2 Rhuidean

In alto nella città del Rhuidean Rand al’Thor si guardava intorno da una delle grandi finestre. Qualsiasi vetro si fosse trovato lì una volta era scomparso da molto tempo. Le ombre in basso erano decisamente inclinate verso est. L’arpa di un bardo suonava sommessa in sottofondo. Le gocce di sudore che gli imperlavano il viso si asciugavano all’istante, la giubba di seta rossa, umida fra le scapole, era aperta nel tentativo di far passare un po’ d’aria e la camicia era parzialmente slacciata. La notte nel deserto Aiel avrebbe portato un freddo gelido, ma durante il giorno nemmeno la brezza era fresca. Con la mano sopra la testa appoggiata sulla liscia cornice di pietra, la manica della giubba scivolò in giù rivelando la parte frontale della figura avvolta attorno all’avambraccio. Una creatura serpentina con una criniera dorata e gli occhi come il sole, ricoperta da scaglie rosse e oro e ogni zampa sormontata da cinque artigli aurei. Quegli esseri facevano parte della sua pelle, non erano tatuaggi. Risplendevano come metalli preziosi e gemme lucidate, sembrando quasi vivi nella luce del tardo pomeriggio.

Lo marchiavano — per chi viveva da questo lato della montagna nota come Muro del Drago o come Dorsale del Mondo — come Colui che viene con l’Alba; mentre gli aironi impressi sui palmi delle mani lo marchiavano per chi viveva dall’altra parte della montagna, secondo le Profezie, come Drago Rinato. In entrambi i casi era annunciato che avrebbe unito e distrutto.

Definizioni, nomi che avrebbe evitato se avesse potuto, ma quel momento era ormai passato, se mai fosse esistito, e non ci pensava più. O se lo faceva, in rare occasioni, era con il vago rimpianto dell’uomo che rievocava uno sciocco sogno giovanile. Come se non fosse abbastanza vicino alla giovinezza per ricordarne ogni minuto. Al contrario cercava di fissare la sua attenzione solo su quanto aveva da fare. Il destino e il dovere lo mantenevano sul cammino come le redini di un cavallerizzo, ma spesso lo avevano chiamato ostinato. La fine della strada deve essere raggiunta, ma se poteva farlo in un’altra maniera, forse non sarebbe stata la fine. Una piccola probabilità. Forse nessuna. Le Profezie volevano il suo sangue.

Il Rhuidean si estendeva sotto di lui, arso da un sole inclemente che tramontava verso le montagne frastagliate, senza quasi alcun segno di vegetazione. Questa aspra regione spezzata, dove gli uomini avevano ucciso o eran morti per una pozza d’acqua che potevano scavalcare con un passo, era l’ultimo posto sulla faccia della terra dove chiunque avrebbe pensato di trovare una grande città. I costruttori dei tempi passati non avevano mai portato a compimento il proprio lavoro. Edifici altissimi si susseguivano, palazzi con gradinate e fiancate con lastre di pietra che a volte arrivavano fino a otto o anche dieci piani, senza tetto ma con lo scheletro di un altro piano mai terminato. Le torri erano anche più alte, ma il più delle volte si fermavano improvvisamente. Adesso tre quarti delle grandi strutture, con le massicce colonne e immense finestre di vetro colorato, giacevano ridotte in macerie sugli ampi viali fiancheggiati da strisce di terra, sulle quali non erano mai cresciuti gli alberi per cui erano state pensate. Le meravigliose fontane erano asciutte come lo erano state per centinaia e centinaia di anni. Tutto quel lavoro vano e i costruttori che alla fine erano morti senza vederlo compiuto. Eppure a volte Rand pensava che forse la città era stata iniziata solo per permettere a lui di trovarla.

Troppo orgoglioso, rifletté. Solo un pazzo poteva essere così superbo. Non poté fare a meno di ridere. C’erano state delle Aes Sedai e uomini e donne che erano venuti qui molto tempo fa e conoscevano il Ciclo Karaethon, le Profezie del Drago. O forse le avevano scritte loro. Troppo orgoglioso.

Proprio sotto di lui c’era una grande piazza, parzialmente coperta dalle ombre allungate, pezzi di statue e frammenti di sedie di cristallo, oggetti insoliti dalle forme inusuali, di metallo, vetro o pietra, oggetti ai quali non poteva dare un nome, sparsi ovunque in mucchi disordinati come se fossero detriti depositati da un uragano. Anche le ombre erano fresche a confronto. Uomini rozzamente vestiti, non Aiel, madidi di sudore caricavano dei carri con pezzi scelti da una donna bassa e snella abbigliata di seta azzurra, dritta sulla schiena, che scivolava con grazia da un punto all’altro a prima vista senza soffrire il caldo come gli altri. In ogni caso avvolto attorno al capo aveva un asciugamano umido e si limitava semplicemente a non mostrare gli effetti del sole. Rand avrebbe scommesso che nemmeno sudava.

Il capo dei lavoratori era un grosso uomo scuro di nome Hadnan Kadere, in apparenza un mercante, vestito di seta color crema intrisa di sudore. Si tamponava continuamente il viso con un largo fazzoletto imprecando contro gli uomini — i conducenti e le guardie dei suoi carri — ma scattava veloce come gli altri per caricare qualsiasi cosa la piccola donna indicasse, grande o piccola che fosse. Le Aes Sedai non avevano bisogno di essere grosse per imporre la loro volontà, ma Rand credeva che Moiraine se la sarebbe cavata altrettanto bene anche se non si fosse mai avvicinata alla Torre Bianca.

Due degli uomini stavano cercando di spostare quel che sembrava una strana soglia di granito, ma gli angoli non coincidevano e gli occhi non riuscivano a seguire le parti dritte. Restava in piedi, ruotando liberamente ma senza mai finire a terra, comunque la maneggiassero. A un certo punto un operaio inciampò e cadde per metà attraverso la soglia, fino alla vita. Rand si irrigidì. Per un momento sembrò che il tizio non esistesse dalla vita in su e agitava selvaggiamente le gambe in preda al panico. Fino a quando Lan, un uomo alto con indosso abiti in varie tonalità di verde, si avvicinò e lo prese per la cintura trascinandolo fuori. Lan era il Custode di Moiraine, legato a lei in un modo che Rand non comprendeva, un individuo duro che si muoveva da Aiel, come un lupo a caccia. La spada al suo fianco non sembrava parte di lui: lo era. Fece ricadere l’operaio sul lastricato di pietra e lo lasciò dov’era. Le grida di terrore dell’uomo arrivavano attutite fino a Rand e i suoi amici sembravano pronti a fuggire. Parecchi uomini di Kadere che si erano trovati abbastanza vicino per vedere tutto si guardavano l’uno con l’altro calcolando le proprie possibilità.

Moiraine apparve fra loro con tale velocità che sembrò fosse opera del Potere, muovendosi con grazia da un uomo all’altro. I suoi gesti trasmettevano quasi le fredde e imperiose istruzioni che uscivano dalle sue labbra, certa che avrebbero obbedito: non farlo sarebbe parso sciocco. In breve la donna ebbe ragione delle varie obiezioni, li sgridò tutti e li rimandò al lavoro. I due con la soglia si rimisero presto all’opera, tirando e spingendo, sempre lanciando delle occhiate a Moiraine quando credevano che non stesse guardando. A modo suo era anche più inflessibile di Lan.

