, ma si aspettasse anche che lo facesse. Il suo umore non migliorò quando Sulin, con le bende attorno al capo, guardò Aviendha con aria interrogativa. Non lui, lei! E attese che la donna annuisse prima di ordinare alle Fanciulle di prepararsi ad andare.
Asmodean giunse in groppa al suo mulo in cima alla collina, guidando Jeade’en per le redini. In qualche modo aveva trovato il sistema di indossare abiti puliti, tutti di seta verde scuro. Con delle cascate di merletto bianco naturalmente. L’arpa dorata era appesa dietro alle spalle, ma non aveva il manto da menestrello né portava la bandiera cremisi con l’antico simbolo Aes Sedai. Quel compito era ricaduto su un rifugiato cairhienese di nome Pevin, un tizio privo di espressione con una giubba rattoppata di rozza lana grigia da contadino, in groppa a un mulo dal pelo marrone che avrebbe dovuto essere lasciato a riposo già da qualche anno dopo aver tirato i carri. Aveva una lunga cicatrice dalla mascella all’attaccatura dei capelli radi, ancora rossa sul viso sottile.
Pevin aveva perso la moglie e la sorella per la carestia, il fratello e un figlio per la guerra civile. Non sapeva a quale casata appartenevano gli uomini che li avevano uccisi o chi aveva sostenuto per il Trono del Sole. Fuggire verso Andor gli era costato un secondo figlio ucciso dai soldati andorani e un secondo fratello dai banditi; ritornare gli era costato l’ultimo figlio, stavolta per una lancia Shaido, come anche sua figlia, portata via mentre lui veniva dato per morto. L’uomo parlava raramente, ma da quanto era riuscito a capire Rand, le sue convinzioni si erano ridotte a tre. Il Drago era Rinato, l’Ultima Battaglia stava giungendo e, se restava vicino a Rand al’Thor, avrebbe visto la famiglia vendicata prima che il mondo fosse distrutto. Il mondo sarebbe certamente finito, ma non importava, nulla importava, finché avesse avuto la sua vendetta. Si inchinò in silenzio a Rand al’Thor dalla sella quando la giumenta raggiunse la cima della collina. Il suo viso era assolutamente inespressivo, ma teneva la bandiera dritta e stabile.
Salendo in groppa a Jeade’en, Rand si tirò dietro Aviendha senza lasciarle mettere il piede nella staffa, solo per mostrarle che ne era in grado, e spronò il pezzato prima ancora che la donna si sedesse. Aviendha gli cinse entrambe le braccia attorno alla vita, borbottando delle lamentele. Rand colse qualche altra tagliente opinione su Rand al’Thor e anche sul Car’a’carn. La donna non fece mossa di andarsene, cosa di cui fu grato. Non solo era piacevole la pressione contro la schiena, ma anche il sostegno era ben accetto. Con Aviendha a condividere la sella, di colpo non fu più sicuro se era lei ad alzarsi o lui a scendere. Sperava che la donna non lo avesse notato. Si augurava che non fosse il motivo per cui lo stringeva a quel modo.
La bandiera cremisi con il grande disco bianco e nero sventolava alle spalle di Pevin mentre scendevano la collina e cavalcavano lungo la valle poco profonda. Come al solito gli Aiel prestarono scarsa attenzione al gruppo di passaggio, anche se lo stendardo indicava la sua presenza con la stessa attendibilità della scorta di alcune centinaia di Far Dareis Mai che mantenevano facilmente il passo con Jeade’en e i muli. Si dedicavano alle loro faccende fra le tende lungo il pendio, al massimo sollevando il capo al rumore degli zoccoli.
Era stato stupefacente sentir parlare di circa ventimila prigionieri catturati fra i seguaci di Couladin. Fino a quando aveva lasciato i Fiumi Gemelli, non aveva mai realmente creduto che così tanta gente potesse radunarsi in un solo posto, ma vederla lo aveva colpito di più. In schiere di quaranta o cinquanta, punteggiavano le colline come cavoli, uomini e donne seduti nudi sotto al sole, ognuna sotto gli occhi di un gai’shain. Certamente nessun altro prestava loro molta attenzione, anche se di tanto in tanto una figura con indosso il cadin’sor si avvicinava a uno dei gruppi e ordinava a un uomo o una donna di fare qualcosa. Chiunque veniva chiamato scattava, senza alcuna guardia, e Rand ne vide alcuni che tornavano e si sedevano al loro posto. Gli altri se ne stavano lì tranquilli, alcuni sembravano quasi annoiati, come se non avessero motivo di trovarsi altrove, nemmeno se lo avessero desiderato.
Forse avrebbero indossato gli abiti bianchi con la stessa calma. Eppure Rand non poteva fare a meno di ricordare con quanta facilità questa stessa gente aveva già violato le proprie leggi e usanze. Couladin forse aveva iniziato, o forse lo aveva ordinato, ma loro lo avevano seguito e obbedito.
