42 Prima della freccia

La volta di una tenda doveva essere la vista più noiosa al mondo; sdraiato in camicia su un cuscino rosso a tasselli che Melindhra aveva preso, Mat ne studiava il tessuto grigio-marrone con estrema cura. O meglio, vi guardava attraverso. Con un braccio dietro la testa fece girare vorticosamente un calice d’argento battuto colmo di ottimo vino del sud di Cairhien. Un barilotto gli era costato quasi quanto due buoni cavalli — il mondo e tutto il resto ora erano completamente a soqquadro — ma lo considerava un prezzo accettabile per qualcosa di decente. A volte una goccia o due gli cadevano sulle mani, ma non vi prestava attenzione e non beveva.

A suo parere, la situazione era grave da molto tempo. Era grave rimanere bloccato nel deserto senza idea di come uscirne. Era grave che gli Amici delle Tenebre spuntassero fuori quando meno te li aspettavi, che i Trolloc ti attaccassero nella notte, che gli strani Myrddraal ti gelassero il sangue con quello sguardo senza occhi. Queste cose accadevano velocemente e di solito erano finite prima che avessi la possibilità di pensare. Non erano certo circostanze che ti saresti andato a cercare, ma se dovevi, potevi conviverci, se riuscivi a sopravvivere. Ma sapeva già da giorni dove stavano dirigendosi e perché. Non era una faccenda che si sarebbe conclusa presto. Aveva giorni interi a disposizione per riflettere. Non sono un maledetto eroe, pensò torvo, e non sono un maledetto soldato. Con fierezza respinse un ricordo di quando camminava sulle mura di una fortezza, dando ordini alle sue ultime riserve contro un grappolo di Trolloc saliti con le scale di legno. Non ero io, la Luce folgori chiunque fosse! Io sono... Non sapeva chi era, considerò con amarezza, ma qualsiasi cosa fosse aveva a che fare col gioco d’azzardo e le taverne, le donne e i dadi. Di quello era sicuro. Nel suo destino c’erano un buon cavallo e una strada qualsiasi da scegliere nel mondo, non rimanere seduto in attesa che qualcuno lo trapassasse con una freccia o cercasse di conficcargli una spada fra le costole. Qualsiasi altro modo di agire lo avrebbe reso uno sciocco, e non voleva. Nemmeno per Rand, Moiraine o chiunque altro.

Mentre si sedeva, il medaglione d’argento con la testa di volpe appeso al laccio di cuoio scivolò fuori dal colletto slacciato della camicia e lo rimise a posto prima di bere un sorso di vino. Quel monile lo proteggeva da Moiraine o qualsiasi altra Aes Sedai, finché non glielo avessero tolto; certo prima o poi qualcuna di loro ci avrebbe provato, ma nulla tranne la sua prontezza di spirito lo manteneva in vita e lo difendeva da qualche sciocco che avesse tentato di ucciderlo assieme ad altre migliaia di sciocchi. O da Rand, o dall’essere ta’veren.

Un uomo doveva trovare una forma di profitto in tutto questo, con gli eventi che mutavano attorno a sé. Rand certamente ci era riuscito. Mat non aveva mai notato alcun cambiamento se non quello dei lanci ai dadi. Non si sarebbe sottratto a nessuna delle avventure che erano accadute ai ta’veren nelle storie. Benessere e fama cadevano nelle loro tasche come se piovessero dal cielo. Gli uomini che volevano ucciderli finivano per seguirli e le donne dagli occhi di ghiaccio decidevano di lasciarsi andare.

Non che si lamentasse di quanto aveva avuto. E certo non desiderava una sorte come quella toccata a Rand: il prezzo per entrare nel gioco era troppo alto. Solo che gli sembrava di essersi dovuto sobbarcare tutti gli oneri di essere ta’veren senza riceverne nessuno dei piaceri.

«È il momento di andare» si rivolse alla tenda vuota, quindi fece una pausa e sorseggiò dalla coppa. «È il momento di salire in groppa a Pips e cavalcare. Forse verso Caemlyn.» Non era una brutta città, finché avesse evitato il palazzo reale. «O Lugard.» Aveva sentito delle voci su Lugard. Un bel posto, per i tipi come lui. «È tempo di lasciarmi Rand alle spalle. Ha i maledetti Aiel e più Fanciulle di quante possano prendersi cura di lui. Non ha bisogno di me.»

Non era del tutto vero. In uno strano modo era legato al successo o al fallimento di Rand in Tarmon Gai’don, sia lui che Perrin, tre ta’veren uniti assieme. Le storie probabilmente avrebbero menzionato solo Rand. C’era un’esigua possibilità che per lui o Perrin ci sarebbe stato posto in esse. E c’era il Corno di Valere. Era una questione alla quale non voleva pensare, e non lo avrebbe fatto. Non fino a quando non fosse stato costretto. Da quello forse c’era ancora una via d’uscita. Comunque la vedesse, il Corno era un problema da rinviare a un altro giorno. Un giorno distante. Se era fortunato tutti quei conti avrebbe dovuto pagarli in un futuro lontano. Solo che forse ci voleva più fortuna di quanta ne avesse.