Per quanto ne sapeva Rand tutti quegli oggetti erano angreal, sa’angreal o ter’angreal, creati prima della Frattura del Mondo per amplificare l’Unico Potere o impiegarlo in diversi modi. Certamente prodotti con l’uso del Potere, anche se ormai nessuna Aes Sedai sapeva più come forgiarli. Credeva di conoscere la funzione della soglia di granito — un’apertura su un altro mondo — ma per il resto non aveva idea. Nessuno l’aveva. Era il motivo per cui Moiraine lavorava così duramente, per averne il massimo numero alla Torre in modo da studiarli. Era possibile che nemmeno la Torre contenesse così tanti oggetti del Potere come questa piazza, anche se in teoria possedeva la più vasta collezione del mondo. Anche la Torre conosceva solo l’uso di alcuni di essi.

Ciò che era nei carri o in terra non interessava Rand, aveva già afferrato dal mucchio quel che gli serviva. In un certo qual modo aveva preso più di quanto volesse.

Nel centro della piazza vicino ai resti incendiati di un grande albero alto trenta metri c’era una piccola foresta di lunghe colonne di vetro, alte quasi quanto l’albero e così sottili da sembrare che il primo uragano le avrebbe abbattute tutte. Anche se leggermente ombreggiate, le colonne coglievano e rifrangevano la luce del sole in sfolgorii e sfavillii. Per innumerevoli anni gli uomini aiel erano entrati passando in mezzo a quel dispiegamento e ritornati marchiati come Rand, ma solo su un braccio, nella veste di capi clan. Ne uscivano marchiati o non ne uscivano affatto. Anche le donne aiel ci andavano, durante il percorso per diventare Sapienti. Nessun altro lo faceva, non senza morire. Un uomo può recarsi nel Rhuidean una volta, una donna due; più volte significa la morte. Era quanto gli avevano detto le Sapienti ed era la verità, allora. Adesso chiunque poteva accedere a Rhuidean.

Centinaia di Aiel camminavano per le strade e un numero crescente attualmente risiedeva negli edifici. Ogni giorno le strisce di terra fra le strade mostravano germogli di fagioli, frutta o zemai, laboriosamente innaffiati da contenitori di argilla trasportati dal grande lago nuovo che colmava l’estremità sud della valle, l’unica quantità considerevole di acqua di tutto il territorio aiel. A migliaia si erano accampati sulle montagne circostanti, anche sullo stesso Chaendaer, dove una volta andavano unicamente per le cerimonie, per inviare un uomo o una donna da soli nel Rhuidean.

Ovunque si recasse, Rand portava cambiamento e distruzione. Stavolta sperava contro ogni previsione che i cambiamenti fossero per il meglio. Forse poteva essere. L’albero incendiato lo prendeva in giro. Avendesora, il leggendario Albero della Vita. Le storie non avevano mai svelato dove si trovasse ed era stata una sorpresa scoprirlo qui. Moiraine aveva detto che era ancora vivo, che avrebbe germogliato, ma per ora Rand vedeva solo corteccia bruciata e rami spogli.

Sospirando si voltò dalla finestra nella grande stanza, anche se non la più grande del Rhuidean, con alte finestre sui due lati, il soffitto a cupola lavorato a mosaico con motivi fantastici di esseri umani e animali alati. La maggior parte dei mobili lasciati nella città era marcita da tempo anche in questo clima asciutto e molto di quel poco che rimaneva era pieno di scarafaggi e vermi. Ma in fondo alla stanza si trovava una sedia dallo schienale alto, solida e con la doratura quasi integra, scompagnata rispetto al tavolo, un grosso piano con le zampe e gli angoli scolpiti a motivi floreali. Qualcuno aveva lucidato il legno con della cera d’api fino a farlo risplendere malgrado l’età. Erano stati gli Aiel a trovarli per lui, anche se scuotevano il capo alla vista di certi oggetti. C’erano pochi alberi nel deserto che avrebbero potuto produrre legna dritta e in quantità sufficiente per costruire una sola sedia e nessuno per un tavolo.

Quello era tutto l’arredamento. Un elegante tappeto di seta blu e oro proveniente da Man, il bottino di qualche battaglia passata, era disteso al centro del pavimento di mattonelle rosso scuro. Cuscini di seta dai colori brillanti con dei tasselli erano sparsi un po’ ovunque. Gli Aiel li usavano al posto delle sedie, quando non si accovacciavano, comodi come se stessero su una poltrona.

Sei uomini erano seduti sui cuscini adagiati sul tappeto. Sei capi in rappresentanza dei clan che per ora seguivano Rand. O meglio, che seguivano Colui che viene con l’Alba. Non sempre con piacere. Forse Rhuarc, un uomo dalle spalle ampie e gli occhi azzurri e numerose ciocche grigie fra i capelli rosso scuro, era suo amico, ma non gli altri. Solo sei su dodici.

Ignorando la sedia Rand si sedé a gambe incrociate di fronte agli Aiel. Fuori del Rhuidean le sedie erano riservate ai capi, usate esclusivamente da loro e solo per tre ragioni: per essere eletti capo clan, per accettare la resa di un nemico con onore e per giudicare qualcuno. Prendere la sedia adesso con uno di questi uomini avrebbe significato che intendeva fare una delle tre cose.

Indossavano i cadin’sor, giubbe e brache di sfumature di marrone e grigio che si sarebbero confuse con il terreno e morbidi stivali allacciati dietro alle ginocchia. Anche qui, di fronte all’uomo che avevano proclamato Car’a’carn, il capo dei capi, ognuno portava appeso alla cintura un pugnale dalla grande lama e gli shoufa grigi e marroni drappeggiati come un’ampia sciarpa attorno al collo. Se si fosse coperto il viso con il velo nero che era parte degli shoufa, significava che era pronto a uccidere. Non era impossibile. Questi uomini si erano combattuti a vicenda in un circolo infinito di incursioni fra clan, battaglie e antagonismi di sangue. Lo guardavano e aspettavano, ma un Aiel in attesa emanava sempre la sensazione di essere pronto a scattare, improvviso e violento.

Bael, l’uomo più alto che Rand avesse mai visto in vita sua, e Jheran, sottile come una lama e rapido come una frusta, erano sdraiati il più lontano possibile uno dall’altro pur restando sempre sul tappeto. C’era un antagonismo di sangue fra i Goshien di Bael e gli Shaarad di Jheran, accantonato in presenza di Colui che viene con l’Alba ma non dimenticato. Forse ancora valeva la Pace del Rhuidean malgrado tutto quello che era accaduto. Eppure il suono tranquillo dell’arpa era in netto contrasto con il severo rifiuto di Bael e Jheran di guardarsi. Sei paia di occhi, azzurri, verdi e grigi, su volti abbronzati. Al confronto degli Aiel, i falchi potevano sembrare mansueti.

«Cosa devo fare per portare a me i Reyn?» chiese Rand. «Eri sicuro che sarebbero venuti, Rhuarc.»

Il capo dei Taardad lo guardò con calma; quel volto poteva apparire scolpito nella pietra per l’espressione che mostrava. «Aspetta. Solo questo. Dhearic li porterà prima o poi.»

