Seduto su un piccolo masso che spuntava dalla base del pendio, Mat trasalì mentre abbassava le falde del cappello contro il sole di metà mattina. In parte per proteggersi gli occhi dalla luce. C’era un’altra cosa che non voleva vedere, anche se le ferite gliela riportavano alla mente, specialmente quella sulla tempia provocata da una freccia, sulla quale premeva il copricapo. Un unguento preso dalle bisacce di Daerid aveva arrestato il sangue, lì e in altri punti, ma tutto gli doleva e quasi tutto bruciava. Quella parte stava peggiorando. Il calore del giorno incominciava appena ad annunciarsi, ma il sudore gli imperlava il viso e già aveva bagnato gli indumenti intimi e la camicia. Pigramente si chiese se a Cairhien sarebbe mai giunto l’autunno. Almeno il disagio gli impediva di pensare a quanto era stanco. Nonostante la notte insonne, non sarebbe riuscito a dormire neanche in un letto di piume, meno che mai su delle coperte appoggiate in terra. Non che in ogni caso volesse trovarsi vicino alla sua tenda.
Un bell’affare. Per poco non mi faccio ammazzare e ora sto sudando come un porco. Non riesco a trovare un posto confortevole dove distendermi e non ho il coraggio di ubriacarmi. Sangue e maledette ceneri! pensò. Smise di giocare con un taglio sulla camicia. Un solo centimetro più in là e la lancia gli avrebbe trapassato il cuore. Luce, quell’uomo era stato bravo, quindi allontanò il ricordo. Non che fosse facile, con tutto quello che stava accadendo attorno a lui.
Per una volta tanto non sembrava che ai Tarenesi e i Cairhienesi importasse molto di vedere tende aiel in ogni direzione. C’erano anche Aiel nel campo e, quasi miracolosamente, Tarenesi e Cairhienesi stavano assieme attorno ai fuochi dai quali si sprigionava un denso fumo. Non che qualcuno stesse mangiando. I bollitori non erano stati sistemati, anche se si sentiva odore di carne bruciata provenire da qualche parte. Molti si erano ubriacati come potevano con vino, acquavite o l’oosquai aiel, e quindi ridevano ed esultavano. Non lontano da dove sedeva Mat, una dozzina di difensori della Pietra, con indosso camicie sudate, danzava al ritmo del battito delle mani degli spettatori. Allineati, con le braccia sulle spalle di chi gli era accanto, si muovevano così velocemente che era un miracolo che nessuno inciampasse o scalciasse l’uomo al suo fianco. Alla vista di un altro circolo di spettatori, vicini a un bastone alto tre metri piantato in terra, Mat distolse velocemente lo sguardo, alcuni Aiel stavano festeggiando a modo loro. Mat supponeva che si trattasse di un ballo, un altro Aiel suonava il flauto per accompagnarli. Saltavano più in alto possibile, scagliavano un piede anche più in alto, quindi vi atterravano immediatamente sopra balzando di nuovo, sempre più in fretta, a volte roteando come trottole orizzontali all’altezza che raggiungevano, facendo capriole o salti mortali. Sette o otto Tarenesi e Cairhienesi erano seduti a curarsi le ossa rotte, mentre acclamavano e ridevano come pazzi, passandosi un vaso di coccio. Anche in altri posti c’erano uomini che danzavano e forse cantavano. Era difficile dirlo nella confusione. Senza muoversi poteva contare dieci flauti, per non parlare di un numero doppio di fischietti; un Cairhienese magro con una giubba logora soffiava in uno strumento che sembrava in parte flauto e in parte corno, con degli strani punti sopra. C’erano innumerevoli tamburi, per lo più pentole che venivano suonate con i cucchiai. In breve il campo fu un pandemonio, e un ballo si confuse con l’altro. Li riconosceva, prevalentemente in base a quei ricordi che poteva ancora assegnare ad altri uomini se si concentrava abbastanza. Celebravano il fatto di essere ancora vivi. Ancora una volta avevano camminato sotto al naso del Tenebroso ed erano sopravvissuti per raccontarlo. Un’altra danza sulla lama del rasoio era finita. Sul punto di morire ieri, forse morti domani, ma vivi, gloriosamente vivi, oggi. Mat non aveva voglia di festeggiare. A che serviva essere in vita se ciò significava essere rinchiusi in una gabbia?
Scosse il capo mentre Daerid, Estean e un Aiel dalla corporatura robusta e i capelli rossi che non conosceva gli passarono accanto sostenendosi a vicenda. Appena percettibili nel caos, Daerid ed Estean stavano cercando di insegnare le parole di Danza con Jak delle Ombre a quell’uomo alto in mezzo a loro due.
Canteremo tutta la notte, berremo tutto il giorno,
e spenderemo la nostra paga per delle ragazze.
Quando finirà andremo via,
per danzare con Jak delle Ombre.
Il tipo dai capelli dorati non mostrava alcun interesse a imparare, non lo avrebbe fatto a meno che non lo avessero convinto che era un degno inno di battaglia, e non era il solo. Quando i tre furono lontani dalla vista e si confusero nella folla, comparve un codazzo di altri venti che agitavano dei boccali sbeccati di peltro e delle tazze nelle stesse condizioni, cantando la canzone a squarciagola.
