Rand incanalò afferrando saidin e intessendo flussi di Aria che strapparono Natael dai cuscini. L’arpa dorata cadde sulle mattonelle rosso scuro mentre l’uomo veniva inchiodato al muro, immobilizzato dal collo alle caviglie, con i piedi sospesi sopra al pavimento. «Ti avevo avvisato! Non incanalare mai quando qualcun altro si trova nelle vicinanze, mai!»
Natael reclinò il capo in quel suo modo particolare, come se cercasse di guardare Rand di traverso o senza essere notato. «Se avesse visto avrebbe pensato che si trattava di te.» Nella voce non c’era tono di scusa, o diffidenza, ma nemmeno sfida. Sembrava convinto che stesse proponendo una spiegazione ragionevole. «E poi mi sembravi assetato. Un bardo di corte dovrebbe provvedere ai bisogni del suo signore.» Era una delle piccole presunzioni di cui si circondava; se Rand era il Drago Rinato, allora lui doveva essere un bardo di corte, non un semplice menestrello.
Sentendosi disgustato di se stesso e furioso con l’uomo, Rand lasciò il flusso e lo fece cadere. Maltrattarlo era come prendersela con un bambino di dieci anni. Rand non poteva vedere lo schermo che limitava l’accesso dell’altro uomo a saidin — era un lavoro femminile — ma sapeva che c’era. Adesso muovere un calice era quasi tutto quello che poteva fare Natael. Fortunatamente lo schermo era stato nascosto anche agli occhi femminili. Natael la chiamava ‘inversione’ ma non sembrava in grado di spiegarlo. «E se avesse notato la mia espressione e si fosse insospettita? Ero stupito come se quel calice fosse volato da solo!» Si rimise la pipa in bocca fumando con rabbia.
«Non avrebbe comunque sospettato.» Sistemandosi di nuovo sui cuscini l’altro uomo riprese l’arpa, suonando una musica dalle note ambigue. «Come potrebbero sospettare? Nemmeno io riesco a crederci.» Se c’era anche un tocco di amarezza nella voce Rand non riuscì a percepirla.
Nemmeno lui aveva del tutto chiara la situazione, anche se ci aveva lavorato molto. L’uomo davanti a lui, Jasin Natael, aveva un altro nome: Asmodean.
Mentre suonava pigramente l’arpa Asmodean non sembrava affatto uno dei temuti Reietti. Era anche abbastanza attraente. Rand supponeva che potesse sembrarlo agli occhi di una donna. Strano che il male non gli avesse lasciato dei segni apparenti. Era uno dei Reietti e, ben lungi dal tentare di ucciderlo, Rand teneva nascosta la vera identità dell’uomo da Moiraine e chiunque altro. Aveva bisogno di un insegnante.
Se quanto era vero per le Aes Sedai donne chiamate selvatiche valeva anche per gli uomini, allora Rand aveva solo una possibilità su quattro di sopravvivere al tentativo di usare il Potere da solo. Questo dava per scontato la follia. Il suo insegnante doveva essere un uomo. Moiraine e le altre gli avevano detto molto spesso che un uccello non poteva insegnare a un pesce a volare o viceversa. Inoltre il suo insegnante doveva essere qualcuno esperto, che già conoscesse le cose che aveva bisogno di imparare. Con le Aes Sedai che domavano gli uomini che potevano incanalare non appena li trovavano — e ogni anno ne trovavano sempre meno — rimaneva poca scelta. Un uomo che aveva semplicemente scoperto di poter incanalare non avrebbe saputo più di quanto sapeva lui. Un falso Drago che poteva incanalare — se Rand fosse riuscito a trovarne uno che non fosse già stato catturato e domato — probabilmente non avrebbe rinunciato ai propri sogni di gloria per un altro uomo che proclamava di essere il Drago Rinato. Ciò che rimaneva, ciò che Rand aveva attirato a sé, era uno dei Reietti.
Asmodean strimpellava note casuali mentre Rand si sistemò sedendosi di fronte a lui. L’uomo non era cambiato, non interiormente, da quel giorno nel lontano passato in cui aveva vincolato la propria anima all’Ombra. Quel che faceva adesso lo faceva perché costretto, non si era convertito alla Luce. «Pensi mai di tornare indietro, Natael?» Rand prestava sempre molta attenzione a come lo chiamava. Se avesse menzionato una sola volta il nome Asmodean Moiraine sarebbe stata sicura che si era convertito all’Ombra. Moiraine e forse anche gli altri. Né lui né Asmodean probabilmente sarebbero sopravvissuti.
La mano dell’uomo si immobilizzò sulle corde con il viso completamente assente. «Tornare indietro? Ormai Demandred, Rahvin o uno qualsiasi degli altri mi ucciderebbero a vista. Se fossi fortunato. Tranne forse Lanfear, e sono sicuro che mi capirai se non voglio fare la prova. Semirhage riuscirebbe a far implorare pietà a un masso ed essere ringraziata per la morte. Per quanto riguarda il Sommo Signore...»
«Il Tenebroso» lo interruppe duramente Rand con il cannello della pipa fra i denti. Sommo Signore delle Tenebre era il nome con cui gli Amici delle Tenebre chiamavano il Tenebroso. Gli Amici delle Tenebre e i Reietti.
Asmodean inchinò brevemente la testa in segno di assenso. «Quando il Tenebroso si libererà...» Se era stato inespressivo qualche minuto fa, adesso era tetro. «Basta dire che mi andrò a cercare Semirhage da solo e mi consegnerò a lei prima di affrontare il... la punizione del Tenebroso per tradimento.»
«Allora tanto meglio che ti trovi qui per insegnarmi qualcosa.»