Guardando torvo i prigionieri, ventimila e altri in arrivo, non avrebbe mai creduto che potessero rispettare i vincoli dei gai’shain, e gli ci volle un po’ prima di notare una cosa insolita fra gli altri Aiel. Fanciulle e guerrieri che portavano la lancia non indossavano mai altro sul capo se non gli shoufa, e sempre di colori che si confondessero con la roccia come nell’ombra, ma adesso vedeva uomini con delle sottili bande scarlatte attorno alla testa. Forse uno su quattro o cinque aveva un pezzo di stoffa legato attorno al capo, con un disco ricamato o dipinto, due gocce unite fra loro, una nera e l’altra bianca. La cosa più strana di tutte era che li indossavano anche i gai’shain. La maggior parte aveva i cappucci tirati su, ma tutti quelli a capo scoperto portavano la fascia. Gli algai’d’siswai con i loro cadin’sor osservavano senza dire nulla, che avessero la benda o meno. I gai’shain non dovevano mai indossare nulla che portassero coloro che toccavano le armi. Mai.
«Non lo sapevo» disse Aviendha bruscamente alle sue spalle quando Rand chiese cosa significasse. Cercò di sedersi più dritto, sembrava davvero che lei lo stringesse più del necessario. Dopo un momento la donna proseguì, così piano che Rand dovette aguzzare le orecchie per sentire tutto. «Bair ha minacciato di picchiarmi se ne parlo ancora e Sorilea mi ha colpita in mezzo alle spalle con un bastone, ma credo siano quelli che sostengono di essere siswai’aman.»
Rand aprì la bocca per chiederne il significato, conosceva alcune parole nella lingua antica, non molte, quando l’interpretazione affiorò alla sua mente. Siswai’aman, letteralmente: la lancia del Drago.
«A volte» rise Asmodean «è difficile riuscire a cogliere la differenza fra se stesso e i propri nemici. Loro vogliono possedere il mondo, ma sembra che tu possieda già le persone.»
Voltando il capo, Rand lo fissò finché il divertimento non svanì e, stringendosi a disagio nelle spalle, lasciò che il suo mulo arretrasse fino ad affiancare Pevin e la bandiera. Il problema era che un tale nome implicava di più, proprietà. Quelli erano anche i ricordi di Lews Therin. Non gli sembrava possibile possedere delle persone, ma se era così, non lo voleva. Tutto quello che desidero è usarle, pensò con sarcasmo.
«Vedo che non lo credi» disse rivolgendosi alle sue spalle. Nessuna delle Fanciulle indossava quella fascia.
Aviendha esitò prima di rispondere: «Non so cosa credere.» Parlò con la stessa calma di prima, però sembrava arrabbiata e insicura. «Ci sono molte credenze e le Sapienti sono spesso silenziose, come se non conoscessero la verità. Alcuni sostengono che nel seguirti stiamo espiando il peccato dei nostri avi per essere... venuti meno alle Aes Sedai.»
L’esitazione nella voce della donna lo stupì. Rand non aveva mai considerato che Aviendha potesse essere preoccupata come qualsiasi altro Aiel del passato che aveva rivelato loro. Vergognosa era una parola più adeguata a descrivere quella condizione piuttosto che preoccupata. La vergogna era un elemento importante del ji’e’toh. Si vergognavano di quello che erano stati, seguaci della Via della Foglia, e allo stesso tempo di aver abbandonato il loro giuramento.
«In troppi hanno sentito alcune versioni o parti della Profezia del Rhuidean» proseguì Aviendha con un tono di voce più controllato, come se avesse udito parlare di quella profezia prima che iniziasse l’addestramento da Sapiente. «Ma è stata modificata. Sanno che ci distruggerai...» Il controllo vacillò mentre riprendeva fiato. «Ma molti credono che ci ucciderai durante una infinita danza delle lance, un sacrificio per espiare il peccato. Altri sostengono che la tetraggine stessa sia una prova, per rimuovere tutto tranne il nocciolo prima dell’Ultima Battaglia. Ho anche sentito qualcuno affermare che gli Aiel adesso sono un tuo sogno, e che quando ti sveglierai da questa vita, non esisteremo più.»
Una serie di credenze tetre. Era già un male aver rivelato loro un passato che reputavano vergognoso. Era una meraviglia che non lo avessero abbandonato in blocco. O che non fossero impazziti. «Cosa pensano le Sapienti?» chiese Rand altrettanto calmo.
«Che quello che deve essere, sarà. Salveremo quanto potrà essere salvato, Rand al’Thor. Non speriamo di fare altro.»
Salveremo. Si era inclusa ira le Sapienti, proprio come Egwene ed Elayne si includevano fra le Aes Sedai. «Be’» disse con leggerezza, «mi aspetto che almeno Sorilea creda che dovrei essere tirato per le orecchie. Forse anche Bair lo crede. Di certo Melaine.»
«Fra le altre cose» mormorò Aviendha. Con suo dispiacere la donna si scostò da lui, anche se mantenne la presa sulla giubba. «Credono molte cose che vorrei non credessero.»
Rand sorrise controvoglia. Per cui lei non riteneva giusto che gli tirassero le orecchie. Era un piacevole cambiamento dal suo risveglio.