Il punto adesso era che aveva detto tutto sul fatto di andare via e non provava alcun rimorso. Non molto tempo fa non sarebbe stato nemmeno in grado di parlarne. Ogni volta che si allontanava troppo da Rand, ritornava indietro come un pesce attaccato a un filo invisibile. Poi era riuscito a discuterne, anche a elaborare dei piani, ma la minima cosa lo distraeva, facendogli rinunciare ai suoi progetti. Anche nel Rhuidean, quando aveva comunicato a Rand che andava via, era stato sicuro che sarebbe accaduto qualcosa a impedirglielo. E in un certo modo era accaduto. Mat era uscito dal deserto, ma non si era allontanato da Rand. Stavolta non credeva che sarebbe stato distolto dal suo proposito.

«Non lo sto abbandonando» mormorò. «Se non è in grado di prendersi cura di se stesso adesso, maledizione, non lo farà mai. Non sono la sua maledetta sorvegliante.»

Svuotò la coppa, indossò la giubba verde, riprese i pugnali dai nascondigli, indossò una sciarpa gialla per nascondere la cicatrice dell’impiccagione, quindi si mise il cappello in testa e uscì.

Il calore lo colpì in viso dopo la relativa frescura dell’interno della tenda. Non era certo dell’avvicendarsi delle stagioni in quel posto, ma l’estate stava durando troppo per i suoi gusti. C’era una cosa che desiderava nel lasciare il deserto, ed era l’arrivo dell’autunno. Un clima meno afoso. Lì non aveva avuto fortuna. Almeno le larghe falde del cappello lo riparavano dalla luce del sole.

La foresta collinare di Cairhien era una ben povera cosa, con più radure che alberi, e la metà di questi ingialliti per la siccità. Nel Bosco Occidentale, a casa, non c’era nemmeno uno spiazzo. Le tende basse degli Aiel erano ovunque, anche se da lontano sembravano un mucchio di foglie secche o un poggetto spoglio, a meno che le entrate non fossero aperte. Gli Aiel, indaffarati nelle loro occupazioni, non gli prestarono attenzione. Dopo aver attraversato l’accampamento vide da una sporgenza i carri di Kadere, tutti in circolo, i conducenti erano sdraiati all’ombra e l’ambulante non era in vista. Lui rimaneva sempre più nel suo veicolo, uscendo di rado se non quando Moiraine veniva a ispezionare i carichi. Gli Aiel che li attorniavano, dei piccoli gruppi con lance e scudi, archi e faretre, facevano poco per nascondere che li stavano tenendo d’occhio. Sembrava che Moiraine sospettasse che Kadere o uno dei suoi uomini avrebbero tentato di fuggire una volta fuori dal Rhuidean. Mat si domandò se Rand si rendesse conto di concedere alla donna tutto quello che chiedeva. Per un po’ aveva creduto che Rand l’avesse avuta vinta, ma adesso non ne era più tanto sicuro, anche se Moiraine continuava a rivolgergli inchini e portargli la pipa.

La tenda di Rand era su una collina, riconoscibile dalla bandiera rossa davanti all’entrata, che ondeggiava in una brezza leggera, a volte dispiegandosi abbastanza da mostrare il disco bianco e nero. Quell’emblema gli dava i brividi, come anche la bandiera del Drago. Se un uomo voleva evitare di essere coinvolto con le Aes Sedai, quindi chiunque tranne un idiota, l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare era sventolare quel simbolo. Le pendici erano spoglie, ma le tende delle Fanciulle erano disposte circolarmente ai piedi della collina e si estendevano attraverso gli alberi, scendendo dall’altro lato. Anche quello appariva normale, come il campo delle Sapienti dentro a quello delle Far Dareis Mai, dozzine di tende basse vicine fra loro, circondate dai gai’shain vestiti di bianco.

Erano visibili solo alcune delle Sapienti, ma compensavano il loro scarso numero con l’intensità delle occhiate che lo seguivano. Non aveva idea di quante erano in grado di incanalare in quel gruppo, ma uguagliavano le Aes Sedai nel soppesare e misurare le persone quando si trattava di osservarle. Allungò il spasso, sforzandosi di non stringersi nelle spalle a disagio. Poteva sentire quegli sguardi puntati in mezzo alla schiena come se lo avessero pungolato con un bastone. E, al ritorno, sarebbe dovuto passare nuovamente di lì. Be’, alcune parole con Rand e sarebbe stata l’ultima volta.