Dall’arpa scaturì una musica mesta che parlava di perdita e lacrime. «La marcia della morte»spiegò Asmodean sopra la musica, «il movimento finale del Ciclo della grande passione, composto circa trecento anni prima della Guerra dei Poteri da...»
Rand lo interruppe. «Non mi stai addestrando in modo appropriato.»
«Direi che dovevi aspettartelo, date le circostanze. Adesso puoi afferrare saidin ogni volta che provi e distinguere un flusso da un altro. Puoi schermarti e il Potere fa quello che vuoi tu.» Asmodean smise di suonare e aggrottò le sopracciglia senza guardare Rand. «Credi davvero che Lanfear volesse che ti insegnassi tutto? Se lo avesse voluto, avrebbe trovato il modo di restare vicina per poterci collegare. Vuole che tu viva, Lews Therin, ma stavolta intende essere più forte di te.»
«Non chiamarmi a quel modo!» scattò Rand, ma Asmodean non parve sentirlo.
«Se questo è un vostro piano, intrappolarmi...» Rand percepì un aumento improvviso di intensità provenire da Asmodean, come se il Reietto stesse provando la forza dello schermo che Lanfear gli aveva costruito intorno. Le donne che potevano incanalare vedevano un bagliore intorno alle altre se abbracciavano saidar e sentivano con chiarezza che incanalavano, ma lui non vedeva mai nulla attorno ad Asmodean e avvertiva poco. «Se è qualcosa che avete escogitato assieme, allora hai lasciato che si beffasse di te a più di un livello. Ti ho detto che non sono un buon insegnante, specialmente senza il legame. Lo avete progettato insieme, vero?» Adesso stava guardando Rand, di traverso ma con attenzione. «Quanto ricordi? Voglio dire, di essere stato Lews Therin. Lei dice che non ti ricordi nulla, ma Lanfear potrebbe mentire al Som... al Tenebroso in persona.»
«Stavolta ha detto la verità.» Sedendosi su uno dei cuscini, Rand incanalò per attirare uno dei calici di vino lasciati intatti dai capi clan. Anche un tocco così breve di saidin era esilarante e disgustoso. Difficile da rilasciare. Non voleva parlare di Lews Therin. Era stanco della gente che pensava fosse lui. Il fornello della pipa era molto caldo per quanto stava fumando, per cui la tenne per il cannello usandola per gesticolare. «Se un legame ti aiuterebbe a insegnarmi qualcosa, perché non lo facciamo?»
Asmodean lo guardò come se gli avesse chiesto perché non mangiavano sassi, quindi scosse il capo. «Continuo a dimenticarmi di quanto sai poco. Noi non possiamo. Non senza una donna che ci unisca. Suppongo che potresti chiederlo a Moiraine, o a Egwene. Una di loro potrebbe capire come fare. Se non ti importa che scoprano chi sono.»
«Non mentirmi, Natael» gridò Rand. Molto prima di incontrarlo aveva imparato che un uomo e una donna che incanalavano erano diversi, proprio come uomo e donna, e Rand credeva poco alle parole di Asmodean. «Ho sentito Egwene e le altre parlare di Aes Sedai che uniscono i loro poteri. Se loro possono farlo, perché non tu e io?»
«Perché non possiamo.» La voce di Asmodean era piena di esasperazione. «Chiedi a un filosofo se vuoi scoprire perché. Perché i cani non possono volare? Forse nel grande schema del Disegno è un modo di bilanciare la forza superiore degli uomini. Non possiamo legarci senza di loro, ma il contrario è possibile. Fino al numero di tredici loro possono farlo, una piccola grazia. Dopo di quello hanno bisogno di un uomo per allargare il circolo.»
Rand era certo di aver colto una bugia stavolta. Moiraine gli aveva raccontato che durante l’Epoca Leggendaria uomini e donne erano stati ugualmente forti con il Potere e lei non poteva mentire. Glielo disse, aggiungendo, «I Cinque Poteri sono uguali.»
«Terra, Fuoco, Aria, Acqua e Spirito.» Natael suonò una corda per ognuno di loro. «Sono uguali ed è anche vero che ciò che un uomo può fare con uno di essi può farlo anche una donna, in un certo modo. Ma non ha nulla a che vedere con la forza degli uomini. Ciò che per Moiraine è vero lo spiega come una verità assoluta, che lo sia o meno. Una delle migliaia di debolezze di quegli stupidi Giuramenti.» Suonò un breve brano che sembrava proprio sciocco. «Alcune donne hanno le braccia più forti di alcuni uomini, ma in generale è il contrario. Lo stesso vale per la forza nel Potere, pressappoco con la stessa proporzione.»
Rand annuì lentamente. In un certo qual modo aveva senso. Elayne ed Egwene erano considerate due delle donne più forti addestrate alla Torre in migliaia di anni e forse più; ma si era messo alla prova con loro più di una volta e di recente Elayne gli aveva confessato di sentirsi come un gattino afferrato da un mastino.
Asmodean non aveva finito. «Se due donne si uniscono, non raddoppiano la loro forza — legarsi non significa semplicemente sommare il potere — ma se sono abbastanza forti possono eguagliare un uomo. Quando si uniscono in un circolo di tredici elementi, allora devi stare attento. Tredici donne che possono incanalare a malapena potrebbero sopraffare la maggior parte degli uomini uniti. Le tredici donne più deboli della Torre potrebbero sopraffare te o qualsiasi altro uomo, e avere a malapena l’affanno. Mi ricorda un detto dell’Arad Doman. Più donne ci sono in giro, più cauto cammina un uomo saggio’. Non sarebbe male se te lo ricordassi.»