C’è qualcosa di gradevole nella birra e nel vino,
e qualche ragazza con delle belle caviglie,
ma la mia delizia, sì, sempre mia,
è danzare con Jak delle Ombre.
Mat si rammaricava di aver insegnato loro quella canzone. In realtà gli era servito a distrarsi mentre Daerid evitava che si dissanguasse fino a morire. L’unguento bruciava come i tagli e Daerid non avrebbe suscitato l’invidia di nessuna sarta con quel suo modo ‘delicato’ di usare ago e filo. Ma la canzone si era diffusa da quella prima dozzina di persone come fuoco fra l’erba secca. Tarenesi e Cairhienesi, a cavallo e a piedi, stavano tutti intonandola quando fecero ritorno, all’alba.
Ritorno. Proprio nella valle fra le colline da dove erano partiti, sotto le rovine della torre di legno e nessuna possibilità per lui di andare via. Si era offerto di cavalcare in avanscoperta, e Talmanes e Nalesean si erano litigati la posizione di scorta. Ma nessuno era diventato suo amico. Tutto ciò di cui aveva bisogno adesso era vedere Moiraine che gli avrebbe rivolto domande su dove fosse stato e perché, parlando di ta’veren e dovere, del Disegno e Tarmon Gai’don, fino a fargli girare la testa. Senza dubbio adesso stava con Rand, ma alla fine sarebbe arrivata anche da lui.
Guardò la collina e la catasta di tronchi della torre sparsi fra gli alberi. Il Cairhienese che aveva costruito i cannocchiali per Rand era lassù con i suoi apprendisti e controllava la situazione. Gli Aiel erano incuriositi da quanto era accaduto lassù. Era definitivamente giunto il momento di andare via. Il medaglione con la testa di volpe lo proteggeva dalle donne che potevano incanalare, ma aveva sentito abbastanza cose da Rand per sapere che un uomo che incanalava era una faccenda differente. Non gli interessava scoprire se l’oggetto lo avrebbe schermato da Sammael e i suoi simili.
Facendo delle smorfie per via delle stilettate di dolore, usò la lancia nera per alzarsi in piedi. Attorno a lui le celebrazioni continuavano. Se riusciva a raggiungere adesso le linee di picchetti... Non era impaziente di sellare Pips.
«L’eroe non dovrebbe stare seduto senza bere.»
Stupito, Mat si voltò di scatto, lamentandosi per il male improvviso provocato dalle ferite, e si ritrovò a osservare Melindhra. Aveva una grande brocca di argilla in una mano, non lance, e il viso non era velato, ma sembrava soppesarlo con gli occhi. «Ascolta, Melindhra, posso spiegare tutto.»
«Cosa c’è da spiegare?» chiese la donna, passandogli il braccio libero attorno alle spalle. Nonostante la scossa improvvisa, cercò di rimanere dritto. Non era ancora abituato a dover guardare una donna dal basso in alto. «Sapevo che saresti andato alla ricerca del tuo onore. Il Car’a’carn proietta ombre lunghe, ma nessun uomo desidera trascorrervi tutta la vita al riparo.»
Chiudendo la bocca di corsa Mat riuscì a dire, «Ma certo.» La donna non lo avrebbe ucciso. «Proprio così.» Sollevato prese la brocca dalle mani di Melindhra, ma il sorso fu simile a un lampo. Era la più forte acquavite distillata due volte che avesse mai assaggiato.
La donna riprese la brocca abbastanza a lungo per bere, quindi sospirò grata e la riconsegnò a Mat. «Era un uomo dal grande onore, Mat Cauthon. Sarebbe stato meglio se lo avessi catturato, ma anche uccidendolo hai guadagnato un grande ji. È stato un bene che tu lo abbia cercato.»
Senza volere, Mat guardò quello che stava tentando di non vedere e fu scosso dai brividi. Una corda di cuoio in mezzo a corti capelli rossi teneva la testa di Couladin legata sopra al palo alto tre metri vicino all’area dove danzavano gli Aiel. Quella cosa sembrava sorridere maligna. A lui.
Cercato Couladin? Aveva fatto del suo meglio per tenere i picchieri fra lui e qualsiasi Shaido. Ma quella freccia lo aveva ferito alla testa e lui si era ritrovato a terra prima di rendersene conto, sforzandosi di rialzarsi mentre la lotta imperversava attorno a lui, disteso con in mano la lancia con il marchio dei corvi, nel tentativo di ritornare da Pips. Couladin era apparso come se fosse saltato fuori dal nulla, velato per uccidere, ma non era possibile non riconoscere quelle braccia nude, coperte da lucenti Draghi rossi e dorati. L’uomo si era aperto un varco fra i picchieri, gridando che lui era il vero Car’a’carn. Forse allora lo credeva sul serio. Non sapeva ancora se Couladin lo avesse identificato o meno, ma non faceva differenza, non quando quell’individuo aveva deciso di scavare un buco attraverso Mat per trovare Rand. Non sapeva nemmeno chi avesse decapitato Couladin dopo quell’episodio.
