Sotto l’imponente Dorsale del Mondo Rand guidò Jeade’en su per il roccioso pendio ai piedi delle colline verso il passo Jangai. Il Muro del Drago perforava il cielo facendo sembrare piccole tutte le altre montagne, i picchi coperti di neve sfidavano il caldo sole pomeridiano. La cima più alta si trovava ben oltre le nuvole che beffavano il deserto con la promessa di una pioggia che non giungeva mai. Rand non riusciva a immaginare perché qualcuno volesse scalare una montagna; ma si narrava che chi ci aveva provato era tornato indietro, sopraffatto dal terrore e incapace di respirare. Capiva bene perché un uomo avesse paura di respirare tentando una simile impresa.
«...anche se i Cairhienesi sono consumati dal Gioco delle Casate,» spiegava Moiraine dietro di lui «ti seguiranno finché sapranno che sei forte. Devi avere la mano ferma con loro, ma ti chiederei anche di essere giusto. Un governante che offre giustizia autentica...»
Rand cercò di ignorare lei, come anche gli altri componenti del gruppo e il rumore dei carri di Kadere che arrancavano alle sue spalle. Le forre e i burroni spaccati del deserto erano rimasti indietro, ma quelle colline frastagliate, quasi altrettanto spoglie, non erano molto meglio per i carri. Nessuno aveva percorso quel sentiero per quasi vent’anni.
Moiraine gli parlava così dal sorgere del sole al tramonto, ogni volta che lui glielo permetteva. Le sue lezioni potevano riguardare piccoli particolari (dettagli relativi ai comportamenti alla corte di Cairhien, in Saldea o altrove) o nozioni più importanti, come l’influenza politica dei Manti Bianchi piuttosto che l’effetto del commercio sulla decisione dei governanti di scendere in guerra. Sembrava che intendesse educarlo come un nobile prima di raggiungere l’altro versante delle montagne. Era sorprendente come quello che gli spiegava spesso rifletteva ciò che la gente di Emond’s Field avrebbe chiamato semplice buon senso. E come talvolta era invece l’esatto opposto.
Di tanto in tanto faceva affermazioni sconvolgenti. Per esempio gli diceva che non doveva fidarsi di nessuna donna della Torre tranne lei, Egwene, Elayne e Nynaeve, o la notizia che Elaida adesso era l’Amyrlin Seat. Giuramenti ai quali obbedire o no, senza rivelargli come ne era venuta a conoscenza. Aveva precisato che spettava a qualcun altro dirglielo se decideva di farlo, un segreto altrui che lei non poteva tradire. Rand sospettava che si trattasse delle Sapienti camminatrici dei sogni, anche se queste lo avevano fissato dritto negli occhi e si erano rifiutate di dire sì o no. Gli sarebbe piaciuto far prestare loro gli stessi giuramenti di Moiraine, le donne interferivano continuamente fra lui e i capi clan, come se volessero che Rand ricorresse a loro per raggiungere i capi.
Proprio in quel momento non voleva pensare a Elaida o alle Sapienti, nemmeno ascoltare Moiraine. Adesso voleva studiare il passo che aveva davanti, una profonda fenditura fra le montagne che procedeva a tornanti come se un’ascia affilata avesse tentato di spezzarla più volte, senza mai riuscirvi. Alcuni minuti di cavalcata a passo sostenuto e poteva trovarsi nella spaccatura.
Da un lato dell’imboccatura del passaggio un pendio era stato modellato per un’ampiezza di oltre cento passi e scavato; un serpente consumato dal vento che si elevava per almeno trecento spanne; monumento, segnale o sigillo di alcuni governanti, sicuramente risaliva a qualche nazione scomparsa fin dai tempi di Artur Hawkwing, forse anche prima delle Guerre Trolloc. Aveva visto altri resti di prima della scomparsa delle nazioni e più di una volta Moiraine non era stato in grado di spiegarne le origini.