Rand fu scosso dai brividi, ripensando a momenti in cui si era trovato fra più di tredici Aes Sedai. Naturalmente la maggior parte di loro non sapeva chi lui fosse. Altrimenti... Se Egwene e Moiraine si uniscono... Non voleva credere che Egwene si fosse avvicinata fino a quel punto alla Torre e allontanata dalla loro amicizia. Qualsiasi cosa faccia, lo fa con il cuore e sta diventando Aes Sedai. Come anche Elayne, si disse.
Bere il vino non rimosse completamente quel pensiero. «Cos’altro puoi dirmi dei Reietti?» Una domanda che era certo di aver posto centinaia di volte, ma sperava sempre che ci fosse qualcos’altro da scoprire. Meglio che immaginare Moiraine ed Egwene legate che...
«Ti ho detto tutto quello che so.» Asmodean sospirò profondamente. «Non siamo mai stati amici. Credi che ti stia nascondendo qualcosa? Non so dove si trovano gli altri, se è questo che vuoi scoprire. Tranne Sammael, e sapevi che ha preso Illian come suo regno prima che te lo dicessi. Graendal è stata nell’Arad Doman per un po’, ma suppongo che adesso sia andata via. Le piacciono troppo le sue comodità. Sospetto che Moghedien si trovi, o trovasse, da qualche parte a ovest, ma nessuno scova mai il ragno, a meno che non voglia farsi scoprire. Rahvin ha una regina come animale domestico, ma come te non ho idea in quale nazione possa essere. E questo è tutto ciò che so e che potrebbe aiutarti a localizzarli.»
Rand aveva già sentito tutto in precedenza. Almeno in una cinquantina di occasioni, tanto che a volte gli sembrava di aver sempre saputo ciò che l’uomo stava rivelando. Una parte desiderava non averla mai scoperta — per esempio cosa Semirhage trovasse divertente — e altre cose non avevano senso. Demandred si era convertito all’Ombra perché invidiava Lews Therin Telamon? Rand non riusciva a immaginare di poter invidiare qualcuno fino a quel punto. Asmodean sosteneva che era stata l’idea dell’immortalità, di infinite Epoche di musica, a sedurlo. Sosteneva anche di essere stato un famoso compositore prima della conversione. Senza senso. Eppure fra quella massa di nozioni che facevano gelare il sangue nelle vene poteva esserci la chiave per sopravvivere a Tarmon Gai’don. Qualsiasi cosa dicesse Moiraine, sapeva che allora avrebbe dovuto affrontarli, se non prima. Svuotando il calice lo appoggiò sulle mattonelle. Il vino non avrebbe rimosso i fatti.
La tenda di perline fece rumore e Rand si voltò mentre entravano dei gai’shain, vestiti di bianco e silenziosi. Mentre alcuni incominciavano a raccogliere il cibo e le bevande che erano state servite a lui e ai capi clan, un altro, un uomo, portò un grande vassoio d’argento verso il tavolo. Su di esso erano appoggiati dei piatti coperti, una tazza d’argento e due grandi brocche striate di verde. In una c’era del vino e nell’altra acqua. Una donna gai’shain portò una lampada dorata già accesa e la sistemò di fianco al vassoio. Attraverso le finestre si vedeva il cielo che stava assumendo la colorazione giallo rossa del tramonto; nel breve momento che separava il caldo soffocante dal freddo, l’aria era gradevole.
Rand si alzò mentre i gai’shain andavano via, ma non si mosse subito. «Cosa pensi delle mie possibilità quando giungerà l’Ultima Battaglia, Natael?»
Asmodean esitò mentre estraeva da dietro i cuscini una coperta a righe blu e rosse e lo guardò, con la testa reclinata in quel suo modo particolare. «Hai trovato... qualcosa... nella piazza il giorno che ci siamo incontrati qui.»
«Dimenticatene» rispose duro Rand. Due, non una. «Comunque l’ho distrutta.» Gli sembrò che le spalle di Asmodean scendessero.
«Allora il Tenebroso ti consumerà vivo. Per quanto mi riguarda intendo tagliarmi le vene quando scoprirò che è libero. Se ne avrò la possibilità. Una morte veloce sarà meglio di quanto mi aspetterebbe altrimenti.» Lanciò la coperta di lato e rimase a fissare cupo nel vuoto. «Di sicuro meglio che impazzire. Adesso ne sono soggetto quanto te. Hai spezzato i legami che mi proteggevano.» Nella sua voce non c’era amarezza, solo resa.
«E se ci fosse un’altra via per proteggersi dalla contaminazione?» chiese Rand. «Se in qualche modo potesse essere rimossa? Ti uccideresti comunque?»
La risata di Asmodean fu molto acida. «Che l’Ombra mi prenda, penso che incominci davvero a credere di essere il maledetto Creatore! Siamo morti. Entrambi. Morti! Sei troppo accecato dall’orgoglio per vederlo? O forse troppo duro di mente, pastore senza speranze?»
Rand si rifiutò di avvilirsi. «Allora perché non vai avanti e la fai finita?» ribadì con voce tesa. Non sono stato cieco al punto di non vedere cosa volevate fare tu e Lanfear. Non sono stato troppo duro di mente per imbrogliarla e intrappolarti, si disse. «Se non c’è speranza, nessuna possibilità, nemmeno il più piccolo brandello... allora perché sei ancora vivo?»
Sempre senza guardarlo, Asmodean si strofinò il naso. «Una volta ho visto un uomo che pendeva da un precipizio» rispose lentamente. «Il bordo si stava sgretolando sotto le sue dita e la sola cosa vicina a cui aggrapparsi era un ciuffo d’erba, alcuni fili con le radici forti appena per rimanere attaccate alla roccia. Era la sola possibilità che aveva di arrampicarsi sul precipizio. Per cui l’afferrò.» Nella risata improvvisa non c’era divertimento. «Doveva sapere che si sarebbe staccato.»