Solo che, quando si tolse il cappello e si affacciò nella tenda di Rand, non c’era nessuno tranne Natael, appollaiato sui cuscini con l’arpa dai dragoni dorati appoggiata contro un ginocchio e una coppa d’oro. Mat fece una smorfia e imprecò. Avrebbe dovuto saperlo. Se Rand vi si fosse trovato, avrebbe dovuto superare un circolo di Fanciulle tutte intorno alla tenda. Molto probabilmente era su quella nuova torre. Era una buona idea. Esaminare il campo di battaglia. Era la seconda regola, subito dopo ‘conosci il tuo nemico’, e fra le due non vi era una gran scelta.

Il pensiero gli suscitò un sorriso amaro. Quelle regole erano frutto dei ricordi di altre persone. Le sole regole che voleva tenere a mente erano: ‘non baciare mai una ragazza che ha un fratello con una cicatrice da arma da taglio’ e ‘non scommettere mai senza sapere se c’è un’uscita sul retro’. Desiderava quasi che quei ricordi altrui rimanessero ancora isolati nel cervello invece di affacciarsi quando meno se lo aspettava.

«Problemi con lo stomaco?» chiese pigramente Natael. «Forse una delle Sapienti ha una radice per curarti. Oppure potresti provare con Moiraine.»

A Mat quell’uomo non piaceva, sembrava ogni volta pensare a una battuta che teneva per sé. E aveva sempre l’aspetto di uno che avesse tre servitori a prendersi cura dei suoi abiti. Tutto quel merletto al collo e ai polsini che pareva sempre fresco di bucato. Apparentemente non sudava nemmeno. Perché Rand lo volesse con sé era un mistero. Non suonava quasi mai nulla di allegro con quell’arpa. «Tornerà presto?»

Natael si strinse nelle spalle. «Quando decide. Forse presto, forse tardi. Nessun uomo misura il tempo al lord Drago. E poche donne.» Eccolo di nuovo, il sorriso segreto. Freddo.

«Aspetterò.» Stavolta voleva arrivare fino in fondo. Si era ritrovato fin troppo spesso a rinviare le decisioni.

Natael sorseggiò il vino, scrutandolo dal bordo della coppa.

Era già abbastanza spiacevole che Moiraine e le Sapienti lo guardassero in quella maniera silenziosa e inquisitoria, a volte lo faceva anche Egwene. Certo lei era cambiata. Metà Sapiente e metà Aes Sedai, ma, tornando al menestrello di Rand, il suo sguardo era tale da fargli digrignare i denti. La cosa migliore, andandosene, sarebbe stata non avere nessuno che ti fissasse come se fosse capace di scoprire in un minuto a cosa stavi pensando, e lui sapeva già che la biancheria era pulita.

Vicino al camino erano aperte due mappe. Una copia particolareggiata tratta da una cartina consunta ritrovata in una vecchia città in parte incendiata, che raffigurava la metà nord di Cairhien da ovest dell’Alguenya fino a parte della Dorsale del Mondo; mentre l’altra, disegnata di fresco e appena abbozzata, mostrava il territorio attorno alla città. Frammenti di pergamena tenuti fermi da sassi erano poggiati su tutte e due le carte. Se avesse voluto rimanere e ignorare lo sguardo di Natael, non aveva che da mettersi a studiare le mappe. Con la punta dello stivale spostò uno dei sassolini sulla cartina della città per poter leggere cosa era scritto sulla pergamena. Pur non volendo, sussultò. Se le vedette aiel sapevano contare, Couladin aveva almeno centosessantamila lance, tra gli Shaido e quelli che si erano uniti alle loro varie società. Una brutta gatta da pelare. Quel lato della Dorsale del Mondo non aveva visto un esercito di tale portata dai tempi di Artur Hawkwing.

La seconda mappa mostrava gli altri clan che avevano superato il Muro del Drago. Adesso, in un modo o nell’altro, erano tutti giunti nell’ordine di tempo in base al quale avevano lasciato il passo Jangai e si erano separati, ma troppo vicini a dove si trovavano loro per sentirsi a proprio agio. Gli Shiande, i Codarra, i Daryne e i Miagoma. Fra loro apparentemente c’erano almeno tante lance quante ne aveva Couladin. Non ne avevano lasciati molti indietro, se era vero. I sette clan con Rand raddoppiavano quel numero, era abbastanza facile affrontare Couladin o i quattro clan. Ma non entrambe le forze simultaneamente. Forse, tuttavia, Rand avrebbe dovuto affrontarle assieme.

Quello che gli Aiel chiamavano la ‘tetraggine’ doveva aver colpito anche questi altri clan: ogni giorno degli uomini gettavano le armi e scomparivano, ma solo uno sciocco avrebbe pensato che il loro numero si sarebbe ridotto più di quello degli Aiel di Rand. E c’era sempre la possibilità che alcuni di loro si unissero a Couladin. Gli Aiel non ne parlavano spesso o liberamente, e mascheravano la cosa parlando di riunirsi alle società; ma anche ora, uomini e Fanciulle decidevano di non poter accettare Rand o quanto aveva rivelato loro sul passato degli Aiel. Ogni mattina ne mancava qualcuno e non tutti si lasciavano le lance alle spalle.