I carri di Hadnan Kadere si trovavano a circa un chilometro dalla sua tenda, in circolo in un’ampia depressione fra due colline dove i Cani di Pietra facevano la guardia. Con una giubba color crema, l’Amico delle Tenebre dal naso aquilino guardò in alto, tamponandosi il viso con l’inevitabile grande fazzoletto, mentre Rand gli cavalcava di fianco con le bandiere e la scorta a ventaglio. Anche Moiraine era con lui, esaminando il carro dove era sistemata la soglia ter’angreal sotto a dei teli dietro la cassetta del conducente. Non si guardò nemmeno attorno fino a quando Kadere non le rivolse la parola. A giudicare dai gesti dell’uomo, appariva con chiarezza che Moiraine poteva essere intenzionata ad accompagnare Rand. Sembrava impaziente che la donna andasse via, e non lo meravigliava. Doveva davvero congratularsi con se stesso per essere riuscito a nascondere così a lungo la sua identità di Amico delle Tenebre; ma più tempo trascorreva in compagnia dell’Aes Sedai, più correva il rischio di essere scoperto. Era davvero una sorpresa per Rand che l’uomo fosse ancora lì. Almeno la metà dei conducenti entrati nel deserto con lui era fuggita fin da quando avevano attraversato il Muro del Drago, rimpiazzata da rifugiati cairhienesi scelti da Rand in persona, per essere sicuro che non fossero come Kadere. Ogni mattina si aspettava di non trovarlo, specialmente da quando era fuggita Isendre. Le Fanciulle avevano quasi divelto il carro per cercare la donna, mentre Kadere sudò tutto il tempo tamponandosi con il fazzoletto. Non lo avrebbe rimpianto se Kadere fosse riuscito a scappare nella notte. I soldati aiel avevano l’ordine di lasciarlo andare, finché non provasse a impadronirsi dei preziosi carri di Moiraine. Come era sempre più chiaro di giorno in giorno, il loro carico era per lei un tesoro pregiato, e Rand non voleva che la donna lo perdesse.
Si guardò alle spalle, ma Asmodean fissava dritto davanti a sé, ignorando del tutto i carri. Sosteneva di non aver avuto contatti con Kadere da quando Rand lo aveva catturato, e Rand gli credeva. Certamente il mercante non abbandonava mai le sue vetture e non era mai fuori dalla portata delle vedette aiel, tranne quando era dentro al suo carro.
Dal lato opposto ai veicoli Rand tirò le redini quasi senza pensare. Certamente Moiraine non lo avrebbe accompagnato a Cairhien. Forse gli aveva riempito la testa, ma sembrava che ci fosse sempre un’altra parte da riempire, e in questa particolare occasione poteva benissimo fare a meno della presenza e del consiglio della donna. Moiraine però gli rivolse solo uno sguardo superficiale, quindi si voltò nuovamente verso i carri.
Aggrottando le sopracciglia Rand spronò il pezzato a proseguire. Avrebbe fatto bene a ricordare che Moiraine aveva altre pecore da tosare. Cominciava a fidarsi troppo. Era meglio sospettare di lei come faceva con Asmodean.
Dubita di tutti, pensò tetro. Per un istante non capì se era un pensiero suo o di Lews Therin, ma alla fine decise che non importava. Tutti avevano i loro scopi e desideri. Era molto meglio non fidarsi completamente di nessuno tranne se stesso. Eppure si chiedeva, con un altro uomo che gli filtrava nel cervello, quanto poteva fidarsi di se stesso?
Gli avvoltoi riempivano il cielo attorno a Cairhien in una serie di spirali di ali nere. A terra volavano fra nuvole ronzanti di mosche, stridendo rauchi contro dei lucidi corvi che cercavano di usurpare il loro diritto sui morti. Quando gli Aiel camminavano fra le colline spoglie per recuperarne i corpi, gli uccelli salivano in alto restii, protestando, quindi riscendevano dopo che i vivi si erano allontanati di alcuni passi. Avvoltoi, corvi e mosche non potevano davvero oscurare il sole, eppure sembrava così.
Con il voltastomaco, nel tentativo di non guardare Rand fece andare Jeade’en più forte, fino a quando Aviendha si accostò di nuovo alla sua schiena e le Fanciulle cominciarono a correre. Nessuna si lamentò e non credeva che fosse solo perché gli Aiel potevano mantenere il passo dei cavalli. Anche Asmodean sembrava pallido in viso. Il volto di Pevin invece non cambiava mai, anche se la bandiera dal colore brillante dietro di lui in quel posto sembrava una macabra offesa.
Ciò che si stendeva davanti a loro era di poco migliore. Rand si ricordava il passaggio Anteriore come un rauco alveare, un intreccio di stradine piene di rumore e colori. Adesso era tranquillo, circondato da spesse fasce di cenere su tre lati attorno alle grandi mura grigie squadrate di Cairhien. Il legno carbonizzato giaceva pigramente sulle fondamenta di pietra e di tanto in tanto un camino pieno di fuliggine era ancora in piedi, a volte pericolosamente inclinato. In alcuni punti una sedia che in qualche modo non aveva subito danni era in strada, un carico abbandonato durante la fuga; qua e là una bambola di pezza enfatizzava la desolazione.
La brezza fece garrire alcune delle bandiere sulle torri della città e lungo le mura, un drago spiccava rosso e oro in campo bianco, la mezza luna di Tear bianca su fondo rosso e oro si trovava dal lato opposto. La parte centrale delle Porte Jangai era aperta, tre alti archi squadrati nella pietra grigia vegliati da soldati tarenesi con gli elmetti bordati. Alcuni erano a cavallo, ma la maggior parte era a piedi, le strisce di diversi colori sulle ampie maniche mostravano che erano al servizio di diversi signori.