Han dai capelli bianchi, di fianco a Rhuarc, distorse le labbra come se stesse per sputare. Sul viso incartapecorito si era come sempre dipinta l’amarezza. «Dhearic ha visto troppi uomini e Fanciulle seduti a guardare nel vuoto per giorni e quindi gettare le lance. Gettare via le lance!»

«E fuggire» aggiunse con calma Bael. «Anch’io li ho visti fra i Goshien, anche nella mia setta, che scappavano via. E tu, Han, li hai visti fra i Tomanelle. Tutti vi abbiamo assistito. Non penso che sappiano dove stanno correndo, solo da cosa stanno fuggendo.»

«Serpenti codardi» borbottò Jheran. Fra i capelli marrone chiaro c’era un po’ di grigio. Non c’erano uomini giovani fra i capi clan aiel. «Vipere fetenti che strisciano spaventate dalla propria ombra.» Un leggero movimento degli occhi azzurri verso il lato opposto del tappeto rivelava che si riferiva ai Goshien, non solo a quelli che avevano abbandonato la lancia.

Bael si mosse come se volesse alzarsi, con il viso ancora più duro, se possibile, ma l’uomo al suo fianco gli appoggiò una mano sul braccio per calmarlo. Bruan, dei Nakai, era abbastanza grosso e forte come due fabbri, ma era di natura mansueta, cosa che sembrava insolita per gli Aiel. «Tutti abbiamo visto fuggire uomini e Fanciulle.» La voce sembrava quasi pigra come anche l’aspetto degli occhi grigi, eppure Rand sapeva che non era così. Anche Rhuarc considerava Bruan un combattente mortale e un tattico tortuoso. Fortunatamente per Rand nemmeno Rhuarc era più forte di Bruan. Ma era venuto per seguire Colui che viene con l’Alba, non conosceva Rand al’Thor. «Come te, Jheran. Sai quanto è stato difficile affrontare quello che loro hanno appena saputo. Se non puoi chiamare codardo chi è morto perché non è riuscito a sopportarlo, puoi chiamare codardo chi fugge per lo stesso motivo?»

«Non avrebbero mai dovuto saperlo» mormorò Han, stringendo il cuscino rosso come se fosse la gola di un nemico. «Era una realtà riservata a chi poteva accedere al Rhuidean e sopravvivere.»

Non si era rivolto a nessuno in particolare, ma erano parole per le orecchie di Rand. Era stato lui a rivelare a tutti cosa imparava un uomo fra le colonne di vetro nella piazza, tanto che i capi e le Sapienti non avevano potuto fare altro che rispondere alle conseguenti domande. Se c’era un Aiel nel deserto che adesso non conosceva la verità, significava che non aveva parlato con nessuno per un mese.

Ben lungi dalla gloriosa tradizione di battaglie in cui tutti credevano, gli Aiel erano nati come dei rifugiati indifesi e seguito della Frattura del Mondo. Chiunque fosse sopravvissuto allora era un rifugiato, ma gli Aiel non si erano mai considerati indifesi. Peggio ancora, erano stati seguaci della Via della Foglia, rifiutando di praticare la violenza anche in difesa delle proprie vite. Aiel significava ‘dedicati’ nella lingua antica ed era alla pace che erano dedicati. Gli Aiel di oggi erano i discendenti di quelli che avevano infranto una promessa da innumerevoli generazioni. Solo un particolare di quel giuramento era sopravvissuto: un Aiel sarebbe morto prima di impugnare una spada. Avevano sempre creduto che fosse parte del loro orgoglio, del loro essere differenti rispetto a chi viveva fuori del deserto.

Rand li aveva sentiti raccontare di un qualche peccato commesso per cui erano stati mandati nel deserto. Adesso sapevano di cosa si trattava. Gli uomini e le donne che avevano costruito il Rhuidean ed erano morti, qui — quelli chiamati Aiel Jenn, il clan che non era, nelle rare occasioni in cui venivano menzionati — avevano mantenuto fede alle Aes Sedai dei tempi precedenti la Frattura. Era difficile affrontare la verità.

«Doveva essere detto» intervenne Rand. Dovevano sapere. Un uomo non dovrebbe vivere nella menzogna. La loro stessa Profezia proclama che li avrei spezzati. E non avrei potuto fare diversamente, pensò. Il passato era passato e finito, doveva preoccuparsi del futuro. Ad alcuni di questi uomini non piaccio e altri mi odiano per non essere nato fra loro, ma mi seguono. Ho bisogno di tutti loro, pensò ancora. «Cosa mi dite dei Miagoma?»

Erim, sdraiato fra Rhuarc e Han, scosse il capo. I capelli, una volta rosso acceso, adesso erano quasi bianchi, ma gli occhi verdi brillavano come quelli di qualsiasi giovane. Le grandi mani, lunghe e dure, dicevano che anche le braccia erano forti. «Timolan non lascia sapere ai propri piedi da quale parte salterà fin quando non lo ha fatto.»

«Quando Timolan era un giovane capo» spiegò Jheran, «tentò di unire i clan, senza riuscirvi. Non gli farà piacere che alla fine sia giunto qualcuno che avrà successo dove lui ha fallito.»

«Verrà» aggiunse Rhuarc. «Timolan non si è mai considerato come Colui che viene con l’Alba. E Janwin porterà gli Shiande. Ma aspetteranno. Devono prima digerire i fatti.»

«Devono accettare il fatto che Colui che viene con l’Alba è un abitante delle terre bagnate» borbottò Han. «Non intendo offenderti, Car’a’carn.» La voce non era ossequiosa, un capo non era un re e non lo era nemmeno il capo dei capi. Al massimo era il primo fra uguali.

«Credo che i Daryne e i Codarra verranno prima o poi» concluse con calma Bruan. E velocemente, perché il silenzio non divenisse un motivo per danzare le lance. Primo fra uguali, al massimo. «Hanno perso più di qualsiasi altro clan per la ‘tetraggine’.» Era così che gli Aiel chiamavano il lungo periodo trascorso a fissare nel vuoto prima che qualcuno cercasse di sfuggire al proprio essere aiel. «Per il momento, Mandelain e Indirian sono presi a mantenere assieme i clan ed entrambi vorranno vedere i Draghi sulle tue braccia con i loro occhi, ma verranno.»

Restava solo un clan di cui discutere, quello che nessuno dei capi voleva nominare. «Ci sono novità su Couladin e gli Shaido?» chiese Rand.

Gli rispose il silenzio, rotto solo dal suono sommesso e sereno dell’arpa in sottofondo, ogni uomo aspettava che fosse un altro a parlare, tutti prossimi al disagio, per quanto possibile per un Aiel. Jheran si guardava l’unghia del pollice e Bruan giocava con uno dei tasselli argentati del suo cuscino verde. Anche Rhuarc guardava il tappeto.

Alcuni uomini e donne vestiti di bianco entrarono educatamente in quell’atmosfera assorta e iniziarono a versare del vino da calici d’argento lavorato per ogni uomo, recando dei piccoli vassoi d’argento con olive, cosa rara nel deserto, formaggio bianco di pecora e le noci chiare che gli Aiel chiamavano pecara. I volti che spuntavano da quei cappucci tenevano gli occhi bassi e si poteva scorgere un’insolita remissività nei loro lineamenti.