«Una situazione gradevole, vero?»

Mat voltò il capo di scatto sentendo la voce di Lan, ma il Custode era entrato nella tenda da solo. «Sto solo dando un’occhiata mentre aspetto. Rand sta tornando?»

«Sarà qui presto.» Con i pollici infilati dietro il cinturone della spada, Lan si mise di fianco a Mat, per osservare la mappa. Dal viso dell’uomo trapelavano le stesse emozioni di una statua. «Domani ci sarà la battaglia più grande dai tempi di Artur Hawkwing.»

«Davvero?» Dov’era Rand? Sempre sulla torre, probabilmente. Forse doveva andare lì. No, avrebbe potuto ritrovarsi a correre per tutto il campo, sempre un passo indietro. Prima o poi Rand sarebbe arrivato. Voleva parlare di altro oltre Couladin. Questa battaglia non mi riguarda. Non sto fuggendo da nulla che mi riguardi minimamente, pensò. «Cosa mi dici di loro?» Fece un cenno verso i frammenti di pergamena che rappresentavano i Miagoma e gli altri. «Si sa nulla se intendono unirsi a Rand o restasene in disparte a guardare?»

«Chi può dirlo? Rhuarc non sembra più informato di me e se le Sapienti lo sono, non lo dicono. La sola cosa certa è che Couladin non va da nessuna parte.»

Di nuovo Couladin. Mat cambiò posizione, a disagio, e fece mezzo passo verso l’entrata. No, avrebbe aspettato. Fissando lo sguardo sulle mappe, fece finta di studiarle ancora. Forse Lan lo avrebbe lasciato in pace. Voleva solo dire a Rand la frase che aveva in mente e poi sarebbe andato via.

Il Custode però sembrava avere voglia di parlare. «Cosa ne pensi, mastro menestrello? Dovremmo scagliarci contro Couladin con tutte le nostre forze domani e schiacciarlo?»

«Mi pare buono come un qualsiasi altro piano» rispose Natael furiosamente. Svuotandosi in gola la coppa di vino la fece cadere sul tappeto e raccolta l’arpa cominciò a suonare un’aria tetra e funerea. «Non guido eserciti, Custode. Non comando nulla tranne me stesso, e non sempre.»

Mat grugnì e Lan lo guardò per poi ritornare allo studio delle mappe. «Non credi che sia un buon piano? Perché no?» chiese in tono casuale, e Mat rispose senza pensare. «Per due motivi. Se circondate Couladin, intrappolandolo fra voi e la città, correrete il rischio di scatenarlo contro quest’ultima.» Quanto ci metteva Rand? «Ma potreste anche ricacciarlo oltre le mura. Da quanto ho sentito c’è già quasi riuscito due volte, anche senza minatori o esperti di assedi, e la città si tiene insieme per un pelo.» Voleva solo dire la sua frase e andare via. «Se lo spingete abbastanza, vi ritroverete a combattere dentro Cairhien. Difficile farlo in una città. L’idea è di salvarla, non di distruggerla in seguito alla nostra irruzione.» Quei pezzettini di carta sulle mappe, nonché le mappe stesse, rendevano chiara la situazione.

Aggrottando le sopracciglia si accovacciò con i gomiti sulle ginocchia. Lan lo imitò, ma Mat non vi prestò attenzione. Un problema rischioso. E affascinante. «Meglio se provate a respingerlo via. Colpitelo principalmente da sud.» Indicò il fiume Gaelin. Si univa all’Alguenya alcuni chilometri dopo la città. «Ci sono dei ponti quassù. Lasciate agli Shaido un’apertura. Lasciate sempre una via d’uscita, a meno che non vogliate davvero scoprire come è capace di combattere un uomo quando non ha più nulla da perdere.» Le dita scivolarono verso est. Per lo più colline e foreste. Una situazione probabilmente non molto diversa da quella. «Un posto di blocco qui da questo lato del fiume vi assicurerà che si dirigano al ponte, se è abbastanza grande e posizionato nel modo giusto. Una volta in movimento, Couladin non cercherà di scontrarsi con qualcuno che ha di fronte, se lo state seguendo.» Sì, quasi la stessa situazione di Jenje. «A meno che non sia un completo idiota. Potrebbero raggiungere il fiume in ordine, ma quei ponti li strozzeranno. Non vedo gli Aiel nuotare, o pescare. Mantenete la pressione, cacciateli via. Se siete fortunati sarete in grado di attaccarli fino alle montagne.» Lo scenario era simile a quello del Guado di Cuaindaigh, alla fine delle Guerre Trolloc. Nemmeno molto diverso dal contesto creatosi a Tora Shan. O al vallo di Sulmein, prima che Hawkwing colpisse. I nomi gli attraversavano la mente, immagini del campo insanguinato dimenticate anche dagli storiografi. Assorto com’era dalle mappe, non si soffermava su altro che i propri ricordi. «Un peccato che non abbiate più cavalleria. La cavalleria leggera è la cosa migliore per l’inseguimento. Pungolateli, fateli correre e non lasciate mai che si dispongano per la battaglia. Ma gli Aiel dovrebbero andare ugualmente bene.»