Ero troppo impegnato a rimanere in vita per poter guardare, pensò amareggiato. E sperava di non morire dissanguato. Ai Fiumi Gemelli era stato bravo con il bastone da combattimento, migliore degli altri, e un bastone non era troppo diverso da una lancia, ma Couladin doveva essere nato con quelle armi fra le mani. Naturalmente alla fine non aveva aiutato molto l’uomo. Forse mi è rimasta un po’ di fortuna. Ti prego, Luce, fa’ che si manifesti adesso! si disse.
Stava pensando a come liberarsi di Melindhra per poter sellare Pips quando Talmanes si presentò da lui con un inchino formale e le mani sul cuore alla moda di Cairhien. «Che la grazia ti favorisca, Mat.»
«Che favorisca te» rispose con fare assente. Non sarebbe andata via solo perché lui glielo stava chiedendo. Sarebbe stato come mettere una volpe in un pollaio. Forse se avesse spiegato che voleva fare una cavalcata avrebbe funzionato. Ma si diceva che gli Aiel potevano superare i cavalli correndo.
«È giunta una delegazione dalla città durante la notte. Ci sarà una processione trionfale per il lord Drago, in segno di gratitudine da parte dei Cairhienesi.»
«Davvero?» La donna doveva avere qualche incarico da sbrigare. Le Fanciulle erano sempre attorno a Rand, forse l’avrebbero chiamata per fargli da guardia. L’ampio sorriso dell’Aiel era... possessivo.
«La delegazione era del sommo signore Meilan» aggiunse Nalesean unendosi a loro. Anche il suo inchino fu corretto, con un ampio movimento di entrambe le mani, ma veloce. «È lui che offre la processione per il lord Drago.»
«Lord Dobraine, lord Maringil e lady Colavaere fra gli altri si sono recati dal lord Drago.»
Mat riportò l’attenzione su quanto stava accadendo. Ognuno cercava di fingere che gli altri non esistessero, tutti guardavano lui, i volti però erano tesi come le voci per lo sforzo e le nocche delle mani bianche per quanto stringevano l’elsa della spada. Sarebbe stata la degna conclusione se fosse finito tutto in una lite, con lui che probabilmente avrebbe provato a tirarsene fuori fin quando uno di loro lo avrebbe travolto per errore. «Che importanza ha sapere chi ha inviato la delegazione, il lord Drago ha la processione?»
«Importa perché dovresti chiedergli di farci avere i posti che ci spettano di diritto, in testa al corteo» intervenne velocemente Talmanes. «Tu hai ucciso Couladin e hai guadagnato questa posizione per noi.» Nalesean chiuse la bocca e divenne cupo, ovviamente voleva dire la stessa cosa.
«Chiedeteglielo voi» rispose Mat. «Non sono affari miei.» Le mani di Melindhra gli si strinsero al collo, ma a lui non importava. Moiraine di certo non era lontana da Rand. Lui non avrebbe infilato la testa in un secondo cappio mentre cercava ancora di trovare il sistema di liberarsi dal primo.
Talmanes e Nalesean lo guardarono a bocca aperta come se fosse un demente. «Tu sei il nostro condottiero» protestò Nalesean. «Il nostro generale.»
«Il mio maggiordomo ti luciderà gli stivali» aggiunse Talmanes con un sorrisetto che non era destinato anche al Tarenese dal volto squadrato «pulirà e rammenderà i tuoi abiti, così avrai un aspetto migliore.»
Nalesean si toccò la barba, lanciando una mezza occhiata all’uomo prima di riuscire a trattenersi. «Se posso permettermi, ho una buona giubba che credo dovrebbe andarti bene. Ottimo raso oro e rosso.» Stavolta toccò al Cairhienese incupirsi.
«Generale!» esclamò Mat tenendosi in piedi con la lancia. «Non sono un maledetto...! Intendo dire, non vorrei usurpare il tuo posto.» Che se la vedessero loro nel capire a chi dei due stava riferendosi.
«Che la mia anima sia folgorata,» esclamò Nalesean «sono state le tue conoscenze della battaglia che ci hanno fatto vincere e mantenuti in vita. Per non dire della tua fortuna. Ho sentito parlare di come peschi sempre la carta giusta, ma c’è di più. Ti avrei seguito anche se non avessi mai incontrato il lord Drago.»
«Tu sei il nostro capo» aggiunse Talmanes subito dopo, con una voce più sobria anche se altrettanto ferma. «Fino a ieri ho servito uomini di un’altra terra perché dovevo. Te invece ti servirò perché voglio. Forse non sei un lord in Andor, ma qui, io dico che lo sei e mi impegno a essere un tuo uomo.»
Il Cairhienese e il Tarenese si fissarono l’un l’altro e, anche se stupiti di aver dato voce agli stessi sentimenti, lentamente, con riluttanza, si scambiarono dei brevi cenni del capo. Se pure non si piacevano — solo uno sciocco avrebbe osservato il contrario — su quel punto erano d’accordo. In un certo senso.
«Manderò il mio stalliere a preparare il tuo cavallo per la processione» disse Talmanes e fece una leggera smorfia quando Nalesean aggiunse, «Il mio può collaborare. Il tuo destriero deve renderci fieri. E che la mia anima sia folgorata, abbiamo bisogno di una bandiera. La tua bandiera.» A quella affermazione il Cairhienese annuì con enfasi.