Che fossero stati, catturati in battaglia o durante un’incursione, i gai’shain giuravano di servire obbedienti per un anno e un giorno, senza toccare un’arma, senza fare violenza e alla fine tornavano al clan e alla setta di appartenenza come se niente fosse. Una strana eco della Via della Foglia. Il Ji’e’toh, onore e obbligo, lo richiedeva e infrangerlo era quasi la cosa peggiore che un Aiel potesse fare. Forse la peggiore. Era possibile che alcuni di questi uomini e donne stessero servendo il proprio capo clan, ma nessuno lo avrebbe riconosciuto nemmeno con il battito di un ciglio finché il periodo da gai’shain fosse finito, nemmeno per un figlio o una figlia.

Rand rimase colpito quando scoprì che per questo alcuni Aiel avevano preso male quello che aveva rivelato. A quelli doveva sembrare che i loro antenati avessero prestato giuramento da gai’shain non solo a se stessi ma anche per tutte le generazioni seguenti. E quelle generazioni — fino ai giorni attuali — avevano rotto il ji’e’toh prendendo la lancia. Gli uomini seduti davanti a lui ci avevano mai pensato? Ji’e’toh era una questione molto seria per un Aiel.

I gai’shain si allontanarono senza far rumore, emettendo a malapena un suono. Nessuno dei capi clan toccò il vino o il cibo.

«C’è qualche speranza che Couladin voglia incontrarmi?» Rand sapeva che non c’era. Aveva smesso di mandare richieste per un incontro una volta saputo che Couladin faceva spellare vivi i messaggeri. Ma era un modo per far iniziare a parlare gli altri.

Han sbuffò. «La sola notizia che abbiamo avuto da lui è che intende spellarti la prossima volta che ti incontra. Credi che significhi che voglia parlare?»

«Posso far allontanare gli Shaido da lui?»

«Lo seguono» rispose Rhuarc. «Non è affatto un capo, ma loro credono che lo sia.» Couladin non era mai entrato fra quelle colonne di vetro e poteva anche credere, come dichiarava, che qualsiasi cosa avesse detto Rand fosse una menzogna. «Sostiene di essere il Car’a’carn e gli Shaido credono anche questo. Le Fanciulle shaido che sono venute lo hanno fatto per la loro società e perché le Far Dareis Mai portano il tuo onore. Nessun altro lo farà.»

«Noi mandiamo alcuni esploratori a tenerli d’occhio» intervenne Bruan, «e gli Shaido li uccidono appena possono — Couladin detiene almeno una dozzina di antagonismi di sangue — ma per ora non ha mostrato segno di volerci attaccare qui. Ho sentito dire che sostiene che abbiamo contaminato il Rhuidean e che assalirci in questo luogo renderebbe solo più grave la profanazione.»

Erin sbuffò e cambiò posizione sul cuscino. «Intende dire che qui ci sono abbastanza lance per uccidere ogni Shaido due volte.» Si portò alla bocca un pezzo di formaggio e, mentre masticava, esclamò: «Gli Shaido sono sempre stati dei codardi e dei ladri.»

«Cani privi di onore» dissero all’unisono Bael e Jheran, quindi si guardarono a vicenda come se pensassero che uno avesse fatto uno scherzo all’altro.

«Privi di onore o no» intervenne Bruan con calma, «gli uomini di Couladin stanno aumentando di numero.» Per quanto sembrasse calmo, bevve un lungo sorso di vino prima di proseguire. «Sapete tutti di cosa sto parlando. Alcuni di quelli che sono scappati dopo la tetraggine non hanno abbandonato le lance. Al contrario, si sono uniti con le loro società agli Shaido.»

«Nessun Tomanelle ha ma spezzato un clan» gridò Han.

Bruan guardò il capo dei Tomanelle oltre Rhuarc ed Erim e aggiunse deliberatamente, «È accaduto in ogni clan.» Senza aspettare una smentita si sistemò sul cuscino. «Non può essere definito spezzare un clan. Si uniscono alle loro società. Come le Fanciulle shaido che sono venute qui sotto il loro tetto.»

Vi furono dei mormorii, ma stavolta nessuno discusse. Le regole che governavano le società guerriere aiel erano complesse e in qualche modo i membri di appartenenza si sentivano legati alle loro società come ai clan. Per esempio, membri della stessa società non si sarebbero combattuti fra loro anche se fra i clan c’erano alcuni antagonismi di sangue. Alcuni uomini non avrebbero sposato una donna con legami di parentela troppo stretti con un membro della loro società di appartenenza, come se la donna appartenesse alla loro famiglia. Alle usanze delle Far Dareis Mai, le Fanciulle della Lancia, Rand non voleva nemmeno pensare.

«Ho bisogno di sapere cosa intende fare Couladin» disse loro.

Couladin era un toro con un’ape nell’orecchio, poteva attaccare da qualsiasi direzione. Rand esitò. «Sarebbe una violazione dell’onore mandare qualcuno a unirsi alle proprie società fra gli Shaido?» Non aveva bisogno di spiegare ulteriormente cosa intendesse fare. Ogni uomo si irrigidì sul posto, anche Rhuarc, che aveva lo sguardo abbastanza freddo da far sparire il caldo dalla stanza.

«Spiare a quel modo» Erim fece una smorfia pronunciando la parola ‘spia’, come se avesse un pessimo sapore, «sarebbe come farlo con la propria setta di appartenenza. Nessuno che abbia onore farebbe una cosa simile.»

Rand si trattenne dal chiedere dove avrebbero potuto trovare qualcuno con un concetto dell’onore meno rigido. Il senso dell’umorismo degli Aiel era strano, spesso crudele, ma su certi argomenti era del tutto assente.

Per cambiare soggetto chiese: «Abbiamo ricevuto notizie da oltre il Muro del Drago?» Rand conosceva le risposte, quel tipo di notizia si divulgava velocemente anche fra tanti Aiel come quelli riuniti attorno al Rhuidean.

«Nessuna che valga la pena di essere comunicata» rispose Rhuarc. «Con i problemi fra gli uccisori dell’albero pochi ambulanti accedono alla terra delle Tre Piegature.» Era il nome aiel per il deserto, una punizione per il loro peccato, un territorio per mettere alla prova il loro coraggio e un’incudine per modellarli. Uccisori dell’albero era il nome per i Cairhienesi. «La bandiera del Drago ancora sventola sopra la Pietra di Tear. I Tarenesi si sono mossi a nord dentro Cairhien come hai ordinato, per distribuire cibo fra gli uccisori dell’albero. Niente altro.»

«Avresti dovuto lasciarli morire di fame» mormorò Bael e Jheran chiuse di scatto la bocca. Rand sospettava che stesse per dire qualcosa di simile.

«Gli uccisori dell’albero non servono ad altro che a essere uccisi o venduti come animali a Shara» osservò cupo Erim. Queste erano due delle cose che gli Aiel facevano a chi entrava nel deserto senza essere stato invitato. Solo i menestrelli, gli ambulanti e i Calderai erano al sicuro, anche se gli Aiel evitavano questi ultimi come se fossero appestati. Shara era il nome dei territori oltre il deserto, nemmeno gli Aiel sapevano molto di quei popoli.