«E l’altro motivo?» chiese con calma Lan.

Adesso Mat era preso dalla conversazione. Gli piaceva molto scommettere, e la guerra era una scommessa al cui confronto le partite a dadi nelle taverne erano cose per ragazzini e vecchi sdentati. C’era la vita, in gioco, la tua e quella dei tuoi uomini, che non erano nemmeno presenti. Con la puntata sbagliata, una scommessa sciocca, città intere morivano, o nazioni. La musica triste di Natael era il giusto accompagnamento. Allo stesso tempo, era un passatempo che faceva ribollire il sangue.

Senza togliere gli occhi dal campo, sbuffò. «Lo sai bene come me. Se anche uno solo di quei quattro clan decidesse di schierarsi dalla parte di Couladin, ti attaccherebbe alle spalle con le mani ancora piene di Shaido. Couladin sarebbe l’incudine e loro il martello, con voi nel mezzo. Porta solo la metà delle forze che hai contro di lui. Questo rende la battaglia equa, ma devi accontentarti.» In guerra non esisteva il concetto di giustizia. Cogli il nemico alla sprovvista, quando meno se lo aspetta, quando e dove è più debole. «Ti rimane ancora un margine. Lui deve preoccuparsi di una sortita dalla città. L’altra metà la dividi in tre parti. Una per spingere Couladin verso il fiume, le altre due ad alcuni chilometri fra la città e i quattro clan.»

«Molto preciso» osservò Lan annuendo. Quel viso intagliato nella pietra non mutava mai di espressione, ma un tono di approvazione gli sfiorò la voce, anche se lieve. «Un clan non ci guadagnerebbe nulla ad attaccare entrambe le forze, specialmente non quando una potrebbe assalirlo alle spalle. E nessuno cercherà di interferire con quanto accade attorno alla città per la stessa ragione. Naturalmente tutti e quattro potrebbero unirsi alla battaglia. Improbabile, se non lo hanno già fatto, ma se ciò accadesse, tutto cambierebbe.»

Mat rise forte. «Tutto cambia, sempre. Il miglior piano dura solo finché viene scagliata la prima freccia. Sarebbe abbastanza facile da guidare anche per un bambino, a eccezione di Indirian e gli altri, che non sanno cosa fare. Se decidono di andare da Couladin, devi lanciare i dadi e sperare, perché di sicuro il Tenebroso è nel gioco. Almeno avrai abbastanza forze da ripulire la città per eguagliarli. Abbastanza per tenerli impegnati per tutto il tempo che ti serve. Abbandona l’idea di seguire Couladin e scaglia tutti contro di loro appena si riprende e incomincia ad attraversare il Gaelin. Ma la mia scommessa è che aspetteranno e staranno a guardare, verranno da voi quando Couladin sarà tagliato fuori. La vittoria ricompone molti dissidi nella testa degli uomini.»

La musica si era fermata. Mat guardò Natael e si accorse che l’uomo teneva l’arpa in marnera rigida, fissandolo anche più duramente del solito. Come se non lo avesse mai visto prima e non sapesse chi fosse. Gli occhi del menestrello erano dei vetri scuri e lucidi, le nocche erano bianche mentre stringeva lo strumento.

Pareva aver capito tutto, quanto aveva detto e i ricordi che aveva richiamato. Che tu sia folgorato, sciocco, per non riuscire a tenere a freno la lingua! esclamò fra sé. Perché Lan aveva lasciato che la conversazione prendesse quella piega? Perché non si era messo a parlare di cavalli, del tempo o semplicemente non era rimasto in silenzio? Il Custode non era mai sembrato impaziente di aprir bocca prima di allora. Di solito faceva apparire loquace un albero. Naturalmente anche Mat avrebbe potuto impegnarsi a tacere. Almeno non si era messo a farfugliare nella lingua antica. Sangue e maledette ceneri, almeno spero di non averlo fatto! pensò.