Qualsiasi cosa sapessero in città della battaglia vinta e gli Aiel alleati che stavano venendo a liberarli, l’arrivo di centinaia di Far Dareis Mai creò della confusione. Le mani andarono incerte alle else delle spade, lance o lunghi scudi. Alcuni dei soldati si mossero come se volessero chiudere le porte mentre ancora guardavano il loro ufficiale, con tre piume bianche sull’elmetto, che esitò rimanendo in piedi sulle staffe, controsole per studiare la bandiera. Stava osservando Rand con maggior attenzione.
L’ufficiale si sedette di colpo, dicendo qualcosa che fece scattare due Tarenesi a cavallo al galoppo attraverso le porte. Quasi immediatamente ordinò agli altri uomini di fianco di spostarsi: «Fate largo al lord Drago Rand al’Thor! Che la Luce illumini il lord Drago! Gloria al Drago Rinato!»
I soldati sembravano ancora a disagio riguardo le Fanciulle, ma si allinearono da entrambi i lati delle porte inchinandosi profondamente al passaggio di Rand. Aviendha tirò su con il naso, e di nuovo quando Rand rise. Non riusciva a capire e lui non aveva alcuna intenzione di spiegare. Lo divertiva che per quanto Tarenesi, Cairhienesi o chiunque altro cercassero di montargli la testa, lui poteva contare sulle Fanciulle e su Aviendha, almeno, per tornare coi piedi per terra. E su Egwene. O Moiraine. Elayne e Nynaeve, se mai le avesse viste ancora. A pensarci bene, sembrava che tutte loro ne avessero fatto la loro impresa principale.
Lo spettacolo della città dietro i cancelli frenò la sua risata.
Qui le strade erano pavimentate, alcune erano abbastanza larghe da consentire il passaggio di una dozzina di carri affiancati, tutte dritte come lame e con incroci ad angolo retto. Le colline che si vedevano fuori le mura erano scavate e terrazzate, rivestite di pietra. Sembravano fabbricate dall’uomo come gli edifici, anch’essi di pietra, dalle linee rette e gli angoli acuti, o le grandi torri incomplete circondate dalle scaffalature. Le persone affollavano le strade e i vicoli, con gli occhi vitrei e le guance incavate, sotto coperte stracciate, sistemate come fossero tende, o semplicemente ammucchiate assieme all’aperto, con gli abiti scuri preferiti dai Cairhienesi di città, i colori vivaci del passaggio Anteriore e i rozzi indumenti dei contadini e dei paesani. Anche le impalcature erano piene di gente su ogni livello fino alla cima, dove le persone sembravano piccole per l’altezza. Solo il centro della strada era sgombro mentre Rand e le Fanciulle passavano, e solo per il tempo necessario alla calca di richiudersi alle loro spalle.
Fu la gente a interrompere il divertimento. Consunti e vestiti di stracci, ammucchiati come pecore in un ovile troppo piccolo, lo acclamavano. Non aveva idea di come facessero a sapere chi fosse, a meno che forse le grida dell’ufficiale alle porte fossero state udite, ma un boato lo annunciò mentre passava per la strada, con le Fanciulle che dovevano aprirsi un varco a forza fra la folla. Il rumore sopraffece qualsiasi altra parola se non gli occasionali ‘lord Drogo quando venivano gridati da più persone. Ma il significato era chiaro per gli uomini e le donne che tenevano i bambini in alto per vederlo passare, con sciarpe e pezzi di stoffa che si agitavano da ogni finestra, la gente che cercava di superare le Fanciulle con le mani tese.
Certamente non sembravano temere gli Aiel, non se avevano l’opportunità di toccare uno stivale di Rand ed erano così numerosi che la pressione di centinaia di loro li spingeva in avanti, e alcuni riuscirono effettivamente a passare. Molti toccarono Asmodean, di certo sembrava un lord con tutto quel merletto, e forse pensavano che il lord Drago fosse un uomo adulto piuttosto che un ragazzo con una giubba rossa, ma non importava. Chiunque arrivava a toccare lo stivale o la staffa di qualcuno, anche quella di Pevin, era felice e gridava ‘lord Drago!’ alla folla, pure mentre le Fanciulle lo spingevano via a forza con gli scudi.
Fra il clamore della folla e i messaggeri inviati dall’ufficiale alle porte, non fu una sorpresa quando apparve Meilan, con una dozzina di lord di casate minori al seguito e cinquanta difensori della Pietra per aprirgli un varco, usando la base delle lance. I capelli grigi, duro e scarno, con indosso la sua bella giubba di seta a strisce dai polsini di raso verde, il sommo signore era seduto in sella con l’agio di chi fosse stato messo a cavallo e addestrato a comandare quasi da quando aveva imparato a camminare. Ignorava il sudore che gli imperlava il volto e allo stesso modo la possibilità che la sua scorta travolgesse qualcuno. Entrambe le cose erano noie irrilevanti, il sudore certo la peggiore.
Edorion, il giovane lord dalle guance rosee, non aveva sofferto la fame a giudicare dalla giubba a righe rosse. L’altro che Rand riconobbe era un uomo dalle spalle ampie con indosso abiti in diverse tonalità di verde. A Reimon piaceva giocare a carte con Mat quando si trovavano alla Pietra, come ricordava bene. Gli altri erano prevalentemente uomini adulti. Nessuno mostrava alcuna considerazione per la folla che attraversavano più di quanto facesse Meilan. Nel gruppo non c’era alcun Cairhienese.
Le Fanciulle lasciarono passare Meilan a un cenno del capo di Rand, ma si strinsero alle sue spalle per escludere il resto. Quindi nei suoi occhi scuri apparve un’espressione furiosa. Meilan era spesso in collera, fin dall’arrivo di Rand alla pietra di Tear.