«Lo hai salvato?» chiese Rand, ma Asmodean non rispose.
Mentre Rand si dirigeva verso la porta, il suono della Marcia della morte riprese alle sue spalle.
Le file di perline ricaddero alle spalle di Rand e le cinque Fanciulle che attendevano nell’ampio corridoio vuoto si alzarono con grazia dalle mattonelle azzurro chiaro dove erano rimaste accovacciate. Erano tutte molto alte per essere delle donne, tranne una, ma non per le Aiel. La loro comandante, Adelin, era di un palmo più bassa di Rand. L’eccezione, una ragazza dai capelli rosso fuoco di nome Enaila, non era più alta di Egwene e molto sensibile alla propria statura. Come fra i capi clan, avevano tutte gli occhi azzurri, grigi o verdi e i capelli, castano chiaro, biondi o rossi, tagliati corti tranne per un codino dietro la nuca. Le faretre piene bilanciavano i grandi pugnali appesi alla cintura e dietro le spalle tenevano dei corni riposti nei foderi. Ognuna aveva anche tre o quattro corte lance dalle lunghe punte e uno scudo rotondo di pelle di toro. Donne aiel che non volevano possedimenti o figli e avevano la loro società, Far Dareis Mai, le Fanciulle della Lancia.
Rand rivolse loro un piccolo inchino, che le fece sorridere. Non era un’usanza aiel, almeno non come gli era stato insegnato. «Ti vedo, Adelin» disse. «Dov’è Joinde? Credevo che fosse con te prima. Si è ammalata?»
«Ti vedo, Rand al’Thor» rispose. I capelli biondo chiaro sembravano anche più chiari a confronto con il viso abbronzato, che aveva una sottile cicatrice bianca su una guancia. «In un certo qual modo, lo è. Ha parlato da sola tutto il giorno, e, nemmeno un’ora fa, è uscita per depositare una corona di fiori nuziale ai piedi di Garan, dei Goshien Jhirad.» Alcune delle altre scossero il capo. Sposarsi significava rinunciare alla lancia. «Domani è il suo ultimo giorno come gai’shain. Joinde appartiene agli Shaarad Rocce Nere» aggiunse in modo significativo. Lo era. I matrimoni tra uomini o donne catturati come gai’shain accadevano spesso, ma molto raramente fra clan dove c’erano alcuni antagonismi di sangue, anche se sospesi.
«È una malattia che si sta diffondendo» intervenne Enaila accorata. La voce di solito era focosa come i capelli. «Una o due Fanciulle preparano la corona di fiori nuziale ogni giorno da quando, siamo venute nel Rhuidean.»
Rand annuì con un’espressione che sperava scambiassero per simpatia. Era colpa sua. Se glielo avesse detto si chiedeva quante poi avrebbero comunque corso il rischio di restargli vicino. Probabilmente tutte. Le avrebbe trattenute l’onore e non avevano paura dei capi clan. Almeno per ora erano solo matrimoni. Anche le Fanciulle avrebbero considerato le nozze meglio di alcune altre esperienze. Forse lo avrebbero fatto. «Sarò pronto ad andare in un momento.» Si rivolse alle ragazze.
«Aspetteremo pazienti» rispose Adelin. Difficilmente poteva sembrare pazienza; lì in piedi parevano tutte pronte a uno scatto improvviso.
Ci mise davvero un momento a fare quello che voleva, tessere dei flussi di Spirito e Fuoco per formare una scatola attorno alla stanza e legarli perché la tessitura si mantenesse da sola. Chiunque poteva entrare o uscire — tranne un uomo in grado di incanalare. Per lui o Asmodean attraversare quella soglia sarebbe stato come cercare di attraversare un muro di solide fiamme. Aveva scoperto quella tessitura — e Asmodean, essendo bloccato, era troppo debole per incanalare contro di essa — per caso. Nessuno si sarebbe interessato agli affari di un menestrello, ma se qualcuno lo avesse fatto, Jasin Natael aveva deciso di dormire il più lontano possibile dagli Aiel, almeno nel Rhuidean. Era una scelta che i conducenti e le guardie di Hadnan Kadere potevano approvare. E in questo modo Rand sapeva esattamente dove l’uomo trascorresse le notti. Le Fanciulle non fecero domande.
Rand si voltò. Le Fanciulle lo seguirono, in ordine sparso e circospette come se si aspettassero un attacco proprio in quel momento. Asmodean ancora suonava il lamento.
Mat Cauthon camminava lungo il bordo della fontana asciutta con le braccia spalancate cantando rivolto agli uomini che lo osservavano nella luce morente.
Berremo il vino fino a quando avremo prosciugato i calici,
e baceremo le ragazze così non piangeranno,
lanceremo i dadi fino a quando voleremo
per danzare con Jak delle Ombre
L’aria era fresca dopo la calura del giorno e per un momento pensò di abbottonarsi la giubba di fine seta verde ricamata in oro, ma la bevanda che gli Aiel chiamavano oosquai gli faceva ronzare le orecchie con il rumore di un’ape gigante e il pensiero volò via. Le figure di pietra bianca che rappresentavano le tre donne erano in piedi su una piattaforma nella vasca polverosa, alte sei metri e nude. Ognuna aveva una mano alzata e l’altra che impugnava una grande brocca di pietra capovolta sulle spalle per far scendere l’acqua, ma a una mancava la testa e la mano alzata, in un’altra il vaso era distrutto.
Danzeremo tutta la notte mentre la luna corre libera,
e faremo saltare le ragazze sulle ginocchia,
allora cavalcherai con me,
per danzare con Jak delle Ombre.