Con la coda dell’occhio Rand vide due donne in piedi appena oltre l’alta soglia arcuata, piene di aspettativa. Qualcuno aveva appeso delle file di perline colorate allo stipite, rosse e blu, per rimpiazzare la porta mancante. Una delle donne era Moiraine. Per un po’ prese in considerazione l’idea di farle attendere. Moiraine aveva quell’irritante aria di comando, ovviamente si aspettava che interrompessero le loro attività per lei. Solo che non c’era rimasto nulla da discutere e Rand poteva dedurre dagli occhi degli uomini che non volevano conversare. Non subito dopo aver parlato della tetraggine e degli Shaido.

Si alzò sospirando imitato dai capi clan. Tutti tranne Han erano alti come lui o anche più. Nel luogo in cui Rand era cresciuto, Han sarebbe stato considerato di altezza media o anche qualcosa di più. Fra gli Aiel era considerato basso. «Sapete cosa va fatto. Portatemi il resto dei clan e tenete d’occhio gli Shaido.» Fece una breve pausa, quindi aggiunse, «Finirà bene. Nel miglior modo per gli Aiel che io possa immaginare.»

«Le Profezie proclamano che ci spezzerai» osservò Han amareggiato, «e hai iniziato bene. Ma ti seguiremo. Fino a quando l’Ombra scomparirà» recitò, «fino a quando l’acqua sarà scomparsa nell’Ombra con i denti snudati, gridando il disprezzo fino all’ultimo respiro, per sputare nell’occhio dell’Accecatore durante l’Ultimo Giorno.» Accecatore era uno dei nomi aiel per il Tenebroso. Rand non poteva fare altro che rispondere nel modo appropriato. Risposta che una volta non conosceva. «Per il mio onore e la Luce, la mia vita sarà un pugnale per il cuore dell’Accecatore.»

«Fino all’Ultimo Giorno» concluse l’Aiel, «a Shayol Ghul.»

L’arpista continuava a suonare sereno.

Gli uomini sfilarono davanti alle due donne guardando Moiraine con rispetto. Non avevano paura. Rand desiderava poter essere altrettanto sicuro. Moiraine aveva troppi piani che lo riguardavano, troppi sistemi per tirare fili che lui non sapeva di avere legati addosso.

Le due donne entrarono non appena i capi uscirono, Moiraine era fredda ed elegante come sempre. Una piccola donna graziosa, con o senza quei lineamenti tipici delle Aes Sedai che non consentivano di dar loro un’età definita. Si era tolta il panno umido e rinfrescante dal capo. Al suo posto pendeva una piccola pietra azzurra appesa a una sottile catenina d’oro che spariva fra i capelli scuri. Ma nulla poteva sminuire quel portamento regale. Sembrava più alta di quanto non fosse e negli occhi aveva solo sicurezza e aria di comando.

L’altra donna era più alta anche se meno di Rand, e giovane, non priva dei segni dell’età. Egwene, con cui era cresciuto. Adesso tranne che per i grandi occhi scuri poteva quasi passare per una donna aiel e non solo per il viso e le mani abbronzati. Indossava una gonna aiel di lana marrone e una blusa larga e bianca, di una fibra naturale chiamata algode. Era anche più soffice della lana più fine. Sarebbe stata ottima da commerciare, se fosse mai riuscito a convincere gli Aiel. Sulle spalle aveva uno scialle grigio e un fazzoletto ripiegato dello stesso colore che usava a mo’ di fascia per tenere indietro i capelli scuri che le ricadevano sulle spalle. A differenza di molte donne aiel, portava un solo bracciale di avorio che rappresentava un circolo di fiamme, e una sola collana d’oro e perle di avorio. E un’altra cosa. L’anello con il Gran Serpente alla mano sinistra.

Egwene stava studiando con alcune delle Sapienti aiel — cosa con esattezza Rand non lo sapeva, anche se sospettava riguardasse i sogni. Egwene e le donne aiel tenevano la bocca chiusa a riguardo — ma aveva studiato anche nella Torre Bianca. Era ancora una delle Ammesse, ma si faceva già passare per un’Aes Sedai, almeno a Tear. A volte Rand la metteva alla prova su quell’argomento, la ragazza però non prendeva bene le sue battute.

«I carri saranno presto pronti per dirigersi a Tar Valon» disse Moiraine. La voce era musicale, cristallina.

«Falli accompagnare da guardie robuste» disse Rand, «o Radere potrebbe non portarli dove vuoi tu.» Si voltò di nuovo verso la finestra, con la sola intenzione di guardare senza pensare a Kadere. «Non hai avuto bisogno che ti tenessi la mano o che ti dessi il mio permesso in precedenza.»

D’improvviso qualcosa sembrò colpirlo in mezzo alle spalle, come una bastonata; la vaga sensazione di un brivido sulla pelle, ben poco probabile con questo caldo, gli diceva che una delle donne aveva incanalato.

Girandosi di scatto per osservarle si protese verso saidin, colmandosi con l’Unico Potere. Questo gli dava una sensazione di espansione interiore, come se fosse dieci, cento volte più vivo. Anche la contaminazione del Tenebroso lo colmava; morte e corruzione come vermi che gli strisciavano in bocca. Era un torrente che minacciava di travolgerlo, un fiume in piena che doveva combattere a ogni istante. Adesso vi era quasi abituato e, allo stesso tempo, non ci si sarebbe mai assuefatto. Voleva restare collegato alla dolcezza di saidin per sempre e gli veniva da vomitare. Per tutto il tempo l’inondazione cercava di scorticarlo fino all’osso e ridurlo in cenere.

La contaminazione prima o poi lo avrebbe fatto impazzire, se non lo avesse prima ucciso il Potere. Era una gara fra i due. La follia era stata il destino di ogni uomo che aveva incanalato fin dall’inizio della Frattura del Mondo, fin dal giorno in cui Lews Therin Telamon, il Drago, e i suoi Cento Compagni avevano sigillato il Tenebroso nella prigione di Shayol Ghul. L’ultima resistenza a quell’imprigionamento aveva contaminato la metà maschile della Vera Fonte e gli uomini che potevano incanalare, folli che potevano incanalare, avevano ridotto in brandelli il mondo.

Rand si colmò con il Potere e... non riuscì a capire quale donna lo avesse fatto. Entrambe lo guardavano innocenti, ognuna con un sopracciglio inarcato e quasi la stessa espressione vagamente divertita e interrogativa. Una qualsiasi delle due o entrambe potevano abbracciare la metà femminile della Fonte proprio in quel momento e lui non se ne sarebbe mai accorto.

Naturalmente una bastonata in mezzo alla schiena non faceva parte delle maniere di Moiraine, lei trovava altri sistemi per castigare qualcuno, più subdoli e di solito alla fine più dolorosi. Eppure, anche se era sicuro che doveva essere stata Egwene, non fece nulla. Prove. Il pensiero scivolò lungo il lato esterno del vuoto, lui ne galleggiava all’interno, nel nulla, pensiero ed emozione, anche la propria rabbia, distanti. Non farò nulla senza le prove, pensò, stavolta non lascerò che mi stuzzichi. Non era la Egwene con la quale era cresciuto, era divenuta parte delle Torre da quando Moiraine l’aveva inviata lì. Sempre Moiraine. A volte desiderava liberarsi di quella donna. Solo a volte? si chiese.