Il rumore diminuì con l’arrivo dei Tarenesi, mutando in un sordo mormorio quando Meilan rivolse un rigido inchino dalla sella a Rand. Lo sguardo dell’uomo si posò momentaneamente su Aviendha prima che decidesse di ignorarla, proprio come stava cercando di fare con le Fanciulle. «Che la Luce ti illumini, mio lord Drago. Che tu sia il benvenuto a Cairhien. Mi scuso per questi villani, ma non ero al corrente che intendessi entrare in città adesso. Se lo avessi saputo, li avrei mandati via. Volevo offrirti un ingresso grandioso, consono al lord Drago.»
«L’ho avuto» rispose Rand e l’altro uomo batté le palpebre.
«Come dici tu, mio lord Drago.» Proseguì dopo un momento, ma il tono di voce rendeva chiaro che non aveva capito. «Se vuoi venire con me al palazzo reale, ho organizzato un piccolo ricevimento. Davvero piccolo, temo, visto che non mi hai avvisato, ma per stasera stai pur certo che...»
«Qualsiasi cosa hai organizzato adesso va bene» lo interruppe Rand, ricevendo un altro inchino e un vago sorriso untuoso in risposta. Adesso l’uomo appariva remissivo e in quell’ora avrebbe parlato come qualcuno troppo inerte per capire i fatti che gli venivano mostrati sotto al naso; ma dietro tutto ciò c’erano un disgusto e un odio di cui era convinto che Rand non si accorgesse, anche se gli brillavano negli occhi. Disgusto perché Rand non era un signore, non proprio secondo i criteri di Meilan, di nascita, e odio perché prima della venuta di Rand aveva potere di vita e morte, con pochi al suo livello e nessuno superiore. Credere che le Profezie del Drago un giorno si sarebbero avverate era un conto, vederle realizzarsi, e il proprio potere diminuito da esse, era tutta un’altra cosa.
Vi fu un momento di confusione. Quindi Rand chiese a Sulin di permettere agli altri lord tarenesi di portare i loro cavalli dietro Asmodean e Pevin. Meilan voleva usare di nuovo i difensori per aprire un varco, ma Rand ordinò che seguissero le Fanciulle. I soldati obbedirono senza espressione sotto ai bordi degli elmetti, anche se l’ufficiale con le piume bianche scosse il capo e il sommo signore assunse un’aria condiscendente. Quel sorriso svanì quando vide che la folla si fendeva più volentieri davanti alle Fanciulle. Che non dovessero usare i bastoni per ottenere ciò lo attribuiva al fatto che gli Aiel erano selvaggi con una cattiva reputazione e divenne cupo quando Rand non rispose, anche perché, notò, adesso che i Tarenesi erano con lui non salivano acclamazioni dalla folla.
Il palazzo reale di Cairhien sorgeva sulla collina più alta della città, esattamente al centro, squadrato, scuro e massiccio. Sotto l’edificio con tutti i suoi livelli e terrazze rivestite di pietra, era difficile dire che ci fosse un’altura. Dei passaggi circondati da alte colonne e strette finestre, distanti dal suolo, non diminuivano la rigidità delle grigie torri sistemate in precisi quadrati concentrici di altezza crescente. La strada divenne lunga, un’ampia rampa guidava verso dei cancelli di bronzo e un vasto cortile quadrangolare oltre la linea di soldati tarenesi in piedi come statue e con le lance inclinate. Altri si trovavano sui balconi.
Un’ondata di mormorii corse fra i ranghi alla comparsa delle Fanciulle, ma finì presto trasformandosi in grida di ‘gloria al Drago Rinato! Gloria al Drago Rinato e Tear! Gloria al Drago Rinato e al sommo signore Meilan!’ A giudicare dall’espressione di Meilan non sembravano parole spontanee.
Dei servitori in abiti scuri, i primi Cairhienesi che Rand aveva visto nel palazzo, si fecero velocemente avanti con delle bacinelle d’oro lavorato e asciugamani di lino mentre Rand smontava da cavallo scivolando giù dalla sella. Alcuni vennero a prendere le redini. Rand assunse il pretesto di lavarsi viso e mani nell’acqua fresca per lasciare che Aviendha scendesse da cavallo da sola. Se avesse cercato di aiutarla sarebbero potuti finire entrambi di faccia sul lastricato.
Anche se non le era stato chiesto, Sulin scelse venti Fanciulle oltre lei per accompagnarlo. Da un lato Rand era contento che la donna non volesse tenere tutte le lance attorno a lui. Ma dall’altro desiderava che Enaila, Lamelle e Somara non fossero state fra le venti prescelte. Lo sguardo che gli rivolsero, specialmente Lamelle, una snella donna dalla mascella forte, gli fece serrare i denti mentre cercava di sorridere rassicurante. In qualche modo Aviendha doveva essere riuscita a parlare con loro e do le Fanciulle, si disse amareggiato mentre lanciava un asciugamano di lino a un’inserviente, ma che io sia folgorato se resterà una sola donna aiel che non impari chi sia il Car’a’carn!