«Una bella canzone che parla della morte» gridò uno dei conducenti dei carri con un forte accento del Lugard. Gli uomini di Kadere si mantenevano ben lontani dagli Aiel attorno alla fontana. Erano tutti individui rozzi dai visi duri, ma convinti che un Aiel avrebbe aperto loro la gola per un’occhiata sbagliata. Non erano molto lontani dalla verità. «Ho sentito mia nonna parlare di Jak delle Ombre» proseguì l’uomo del Lugard con le orecchie grosse. «Non va bene cantare della morte a quel modo.»
Mat considerò intontito la canzone e fece una smorfia. Nessuno aveva ascoltato Danza con Jak delle Ombre da quando era caduta Aldeshar. Nella sua testa poteva ancora sentire la canzone provocatoria che aleggiava mentre i Leoni d’Oro si lanciavano nel loro ultimo, futile attacco contro l’esercito di Artur Hawkwing che li circondava. Almeno non aveva farfugliato nella lingua antica. Non era ubriaco come sembrava, ma aveva bevuto troppo oosquai. La bevanda aveva l’aspetto e il sapore di acqua sporca, ma prendeva alla testa come il calcio di un mulo. Moiraine potrebbe impacchettarmi e spedirmi alla Torre se non faccio attenzione. Almeno mi porterebbe fuori dal deserto e lontano da Rand, pensò. Forse era più ubriaco di quanto credesse, se lo considerava uno scambio conveniente. Cambiò motivo e si mise a cantare Il Calderaio in cucina.
«Il Calderaio è in cucina con un monte di lavoro da fare,
la signora è di sopra, mentre si infila un abito blu.
Scende le scale piena di fantasie,
gridando, Calderaio, oh, caro Calderaio,
non ripareresti una pentola per me?»
Alcuni degli uomini di Kadere si unirono alla canzone mentre Mat danzando ritornò nel punto da dove era partito. Gli Aiel non lo fecero. Fra loro gli uomini non cantavano a meno che non fossero inni di battaglia o lamenti funebri, e nemmeno lo facevano le Fanciulle, tranne fra di loro.
Due Aiel erano accovacciati sul bordo della fontana senza mostrare alcun effetto dell’oosquai che avevano bevuto, a parte gli occhi leggermente velati. Mat sarebbe stato contento di fare ritorno in un luogo dove gli occhi chiari erano una rarità. In vita sua aveva visto solo occhi marroni o neri, tranne quelli di Rand.
Alcuni pezzi di legna — gambe e braccioli di sedie rovinate — giacevano sul lastricato nell’area dove gli osservatori avevano lasciato un varco. Di fianco al bordo c’era un vaso di terracotta vuoto e ce ne era un altro con dell’oosquai e una tazza d’argento. Il gioco era di bere un sorso, poi cercare di colpire con un coltello un bersaglio lanciato in aria. Nessuno degli uomini di Kadere e pochi Aiel volevano cimentarsi ai dadi con lui, che vinceva spesso, e non giocavano a carte. Il lancio dei pugnali in teoria avrebbe dovuto essere differente, soprattutto se era incluso bere oosquai. Non aveva vinto spesso come con i dadi, ma una mezza dozzina di tazze d’oro e due brocche erano adagiate nella vasca vicino a lui, insieme a braccialetti, collane incastonate di rubini, pietre di luna o zaffiri, più alcune monete. Il cappello a falde larghe era appoggiato vicino a una strana lancia con il manico nero. Alcuni oggetti erano di fattura aiel. Era più facile che pagassero con questi che con delle monete.
Corman, uno degli Aiel sul bordo, lo guardò quando smise di cantare. Aveva una cicatrice bianca che gli passava sul naso. «Sei quasi bravo con i pugnali quanto con i dadi, Matrim Cauthon. Vogliamo finire? La luce sta svanendo.»
«C’è abbastanza luce.» Mat guardò in alto. Delle ombre chiare coprivano l’intera valle del Rhuidean, ma il cielo era ancora abbastanza chiaro. «Anche mia nonna riuscirebbe a scagliare un pugnale con questa luce. Io potrei farlo bendato.»
Jenric, l’altro Aiel, guardò gli osservatori. «Ci sono delle donne qui?» Grosso come un orso, si considerava spiritoso. «Gli uomini parlano così solo quando vogliono fare colpo su una donna.» Le Fanciulle sparse fra la folla risero come gli altri, forse anche di più.
«Pensi che non sia capace?» mormorò Mat, sciogliendo la sciarpa nera che portava attorno al collo per nascondere la cicatrice di quando era stato impiccato. «Grida solo ‘ora’ quando lanci il bersaglio, Corman.» Si legò velocemente la sciarpa sugli occhi ed estrasse uno dei pugnali da una manica. Il suono più alto era il respiro degli spettatori. Non sono ubriaco? Sono più sbronzo del figlio di un violinista, pensò. Eppure all’improvviso percepì la fortuna, quell’ondata di emozione che provava quando sapeva quale punteggio avrebbe fatto prima che i dadi si fermassero. Sembrò rischiarargli leggermente la testa. «Lancialo» lo invitò con calma.
«Adesso!» gridò Corman e il braccio di Mat si protese indietro, quindi in avanti.
Nel silenzio il rumore dell’acciaio che colpiva il legno fu forte come il tonfo dell’oggetto sul lastricato. Nessuno disse una parola mentre Mat si toglieva la sciarpa dagli occhi. Un pezzo del bracciolo di una sedia, non più grande della sua mano, era per terra con la lama fermamente conficcata nel mezzo. Corman aveva cercato di diminuire le opportunità. Be’, Mat non aveva mai specificato il tipo di bersaglio. Si rese conto d’un tratto che non aveva nemmeno scommesso.