E dall’altra parte, così in alto che Rand non era sicuro di vedere bene, proprio sotto alla linea della neve, c’era qualcosa di anche più strano. Qualcosa che faceva sembrare il primo monumento di alcune migliaia di anni addietro una cosa normale. Avrebbe giurato che erano le vestigia di edifici crollati che risplendevano grigie contro la montagna scura e, ancora più curioso, quello che sembrava un molo dello stesso materiale, destinato alle imbarcazioni, che discendeva contorto per la montagna. Se non lo stava immaginando, allora doveva risalire alle età precedenti la Frattura. Il volto del mondo era cambiato drasticamente durante quegli anni. Poteva benissimo essere stato il fondo dell’oceano. Doveva chiedere ad Asmodean. Anche se ne avesse avuto il tempo, non credeva che avrebbe tentato di raggiungere da solo quelle altezze per scoprirlo.
Ai piedi dell’enorme serpente si trovava Taien, una città dalle alte mura di moderata grandezza, anch’essa dell’epoca in cui a Cairhien era permesso inviare le carovane attraverso la terra delle Tre Piegature e i beni giungevano da Shara lungo la via della seta. Sembrava che sopra l’abitato vi fossero uccelli e macchie scure a intervalli regolari lungo le mura di pietra grigia. Mat si alzò sulle staffe di Pips riparandosi gli occhi con le falde del grande cappello per osservare oltre al passo, con lo sguardo corrucciato. Sul volto indurito di Lan non vi era alcuna espressione, eppure sembrava altrettanto concentrato. Un refolo di vento, qui un po’ più fresco, lo indusse ad avvolgersi nel mantello cangiante, e per un momento sembrò confondersi con le colline rocciose e i cespugli radi.
«Mi stai ascoltando?» chiese improvvisamente Moiraine facendo avvicinare la giumenta bianca. «Devi...!» La donna respirò profondamente. «Ti prego, Rand. C’è così tanto che devo dirti, così tanto che devi sapere.»
Il tono di preghiera nella sua lo fece voltare verso di lei. Poteva ricordare un periodo in cui l’aveva temuta. Adesso sembrava così esile anche se adottava modi regali. Era stupido che si sentisse protettivo nei suoi confronti. «Abbiamo molto tempo, Moiraine» le rispose gentilmente. «Non pretendo di voler conoscere tanto del mondo come te. Intendo tenerti vicina da adesso in poi.» Rand si rendeva a malapena conto di quale grande cambiamento si era verificato da quando lei gli stava accanto. «Ma adesso ho qualcos’altro in mente.»
«Ma certo» sospirò la donna. «Come desideri. Abbiamo ancora molto tempo.»
Rand spronò il suo stallone al trotto e gli altri lo seguirono. Anche i carri accelerarono, benché non potessero mantenere il passo su per il pendio. Asmodean — Jasin Natael — gli teneva dietro con il manto da menestrello coperto di pezze che gli sventolava alle spalle come la bandiera appoggiata nella staffa, rosso brillante con l’antico simbolo Aes Sedai bianco e nero nel centro. Il volto dell’uomo era torvo, non aveva gradito di dover fare da portabandiera. Con quell’emblema avrebbe conquistato il mondo, dicevano le Profezie del Rhuidean. E quel vessillo era certo meno temuto e odiato della bandiera del Drago, quella di Lews Therin, che aveva lasciato a garrire sopra la Pietra di Tear.
Le macchie sulle mura di Taien non erano altro che corpi contorti nella loro ultima agonia, rigonfi sotto al sole e appesi per il collo in una fila che sembrava circondare la città. Gli uccelli erano lucidi corvi neri e avvoltoi, con le teste e i colli sudici. Alcuni corvi satolli erano appollaiati sui cadaveri, niente affatto disturbati dai nuovi arrivati. L’odore dolciastro della putrefazione era sospeso nell’aria secca come anche un sentore acre di carbone. Le porte con le bande di ferro erano aperte su una distesa di rovine, case di pietra imbrattate di fuliggine e tetti crollati. Nulla si muoveva, tranne gli uccelli.
Come Mar Ruois. Cercò di distogliere il pensiero, ma non poté non tornare con la mente alla grande città dopo che era stata riconquistata, torri immense annerite e abbattute, i resti di grandi incendi a ogni angolo, dove quanti avevano rifiutato di giurare fedeltà all’Ombra erano stati legati e gettati vivi fra le fiamme. Sapeva a chi dovevano appartenere quei ricordi, anche se non ne aveva parlato con Moiraine. Io sono Rand al’Thor. Lews Therin Telamon è morto da tremila anni. Io sono me stesso, si disse. Era una battaglia che aveva intenzione di vincere. Se era destinato a morire a Shayol Ghul, lo avrebbe fatto come Rand. Si costrinse a pensare ad altro.