Balzando in piedi, Mat si voltò per andare via e trovò Rand dritto dentro la tenda, che si girava quel pezzo di lancia fra le mani con aria assente, come se non si rendesse conto di cosa fosse. Da quanto tempo stava lì? Non importava. Mat disse tutto velocemente. «Me ne vado, Rand. Con la prima luce del mattino, monto in sella e vado. Me ne andrei adesso in mezza giornata se potessi arrivare abbastanza lontano da essere soddisfatto e fermarmi. Intendo mettere il maggior numero di chilometri possibile fra me e gli Aiel, qualsiasi Aiel, e Pips può resistere fino a quando non mi accampo.» Non serviva sostare o bivaccare troppo vicino, col rischio di essere fatto a pezzi e messo a essiccare da qualche vedetta. Anche Couladin le aveva e gli altri forse non lo avrebbero riconosciuto finché non si fosse ritrovato con una lancia in corpo.

«Mi dispiacerà vederti andare via» rispose Rand con calma.

«Non tentare di convincermi a...» Mat batté le palpebre. «Questo è tutto? Ti dispiacerà vedermi andare via?»

«Non ho mai cercato di farti restare, Mat. Perrin si è allontanato quando doveva e così farai tu.»

Mat aprì la bocca, quindi la chiuse di nuovo. Era vero, Rand non aveva mai provato a trattenerlo. C’era riuscito senza provarci. Ma non c’era la minima traccia dell’attrazione del ta’veren adesso, nessun vago sentore che quanto aveva deciso fosse sbagliato. Era fermo e risoluto nei suoi propositi.

«Dove andrai?»

«A sud.» Non che avesse una grande scelta, al riguardo. Le alternative portavano al Gaelin, senza nessun luogo a nord del fiume a cui fosse interessato; altrimenti verso gli Aiel, un gruppo che certamente lo avrebbe ucciso e uno che forse lo avrebbe fatto e forse no, a seconda di quanto si trovava vicino Rand e di cosa avevano mangiato a cena la sera precedente. «Tanto per iniziare. Poi in qualche altro posto dove ci sia una taverna e qualche donna che non abbia una lancia.» Melindhra. Avrebbe potuto rappresentare un problema. Mat aveva la sensazione che fosse il tipo di donna che non mollava fino a quando non voleva lei. Be’, in un modo o nell’altro, l’avrebbe affrontata. Forse poteva almeno andarsene prima che lei lo venisse a sapere. «Non fa per me, Rand. Non so nulla di battaglie e non voglio saperne.» Evitò di guardare Natael e Lan. Se uno dei due avesse serrato i denti, lo avrebbe colpito in pieno viso. Anche il Custode. «Lo capisci, vero?»

Il cenno che Rand fece col capo sembrava di comprensione. Forse lo era. «Eviterei di salutare Egwene se fossi in te. Ormai ignoro quanto di ciò che le dico venga riferito a Moiraine, alle Sapienti o a entrambe.»

«Io ci sono arrivato molto tempo fa. Si è lasciato Emond’s Field molto più indietro di noi. E lo rimpiange di meno.»

«Forse» rispose Rand con tristezza. «Che la Luce risplenda su di te, Mat,» aggiunse porgendogli la mano «e ti mandi strade semplici, bel tempo e compagnia piacevole finché non ci incontreremo di nuovo.»

Non sarebbe stato presto, se Mat fosse riuscito a fare quello che voleva. Si sentiva un po’ triste, e un po’ sciocco a sentirsi triste, eppure un uomo doveva badare a se stesso. Alla fin fine, era quello l’essenziale.

La stretta di mano di Rand era forte come sempre, tutto quel lavoro con la spada aveva solo aggiunto calli su quelli da arciere, ma il bordo del marchio dell’airone era ben visibile sul palmo, premuto contro quello di Mat. Solo un piccolo ricordo, in caso dovesse dimenticare i segni sotto le maniche dell’amico, o quelle cose anche più strane nella sua testa che gli consentivano di incanalare. Se riusciva a dimenticare che Rand poteva incanalare... non ci aveva pensato per giorni, giorni! Be’, allora era davvero il momento di andare via.

Ancora delle parole imbarazzate mentre Lan sembrava ignorarli, a braccia conserte e in silenzio mentre studiava le mappe e Natael aveva incominciato a pizzicare l’arpa. Mat aveva orecchio, e per lui in quella musica sconosciuta c’era un che di ironico, si chiese perché l’uomo l’avesse scelta — qualche altro minuto e Rand pose fine all’incontro, quindi Mat fu fuori. C’erano molte persone, almeno cento Fanciulle sparse per la collina che camminavano circospette e pronte a uccidere, tutti e sette i capi clan aspettavano pazientemente, immobili come rocce, tre lord tarenesi che facevano finta di sudare e si comportavano come se gli Aiel non esistessero. Mat aveva sentito parlare dell’arrivo di questi lord ed era anche andato a dare un’occhiata ai loro campi, ma non c’era nessuno che conoscesse e nessuno che volesse giocare a dadi o a carte. Questi tre lo osservarono dall’alto in basso, aggrottando le sopracciglia sdegnati e decidendo, apparentemente, che non era migliore degli Aiel, ovvero che non valeva la pena di guardarlo.