Alla fine uno degli uomini di Kadere disse: «Questa è la fortuna del Tenebroso!»
«La fortuna è un cavallo da cavalcare come qualsiasi altro» si disse Mat. Non importa da dove provenga. Non che conoscesse l’origine della propria. Cercava solo di cavalcarla al meglio.
Con la stessa calma con cui aveva parlato, Jenric lo guardò cupo. «Cos’è che hai detto, Matrim Cauthon?»
Mat aprì la bocca per ripetere la frase, quindi la chiuse di nuovo mentre le parole gli tornavano alla mente. Sene sovya caba’donde ain dovirnya. La lingua antica. «Nulla» mormorò. «Parlavo da solo.» Gli spettatori cominciavano ad andare via. «Immagino che ormai la luce sia poca per poter continuare.»
Corman appoggiò un piede sul pezzo di legno per liberare il pugnale e riportarglielo. «Prima o poi, Matrim Cauthon, un giorno.» Era la maniera aiel per dire ‘mai’ quando non volevano dirlo apertamente.
Mat annuì mentre faceva scivolare il pugnale in una delle custodie nascosta sotto la manica. Era come quella volta che aveva ottenuto sei per ventitré volte di seguito. Non poteva fargliene una colpa. Essere fortunato non era tutto. Notò con un po’ di invidia che nessun Aiel barcollava mentre si univano alla folla in partenza.
Passandosi una mano fra i capelli Mat si sedette pesantemente sul bordo della fontana. I ricordi che una volta gli avevano affollato la testa come uvetta in una torta adesso erano mescolati ai suoi. In una parte della mente sapeva di essere nato nei Fiumi Gemelli ventitré anni prima, ma poteva anche ricordarsi con chiarezza che aveva guidato l’attacco laterale che aveva sconfitto i Trolloc a Maighande e ballato alla corte di Tarmandewin, più un centinaio di altre cose, migliaia. Per la maggior parte erano battaglie. Rammentava di essere morto più volte di quanto gli piacesse ricordare. Non c’erano separazioni fra queste vite ormai. Non poteva distinguere i propri ricordi da quelli degli altri a meno che non si concentrasse.
Allungandosi raccolse il cappello mettendoselo in testa e si appoggiò la strana lancia sulle gambe. Invece di una ordinaria punta, c’era qualcosa che somigliava a una lama di spada lunga sessanta centimetri, marchiata con una coppia di corvi. Lan gli aveva spiegato che quella lama era stata forgiata con l’Unico Potere durante la Guerra dell’Ombra, la Guerra del Potere. Il Custode sosteneva che non avrebbe mai avuto bisogno di essere affilata e che non si sarebbe mai spezzata. Mat non voleva provarlo a meno che non fosse necessario. Forse era durata tremila anni, ma si fidava poco del Potere. Lungo il manico nero erano incise delle scritte precedute e chiuse da un corvo, intarsiate con uno strano metallo anche più scuro del legno. Erano nella lingua antica, ma naturalmente adesso poteva leggerla.
«Così il trattato è stato scritto; così l’accordo raggiunto.
Il pensiero è la freccia del tempo; le memorie non scompaiono mai.
Ciò che è stato chiesto, è stato concesso. Il prezzo è pagato.»
In fondo all’ampia strada, a circa un chilometro di distanza, c’era una piazza che nella maggior parte delle città sarebbe stata definita grande. I commercianti aiel erano andati via per la notte ma i padiglioni erano ancora là, della stessa lana grigiastra delle tende aiel. A centinaia erano giunti nel Rhuidean da ogni angolo del deserto per la fiera più grande che gli Aiel avessero mai visto, e altri ne giungevano ogni giorno. Erano stati i primi a iniziare a vivere in città.
Mat non voleva guardare nell’altra direzione, verso la grande piazza. Poteva vedere il profilo dei carri di Kadere che attendevano un ulteriore carico per il giorno seguente. Quel che sembrava una soglia ritorta di granito vi era stata caricata la notte. Moiraine si era accertata con particolare cura che venisse sistemata bene.
Non avrebbe chiesto cosa sapesse della soglia. Meglio che si dimenticasse che fosse vivo, anche se. la possibilità era ridotta, ma qualsiasi cosa conoscesse, Mat era certo di saperne di più.
Lui l’aveva attraversata, uno sciocco alla ricerca di risposte. Ciò che invece aveva ottenuto era una testa piena di ricordi di altri uomini. Quello e la morte. Strinse la sciarpa attorno al collo. E altre due cose. Un medaglione d’argento con incisa una testa di volpe che portava sotto alla camicia e l’arma che aveva sulle ginocchia. Una piccola ricompensa. Fece scorrere leggermente le dita sopra la scritta. Le memorie non scompaiono mai, riportava. Quei tipi dall’altro lato della soglia avevano un senso dell’umorismo che andava bene per gli Aiel.
«Puoi farlo sempre?»
Mat voltò la testa di scatto per osservare la Fanciulla che si era seduta vicino a lui: Alta anche per un’Aiel, forse più alta di lui, aveva i capelli biondo oro e gli occhi azzurri come il cielo del mattino. Era più grande di lui, forse di dieci anni, ma questo non lo aveva mai frenato. Però era Far Dareis Mai.
«Mi chiamo Melindhra» proseguì «della setta Jumai. Puoi farlo sempre?»
Mat capì che alludeva al lancio del pugnale. La donna aveva dichiarato la setta di appartenenza ma non il clan. Gli Aiel non lo facevano mai, a meno che... doveva essere una delle Fanciulle shaido venute per unirsi a Rand. Mat non capiva bene tutta questa faccenda delle società, ma ricordava gli Shaido che avevano cercato di trapassarlo con una lancia, come Rand. A Couladin non piaceva nessuno che fosse associabile a Rand e quello che odiava Couladin lo odiavano anche gli Shaido. D’altro canto Melindhra era venuta nel Rhuidean. Una Fanciulla. La donna aveva sul viso un lieve sorriso e nello sguardo c’era una luce invitante.