Erano passati quindici giorni da quando aveva lasciato il Rhuidean. Quindici giorni, eppure dall’alba al tramonto gli Aiel tenevano un passo che sfiancava i cavalli. Ma Couladin era passato da questa parte una settimana prima di quando lo aveva scoperto. Se non riuscivano a recuperare terreno avrebbe avuto tutto il tempo per saccheggiare Cairhien prima di raggiungerlo. Di più, prima che Rand fosse riuscito a domare gli Shaido. Non era un pensiero felice.
«C’è qualcuno che ci osserva da quelle rocce sulla sinistra» disse con calma Lan. Sembrava molto preso dall’esame di quanto rimaneva di Taien. «Non credo si tratti di Aiel, o dubito che sarei riuscito a vedere qualcosa.»
Rand era contento di aver fatto rimanere Egwene e Aviendha con le Sapienti. La situazione della città gli forniva nuove motivazioni, ma la presenza della vedetta rendeva valide le sue prime convinzioni, quando sperava che Taien si fosse salvata. Egwene indossava ancora gli stessi abiti aiel di Aviendha e gli Aiel non sarebbero stati benvenuti a Taien. Era anche meno probabile che sarebbero stati i benvenuti fra i sopravvissuti.
Rand guardò indietro verso i carri che si fermavano non lontano dal pendio. Fra i conducenti si diffusero dei mormorii, adesso che potevano vedere con chiarezza la città e cosa ne ricopriva le pareti. Kadere, quel giorno vestito di nuovo in bianco, si asciugò il naso aquilino con un grande fazzoletto. Sembrava impassibile e si limitava a inumidirsi le labbra.
Rand si aspettava che Moiraine trovasse dei nuovi conducenti una volta superato il passo. Kadere e il suo gruppo sarebbero fuggiti alla prima occasione. E lui li avrebbe lasciati andare. Non era giusto, non era quella la giustizia, ma era necessario per proteggere Asmodean. Da quanto tempo ormai faceva quello che era necessario e non quello che era doveroso? In un mondo giusto le due cose avrebbero coinciso. Questo gli provocò una risata rauca. Non era più il ragazzo di villaggio di una volta, ma a tratti riemergeva. Gli altri lo guardarono e Rand lottò contro il bisogno di dire loro che non era ancora impazzito.
Passarono molti minuti prima che due uomini senza giacca e una donna spuntassero fra le rocce, tutti e tre coperti di stracci, sporchi e scalzi. Si avvicinarono con esitazione con le teste riverse, gli occhi che scattavano da uno all’altro, verso i carri, come se avessero intenzione di fuggire al primo movimento. Le guance infossate e il passo incerto parlavano di fame.
«Grazie alla Luce» disse finalmente uno degli uomini. Aveva i capelli grigi — nessuno dei tre era giovane — e il volto pieno di rughe. Gli occhi del vecchio si soffermarono un momento su Asmodean, il cui abito era adornato da cascate di merletto dal colletto e i polsini, ma il capo del gruppo non avrebbe cavalcato su un mulo portando la bandiera. Fu la staffa di Rand che afferrò con angoscia. «Che la Luce sia benedetta per averti fatto uscire vivo da quelle terre tenibili, mio signore.» Forse era stato per via della giacca di seta azzurra ricamata in oro che aveva sulle spalle, o la bandiera, o forse si era trattato solo di una lusinga. L’uomo certamente non aveva motivo di crederli altro che mercanti, anche se ben vestiti. «Quegli assassini selvaggi si sono mossi di nuovo. Si tratta di una nuova Guerra Aiel. Hanno scavalcato le mura la scorsa notte prima che qualcuno potesse accorgersi di loro, uccidendo chiunque avesse sollevato una mano, rubando tutto quello poteva essere portato via.»
«Durante la notte?» chiese duro Mat. Con il cappello calato, stava ancora esaminando le rovine della città. «Le vostre sentinelle dormivano? Avevate delle guardie, voi che eravate così vicini al nemico? Anche gli Aiel avrebbero avuto difficoltà ad avvicinarsi se aveste fatto la guardia.» Lan lo guardò con occhi critici.