Con il cappello in testa e la falda calata davanti agli occhi, Mat studiò i Tarenesi con altrettanta freddezza. Prima di incamminarsi giù dalla collina, ebbe il piacere di vedere che la coppia di giovani era a disagio per la sua presenza. L’uomo con la barba grigia sembrava ancora impaziente di entrare nella tenda di Rand, ma, non aveva importanza. Non li avrebbe mai più visti.

Non sapeva perché non si era limitato a ignorarli. Aveva il passo leggero e si sentiva inacidito. Non c’era da meravigliarsi visto che se ne sarebbe andato la mattina successiva. Adesso sembrava che i dadi gli rotolassero nel cervello e non c’era modo di conoscere il risultato una volta che si fossero fermati. Era strano. Forse era la preoccupazione per Melindhra. Sì. Sarebbe partito presto, e con la stessa calma di un topolino in punta di zampe.

Fischiettando si diresse alla sua tenda. Cos’era quel motivo? Oh, sì. Danza con Jak delle ombre. Non aveva intenzione di ballare con la morte, ma era una musica allegra, per cui in ogni caso la fischiettò mentre cercava di escogitare un piano per trovare la strada migliore e lasciare Cairhien.

Rand rimase in piedi a fissare Mat a lungo dopo che i lembi della tenda erano parzialmente ricaduti alle sue spalle. «Ho sentito solo l’ultima parte» disse alla fine. «Era una conversazione tutta di quel tipo?»

«Più o meno.» rispose Lan. «Con appena alcuni minuti per studiare le mappe, ha preparato un piano migliore di quello di Rhuarc e gli altri. Ha visto le difficoltà, i pericoli e come affrontarli. Sa dei minatori, degli ingegneri d’assedio e come usare la cavalleria leggera per inseguire delle persone sconfitte.»

Rand lo guardò. Il Custode non era sorpreso, non aveva nemmeno battuto ciglio. Ma certo, era stato lui a dire che Mat sembrava avere una conoscenza sorprendente delle faccende militari. E Lan non avrebbe posto l’ovvia domanda, il che era un bene. Rand non aveva il diritto di dare la breve risposta che aveva.

Avrebbe potuto chiedere qualcosa. Per esempio, cosa avevano a che fare i minatori con le battaglie? O forse si trattava solo degli assedi. Qualunque fosse la risposta, non c’era una miniera più vicina del Pugnale del Drago, e non era certo se vi stavano ancora estraendo del minerale. Be’, quella battaglia si sarebbe combattuta. Era importante sapere che Mat aveva ottenuto dall’altro lato della soglia ter’angreal ben più che la tendenza a parlare la lingua antica quando era soprappensiero. E l’avrebbe messo a frutto.

Non devi diventare ancora più duro, si disse amareggiato. Aveva visto Mat arrampicarsi verso la sua tenda e non aveva esitato a inviare Lan per scoprire cosa poteva emergere da quella conversazione oziosa. Era stata una scelta deliberata. Il resto poteva o non poteva esserlo, ma sarebbe accaduto. Sperava che Mat se la sarebbe cavata bene una volta libero. Si augurava che Perrin si trovasse bene nei Fiumi Gemelli, che avrebbe fatto conoscere Faile alla madre e le sorelle, per poi sposarla. Lo sperava perché sapeva che li avrebbe attirati di nuovo, un ta’veren attrae un altro ta’veren e lui era il più forte. Moiraine aveva detto che non si trattava di un caso, tre di quel genere cresciuti assieme nello stesso villaggio e quasi coetanei. La Ruota intesseva eventi casuali e coincidenze nel Disegno, ma non riuniva tre come loro senza motivo. Prima o poi avrebbe attirato a sé gli amici, per quanto fossero lontani, e allora li avrebbe usati, in ogni modo possibile. Perché doveva. Perché qualsiasi cosa sostenevano le Profezie del Drago, era sicuro che la sola possibilità di vincere Tarmon Gai’don risiedeva nell’essere assieme loro tre, ta’veren che erano stati legati fra loro dall’infanzia e nuovamente legati. No, non c’era bisogno che facesse il duro. Sei già talmente disgustoso da far vomitare la zuppa a un Seanchan! pensò.

«Suona La marcia della morte»ordinò con voce più severa di quanto intendesse. Natael lo guardò inespressivo per un po’. L’uomo aveva ascoltato tutto. Avrebbe avuto delle domande, ma senza risposte. Se Rand non poteva svelare i segreti di Mat a Lan, non lo avrebbe fatto davanti a uno dei Reietti, anche se pareva domato. Stavolta usò intenzionalmente un tono aspro, e puntò il pezzo di lancia contro l’uomo. «Suonala, a meno che tu non ne conosca una più triste. Suona qualcosa che ti faccia piangere l’anima. Se ancora ne hai una.»