Mat non sapeva se ridere istericamente o sedersi a piangere. Quei maledetti ricordi. Se non fosse stato per loro avrebbe continuato a cavalcare. Se non fosse stato per Rand, non li avrebbe avuti. Poteva ripercorrere tutti i passi che l’avevano condotto lì, ognuno necessario come era sembrato allora e ognuno che pareva fine a se stesso, ma che portava inevitabilmente al seguente. All’inizio di tutto c’era Rand. E i maledetti ta’veren. Non riusciva a capire perché fare qualcosa che appariva del tutto necessario e quasi innocuo per come la vedeva lui sembrava guidarlo sempre più in fondo al pantano. Melindhra aveva iniziato a carezzargli il collo invece di stringerlo. Tutto ciò di cui aveva bisogno adesso...
Guardò la collina e la vide, Moiraine, sulla sua delicata giumenta, insieme a Lan e il suo stallone nero che le torreggiava di fianco. Il Custode si chinò verso di lei come per ascoltare, sembrò esserci una breve discussione, una protesta violenta da parte dell’uomo, ma dopo un po’ l’Aes Sedai fece voltare Aldieb e cavalcò al di là del suo sguardo verso il pendio opposto. Lan rimase dov’era, in groppa a Mandarb, gli occhi rivolti al campo sottostante. A Mat.
Questi fu scosso dai brividi. Sembrava davvero che la testa di Couladin gli sorridesse maliziosa. Riusciva quasi a sentire la voce dell’uomo. Mi hai ucciso, ma hai infilato il piede dritto nella trappola. Io sono morto, ma tu non sarai mai più libero.
«Maledettamente fantastico» mormorò, bevendo un lungo sorso della forte acquavite. Talmanes e Nalesean credevano che dicesse sul serio e Melindhra rise d’accordo.
Circa cinquanta Tarenesi e Cairhienesi si erano riuniti a guardare i due lord che gli parlavano e pensarono che la bevuta di Mat fosse un invito a cantare per loro.
Lanceremo i dadi comunque ricadano,
e prenderemo le ragazze che siano basse o alte,
quindi seguiremo il giovane Mat ovunque ci chiama,
per danzare con Jak delle Ombre.
Con un riso sibilante e irrefrenabile, Mat si sedette pesantemente sul masso e decise di svuotare quella brocca. Doveva esserci una via d’uscita da tutto quello. Doveva esserci.
Rand aprì gli occhi con lentezza, fissando il tetto della sua tenda. Era nudo sotto a una sola coperta. L’assenza di dolore era quasi stupefacente, eppure si sentiva più debole di quanto ricordasse. E ricordava. Aveva detto alcune cose, aveva pensato delle cose... La sua pelle divenne fredda. Non posso lasciare che prenda il controllo. Io sono io! IO! pensò. Frugando sotto le coperte si trovò la cicatrice sul fianco, recente ma sana.
«Moiraine Sedai ti ha guarito» disse Aviendha, e Rand sobbalzò.
Non l’aveva vista, seduta a gambe incrociate sulla pila di tappeti vicino alla fossa del fuoco, che sorseggiava da un calice d’argento lavorato con delle figure di leopardo. Asmodean era sdraiato su dei cuscini con i tasselli e aveva il mento poggiato sulle braccia. Nessuno dei due sembrava avesse dormito. I loro occhi erano cerchiati di scuro.
«Non avrebbe dovuto» proseguì Aviendha con la voce fredda. Stanca o no, aveva i capelli in ordine e gli abiti puliti erano in netto contrasto con il velluto stropicciato di Asmodean. Di tanto in tanto rigirava il braccialetto d’avorio con motivi di rose e spine che Rand le aveva regalato e non pareva si rendesse conto di quello che faceva. Indossava anche la collana con i fiocchi di neve d’argento. Ancora non gli aveva detto chi glielo aveva regalato, anche se era sembrata divertita quando si era resa conto che lui voleva davvero saperlo. Adesso comunque non pareva compiaciuta. «Moiraine Sedai in persona ha avuto un malore, per la fatica di guarire i feriti. Aan’allein ha dovuto portarla alla sua tenda. Per colpa tua, Rand al’Thor. Perché guarirti le ha tolto le ultime forze che le rimanevano.»
«L’Aes Sedai è già in piedi» intervenne Asmodean, reprimendo uno sbadiglio e ignorando lo sguardo di Aviendha. «È venuta qui due volte dal sorgere del sole, anche se ha detto che ti saresti ripreso. Non credo che ne fosse così sicura l’altra sera. Nemmeno io lo ero.» Prendendo l’arpa dorata e mettendosela di fronte, ci giocò un po’, parlando con un tono di voce superficiale. «Per te naturalmente ho fatto quello che potevo, la mia fortuna e la mia vita ti sono legate, ma io ho altri talenti oltre a guarire, mi capisci, vero?» Suonò alcune note a dimostrazione di quanto affermato. «So che un uomo può uccidersi o domarsi da solo nel tentativo di fare quello che hai fatto tu. La forza con il Potere è inutile se il corpo è esausto. Laidi può uccidere facilmente, se il corpo è sfinito. Così ho sentito dire.»