«No, mio signore.» L’uomo con i capelli grigi fissò Mat, quindi rispose a Rand. La giubba verde di Mat era abbastanza bella per appartenere a un signore, ma era sbottonata e sembrava che ci avesse dormito. «Noi... avevamo solo una vedetta a ogni portone. È passato molto tempo da quando si è visto anche uno solo di quei selvaggi. Ma stavolta... qualsiasi cosa non hanno saccheggiato l’hanno bruciata, e ci hanno cacciati perché morissimo di fame. Sporchi animali! Grazie alla Luce sei giunto a salvarci, mio signore, o saremmo tutti morti qui. Io mi chiamo Tal Nethin. Sono, ero, un fabbricante di selle. Uno bravo, mio signore. Questi sono mia sorella Aril e suo marito, Ander Corl. Lui fabbrica ottimi stivali.»
«Hanno anche rapito delle persone, mio signore» aggiunse la donna con la voce rauca. Era più giovane del fratello e forse un tempo era stata bella, ma adesso era stanca, preoccupata e aveva delle rughe sul viso che Rand credeva non sarebbero scomparse. Il marito aveva un’espressione persa, come se non fosse del tutto sicuro di dove si trovasse. «Mia figlia, signore, e mio figlio. Hanno preso tutti i giovani, tutti quelli sopra ai sedici anni, e altri del doppio di quell’età o più. Hanno detto che erano gai qualcosa, li hanno spogliati in strada e trascinati via. Mio signore, puoi...» La donna si interruppe, stringendo gli occhi all’impossibilità di formulare la richiesta che la sopraffaceva, e barcollò. Aveva poche possibilità di rivedere i suoi figli.
Moiraine smontò di sella in un istante e si pose di fianco ad Aril. La donna stanca diede un’esclamazione non appena l’Aes Sedai la toccò, tremando tutta. Il suo sguardo vacuo si diresse interrogativo verso Moiraine, ma questa continuò a sostenerla.
Il manto della donna rimase di colpo a bocca aperta, fissando la fibbia dorata di Rand, il dono di Aviendha. «Sulle braccia aveva dei simboli. Proprio come quelli. Tutti avvolti attorno alle braccia, come il serpente della rupe.»
Tal guardò Rand incerto. «Il capo dei selvaggi, mio signore, aveva... dei segni come quelli sulle braccia. Indossava degli strani abiti come gli altri, ma si era tolto le maniche per essere sicuro che tutti li vedessero.»
«Un dono che ho ricevuto nel deserto» disse Rand. Si accertò di mantenere le mani sul pomello della sella. Le maniche nascondevano i suoi Draghi, tranne le teste. Erano visibili sul dorso delle mani, per chiunque avesse guardato da vicino. Aril aveva dimenticato l’atteggiamento di Moiraine e tutti e tre sembravano pronti a fuggire. «Quanto tempo è trascorso da quando sono andati via?»
«Sei giorni, mio signore» rispose Tal a disagio. «Hanno fatto quello che hanno fatto in una notte e sono andati via quella seguente. Anche noi saremmo fuggiti, ma se li avessimo incontrati sulla via del ritorno? Certamente torneranno indietro a Selean.» Era la città dall’altro lato del passo. Rand dubitava che Selean fosse in condizioni migliori di Taien ormai.
«Quanti altri superstiti ci sono qui oltre voi tre?»
«Circa un centinaio, mio signore. Forse più. Nessuno li ha contati.»
Rand fu pervaso da una rabbia improvvisa anche se cercò di tenerla a bada. «Cento?» La voce era fredda. «E sono trascorsi sei giorni? Allora perché avete lasciato i vostri morti ai corvi? Perché quei cadaveri ancora riempiono la vostra città? Quella che vi soffoca le narici con il suo odore è la vostra gente!» Stringendosi assieme i tre si fecero indietro.
«Avevamo paura, mio signore» rispose rauco Tal. «Sono andati via, ma potevano tornare indietro. E quell’uomo ci ha detto... quello con i segni sulle braccia ci ha ordinato di non toccare nulla.»