Gli altri sommi signori lo accolsero ai piedi dell’ampia scalinata grigia che portava dal cortile nel palazzo, tutti con indosso colorate giubbe di seta di raso a righe, e stivali con decorazioni in argento. Era chiaro che nessuno sapeva che Meilan gli era andato incontro fino a quel momento. Torean faccia di patata, insolitamente languido per un uomo così butterato, annusava ansioso un fazzoletto profumato. Geuyam, con la barba unta che lo faceva sembrare anche più calvo, strinse i grandi pugni come piccoli prosciutti e fissò Meilan mentre si inchinava davanti a Rand. Il naso aguzzo di Simaan sembrava tremare per l’oltraggio; Maraconn, dagli occhi azzurri, una rarità a Tear, strinse le labbra fino a farle quasi scomparire; e mentre il viso sottile era tutto sorrisi, Herne si tirava inconsciamente un lobo dell’orecchio, atteggiamento che assumeva quando era furioso. Solo il magrissimo Aracome non mostrava alcuna emozione palese, ma riusciva quasi sempre a tenere a bada la propria rabbia fino a quando non era pronto a dare in escandescenze.
Era un’opportunità troppo bella per perderla. Ringraziando in cuor suo Moiraine per le lezioni che gli aveva impartito — gli aveva detto che era più facile far inciampare uno sciocco piuttosto che abbatterlo — Rand afferrò calorosamente la mano tozza di Torean e diede una manata sulla spalla di Geuyam, restituì il sorriso a Hearne con grande cordialità, come se fosse un amico intimo, e rivolse un cenno del capo ad Aracome con uno sguardo significativo. Simaan e Maraconn li ignorò dopo aver indirizzato loro un’occhiata inespressiva e fredda come uno stagno gelato in inverno.
Era tutto quello che occorreva per il momento, oltre a osservare i loro sguardi che si spostavano e i visi tesi e pensierosi. Avevano giocato Daes Dae’mar, il Gioco delle Casate, tutta la vita, ed essendo Cairhienesi, in grado di leggere infiniti significati in un sopracciglio sollevato o un colpo di tosse, ciò aveva solo aumentato la loro sensibilità. Ogni uomo sapeva che Rand non aveva motivo di essere amichevole con loro, ma tutti adesso dovevano anche chiedersi se quel saluto era servito solo a coprire qualcosa di reale con gli altri. Simaan e Maraconn sembravano quelli maggiormente preoccupati, eppure erano guardati nel modo più sospettoso dai loro pari. Forse la sua freddezza era stata la vera copertura. O forse era quello che voleva far credere loro.
Per quanto lo riguardava Rand pensava che Moiraine sarebbe stata fiera di lui, come anche Thom Merrilin. Anche se nessuno di quei sette stava complottando contro di lui in quel momento — nemmeno Mat ci avrebbe scommesso sopra — uomini nelle loro posizioni potevano mettere in atto molto per scombussolare i piani di Rand senza essere visti, e lo avrebbero fatto per abitudine pur non avendo un motivo concreto. O forse lo avrebbero avuto. Adesso li aveva sbilanciati. Se riusciva a mantenere quella situazione, sarebbero stati troppo impegnati a controllarsi a vicenda e troppo spaventati di essere osservati a loro volta per creargli dei problemi. Forse per una volta avrebbero addirittura obbedito senza trovare cento motivi per cui le cose andavano fatte in modo diverso da come voleva Rand. Be’, questo forse era chiedere troppo.
La sua soddisfazione svanì quando vide il sorriso sardonico di Asmodean. Peggiore era lo sguardo interrogativo di Aviendha. Lei si era trovata nella Pietra di Tear, sapeva chi fossero quegli uomini e perché li aveva inviati lì. Faccio quello che devo, pensò amareggiato, rammaricandosi di essersi espresso come se volesse giustificarsi.
«Dentro» disse, più duramente di quello che voleva, e i sette sommi signori saltarono come se si fossero ricordati improvvisamente chi e cosa lui fosse.
Volevano stringerglisi attorno mentre saliva le scale, ma, tranne per Meilan che faceva strada, le Fanciulle gli fecero da scudo e i sommi signori rimasero indietro insieme ad Asmodean e gli esponenti delle casate minori. Naturalmente Aviendha gli era rimasta vicina, con Sulin dall’altro lato, Somara, Lamelle ed Enaila proprio dietro alle sue spalle. Avrebbero potuto protendersi e toccargli la schiena senza allungarsi. Rand guardò Aviendha con fare accusatorio e la donna inarcò un sopracciglio in modo interrogativo al punto tale che Rand si convinse quasi che lei non aveva nulla a che vedere con quella faccenda. O quasi. I corridoi del palazzo erano vuoti a parte i servitori in abiti scuri che si inchinavano profondamente in riverenze altrettanto profonde, ma quando entrò nella Grande Sala del Sole scoprì che la nobiltà cairhienese non era stata esclusa del tutto dal palazzo.
«Arriva il Drago Rinato» intonò un uomo dai capelli bianchi subito dentro le grandi porte dorate decorate con il sole nascente. La giubba rossa ricamata con sei stelle blu, piuttosto larga dopo quel periodo a Cairhien, lo indicava come un servitore della casata di Meilan. «Acclamate il lord Drago Rand al’Thor. Gloria al lord Drago! La Luce illumini il lord Drago!» Il silenzio che seguì era tremendo al confronto.