«Hai finito di condividere la tua saggezza, Jasin Natael?» Il tono di voce di Aviendha era freddo e non attese una risposta prima di rivolgere lo sguardo verde azzurro di nuovo su Rand. Sembrava che l’interruzione fosse colpa sua. «Un uomo a volte si comporta come uno sciocco e ne deriva un danno minimo, ma un capo deve essere più di un uomo e il capo dei capi ancora di più. Non avevi alcun diritto di spingerti quasi alla morte. Egwene e io abbiamo provato a farti venire con noi quando ci siamo accorte di essere troppo stanche per continuare, ma non hai voluto prestare ascolto. Certo, sei più forte di noi come dice Egwene, ma sei sempre di carne. Sei il Car’a’carn, non un nuovo Seia Doon che cerca l’onore. Hai un toh, obblighi, nei confronti degli Aiel, Rand al’Thor, e non puoi rispettarli da morto. Non puoi fare tutto da solo.»
Per un po’, gli riuscì solo di guardarla a bocca aperta. Non era stato in grado di concludere quasi nulla, aveva lasciato la battaglia ad altri per motivi pratici mentre incespicava nel tentativo di rendersi utile. Non era nemmeno stato capace di impedire che Sammael colpisse dove e come voleva. E la donna lo stava rimproverando di aver fatto troppo.
«Cercherò di ricordarlo» disse alla fine. Malgrado ciò, la donna sembrava pronta a proseguire con le prediche. «Che novità ci sono sui Miagoma e gli altri clan?» chiese, sia per cambiare discorso sia perché voleva sapere. Le donne di rado sembravano aver voglia di smettere fino a quando non ti inchiodavano a terra, a meno che tu non riuscissi a distrarle.
Aveva funzionato. La donna era desiderosa di riferirgli tutto quello che sapeva e impaziente di istruirlo quanto di rimproverarlo. Il suono lieve dell’arpa di Asmodean, per una volta un’aria piacevole, addirittura bucolica, era uno strano sottofondo per le parole di Aviendha.
I Miagoma, gli Shiande, i Daryne e i Codarra erano accampati uno accanto all’altro, alcuni chilometri a est. Un flusso regolare di uomini e Fanciulle si muoveva fra i campi incluso quello di Rand, ma solo fra società, Indirian e gli altri capi non si muovevano. Adesso non c’era dubbio che si sarebbero uniti a Rand. ma non fino a quando le Sapienti avessero finito le loro riunioni.
«Stanno ancora parlando?» chiese Rand. «Cosa hanno da discutere, per la Luce, da impiegarci così tanto? Sono i capi che sono venuti per seguirmi, non loro.»
Aviendha gli rivolse uno sguardo inespressivo degno di quelli di Moiraine. «Le parole delle Sapienti sono per le Sapienti, Rand al’Thor.» Esitando la donna aggiunse, come se gli stesse facendo una concessione, «Forse Egwene potrà rivelartene una parte. Quando sarà finito.» Il tono di voce implicava che Egwene poteva anche non farlo.
Aviendha respinse i suoi tentativi di saperne di più e alla fine Rand si arrese. Probabilmente lo avrebbe scoperto prima che la cosa gli si rivoltasse contro, o magari no, ma in ogni caso non sarebbe riuscito a cavare una sola parola da questa donna che lei per prima non volesse lasciar trapelare. Le Aes Sedai non avevano nulla da invidiare alle Sapienti aiel quando dovevano tenere un segreto e circondarsi di mistero. Aviendha stava imparando quella particolare lezione molto bene.
La presenza di Egwene alle riunioni delle Sapienti fu una sorpresa, come anche l’assenza di Moiraine. Si sarebbe aspettato che la donna fosse al centro degli eventi, tirando le fila dei propri piani, ma scoprì che le cose stavano diversamente. Le nuove Sapienti appena arrivate volevano conoscere una delle Aes Sedai che erano venute con il Car’a’carn. ma anche se Moiraine era di nuovo in piedi aveva detto di non avere tempo, per cui Egwene era stata strappata dal letto come sostituta.
Questo parve divertire Aviendha. Si trovava fuori quando Sorilea e Bair l’avevano trascinata via dalla sua tenda, cercando di vestirla mentre armeggiavano attorno a lei. «Le ho gridato che stavolta avrebbe dovuto scavare buche in terra con i denti se era stata scoperta a fare qualcosa che non doveva e lei era così assonnata da credermi. Ha incominciato a protestare che non lo avrebbe fatto con tale veemenza che Sorilea ha iniziato a domandarle cosa mai avesse combinato da pensare di meritare una tale punizione. Avresti dovuto vedere il volto di Egwene.» A quel punto Aviendha stava ridendo così di cuore che quasi cadde all’indietro.
Asmodean la guardava di traverso, anche se il morivo di ciò, essendo quello che era, superava la comprensione di Rand, ma quest’ultimo attese pazientemente finché la donna riprese fiato. Per essere una forma di umorismo aiel, era delicata. Più il genere di cose che si sarebbe aspettato da Mat che da una qualsiasi donna, ma comunque blando.