«Un messaggio» intervenne Ander con la voce atona. «Li ha presi per impiccarli fino a quando non ne ha avuti abbastanza da coprire tutto il muro. Uomini o donne, non aveva importanza.» Gli occhi erano fissi sulla fibbia di Rand. «Ha detto che era un messaggio per un uomo che lo avrebbe seguito. Ha detto che voleva che quest’uomo sapesse... cosa avrebbero fatto dall’altro lato della Dorsale. Ha detto... che a quest’uomo avrebbe fatto di peggio.»
Aril spalancò improvvisamente gli occhi e i tre guardarono oltre Rand rimanendo a bocca aperta. Quindi si voltarono gridando e corsero via. Aiel velati di nero spuntarono fra le rocce dalle quali era giunto il gruppo e sfrecciarono nella direzione opposta. Anche lì apparvero Aiel velati di nero e i tre si accasciarono a terra, piangendo e stringendosi fra di loro mentre venivano circondati. Il volto di Moiraine era freddo e composto, ma gli occhi non erano sereni.
Rand si mosse sulla sella. Rhuarc e Dhearic stavano risalendo il pendio, togliendosi i veli e lo shoufa dalle teste. Dhearic era più grosso di Rhuarc, con un naso prominente e delle striature chiare fra i capelli biondi. Aveva portato gli Aiel Reyn come aveva detto Rhuarc.
Timolan e i Miagoma li avevano seguiti in parallelo per tre giorni, scambiandosi messaggi occasionali ma non lasciando trasparire le proprie intenzioni. I Codarra, gli Shiande e i Daryne si trovavano ancora da qualche parte a est mentre gli tenevano dietro. Era quanto Amys e le altre avevano detto dopo i loro incontri con le altre Sapienti nei sogni, ma lentamente. Quelle Sapienti non avevano idea dei piani dei capi come Rand non sapeva di Timolan.
«Era necessario?» chiese mentre i due capi lo raggiungevano. Anche lui aveva dovuto spaventare delle persone, per buoni motivi, ma non aveva mai fatto credere loro che sarebbero morte.
Rhuarc si strinse nelle spalle e Dhearic disse: «Abbiamo piazzato le lance attorno a questa fortezza senza farci vedere, come hai chiesto tu, e non c’era sembrato il caso di aspettare visto che non era rimasto nessuno qui per danzarle. E poi sono solo degli assassini dell’albero.»
Rand sospirò. Sapeva che questo poteva essere un problema grande come quello di Couladin, a modo suo. Quasi cinquecento anni fa gli Aiel avevano donato a Cairhien un alberello di Avendesora e con esso l’autorizzazione esclusiva a commerciare attraverso la terra delle Tre Piegature fino a Shara. Non avevano offerto alcuna spiegazione — non gli piacevano gli abitanti delle terre bagnate — ma per gli Aiel costituiva un dovere, a causa del ji’e’toh. Durante i lunghi anni di viaggio che li avevano portati nel deserto, solo un popolo non li aveva attaccati, solo un popolo aveva permesso loro di accedere all’acqua quando il mondo stava inaridendo. Alla fine avevano scoperto i discendenti di quella gente. I Cairhienesi.
Per cinquecento anni la ricchezza era fluita in Cairhien con la seta e l’avorio. Cinquecento anni e Avendoraldera era cresciuto a Cairhien. Re Laman fece abbattere quell’albero per ricavarne un trono. Le nazioni sapevano perché gli Aiel avevano valicato la Dorsale del Mondo vent’anni prima, il peccato di Laman era chiamato l’orgoglio di Laman, ma pochi erano consapevoli del fatto che per gli Aiel non si era trattato di una guerra. Erano venuti quattro clan alla ricerca dello spergiuro e quando lo avevano ucciso erano ritornati nella terra delle Tre Piegature. Ma il loro disprezzo per gli assassini dell’albero non si era mai estinto. Moiraine era Aes Sedai prima di essere Cairhienese, ma Rand non era mai sicuro di quanto.
«Queste persone non hanno infranto alcun giuramento» commentò. «Trova gli altri. Il sellaio ha riferito che erano almeno cento, e sii gentile con loro. Se erano di vedetta, probabilmente adesso staranno fuggendo per le montagne.» I due Aiel stavano cominciando a voltarsi, quando Rand aggiunse: «Avete sentito cosa ha detto? Cosa ne pensate di quanto Couladin ha fatto qui?»