Fra le massicce colonne squadrate in marmo con delle grosse venature di un blu così scuro da sembrare nero vi erano altri Tarenesi; file di signori e dame della terra vestiti con gli abiti migliori, con dei cappelli a cono di velluto e giubbe dalle maniche a sbuffo e a righe, gonne colorate e merletti attorno al collo, cappellini aderenti ricamati con motivi complessi o decorati con perle o piccole gemme.
Alle loro spalle vi erano i Cairhienesi, vestiti di scuro a parte delle righe colorate sul petto, la gonna o le giubbe che arrivavano alle ginocchia. Più righe erano presenti nei colori di una casata, più alto era il rango di chi le indossava; ma gli uomini e le donne con i colori dal collo alla vita o più bassi di rango stavano dietro ai Tarenesi delle casate minori, con dei ricami gialli invece dell’oro e lana al posto della seta. I Cairhienesi avevano le teste rasate e incipriate, certamente tutti i giovani.
I Tarenesi sembravano colmi di aspettativa anche se a disagio. I volti dei Cairhienesi parevano scolpiti nel ghiaccio. Non c’era modo di dire chi lo aveva acclamato e chi no, ma Rand sospettava che la maggior parte di quelle grida era provenuta dalle prime file.
«Molti desideravano servirti qui» mormorò Meilan mentre si avviavano verso il pavimento dalle mattonelle blu con il grande mosaico che rappresentava il sole nascente. Un’ondata di inchini silenziosi e riverenze lo seguì.
Rand sbuffò. Desideravano servirlo? Non aveva bisogno di Moiraine per sapere che questi nobili delle casate minori speravano di diventare più potenti ottenendo delle residenze a Cairhien. Senza dubbio Meilan e gli altri sei si erano già spartiti, se non promessi, le terre cui ambivano.
In fondo al corridoio della Grande Sala, il Trono del Sole si trovava al centro sopra un palco di marmo blu scuro. Anche qui era vietato l’ingresso ai Cairhienesi, il trono non era per loro. La grande sedia con i braccioli risplendeva per la doratura e la seta, ma in qualche modo sembrava essere composta da linee verticali, a esclusione del sole nascente raggiato che svettava sopra la testa di chiunque vi sedesse.
Quello doveva essere lui, si rese conto Rand molto prima di raggiungere i nove scalini del palco. Aviendha lo accompagnò e Asmodean, come suo bardo, fu lasciato passare, quindi Sulin dispose velocemente le Fanciulle attorno al podio, con le lance che bloccarono Meilan e tutti gli altri sommi signori. Sui volti dei Tarenesi era dipinta la frustrazione. La sala era talmente silenziosa che Rand riusciva a sentire il proprio respiro.
«Questo appartiene a qualcun altro» disse alla fine. «E poi ho trascorso troppo tempo in sella per apprezzare una sedia così dura. Portatemene una comoda.»
Vi fu un momento di tacito stupore prima che un mormorio si diffondesse nella sala. Meilan assunse d’improvviso un’espressione così pensierosa, subito repressa, che Rand si mise quasi a ridere. Molto probabilmente Asmodean aveva ragione su quell’uomo. Anche il Reietto lo guardava con un’aria simile a quella di Meilan.
Trascorsero alcuni minuti. Quindi l’individuo con la giubba ricamata di stelle giunse ansimando, seguito da due Cairhienesi con la livrea scura che trasportavano una sedia con lo schienale alto coperta da cuscini di seta, e indicò dove sistemarla lanciando molte occhiate preoccupate a Rand. Delle linee verticali dorate si estendevano sulle zampe della sedia e sulla spalliera, ma sembrava insignificante a confronto del Trono del Sole.
Mentre i tre servitori si inchinavano ancora, piegandosi quasi in due sugli scalini, Rand lanciò quasi tutti i cuscini da un lato e si sedette in terra, con il pezzo di lancia seanchan sulle ginocchia.
Tuttavia si guardò bene dal sospirare. Aviendha lo osservava con troppa attenzione e il modo in cui Somara volgeva lo sguardo da lei a lui confermava i suoi sospetti.
Qualunque fosse il suo problema con Aviendha e le Far Dareis Mai, la maggior parte dei presenti attendeva le sue parole con impazienza e trepidazione. Almeno questi saltano quando dico ‘rospo’, pensò Rand. Forse non gli piaceva, ma era così.
Con l’aiuto di Moiraine aveva escogitato cosa doveva fare in quel posto. Alcune idee sapeva che erano giuste anche senza il suggerimento della donna. Sarebbe stato ottimo averla alle spalle a suggerirgli quello di cui aveva bisogno, invece che Aviendha in attesa di indirizzare segnali a Somara, ma non aveva senso indugiare. Certamente ogni nobile tarenese e cairhienese si trovava in quella sala.
«Perché i Cairhienesi si tengono indietro?» disse ad alta voce e una folla di nobili si mosse scambiandosi occhiate confuse. «I Tarenesi sono venuti per aiutare, ma non è un motivo valido per cui i Cairhienesi debbano restare in fondo. Che ognuno si disponga secondo il proprio rango.»