Si concentrò su di lei. «Cosa vuoi da me?» La sua stessa voce gli sembrava piatta e fredda. Il Potere imperversava dentro di lui. Egwene gli aveva spiegato che per una donna toccare saidar, la metà femminile della Fonte, era come un abbraccio. Per un uomo, sempre, era come una guerra spietata. «E non parlarmi di nuovo di carri, sorellina. Di solito scopro cosa intendi fare molto tempo dopo che lo hai fatto.»

L’Aes Sedai aggrottò le sopracciglia e non c’era da meravigliarsi. Certamente non era abituata a sentirsi parlare a quel modo da nessun uomo, nemmeno dal Drago Rinato. Nemmeno lui aveva idea da dove fosse spuntato quel ‘sorellina’. Di recente le parole sembravano balenargli nella mente. Forse era un tocco di pazzia. Alcune notti rimaneva sveglio ad angustiarsi per questo. Dentro al vuoto sembravano le preoccupazioni di qualcun altro.

«Dovremmo parlare da soli.» Moiraine lanciò un’occhiata fredda all’arpista.

Jasin Natael, come si faceva chiamare qui, era sdraiato in modo scomposto sui cuscini contro una delle pareti prive di finestre, suonando delicatamente l’arpa adagiata fra le ginocchia; sulla parte superiore dello strumento erano scolpite le immagini dorate delle creature sulle braccia di Rand. Draghi. Gli Aiel li chiamavano così. Rand sospettava dove Natael si era procurato l’arpa. Era un uomo di mezza età con i capelli scuri che sarebbe stato considerato alto ovunque tranne che nel deserto aiel. La giubba e le brache erano di seta blu scura, adatta a una corte reale, con ricami elaborati di fili d’oro sul colletto e i polsini, completamente abbottonata malgrado il caldo. Gli indumenti eleganti mal si intonavano con il mantello da menestrello aperto al suo fianco. Un mantello integro ma coperto da centinaia di pezze colorate, cucite in modo tale da svolazzare alla minima brezza, lo identificava come artista di campagna, giocoliere e saltimbanco, musicista e cantastorie che vagava di villaggio in villaggio. Certamente non una persona che avrebbe indossato seta. L’uomo aveva le sue fantasie e sembrava del tutto assorto nella musica.

«Puoi dire quello che desideri di fronte a Natael» rispose Rand. «In fondo è il menestrello del Drago Rinato.» Se avesse ritenuto importante mantenere segreta la questione, la donna avrebbe fatto pressione e lui avrebbe mandato via Natael, ma non gli piaceva perderlo di vista.

Egwene tirò sonoramente su con il naso e si strinse lo scialle sulle spalle. «La tua testa si è gonfiata come un melone marcio, Rand al’Thor» osservò atona; era la dichiarazione di uno stato di fatto.

La rabbia ribollì fuori dal vuoto. Non per quello che aveva detto, Egwene aveva l’abitudine di rimproverarlo pesantemente fin da quando erano bambini, che lo meritasse o meno.

Ma di recente a Rand sembrava che l’amica avesse incominciato a tramare con Moiraine. Che cercasse di farlo sbilanciare affinché l’Aes Sedai potesse spingerlo dove voleva. Da giovani, prima di scoprire cosa lui fosse, erano convinti che un giorno si sarebbero sposati. Adesso lei era dalla parte di Moiraine contro di lui.

Con l’espressione severa Rand parlò più duramente di quanto volesse. «Dimmi cosa vuoi, Moiraine. Dimmelo qui e adesso, oppure aspetta finché troverò tempo per te. Sono molto impegnato.» Era una chiara bugia. La maggior parte della giornata la trascorreva a esercitarsi nella scherma in compagnia di Lan, con le lance assieme a Rhuarc, o a imparare a lottare con mani e piedi da entrambi. Ma se oggi doveva comportarsi in modo rozzo, lo avrebbe fatto. Natael poteva sentire tutto. Quasi tutto. Finché Rand sapeva in ogni momento dove si trovasse.

Moiraine ed Egwene aggrottarono le sopracciglia, ma la vera Aes Sedai pareva capire che almeno stavolta non si sarebbe lasciato smuovere. Lanciò un’occhiata a Natael serrando le labbra — l’uomo sembrava ancora profondamente immerso nella musica — quindi estrasse un grosso fazzoletto di seta grigia dal sacchetto.

Svolgendolo appoggiò l’oggetto che custodiva sul tavolo, un disco grande come la mano di un uomo, in parte del nero più intenso e in parte del bianco più puro. I due colori si incontravano in una linea sinuosa che formava due lacrime unite. Era il simbolo delle Aes Sedai prima della Frattura, ma questo disco era ben altro. Ne erano stati fabbricati solo sette, i sigilli della prigione del Tenebroso. O meglio, ognuno era un punto focale per uno di quei sigilli. Estraendo il pugnale dalla cintura con l’impugnatura di fili d’argento, Moiraine grattò delicatamente il lato di un disco. E un piccolo fiocco di materiale nero volò via.

Anche rinchiuso nel vuoto, Rand esclamò. Il vuoto tremò e per un istante il Potere minacciò di sopraffarlo. «È una copia? Un falso?»

«L’ho trovato nella piazza sottostante» rispose Moiraine. «È autentico. Quello che ho portato con me da Tear è lo stesso.» Sembrava stesse dicendo che voleva la zuppa di piselli per pranzo. Egwene d’altro canto si strinse nello scialle come se sentisse freddo.

Anche Rand provò una paura che filtrava dalla superficie del vuoto. Fu uno sforzo lasciar andare saidin, ma si costrinse. Se perdeva concentrazione il Potere poteva distruggerlo sul posto e voleva dirigere tutta la sua attenzione su quella questione. Anche così, con la contaminazione, era una perdita. Quella scheggia di materiale sul tavolo era una cosa impossibile. Quei dischi erano fatti di cuendillar, pietra dell’anima, e nessun oggetto di quel materiale poteva essere rotto, nemmeno con l’Unico Potere. Qualsiasi forza venisse usata contro di esso si limitava a rinforzarlo. L’arte della creazione della pietra dell’anima era andata perduta con la Frattura del Mondo; ma qualsiasi cosa creata con il Potere durante l’Epoca Leggendaria ancora esisteva, incluso il vaso più fragile, anche se la Frattura lo aveva seppellito in fondo all’oceano o sotto una montagna. Naturalmente tre dei sette dischi erano già rotti, ma c’era voluto molto più di un pugnale.

A pensarci bene però non sapeva come erano stati spezzati gli altri tre. Se nessuna forza tranne il Creatore poteva rompere la pietra dell’anima, allora poteva essere stato solo quello.

«Come?» chiese, sorpreso che la sua voce fosse ancora stabile come se fosse circondato dal vuoto.

«Non lo so» rispose Moiraine, con la stessa calma apparente. «Ma capisci il problema, vero? Una caduta dal tavolo potrebbe spezzarlo. Se gli altri, ovunque siano, sono come questo, quattro uomini muniti di martello potrebbero di nuovo aprire un buco nella prigione del Tenebroso. Chi può determinare l’efficacia di uno solo, in queste condizioni?»

Rand capiva — il problema. Non sono ancora pronto, pensò. Non era sicuro che lo sarebbe mai stato, ma di certo non in questo momento. Egwene sembrava stesse osservando la propria tomba aperta.

Riavvolgendo il disco nella seta Moiraine lo ripose nel sacchetto.