Quando Aviendha si tirò su asciugandosi gli occhi, Rand disse: «Cosa mi dici degli Shaido? O anche le loro Sapienti stanno prendendo parte a questa riunione?»
Aviendha rispose mentre ancora ridacchiava e sorseggiava vino. Considerava gli Shaido finiti, nemmeno degni di essere presi in considerazione adesso. Erano state fatte migliaia di prigionieri, una parte ancora veniva portata al campo, e le battaglie erano terminate, tranne alcune piccole schermaglie di tanto in tanto. Ma più Rand otteneva informazioni da lei, meno gli sembrava che la faccenda fosse conclusa con loro. Con i quattro clan che tenevano occupato Han, il gruppo della gente di Couladin aveva superato il Gaelin in ordine, portando anche via un discreto numero di prigionieri cairhienesi. Peggio ancora, avevano distratto il ponte di pietra alle loro spalle.
Questo non importava ad Aviendha, ma interessava a Rand. Decine di migliaia di Shaido a nord del fiume, senza modo di raggiungerli fino a quando non avessero rimpiazzato il ponte, e anche uno di legno avrebbe richiesto del tempo, che lui non aveva a disposizione.
Alla fine, quando sembrava che non ci fosse più altro da aggiungere sugli Shaido, Aviendha gli rivelò perché poteva smettere di preoccuparsi degli Shaido e dei problemi che potevano causare. Lo aveva inserito nel discorso per caso, come se se ne fosse quasi dimenticata.
«Mat ha ucciso Couladin?» ripeté Rand incredulo quando Aviendha finì il racconto. «Mat?»
«Non è forse quello che ho detto?» Il suo tono era duro, ma non molto accalorato. Guardandolo da sopra il bordo della coppa di vino, sembrava più interessata a come avrebbe accolto la notizia del fatto che dubitasse della sua parola.
Asmodean suonò una musica marziale e l’arpa parve fare eco a tamburi e trombe. «A modo suo un giovane che riserva molte sorprese come te. Non vedo davvero l’ora di incontrare il terzo, questo Perrin, un giorno o l’altro.»
Rand scosse il capo. Per cui Mat non era riuscito a sfuggire all’attrazione del ta’veren verso un altro ta’veren. O forse era rimasto impigliato nel Disegno, e sull’essere ta’veren. Comunque fossero andate le cose sospettava che Mat non fosse troppo contento di come si erano svolti i fatti. L’amico non aveva imparato la sua stessa lezione. Cerca di fuggire e il Disegno ti tira indietro, spesso rozzamente. Corri nella direzione che la Ruota ha intessuto e a volte riesci ad avere un po’ di controllo sulla tua vita. A volte. Se eri fortunato forse anche più di quanto chiunque si aspettasse, almeno alla lunga. Ma adesso aveva problemi più urgenti di Mat o degli Shaido, ora che Couladin era morto.
Un’occhiata all’ingresso della tenda gli aveva detto che il sole era ben alto, anche se tutto quello che vide furono due Fanciulle piazzate fuori con le lance sulle ginocchia. La notte e la maggior parte della mattina le aveva trascorse in uno stato di incoscienza, e Sammael o non aveva tentato di trovarlo o non ci era riuscito.
Era molto cauto nell’usare quel nome, anche da solo, ma un altro adesso vagava nella sua mente ora. Tel Pani Aellinsar. Non era ricordato da nessuna storia, non c’erano frammenti nella biblioteca di Tar Valon che lo menzionassero, Moiraine gli aveva raccontato tutto quello che le Aes Sedai sanno dei Reietti ed era poco più di quanto veniva narrato nelle favole dei villaggi. Anche Asmodean lo aveva sempre chiamato Sammael, pure se per un motivo diverso. Molto prima che la Guerra dell’Ombra finisse, i Reietti avevano adottato i nomi che gli uomini avevano assegnato loro, come simbolica rinascita nell’Ombra. Il vero nome di Asmodean, Joar Addam Nesossin, provocava una strana reazione nell’uomo, che aveva dichiarato di aver dimenticato gli altri durante il trascorrere di tremila anni.
Forse non vi era una vera ragione per nascondere cosa stesse accadendo nella sua testa, forse era solo un tentativo di negare la realtà a se stesso, ma Sammael, l’uomo, rimaneva. E come Sammael avrebbe pagato per ogni Fanciulla che aveva ucciso. Le Fanciulle che Rand non era riuscito a tenere al sicuro.
Mentre ancora valutava la decisione da prendere, fece una smorfia. Aveva iniziato inviando Weiramon a Tear. Con l’aiuto della Luce solo lui e Weiramon ne sapevano così tanto per ora, ma non poteva correre appresso a Sammael, anche se lo desiderava o lo aveva giurato. Non ancora. C’erano faccende da sistemare lì a Cairhien. Forse Aviendha pensava che lui non capisse ji’e’toh e forse era vero, ma capiva il dovere e ne aveva uno nei confronti di Cairhien. E poi c’erano sistemi per ottenere quello che voleva servendosi di Weiramon.