«La maggior parte delle volte» rispose sinceramente Mat. Anche quando non l’avvertiva, la fortuna era dalla sua parte. Quando la percepiva tutto era perfetto. Melindhra proruppe in un sorriso che si allargò come se pensasse che stesse vantandosi eccessivamente. Le donne sembravano decidere se stavi mentendo o meno indipendentemente dalle prove. Ma in fondo se piacevi loro non importava, oppure credevano vera anche la bugia più oltraggiosa.
Le Fanciulle erano pericolose, indipendentemente dal clan di appartenenza — aveva imparato che tutte le donne lo erano — ma gli occhi di Melindhra non stavano guardando lui.
Mat estrasse dagli oggetti vinti una collana di spirali d’oro, ognuna con uno zaffiro blu incastonato nel centro, il più grande della misura del pollice della sua mano. Riusciva a ricordarsi di un tempo — i suoi ricordi — in cui la più piccola di queste pietre avrebbe rappresentato la sua fortuna.
«Si intonano bene con i tuoi occhi» disse, mettendole fra le mani la pesante collana. Non aveva mai visto una Fanciulla indossare qualsiasi tipo di bigiotteria, ma l’esperienza gli aveva insegnato che a ogni donna piacevano i gioielli. Stranamente apprezzano i fiori quasi allo stesso modo. Mat capiva gli esseri femminili anche meno della sua fortuna, o di quanto fosse accaduto dall’atro lato della soglia ritorta.
«Davvero un bel lavoro» rispose la fanciulla tenendola in mano. «Accetto la tua offerta.» La collana scomparve nel sacchetto appeso alla cintura e Melindhra si protese in avanti per spostare il cappello di Mat. «Hai dei begli occhi, come quelle pietre chiamate occhio di tigre.» Si voltò per sollevare i piedi e appoggiarli sul bordo della fontana, avvolgendo le braccia attorno alle gambe e studiandolo attentamente. «Le mie sorelle di lancia mi hanno raccontato di te.»
Mat sistemò di nuovo il cappello e la guardò sospettoso da sotto alle falde. Cosa le avevano detto? E di quale ‘offerta’ stava parlando? Era solo una collana. L’invito era scomparso dagli occhi della donna, adesso sembrava un gatto che contemplava un topo. Questo era il problema con le Fanciulle della Lancia. A volte era difficile capire se volevano ballare con te, baciarti o ucciderti.
La strada stava svuotandosi e le ombre crescevano, eppure Mat riconobbe Rand che procedeva lungo la via con la pipa fra i denti. Era probabilmente il solo uomo del Rhuidean che se ne andava in giro accompagnato da un capannello di Far Dareis Mai. Sono sempre intorno a lui, pensò. Gli fanno la guardia come un branco di lupe, pronte a eseguire qualsiasi suo ordine. Alcuni uomini forse lo avrebbero invidiato, almeno per questo. Non Mat. Per la maggior parte delle volte. Se fosse stato un branco di ragazze come Isendre, allora...
«Scusami un momento» si rivolse in fretta a Melindhra. Appoggiando la lancia al bordo della fontana saltò fuori e incominciò a correre. La testa gli ronzava ancora, ma non forte come prima e non barcollava. Non si preoccupava nemmeno delle sue vincite. Gli Aiel avevano una visione molto precisa di cosa fosse permesso; prendere durante un’incursione era un conto, il furto tutta un’altra cosa. Gli uomini di Kadere avevano imparato a tenere le mani in tasca da quando uno di loro era stato colto a rubare. Dopo una fustigazione che gli aveva portato via la pelle dalle spalle ai talloni, era stato allontanato. La sola borraccia che gli era stato permesso di tenere con sé non sarebbe bastata per raggiungere il Muro del Drago, anche se avesse avuto addosso gli abiti. Adesso gli uomini di Kadere non avrebbero raccolto una moneta di rame abbandonata in terra.
«Rand?» L’altro uomo camminava circondato dalla sua scorta. «Rand?» Rand non era nemmeno a dieci passi di distanza, ma non si mosse. Alcune Fanciulle si voltarono, ma non lui. Mat improvvisamente sentì un freddo che non aveva nulla a che vedere con la notte che stava scendendo. Si umettò le labbra e parlò di nuovo, senza gridare. «Lews Therin.» E Rand si voltò. Mat desiderava che non lo avesse fatto.
Per un po’ si limitarono a guardarsi nel crepuscolo. Mat esitò ad avvicinarsi. Cercò di convincersi che era a causa delle Fanciulle. Adelin era stata fra quelle che gli avevano insegnato il gioco chiamato ‘il bacio della Fanciulla’, che probabilmente non avrebbe mai dimenticato o fatto di nuovo, se poteva esprimere un’opinione a riguardo. Percepiva lo sguardo di Enaila come una trivella che gli trapassava il cranio. Chi si sarebbe aspettato che una donna esplodesse come olio gettato sul fuoco solo perché le avevi detto che era il più grazioso fiorellino che avevi mai visto?
Adesso Rand. Lui e Rand erano cresciuti insieme. Loro e Perrin, l’apprendista fabbro di Emond’s Field, erano andati a caccia insieme, a pesca, si erano avventurati sulle colline Sabbiose ai margini delle montagne di Nebbia e si erano accampati sotto le stelle. Rand era suo amico. Solo che adesso era quel tipo di amico che avrebbe potuto sfondarti il cranio senza volerlo. Forse Perrin era morto per colpa sua.