Natael gli rivolse uno sguardo e un inchino profondo per ingraziarselo, ma impallidì in maniera evidente. Iniziò a suonare La marcia della morte, ma il suono era più intenso del solito, una specie di lamento funebre che avrebbe fatto versare copiose lacrime a chiunque.

Fissava Rand nella speranza di cogliere qualche effetto. Girandosi, Rand si distese sul tappeto con la testa rivolta alle mappe e un cuscino rosso e oro sotto al gomito. «Lan, per favore, fai entrare gli altri adesso?»

Il Custode gli rivolse un inchino formale prima di uscire. Era la prima volta che si comportava in modo simile, ma Rand ne prese nota con disinteresse.

La battaglia sarebbe iniziata l’indomani. Era una finzione dover aiutare Rhuarc e gli altri con il loro piano. Era abbastanza furbo da sapere cosa ignorava e, malgrado tutti i discorsi con Lan e Rhuarc, era consapevole di non essere pronto. Ho pianificato centinaia di battaglie di questa portata, forse più, e dato ordini che riguardavano dieci volte il numero di questi uomini. Non era un suo pensiero. Lews Therin conosceva la guerra, l’aveva conosciuta, ma non Rand al’Thor. Lui ascoltava, poneva domande e annuiva come se capisse quando spiegavano che una cosa andava fatta in un certo modo. A volte comprendeva, e avrebbe desiderato il contrario, perché sapeva da dove proveniva quella conoscenza. Il suo solo vero contributo era stato dire che Couladin doveva essere sconfitto senza distruggere la città. In ogni caso quella riunione avrebbe solo aggiunto alcuni ritocchi a quanto era stato già deciso. Mat sarebbe stato utile con le sue nuove cognizioni.

No, non avrebbe pensato ai suoi amici, a cosa avrebbe fatto loro prima che tutto fosse finito. Anche lasciando la battaglia da parte, c’erano abbastanza questioni a tenerlo occupato, per le quali poteva fare qualcosa. L’assenza delle bandiere di Cairhien sulla città era un problema e le continue schermaglie con gli Andorani un altro.

Cosa stava progettando di autorizzare Sammael e...

I capi entrarono senza un ordine preciso. Stavolta il primo fu Dhearic; quindi Rhuarc ed Erim assieme e in fondo Lan. Bruan e Jheran si sedettero di fianco a Rand. Fra loro non si preoccupavano di cose come la precedenza, e sembrava considerassero Aan’allein uno di loro.

Weiramon arrivò per ultimo, seguito dai giovani signori e con la bocca atteggiata a severità, come lo sguardo truce che aveva in volto. Per lui le precedenze di certo importavano. Borbottando camminò a lunghi passi attorno alla fossa per il fuoco sistemandosi alle spalle di Rand. Fino a quando le occhiate inespressive dei capi alla fine parvero penetrare il suo scudo. Fra gli Aiel, un parente prossimo o un fratello di società potevano assumere quella posizione, se c’era la possibilità di un pugnale nella schiena. Continuava a guardare torvo Jheran e Dhearic come se si aspettasse che uno di loro gli facesse spazio.

Finalmente Bael indicò un posto vicino a lui oltre le mappe e Rand e, dopo una pausa, Weiramon si fece indietro per sedersi a gambe incrociate e rigido, fissando avanti a sé e con la stessa smorfia di chi avesse appena ingoiato una prugna acerba. Intera. Il Tarenese più giovane era quasi altrettanto rigido, ma almeno aveva la compiacenza di sembrare imbarazzato.

Rand lo notò ma non disse una parola, caricò la pipa e afferrò saidin abbastanza da accenderla. Doveva fare qualcosa con Weiramon, l’uomo aggravava i vecchi problemi e ne creava di nuovi. Dal viso di Rhuarc non trapelava nulla, ma l’espressione degli alta capi variava dal disgusto di Han alla chiara disponibilità di Erim a danzare le lance, proprio in quel momento. Forse aveva trovato il sistema di liberarsi di Weiramon e dare origine a una nuova preoccupazione allo stesso tempo.

Seguendo l’esempio di Rand, Lan e i capi incominciarono a caricare le loro pipe.

«Credo che siano necessari solo piccoli cambiamenti» disse Bael, accendendo la sua e ottenendo come al solito uno sguardo torvo da Han.

«Questi piccoli cambiamenti riguardano i Goshien o forse qualche altro clan?»

Allontanando Weiramon dalla mente, Rand si chinò in avanti per ascoltare cosa doveva essere cambiato dopo che avevano studiato il territorio. Di tanto in tanto gli Aiel lanciavano un’occhiata a Natael, e gli occhi o la bocca leggermente tesi suggerivano che quella musica dolorosa aveva un effetto su di loro. Anche i Tarenesi avevano delle espressioni tasti. Il suono però scivolava sopra Rand senza toccarlo. Le lacrime erano un lusso che non poteva più permettersi, nemmeno interiormente.

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