«Hanno ucciso più del necessario» rispose Dhearic scuotendo disgustato la testa. «Come furetti neri che si abbattono sui nidi delle galline.» Uccidere era facile come morire, così sostenevano gli Aiel, qualsiasi sciocco poteva fare entrambe le cose. «E l’altra faccenda? Prendere prigionieri gai’shain.»
Rhuarc e Dhearic si scambiarono un’occhiata e Dhearic strinse le labbra. Ovviamente avevano sentito e ciò li metteva a disagio. Ci voleva un grande sforzo per mettere a disagio un Aiel.
«Non può essere» disse alla fine Rhuarc. «Se si tratta di... gai’shain allora è una questione di ji’e’toh. Nessuno può essere fatto gai’shain se non segue ji’e’toh, altrimenti sono solo animali umani, come quelli che accudiscono gli Shaarad.»
«Couladin ha abbandonato ji’e’toh.» Sembrava che Dhearic stesse dicendo che erano cresciute le ali alle rocce.
Mat fece avvicinare Pips spronandolo con le ginocchia. Come cavaliere era sempre stato mediocre, ma a volte, quando era distratto, andava a cavallo come se fosse nato in sella. «Vi sorprende?» chiese. «Dopo tutto quello che ha fatto? Quell’uomo sarebbe in grado di barare giocando a dadi con sua madre.»
Gli uomini gli rivolsero sguardi inespressivi, gli occhi simili a rocce blu. Per molti versi gli Aiel ‘erano’ ji’e’toh. Qualsiasi altra cosa fosse Couladin, per loro era ancora un Aiel. La setta prima del clan, il clan prima degli estranei e gli Aiel prima degli abitanti delle terre bagnate.
Alcune delle Fanciulle si unirono a loro, Enaila, Jolien e Adelin assieme alla magra Sulin dai capelli bianchi, che era stata eletta padrona di casa del tetto delle Fanciulle nel Rhuidean. Aveva chiesto alle Fanciulle che erano rimaste indietro di sceglierne un’altra e adesso era a capo delle Fanciulle in viaggio. Percepirono l’umore del gruppo e non dissero nulla, ma abbassarono le lance e si disposero in stolida attesa. Un Aiel, se voleva, poteva far sembrare impazienti le rocce.
Lan ruppe il silenzio. «Se Couladin si aspettava che tu lo seguissi potrebbe aver lasciato delle sorprese da qualche parte nel passo. Cento uomini a controllare alcune delle gole contro un esercito. Mille...»
«Allora ci accamperemo qui» lo interruppe Rand, «e manderemo delle vedette in avanscoperta per accertarsi che il valico sia libero. Duadhe Mahdi’in?»
«I Cercatori del deserto» concordò Dhearic con aria compiaciuta. Era stata la sua società di appartenenza prima di diventare capo clan.
Sulin e le altre Fanciulle rivolsero alcuni sguardi insignificanti a Rand mentre il capo dei Reyn discendeva il pendio. Aveva scelto delle vedette di altre società per gli ultimi tre giorni, quando aveva incominciato a temere ciò in cui avrebbero potuto imbattersi e aveva la sensazione che le Fanciulle sapessero che non stava semplicemente organizzando dei turni. Cercò di ignorare quegli sguardi, ma con Sulin era particolarmente difficile. La donna avrebbe potuto piantare dei chiodi con i suoi occhi azzurro chiaro.
«Rhuarc, una volta che troverete i sopravvissuti accertati che siano nutriti e trattati bene. Li porteremo con noi.» Rand stava fissando le mura della città. Alcuni Aiel avevano già iniziato a usare gli archi di corno per uccidere i corvi. A volte la progenie dell’Ombra si serviva di quelli o altri animali necrofagi come spie. Occhi dell’Ombra, li chiamavano gli Aiel. Si lasciavano a malapena distogliere dalla frenesia del pasto fino a quando non venivano trapassati da una freccia, ma un uomo saggio non correva rischi con un corvo o un ratto. «E accertatevi che i morti vengano seppelliti.» Almeno in quello, giusto e necessario coincidevano.