Sedendosi in modo che non trasparisse lo sforzo che gli era costato, si coprì meglio che poteva con la coperta chiedendosi dove fossero i vestiti. Non vedeva nulla oltre gli stivali, vicino Aviendha. Lei probabilmente lo sapeva. Forse lo avevano spogliato i gai’shain, ma era anche possibile che fosse stata lei.
«Devo andare in città. Natael, fammi sellare Jeade’en e portamelo qui.»
«Forse domani» gli rispose Aviendha con fermezza, afferrando Asmodean per la manica della giubba mentre si alzava. «Moiraine Sedai ha detto che devi riposare almeno per...»
«Oggi, Aviendha. Adesso. Non so perché Meilan non è qui, se è vivo, ma voglio scoprirlo. Natael, il mio cavallo?»
La donna assunse un’espressione ostinata, ma Asmodean si liberò dalla sua presa, lisciando il velluto sgualcito e disse: «Meilan era qui con altri.»
«Non glielo dovevi dire» interloquì Aviendha furiosa, quindi serrò le labbra prima di terminare la frase. «Ha bisogno di riposare.»
Per cui le Sapienti pensavano di potergli tenere nascoste le notizie. Be’, non era debole come credevano. Cercò di alzarsi tenendo chiusa la coperta e cambiò idea e posizione quando le gambe si rifiutarono di cooperare. Forse era debole come credevano. Ma non voleva che questo lo fermasse.
«Riposero da morto» aggiunse e si pentì di averlo fatto quando la donna lo guardò come se l’avesse colpita. No. Non lo avrebbe detto se l’avesse colpita. Che lui restasse in vita era importante per il benessere degli Aiel e una minaccia poteva farle più male che un pugno. «Dimmi di Meilan, Natael.»
Aviendha mantenne un silenzio indignato; anche se le occhiate avessero avuto qualcosa a che vedere con questo, Asmodean sarebbe diventato muto solo per quello e forse anche lui.
Un messaggero inviato da Meilan era giunto nella notte, riferendo elogi fioriti e assicurando lealtà illimitata. All’alba Meilan in persona era apparso, con altri sei sommi signori di Tear che si trovavano in città e un piccolo gruppo di soldati tarenesi; questi avevano le mani sull’elsa delle spade e impugnavano le lance come se si aspettassero di dover combattere contro gli Aiel che erano rimasti in piedi e in silenzio a osservarli entrare nel campo.
«Si è avvicinato» disse Asmodean. «Questo Meilan non è abituato a essere ostacolato, e nemmeno gli altri penso. Specialmente quello con il viso butterato, Torean? E Simaan. Quello ha gli occhi aguzzi quasi quanto il naso. Sai che sono avvezzo a una compagnia pericolosa, ma questi a modo loro sono pericolosi come non ne ho mai conosciuti.»
Aviendha tirò sonoramente su con il naso. «A qualsiasi cosa siano abituati, non hanno avuto scelta con Sorilea, Amys, Bair e Melaine da un lato e Sulin dall’altro con un migliaio di Far Dareis Mai. C’erano anche alcuni Cani di Pietra» concesse. «Alcuni Cercatori d’Acqua e qualche Scudo Rosso. Se davvero servi il Car’a’carn come sostieni, Jasin Natael, dovresti accertarti che riposi come fanno loro.»
«Io seguo il Drago Rinato, giovane donna. Il Car’a’carn lo lascio a te.»
«Prosegui, Natael» disse Rand impaziente, guadagnandosi un verso di disprezzo da parte di Aviendha.
La donna aveva ragione riguardo le scelte dei Tarenesi, anche se forse le Fanciulle e altri che si toccavano i veli li avevano preoccupati più delle Sapienti. In ogni caso anche Aracome, un uomo snello dai capelli grigi che si arrabbiava difficilmente, era quasi esploso quando avevano fatto fermare e girare i cavalli, mentre Gueyam, calvo come una roccia e ampio di spalle come un fabbro, era bianco in viso dalla collera. Asmodean non era sicuro se non avevano estratto le spade per la certezza di essere sopraffatti o perché avevano capito che, se anche fossero riusciti ad arrivare da Rand, era improbabile che li avrebbe accolti benevolmente con il sangue dei suoi alleati sulle lame.
«Meilan aveva gli occhi fuori dalle orbite» concluse l’uomo. «Ma prima di andare via ha gridato la sua obbedienza e fedeltà a te. Forse pensava che lo potessi sentire. Gli altri gli hanno fatto eco velocemente, ma Meilan ha aggiunto qualcosa che li ha lasciati di stucco. «‘Faccio di Cairhien un dono per il lord Drogo ha detto. Quindi ha annunciato che voleva preparare una grande festa per il trionfo quando fossi stato pronto a entrare in città.»
«C’è un vecchio proverbio nei Fiumi Gemelli» rispose secco Rand. «‘più forte un uomo grida di essere onesto, più attenzione devi prestare al tuo denaro’.» Un altro dice, «‘La volpe spesso offre all’anatra il suo stagno’.» Cairhien era sua senza che gliela regalasse Meilan.