Si costrinse ad avvicinarsi. Rand era più alto e nella luce della prima sera lo sembrava anche di più. E più freddo di quanto fosse mai stato. «Ho pensato molto, Rand.» Mat avrebbe voluto che la sua voce non fosse rauca. Sperava che Rand stavolta lo avrebbe chiamato con il nome giusto. «Sono rimasto lontano da casa a lungo.»
«Lo abbiamo fatto entrambi» mormorò Rand. «Molto a lungo.» Rise improvvisamente, non forte ma quasi come il Rand di una volta. «Cominci ad avere nostalgia di mungere le vacche di tuo padre?»
Mat si grattò un orecchio sorridendo leggermente. «Non proprio.» Se non avesse mai più visto l’interno di un’altra stalla sarebbe stato troppo presto. «Ma stavo pensando che quando i carri di Kadere andranno via, potrei unirmi a loro.»
Rand rimase in silenzio. Quando parlò di nuovo, quel breve lampo di divertimento era scomparso. «Fino a Tar Valon?»
Stavolta fu Mat a esitare. Non farebbe la spia a Moiraine, non credo, si disse. «Può darsi» rispose con indifferenza. «Non lo so. È dove mi vorrebbe Moiraine. Forse avrò la possibilità di andare ai Fiumi Gemelli. Per vedere se tutto è a posto a casa.» Per vedere se Perrin è vivo. Se lo sono le mie sorelle, mia madre e mio padre, aggiunse mentalmente.
«Dobbiamo tutti fare quello che dobbiamo, Mat. Spesso non è quello che vogliamo. Quel che dobbiamo.»
A Mat sembrava una scusa, come se Rand stesse chiedendogli di capire. Lui per primo lo aveva fatto, diverse volte. Non posso dargli la colpa di Perrin, o di me. Nessuno mi ha costretto a seguire Rand come un maledetto cane! pensò. Ma nemmeno quello era vero. Era stato costretto, ma non da Rand. «Non mi impedirai di andare via?»
«Non sono qui per dirti di andare o restare, Mat» rispose stanco Rand. «La Ruota intesse il Disegno, non io, e la Ruota tesse come vuole.» Aveva parlato come una maledetta Aes Sedai! Mentre si girava per allontanarsi, Rand aggiunse, «Non fidarti di Kadere, Mat. A modo suo è pericoloso quasi più di qualsiasi uomo abbia incontrato. Non fidarti per niente di lui o una notte potresti ritrovarti con la gola tagliata e tu e io non saremmo i soli a rimpiangerlo.» Quindi si avviò lungo la strada mentre il crepuscolo aumentava, circondato dalle Fanciulle che camminavano di soppiatto come delle lupe.
Mat rimase a fissarlo. Fidarsi del mercante? Non mi fiderei di Kadere se fosse legato e chiuso in un sacco, si disse. Per cui non era Rand a tessere il Disegno? Ma ci andava vicino! Anche prima di capire che le Profezie avevano a che fare con loro, avevano scoperto che Rand era ta’veren, uno di quei rari individui che, invece di essere intessuto passivamente nel Disegno, lo costringevano a prendere forma attorno a loro. Mat sapeva tutto dei ta’veren; anche lui lo era, sebbene non forte come Rand. A volte Rand influenzava la vita delle persone cambiandone il corso, solo per il fatto di trovarsi nella stessa città. Anche Perrin era un ta’veren, o forse lo era stato. Moiraine credeva che fosse una circostanza significativa aver trovato tre ragazzi cresciuti assieme nello stesso villaggio, tutti destinati a essere ta’veren. Intendeva includerli nei suoi piani, qualsiasi fossero.
In teoria doveva essere una gran cosa. Mat sapeva che i ta’veren erano uomini come Artur Hawkwing o donne come Mabriam en Shereed, che secondo le storie avevano fondato il Patto delle Dieci Nazioni dopo la Frattura. Ma nessuna delle storie spiegava cosa accadesse quando un ta’veren si trovava vicino a un altro ta’veren forte come Rand. Ci si sentiva come una foglia in un turbine.
Melindhra si fermò di fianco a lui passandogli la lancia e un pesante sacco che tintinnava. «Ho riposto gli oggetti che hai vinto.» Era effettivamente più alta di lui, di almeno cinque centimetri e guardò Rand. «Ho sentito dire che eravate fratelli prossimi tu e Rand al’Thor.»
«In un certo modo» replicò asciutto.
«Non importa» rispose la donna noncurante, concentrando lo sguardo su di lui, con le mani sui fianchi. «Hai attirato la mia attenzione, Mat Cauthon, anche prima di darmi un dono di considerazione. Non che rinuncerei alla lancia per te, naturalmente, ma sono giorni che non ti perdo di vista. Hai il sorriso di un ragazzino che sta per combinare qualcosa. Mi piace. E questi occhi.» Nella luce morente il sorriso della donna fu lento e ampio. E caldo. «Mi piacciono i tuoi occhi.»
Mat si sistemò il cappello, anche se non ne aveva bisogno. Da cacciatore a preda in un batter d’occhio. Con le donne aiel poteva accadere. Specialmente con le Fanciulle. «Figlia delle Nove Lune ti dice qualcosa?» Era una domanda che a volte rivolgeva alle donne. La risposta sbagliata lo avrebbe fatto scattare fuori dal Rhuidean all’istante, anche se avesse dovuto abbandonare il deserto a piedi.
«Nulla» rispose la donna. «Ma ci sono cose che mi piace fare al chiaro di luna.» Mettendogli un braccio attorno alle spalle gli tolse il cappello e incominciò a sussurrargli qualcosa nell’orecchio. In breve Mat cominciò a sorridere anche più della donna.