Sarebbe stato difficile dire se erano più stupiti i Cairhienesi o i Tarenesi, anche se Meilan sembrava pronto a ingoiarsi la lingua, come gli altri sei non troppo lontani da lui. Anche Aracome, con tutta la sua notevole pazienza, era sbiancato. Con un gran rumore di stivali e gonne che strusciavano e molte occhiate gelide da entrambe le parti, fu fatto; finché nella fila frontale si disposero esclusivamente uomini e donne con le strisce sul petto e nella seconda fila solo alcuni Tarenesi. A Meilan e ai suoi compagni si era unito ai piedi del palco almeno un numero doppio di signori e dame cairhienesi, la maggior parte con i capelli grigi e coperti di strisce dal collo alle ginocchia; anche se non era appropriato dire che si era ‘unito’. Erano separati in due gruppi, ad almeno tre passi di distanza, e si fissavano sempre con tale durezza che avrebbero anche potuto minacciarsi a vicenda. Ogni sguardo era puntato su Rand, e se i Tarenesi erano furiosi, i Cairhienesi erano gelidi, lasciando trapelare solo dei vaghi cenni di apertura dal modo in cui lo studiavano.
«Ho notato le bandiere che sventolano su Cairhien» proseguì una volta che il movimento cessò. «È bene che molte mezze lune di Tear si agitino. Senza il grano di Tairen, Cairhien non avrebbe anima viva per sollevare il vessillo, e senza le spade di Tairen gli abitanti di questa città, i nobili come la gente comune, starebbero imparando a obbedire agli Shaido. Tear si è guadagnata un grande onore.» Questo fece pavoneggiare i Tarenesi, che rivolgevano a tutti fieri cenni del capo e sorrisi, anche se certamente sembrava confondere i sommi signori, uno attaccato all’altro. I Cairhienesi sotto il palco si guardavano sospettosi. «Ma non ho bisogno di così tante bandiere per me. Che ne rimanga una sola con l’emblema del Drago sulla torre più alta della città per permettere a chiunque si avvicini di vedere, ma che il resto venga rimosso e rimpiazzato con i vessilli di Cairhien. Questa è Cairhien e il Sole Nascente deve volare orgoglioso, e lo farà. Cairhien ha il suo onore, che manterrà.»
Nella stanza esplose un boato così improvviso che le Fanciulle sollevarono le lance, mentre le urla echeggiavano da una parete all’altra. In un istante Sulin incominciò a comunicare con il linguaggio delle mani delle Fanciulle, ma i veli parzialmente sollevati stavano già calando. I nobili cairhienesi acclamavano forte come la folla nelle strade, saltellavano e gesticolavano come la gente del passaggio Anteriore a una festa. In quel pandemonio fu il turno dei Tarenesi di scambiarsi delle occhiate silenziose. Non sembravano in collera. Anche Meilan appariva più che altro insicuro, malgrado anche lui, come Torean e gli altri, guardasse stupito i signori e le dame di alto rango, così freddi e dignitosi un momento prima e adesso che danzavano e gridavano per il lord Drago.
Rand non sapeva cosa ognuno di loro avesse letto nelle sue parole. Di certo si era aspettato che intuissero più di quanto aveva detto, specialmente i Cairhienesi, e magari il vero significato, ma nulla gli avrebbe fatto presagire una simile manifestazione. La riservatezza cairhienese era una cosa particolare, che conosceva bene, a volte unita a una sfacciataggine inattesa. Moiraine era stata reticente a riguardo, anche se insisteva nell’insegnargli tutto. Aveva solo affermato che, se rompevano la riservatezza, poteva avvenire in modo sorprendente. Lo era stato davvero.
Quando alla fine le acclamazioni si spensero, iniziarono i giuramenti di fedeltà. Meilan fu il primo a inginocchiarsi, con il volto teso mentre si impegnava per la Luce e la sua speranza di salvezza e rinascita a servirlo fedelmente e obbedire. Era una vecchia formula e Rand sperava che potesse costringere qualcuno a mantenere il voto. Dopo che Meilan ebbe baciato la punta della lancia seanchan, cercando di nascondere un sorriso amaro strofinandosi la barba, fu la volta di lady Colavaere. Una donna più che attraente, di mezza età, con un merletto color avorio scuro che le scendeva sulle mani infilate in quelle di Rand e delle strisce orizzontali colorate dal colletto alto fino alle ginocchia, la quale prestò il giuramento con voce chiara, ferma e l’accento musicale che era solito sentire da Moiraine. Gli occhi scuri avevano qualcosa del modo di soppesare e misurare tipico di Moiraine, in particolare quando guardò Aviendha mentre faceva la riverenza e scendeva le scale. Torean prese il suo posto, tutto sudato mentre giurava, lo seguì lord Dobraine, con gli occhi infossati dall’aria inquisitoria, uno dei pochi uomini anziani che si erano rasati il cranio, quindi Aracome e...
Rand fu impaziente durante l’intero svolgersi della processione; uno per uno si inginocchiavano di fronte a lui, i Cairhienesi dopo i Tarenesi, quindi il contrario, come aveva decretato Rand. Era tutto necessario, secondo le parole di Moiraine, e una voce nella testa che sapeva appartenere a Lews Therin dava la sua approvazione, ma per Rand era solo un motivo di ritardo. Doveva garantirsi la loro lealtà, anche se solo in apparenza, per iniziare a rendere sicura Cairhien e prima di compiere la sua mossa contro Sammael. E così farò! Ho ancora troppo da fare per lasciare che mi pugnali alle caviglie nascosto tra i cespugli! Scoprirà presto cosa significa disturbare il Drago! pensò.
Non capiva perché chi si trovava di fronte a lui cominciava a sudare e inumidirsi le labbra mentre si inginocchiava e balbettava il suo giuramento. Ma lui non poteva vedere la luce fredda che gli brillava negli occhi.