«Forse penserò a una possibilità prima che lo porti a Tar Valon. Se capiamo perché, è probabile che possiamo fare qualcosa.»

Rand era rapito dall’immagine del Tenebroso che usciva da Shayol Ghul ancora una volta, finalmente del tutto libero. Fuoco e oscurità riempivano il mondo nella sua mente, fiamme che consumavano senza fare luce, un’oscurità solida come la pietra che stringeva l’aria. Con quel pensiero che gli riempiva la testa, quanto Moiraine aveva appena rivelato ci mise un po’ ad assumere un significato. «Vuoi andare di persona?» Aveva pensato che intendesse restargli attaccata come muschio su una roccia. Non è questo ciò che volevi? si disse.

«Suppongo» rispose Moiraine con calma. «Immagino che dovrò... lasciarti alla fine. Sarà quel che sarà.» A Rand sembrò che la donna fosse scossa dai brividi, ma fu un attimo, e avrebbe anche potuto essere la sua immaginazione; l’istante successivo era di nuovo composta e sotto controllo. «Devi essere pronto.» Quel richiamo ai suoi dubbi fu sgradevole. «Dovremmo discutere i tuoi piani. Non puoi restare qui ancora per molto. Anche se i Reietti non stanno progettando di venirti a cercare, sono là fuori, che espandono il loro potere. Riunire gli Aiel non ti servirà a nulla se troverai qualsiasi cosa oltre la Dorsale del Mondo nelle loro mani.»

Ridendo Rand si inchinò contro il tavolo. Dunque si trattava di un altro complotto: se fosse stato ansioso per la sua partenza forse sarebbe anche stato più disponibile ad ascoltare, più propenso a farsi guidare. La donna naturalmente non poteva mentire, non in modo diretto. Uno dei famosi Tre Giuramenti riguardava quest’aspetto, non proferire parola che non fosse vera. Rand aveva scoperto che consentiva molto spazio di manovra. Alla fine lo avrebbe lasciato da solo. Dopo che fosse morto, di sicuro.

«Vuoi discutere i miei piani» proseguì asciutto, estraendo una pipa dal cannello corto e una sacca di cuoio per il tabacco dalla tasca della giubba, riempì il fornello e toccò brevemente saidin per incanalare una fiamma che danzava sopra al tabacco. «Perché? Sono i miei piani.» Soffiando lentamente nuvole di fumo attese ignorando lo sguardo furioso di Egwene.

Il viso dell’Aes Sedai non mutò mai espressione, ma i larghi occhi scuri sembravano avvampare. «Cosa hai fatto quando ti sei rifiutato di farti guidare da me?» La voce era fredda come il volto, eppure le parole sembravano schiocchi di frusta. «Ovunque ti sei recato hai lasciato morte, distruzione e guerra alle tue spalle.»

«Non a Tear» rispose troppo in fretta. E con un tono troppo difensivo. Non doveva permetterle di farlo sbilanciare. Deciso, Rand prese tempo, fumando deliberatamente.

«No» concordò Moiraine, «non a Tear. Per una volta hai una nazione che ti segue, della gente, e cosa ne fai? Portare giustizia a Tear è stato lodevole. Ristabilire l’ordine a Cairhien, nutrire gli affamati è altrettanto degno di merito. In un altro momento ti avrei encomiato.» Lei era originaria di Cairhien. «Ma non ti aiuta a prepararti ai giorni che ti aspettano con Tarmon Gai’don.» Una donna determinata e fredda quando si trattava di altro, anche la sua terra. Ma non doveva forse anche lui essere determinato?

«Cosa vorresti che facessi? Cacciare i Reietti uno a uno?» Si costrinse di nuovo a fumare con maggiore lentezza, ma era davvero uno sforzo. «Hai la minima idea di dove sono? Oh, Sammael si trova a Illian — questo lo sai — ma gli altri? Cosa succede se vado a cercare Sammael come tu desideri e invece trovo due, tre o anche quattro di loro? O tutti e nove?»

«Avresti potuto affrontare tre, quattro o forse tutti e nove e sopravvivere» rispose acida, «se non avessi lasciato Callandor a Tear. La verità è che stai fuggendo. Non hai un piano, non uno che ti prepari per l’Ultima Battaglia. Scappi da un posto all’altro, sperando che in qualche modo tutto finirà nel migliore dei modi. Sperando, perché non sai cos’altro fare. Se volessi accettare il mio consiglio, almeno...» Rand la interruppe gesticolando in maniera brusca con la pipa, senza curarsi delle occhiate furiose che le due donne gli rivolgevano.

«Ho un piano.» Se volevano saperlo era pronto, e che venisse folgorato se ne avrebbe cambiata anche una virgola. «Prima intendo porre fine alle guerre e alle uccisioni, che le abbia iniziate io o no. Se gli uomini devono uccidere qualcuno, che siano i Trolloc, non altri esseri umani. Durante le Guerre Aiel quattro clan hanno oltrepassato la Dorsale del Mondo e hanno ottenuto quello che volevano in meno di due anni. Hanno saccheggiato e incendiato Cairhien, sconfiggendo ogni esercito inviato contro di loro. Avrebbero potuto prendere Tar Valon se avessero voluto. La Torre non sarebbe riuscita a fermarli, per via dei Tre Giuramenti.» Non usare il Potere come arma se non contro la Progenie dell’Ombra, gli Amici delle Tenebre o per autodifesa, era un altro dei Tre Giuramenti e gli Aiel non avevano minacciato la Torre. Adesso era in preda alla rabbia. Fuggire e sperare. Lo stava facendo? «Ci sono riusciti quattro clan. Cosa accadrà quando ne guiderò undici oltre la Dorsale del Mondo?» Dovevano essere undici, c’era poca speranza che avrebbe convinto gli Shaido. «Quando le nazioni cominceranno a pensare di allearsi, sarà troppo tardi. Accetteranno la mia pace o che io sia sepolto nel Can Breat.» Dall’arpa provenne una nota stonata e Natael si inchinò sullo strumento scuotendo il capo. Dopo un po’ la musica ricominciò.

«Un melone non potrebbe essere abbastanza gonfio da eguagliare la tua testa» borbottò Egwene incrociando le braccia sotto al seno. «E un sasso non potrebbe essere più ostinato! Moiraine sta solo cercando di aiutarti. Perché non lo vedi?»

L’Aes Sedai si lisciò la gonna di seta, anche se non ne aveva bisogno. «Portare gli Aiel oltre il Muro del Drago sarebbe la cosa peggiore che potresti fare.» La voce era tesa, colma di rabbia e frustrazione. Almeno le stava facendo capire che non era un pupazzo. «Ormai l’Amyrlin Seat starà avvicinando tutti i governanti, mostrando loro le prove che tu sei il Drago Rinato. Conoscono le Profezie, sanno per quale motivo sei nato. Una volta che saranno convinti di chi e cosa sei, ti accetteranno perché devono. L’Ultima Battaglia sta giungendo e tu sei la loro unica speranza, la sola speranza dell’umanità.»

Rand rise forte. Fu una risata amara. Infilandosi in bocca la pipa, si sollevò per sedersi a gambe incrociate al centro del tavolo fissando le due donne. «Così tu e Siuan Sanche ancora pensate di sapere tutto quello che c’è da sapere.» Se la Luce voleva, non conoscevano tutto sul suo conto e non lo avrebbero mai scoperto. «Siete due sciocche.»