Non aveva dubbi sulla lealtà dell’uomo. Sarebbe durata fino a quando Meilan credeva che sarebbe stato annientato se avesse tradito Rand. Se lo avessero visto. Era l’esca. Quei sette sommi signori a Cairhien erano stati quelli che avevano provato con maggiore insistenza a ucciderlo quando si trovava a Tear. Era il motivo per cui li aveva inviati lì. Se avesse eliminato ogni nobile tarenese che complottava contro di lui, forse non ne sarebbe rimasto nessuno. A quel tempo, lasciargli fra le mani anarchia, carestia e guerra civile con migliaia di chilometri che li separavano da Tear gli era sembrato un buon metodo per rovinare i loro piani mentre facevano del bene dove serviva. A quel tempo non era nemmeno vagamente al corrente dell’esistenza di Couladin e meno ancora che l’uomo lo avrebbe portato dritto a Cairhien.
Sarebbe più facile se questa fosse una storia, pensò. Nelle storie vi era un numero limitato di sorprese prima che l’eroe conoscesse tutto quello di cui aveva bisogno. A lui sembrava di non saperne nemmeno un quarto.
Asmodean esitò, quel vecchio detto sugli uomini che gridavano poteva anche essere applicato a lui, fatto di cui senza dubbio era consapevole, ma quando Rand non aggiunse altro, disse: «Credo che voglia essere re di Cairhien. Tuo suddito naturalmente.»
«Meglio con me molto lontano.» Meilan forse si aspettava che Rand tornasse a Tear e a Callandor. Quell’uomo non avrebbe mai avuto paura del troppo potere.
«Chiaro.» Asmodean sembrava anche più secco di Rand. «C’è stata un’altra visita fra queste due.» Una dozzina di lord e lady cairhienesi, senza seguaci, era giunta con i mantelli e i volti nascosti nei cappucci malgrado il caldo. Chiaramente sapevano che gli Aiel odiavano i Cairhienesi e ricambiavano il sentimento, ma erano altrettanto timorosi che Meilan potesse scoprire che erano venuti e che gli Aiel decidessero di ucciderli. «Quando mi hanno visto,» disse in tono acido Asmodean «la metà sembrava pronta a farmi fuori per paura che fossi tarenese. Devi ringraziare le Far Dareis Mai se hai ancora un bardo.»
Pochi com’erano era stato più difficile mandare via i Cairhienesi con Meilan. mentre sudavano e sbiancavano sempre più, pur continuando con ostinazione a chiedere del lord Drago. Quando si accorsero che le loro richieste erano cadute nel vuoto, cominciarono a implorare apertamente. Asmodean forse riteneva il senso dell’umorismo aiel duro e aspro, ma gli veniva da ridere nel vedere nobili con le giubbe di seta fingere che non fosse presente per toccare la gonna delle Sapienti.
«Sorilea li ha minacciati di farli spogliare e frustare fino alla città.» La risata silenziosa adesso era incredula. «Questi l’hanno pure presa in considerazione. Se avesse permesso loro di raggiungerti, credo che alcuni avrebbero accettato.»
«Sorilea avrebbe dovuto farlo» intervenne Aviendha, stranamente amabile. «Gli spergiuri non hanno onore. Almeno Melaine ha scagliato le Fanciulle come massi contro i loro cavalli, per disperdere gli animali per tutto il campo, con gli spergiuri che cercavano di tenersi in equilibrio alla meno peggio.»
Asmodean annuì. «Ma prima di ciò, due di loro mi hanno parlato, una volta certi che non fossi una spia tarenese. Lord Dobraine e lady Colavaere. Hanno camuffato tutto con così tante allusioni e accenni che non ne sarei sicuro, ma non resterei sorpreso se intendessero offrirti il Trono del Sole. Forse scambiano informazioni con... alcune persone che una volta frequentavo.»
Rand rise. «Forse lo fanno. Se riescono ad adeguarsi agli stessi termini di Meilan.» Non aveva bisogno di Moiraine per sapere che i Cairhienesi giocavano il Gioco delle Casate nel sonno, o che Asmodean gli dicesse che avrebbero tentato con i Reietti. I sommi signori a sinistra e i Cairhienesi a destra. Una battaglia conclusa e un’altra, di tipo differente anche se non meno pericolosa, che iniziava. «In ogni caso ho intenzione di dare il Trono del Sole a qualcuno che ne ha il diritto.» Ignorò le speculazioni di Asmodean. Forse l’uomo aveva tentato di aiutarlo la scorsa notte e forse no, ma non si fidava abbastanza di lui da metterlo al corrente di tutti i suoi piani. Per quanto il futuro di Asmodean fosse legato al suo, la lealtà di quell’uomo non era spontanea ed era ancora lo stesso che aveva donato la propria anima all’Ombra. «Meilan vuole preparami un ingresso trionfale per quando sono pronto, vero? Meglio allora che veda cosa mi aspetta prima che mi presenti.» Capì perché Aviendha era stata così amabile, partecipando addirittura alla conversazione. Mentre stava seduto a parlare, stava facendo quello che lei voleva. «Vai a prendermi il cavallo, Natael, o devo pensarci da solo?»
Asmodean gli rivolse un profondo inchino, formale e, almeno in apparenza, sincero. «Io servo il lord Drago.»