«Mostra un po’ di rispetto!» gridò Egwene, ma Rand proseguì.

«I sommi signori di Tairen conoscono le Profezie e anche me, da quando mi hanno visto impugnare la spada che non può essere toccata. La metà di loro si aspettava che gli avrei portato potere, gloria o entrambi, l’altra metà mi avrebbe accoltellato volentieri e cercato di dimenticare che il Drago Rinato fosse mai stato a Tear. Questo è il benvenuto che le nazioni offrono al Drago Rinato, a meno che non le domini prima come ho fatto con Tairen. Sai perché ho lasciato Callandor a Tear? Per ricordargli di me. Sanno che la spada è lì, incastonata nel Cuore della Pietra e sanno che tornerò a riprenderla. Questo è ciò che li tiene legati a me.» Era uno dei due motivi. Non gli piaceva nemmeno pensare all’altro.

«Sii molto cauto» disse Moiraine dopo un po’. Solo quello, con una calma glaciale nella voce. Rand aveva colto un severo monito in quelle parole. Una volta l’aveva sentita dire con lo stesso tono che lo avrebbe visto morto prima di lasciare che l’Ombra lo prendesse. Una donna dura.

Moiraine lo fissò a lungo con gli occhi come due pozzi scuri che minacciavano di ingoiarlo. Quindi gli rivolse una riverenza perfetta. «Con il tuo permesso, mio lord Drago, andrò a informare mastro Radere che mi aspetto che domani lavori.»

Nessuno avrebbe potuto scorgere la minima presa in giro in quell’azione o nelle parole, ma Rand la sentì. Qualsiasi cosa lo facesse sbilanciare lo rendeva più docile per il senso di colpa, la vergogna, l’incertezza o qualsiasi altra cosa la donna avesse provato. La guardò fino a quando scomparve dietro le tende di perline.

«Non c’è bisogno che diventi minaccioso a quel modo, Rand al’Thor.» La voce di Egwene era bassa e gli occhi adirati. Aveva afferrato lo scialle come se con quello intendesse strangolarlo. «Davvero il lord Drago! Ad ogni modo, sei un maleducato e uno zotico sgarbato. Meriti meno di quel che ricevi. Non ti farebbe male essere civile!»

«Allora sei stata tu» scattò, ma con sua sorpresa la ragazza scosse parzialmente il capo prima di riprendersi. Quindi era stata Moiraine. Se l’Aes Sedai mostrava a quel modo il suo umore, allora voleva dire che qualcosa la stava preoccupando terribilmente. Senza dubbio lui. Forse doveva chiederle scusa. Immagino che non mi farebbe male essere civile, si disse. Anche se non capiva perché stava cercando di comportarsi bene con l’Aes Sedai che tentava di mettergli il guinzaglio.

Ma se stava pensando, o provando, a essere educato, Egwene non lo era. Se i carboni ardenti fossero stati marrone scuro, sarebbero stati simili ai suoi occhi. «Sei proprio uno stupido, Rand al’Thor, e non avrei mai dovuto dire a Elayne che per lei andavi bene. Non vai bene nemmeno per una donnola! Smettila di darti delle arie. Mi ricordo di te sudato mentre cercavi di tirarti fuori da qualche guaio in cui ti aveva cacciato Mat. Mi ricordo di Nynaeve che ti aveva preso a frustate fino a farti gridare e avesti bisogno di un cuscino su cui sedere per il resto della giornata. Non era nemmeno molti anni fa. Se sapesse la metà di quello che sei diventato...»

Rand la guardava a bocca aperta mentre la tirata proseguiva, con Egwene più furiosa che mai da quando era entrata nella stanza. Poi d’improvviso capì. Quel piccolo cenno del capo che non intendeva fare, con cui gli aveva fatto capire che era stata Moiraine a colpirlo con il Potere. Egwene lavorava sodo a comportarsi nel modo giusto. Studiando con le Sapienti, indossava abiti aiel. Forse stava anche cercando di adeguarsi alle usanze aiel, per quanto ne sapeva lui. Sarebbe stato tipico della donna. Ma era anche impegnata a comportarsi come una vera Aes Sedai tutto il tempo, anche se era solo un’Ammessa. Le Aes Sedai di solito tenevano a freno l’umore, non lasciavano mai trapelare qualcosa che volevano tenere nascosta.

Ilyena non è mai scattata contro di me quando era arrabbiata con se stessa. Quando era dura con me era perché lei... la mente di Rand si gelò a quel pensiero. Non aveva mai incontrato una donna di nome Ilyena in vita sua. Ma riusciva ad associare un volto a quel nome, vagamente. Un viso grazioso, la pelle chiara, i capelli biondi della stessa tonalità di quelli di Elayne. Doveva essere la follia. Ricordarsi di una donna immaginaria. Forse un giorno si sarebbe ritrovato a conversare con gente che non era presente.

Egwene interruppe l’arringa con espressione preoccupata. «Stai bene, Rand?» La rabbia era scomparsa dalla voce della ragazza come se non ci fosse mai stata. «C’è qualcosa che non va? Vuoi che vada a chiamare Moiraine per...»

«No!» rispose, quindi addolcì velocemente il tono di voce. «Non può guarire...» Nemmeno le Aes Sedai potevano guarire dalla pazzia, nessuna di loro poteva guarire ciò che lo affliggeva. «Elayne sta bene?»

«Sta bene.» Malgrado la sfuriata nella voce di Egwene c’era un cenno di simpatia. Era tutto ciò che Rand si aspettava. Oltre quello che sapeva quando Elayne aveva lasciato Tear, cosa stesse facendo erano affari delle Aes Sedai e non suoi, così Egwene gli aveva detto più di una volta e Moiraine le faceva eco. Le tre Sapienti che potevano camminare nei sogni, con cui Egwene stava studiando, erano state anche meno loquaci. Avevano i loro motivi per non essere contente di lui.

«Farei meglio ad andare» proseguì Egwene, calandosi lo scialle sulle braccia. «Sei stanco.» Aggrottando leggermente le sopracciglia chiese, «Rand, cosa significa essere sepolto a Can Breat?»

Rand stava per chiedere di cosa diavolo parlasse, poi si ricordò di aver usato quella frase. «Solo qualcosa che ho sentito una volta» mentì. Non aveva la minima idea di cosa significasse o da dove provenisse quella frase.

«Riposati, Rand» rispose Egwene, sembrando più vecchia di vent’anni invece che più giovane di due. «Promettimi che lo farai. Ne hai bisogno.» Rand annuì. L’amica lo studiò per un po’ come se fosse alla ricerca della verità, quindi si incamminò verso la porta.

Il boccale d’argento del vino di Rand fluttuò dal tappeto e si diresse verso di lui. Lo prese al volo prima che Egwene si voltasse.

«Forse non dovrei rivelarlo» disse. «Elayne non me lo ha riferito come un messaggio per te, ma... ha detto che ti ama. Forse lo sai già, ma se così non fosse, dovresti pensarci.» Detto questo se ne andò, la tenda di perline si mosse al passaggio.

Saltando giù dal tavolo Rand scagliò lontano il boccale, versando il vino sul pavimento mentre si voltava verso Jasin Natael in preda alla furia.

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